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Autore: Lovingit    30/06/2015    6 recensioni
"Ho diciotto anni da due settimane, una vita sociale inesistente, sono depressa, vivo la mia vita tra casa e ospedale e il mio fegato è andato. Come se non bastasse il mio dottore mi ha abbandonata, lasciando letteralmente la mia vita nelle sue mani. E Dio solo sa se non preferirei affidarla al diavolo in persona."
Dal primo capitolo: "Cercherò di essere più chiaro: ci sono due tipi di pazienti. Il primo tipo: quelli rassegnati, le vittime quelli che ormai non sentono più nulla. Il secondo tipo è quello degli incazzati- non potevo credere che avesse appena usato una parolaccia -che ti attaccano per ogni cosa- dice per poi sedersi sul mio letto, con mio enorme disgusto -Per quanto mi riguarda non sopporto nessuno dei due tipi ma se possibile sopporto ancora meno quelli incazzati che però non reagiscono"
Questa è la storia di una ragazza rassegnata e di un uomo fin troppo duro. La medicina non è mai stata più amara.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon, Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Questa mattina, di buon ora, si è presentato in camera nostra Mark. John è subito diventato radioso e poco gli è importato che stanotte fosse finalmente tornato in camera solo alle 4 del mattino, lui era ben felice di farsi accompagnare dal figlio per una piccola passeggiata all'aria aperta. La promessa di conoscere suo nipote quel giorno stesso era poi stato un incentivo sufficiente per farlo quasi balzare in piedi: per John è un giorno importante perciò non posso lamentarmi di essere per l'ennesima volta da sola; inoltre, se non mi stesse per crollare il mondo addosso da un momento all'altro, oserei dire di essere felice: per John ma soprattutto per Lear Crow e per il fatto di essere stata abbastanza fortunata da sentirmi confessare da lui cosa prova per me. 
Non ricordo poi molto: da quanto so sono svenuta e non mi è ancora chiaro se per la malattia o per l'emozione, ma a giudicare dal colorito rosso che assume la mia faccia al solo pensiero della sera prima, opterei per la seconda opzione.
Non perdo tempo a vedere se ci sia qualcosa da vedere in tv sicura che passerei minuti a giocherellare col telecomando, così controllo il cellulare.
"Max. Non accetterò per molto ancora questo tuo "silenzio stampa": sono richieste tue dichiarazioni in merito ad un certo dottore..."
Sorrido leggendo il messaggio di Molly e mi rendo conto che ha ragione: non l'ho nemmeno ringraziata per esser riuscita a trovare Mark così le scrivo un breve messaggio promettendole di richiamarla più tardi, poiché sono sicura arriverà presto qualcuno a controllare come sto. Oh...parli del diavolo ed ecco spuntare la mia personale "infermiera":
-Buongiorno- dico dolce.
-Buongiorno- mi dice con calore venendo, con sorpresa, a darmi un casto bacio sulla fronte. Quanto vorrei che questa fosse la quotidianità: svegliarsi così, magari in una piccola ma accogliente casa, con lui al mio fianco...
-Come va la mano?- Domando preoccupata; la sera prima alla vista di quella fasciatura mi si era rivoltato lo stomaco.
-Cerchi di rubarmi il lavoro?- Mi chiede con un sorriso furbo.
-No- rispondo veloce -ma ho il sospetto che quando due persone tengono una all'altra si preoccupino di sapere come stanno- spiego con una punta di sarcasmo.
-Oh, grazie per la delucidazione- mi dice scherzoso -va bene comunque. Nessuna infezione nessun danno- conclude sintetico.
-Bene. Sono contenta- dico studiando la sua espressione; sembra a disagio, il che è strano per lui: sempre così composto e misurato...sembra quasi che stare qui, con me, gli incuta un senso di timore.
-Tu come stai?- Gli costa un certo sforzo fare questa domanda molto probabilmente perché sa quanto sia stupida.
-Mi sento...apposto- rispondo calma e incolore.
-Apposto...- ripete. L'aria è pesantissima: da quando lo conosco, ha sempre avuto la straordinaria capacità di tenere i miei pensieri lontani dalla malattia, ma a quanto pare, prima o poi tutti soccombiamo al peso di una sentenza di morte tanto che non è più possibile svagare la mente.
-Sai ho deciso cosa tatuarmi- gli dico provando a cambiare argomento, lo vedo alzare lo sguardo per lanciarmi una veloce occhiata: so che detesta l'idea ma non mi farò influenzare.
-Ancora?- Domanda negativamente sorpreso -Pensavo fosse un momentaneo colpo di testa adolescenziale-
-Non lo è- lo contraddico paziente -e poi lo hai detto tu: devo vivere la mia vita senza condizionamenti-
-Primo non l'ho mai detto e secondo, non era certo mia intenzione creare un mostro-
-Primo lo hai fatto intendere e secondo: un mostro? Guardami. Sono la perfezione- dico mettendomi a ridere per la mia stessa ironia. 
-Primo smettiamola di parlare per elenchi e secondo hai ragione. Non sei assolutamente un mostro- dice sembrando di buon umore.
-Grazie e tornado all'argomento principe voglio il tatuaggio di un fegato- gli faccio sapere.
-Spero tu scherzi. E dove vorresti farlo? Spero per te in un punto coperto...-
-Questa è la parte migliore- dico eccitata.
-Ma non mi dire- lo sento sbuffare ma so che sta scherzando e la cosa mi diverte molto.
-Lo farò sulla pancia, in corrispondenza del fegato. Non è geniale?- Chiedo con gli occhi che brillano.
-È macabro- mi risponde con una smorfia -ma da te- conclude con un sorriso.
-È un approvazione quella che sento?- Domando felice -Peccato che non possa farlo ora: mi sarebbe piaciuta l'idea che se non posso avere un fegato vero almeno avrei potuto averlo di inchiostro- 
-Potrai farti tutti i tatuaggi che vuoi quando sarai guarita- mi dice con uno sguardo duro. 
Io gli sorrido perché gli sono davvero grata per la forza d'animo che ha, per l'ottimismo che sembra quasi abbia la soluzione in tasca...
-Già- concedo sognante.
-Devo andare- mi dice dispiaciuto guardando l'orologio -ci vediamo presto ragazzina- saluta usando il mio soprannome che non ha più quella sua connotazione negativa ma esprime solo un grande affetto.
-A presto Lear- ricambio sorridendo mentre lo seguo con gli occhi allontanarsi. Quando è vicino alla porta lo sguardo mi cade su Nora che si trova accanto al bancone delle infermiere; ha in mano il telefono che tiene appoggiato all'orecchio e un sorriso maligno diretto a me. Non vorrei concederle l'onore ma quella donna inizia a farmi paura...

-Signorina!- Qualcuno mi chiama a gran voce. 
-Sentite! Lasciate che ci parliamo noi prima...- sento dire da mio padre.
-Signori questa è una faccenda grave: ci lasci fare il nostro lavoro!- Sento ancora la voce profonda e sconosciuta. Apro lentamente gli occhi trovandomi davanti la mamma, papà e due uomini in divisa. Sono due poliziotti, mi alzo velocemente a sedere preoccupata che possa essere successo qualcosa di grave. 
-Max tesoro, scusaci. Questi signori dicono che devono parlare con te ma io non capisco per...- farfuglia mio padre in preda alla confusione tenendo stretta la mano della mamma che, a quanto pare, si è decisa a tornare a farmi visita...
-Signorina Stone salve, sono l'agente Denner e questo è il mio collega Smith- mi dice avvicinandosi; è imponente e spaventoso.
-Salve- li saluto timida e impaurita. Non ho idea di cosa stia succedendo.
-Signori Stone vogliate concederci del tempo soli con vostra figlia- fa l'agente rivolto ai miei genitori. 
-No!- Sento esclamare mia madre -Prima ci direte cosa sta succedendo: ci avete fatti chiamare con urgenza, ora pretendete di star soli con mia figlia senza nemmeno una motivazione- protesta.
-Signora, si tratta di argomenti privati e anche se vostra figlia è ancora sotto la vostra custodia, ha il diritto di essere ascoltata sola- le spiega.
-Diteci il motivo almeno!- Esclama mio padre -Io sono un avvocato, il suo avvocato in questo caso e-
-Basta. Agenti se per voi non è un problema per me possono rimanere, non ci sono...problemi- interrompo stanca della discussione e in ansia per ciò che vogliono sapere o dirmi. 
-Non c'è problema ma si ricordi: se si sente in imbarazzo ce lo dica e continueremo in privato- ancora con la storia del personale e imbarazzo? 
-Mi dica- lo sprono non riuscendo a contenere la mia curiosità.
-Ecco ci è stato segnalato da una persona che vuole rimanere anonima che lei potrebbe essere vittima di...abusi da parte dell'uomo che risponde al nome di Lear William Crow-
Mi manca l'aria.
Come è possibile che tutto ciò stia succedendo? Scuoto la testa nervosa, iniziando a respirare affannosamente: chi potrebbe fare una cosa del genere? È questa la fine di tutto? Non lo vedrò mai più...
-Sappia che non diamo molto peso alle segnalazioni anonime ma è nostro dovere controllare soprattutto perché lei si trova in una posizione di inferiorità sia per la sua cobdizione di salute sia perché minorenne- Cosa? Minorenne? Il suono della sua voce mi arriva ovattato; vedo i volti di mia madre e mio padre scandalizzati e io non riesco a trovare la voce. Tremo tanto da incitare l'agente a continuare:
-Non deve avere paura: le potrà essere sembrato in una posizione di potere. Se è successo qualcosa, qualsiasi cosa ce lo dica e non dovrà vederlo mai più- mi rassicura.
Io lo guardo con disgusto. Io non rivedere mai più Lear? 
-No!- Esclamo esasperata d'un tratto mentre mia madre ripete "Non è possibile...Dio ci aiuti" 
Mi guardano tutti in attesa.
-Non è vero nulla- dichiaro arrabbiata.
-Maximax- sento dire da mio padre -nessuno ti giudicherà devi solo dire la- 
-Ho detto di no!- Urlo eppure loro sembrano ancora non credermi. Non posso uscirne se non mi invento qualcosa e so che se dirò ciò che ho in mente potrò dire addio a qualunque possibilità di riallacciare un rapporto con mia madre ma qui si tratta di Lear ed io lo devo proteggere come lui fa con me. Questo è il patto non scritto tra due persone che si...amano.
-Ho chiamato io- dico cercando di suonare pentita -lui mi piace e volevo attirare la sua attenzione; mi annoiavo e ho pensato che una cosa del genere...-
-Max!- Esclama incredula mia madre, i due agenti si guardano spazientiti e sbuffano.
-Tipico dei ragazzini!- commentano tra loro -Questa volta lasceremo correre ma sappi che ciò che hai fatto è reato!- Mi minaccia l'agente Smith. 
-Lo so. Mi dispiace- gli dico suonando affranta.
-Andiamo Bob- dice stavolta Denner rivolto al collega. Quando mi lasciano sola con i miei genitori faccio fatica a trattenere le lacrime. 
-Come hai potuto?- Chiede mio padre. 
"Fallo per lui Max"
-Te l'ho detto: mi piace e- 
-Basta- irrompe la mamma -non voglio sentire una parola in più- dice prima di uscire. Papà rimane per un secondo con me, mi guarda triste e la segue...come sempre. 
-Papà...- provo a richiamarlo flebilmente ma è troppo tardi, li ho delusi un'altra volta e loro hanno deluso me dimostrandomi che non mi conoscono per niente.

-Chi mai potrebbe essere tanto folle? Ha perfino inventato che io sono minorenne!- Dico per l'ennesima volta.
-Indipendentemente da chi sia stato, credo tu abbia sbagliato! Prenderti la colpa servirà solo a fargliela passare liscia, chiunque esso sia- mi rimprovera il mio compagno di stanza.
-John non capisci? Se non avessi mentito ne avrebbero fatto un caso nazionale! Lo avrebbero saputo tutti e non lo avrei più rivisto- dico arrabbiata.
-Non lo so...questa cosa ti sta davvero creando tanti problemi, sei ancora sicura ne valga la pena?- 
-Certo. Più di prima- rispondo convinta. John mi sorride comprensivo.
-A te come è andata?- Chiedo con calma. 
Lui mi racconta di aver conosciuto suo nipote, un bambino adorabile e intelligentissimo a quanto dice. Ha tre anni e lui ne è già innamorato. 
-Sembra fantastico!- Commento felice.
-Oh lo è! Devi assolutamente conoscerlo!- Sprizza felicità da tutti i pori, io gli concedo un sorriso ma penso ancora a ciò che è successo questo pomeriggio e mi rendo conto che c'è una sola persona che può aver chiamato la polizia...
-John ti dispiace? Devo andare a fare una cosa...- dico d'un tratto interrompendo i suoi gioiosi sproloqui.
-Come mai ho l'impressione che non sarà nulla di buono?- Domanda sarcastico.
-Perché non lo è- concordo cupa -ma tu sei mio amico e gli amici appoggiano sempre le scelte- gli ricordo -ci metterò poco- lo saluto uscendo.
Individuo subito il mio bersaglio, alzo le spalle, gonfio il petto e mi dirigo a passo quasi militare verso il bancone e, quando sono abbastanza vicina, posso finalmente sfogarmi.
-So che sei stata tu, spero ti sia divertita- dico a Nora con disprezzo; lei mi rivolge lo sguardo e fa un sorrisino beffardo:
-Oh si! Avresti dovuto vedere la tua faccia- mi dice cattiva.
-Sei pazza- constato senza remore -tutto questo va oltre ogni limite- 
-Mi sembrava di avervi avvertito, ma poi vi trovo nel suo studio a baciarvi...brutta mossa- 
-Cosa fai? Ci segui?- Chiedo impaurita anche se cerco di non mostrarlo.
-Non darti tanta importanza, seguo solo lui- 
-Devi smetterla Nora: facendo così rovinerai solo la sua vita, non lo attirerai a te! Quello che hai detto è grave e per di più io non sono minorenne!- Sbotto alzando la voce; alcune teste si girano verso di me costringendomi ad allontanarmi da lei per ricompormi.
-Io non voglio lui cara, voglio la vendetta- mi dice con un tono che sono sicura la faccia rientrare nella categoria "deliro irrecuperabile".
-Smettila. Non ti permetterò di- 
-Cosa sta succedendo qui?- Sento dire da una voce maschile. Mi giro verso il proprietario trovandomi davanti un uomo imponente, sulla sessantina, vestito di tutto punto.
-Nulla- mi affretto a dire.
-La signorina Stone, giusto?- Chiede avvicinandosi.
-Dipende, chi è lei?- Domando diffidente. L'uomo fa un sorriso.
-Ha ragione, che scortese a non presentarmi. Sono il direttore di questo ospedale- 
Ok, wow.
-Allora si, sono la signorina Stone- concedo cercando di mantenere la calma.
Lui mi guarda attento ed incuriosito:
-Le andrebbe una chiacchierata signorina?- 
-Suppongo di si- rispondo sospinta dalla voglia di allontanarmi da quella donna.
Il direttore mi fa un segno con la mano indicando una sedia a rotelle che un'infermiera ha prontamente portato.
-Gradirei stare sulle mie gambe finché posso permettermelo- dico rifiutando la sua offerta. L'uomo sorride ancora con uno sguardo che sembrerebbe ammirato.
-Mi segua allora- acconsente voltandosi. Io non perdo tempo e mi affretto a mantenere il suo passo, prendiamo l'ascensore e camminiamo ancora fino a ritrovarci in quello che sembra essere il suo studio. 
-Prego- dice indicandomi la sedia sulla quale mi affretto a sedermi ritrovando il direttore dietro la scrivania, con le mani giunte, osservarmi.
-Ha detto che voleva parlarmi- gli ricordo.
-Giusto. Signorina andrò diretto al punto poiché mi sembra abbastanza intelligente da capire perfettamente- mi dice serio -da quando lei è stata ricoverata, devo essere sincero, mi ha creato un po' di problemi: i suoi genitori sempre nel mio studio ad urlarmi contro-
-Non sono responsabile per loro- controbatto.
-Non lo è, ma c'è anche lei che gira per l'ospedale come le pare e piace, lei che sta creando problemi al miglior medico che ho- 
-Non andiamo d'accordo ma questo non significa-
-Le ho detto che la reputo intelligente, non mi faccia rimangiare il complimento- dice infastidito. Ho come l'impressione che lui non sia facilmente ingannabile come i due agenti.
-D'accordo- concedo mesta.
-Il dottor Crow mi ha sorpreso in questi giorni: sembra che qualcuno abbia acceso la sua miccia e che adesso sia pronto a scoppiare-
-Mi dispiace informarla che ai pazienti non è permesso avere fiammiferi o accendini- 
-Divertente- mi dice con una risata sommessa -davvero. Non mi sorprende che sia interessato a lei...-
-Deve dirmi qualcosa?- Domando scocciata: stare in questa stanza mi fa sentire a disagio e quest'uomo sembra sapere più cose di quanto debba.
-Vede, come direttore sanitario non potrei tollerare una cosa del genere ma la metà dei pazienti che sono qui ci sono perché lui è qui- mi informa -farò finta di nulla: fingerò di non sentire i pettegolezzi, fingerò di non sapere che ha passato fin troppo tempo nella sua stanza e questo perché lui mi serve- dice severo -ma in cambio è necessario che lei non faccia più piazzate come quelle a cui ho appena assistito e che accetti ogni mia decisione-
-Quali decisioni?- Chiedo sconcertata.
-Lo vedrà. Sappia che sono stato fin troppo buono fino ad ora, non vorrei vedermi costretto a mandare via un tale talento...- 
Mi sta minacciando! In questo ospedale sono tutti matti! 
-Allora abbiamo un accordo?- Domanda porgendomi la mano. Sembra di fare un patto col diavolo ma quale altra opzione ho? 
Mi alzo senza ricambiare la stretta, quando arrivo alla porta mi volto sconfitta:
-Abbiamo un accordo- 

-Non crederai mai- mi blocco subito notando che al mio rientro non c'è John in stanza.
-Signorina, il signor Dennings si è sentito poco bene; abbiamo dovuto portarlo in una stanza più attrezzata- mi informa un'infermiera.
-Oh ma adesso sta bene?- Chiedo preoccupata.
-Mi dispiace non lo so- risponde cortese per poi lasciarmi sola, come se non bastasse l'orrenda chiacchierata di prima ora ci si mette anche questa. 
Mi siedo su un lato del letto completamente sfinita: che razza di giornata! 
-Spero tu sia pronta per il tuo tatuaggio!- La sua voce mi fa sobbalzare. Lear è nella mia stanza: ha in mano quello che sembra un pezzo di carta e una ciotola con dell'acqua.
-Cosa?- Chiedo non capendo dove vuole andare a parare -Cosa ci fai qui, ora?- Domando preoccupata -Non hai saputo della polizia?- Chiedo.
-Si- risponde triste -mi hanno fatto una cortese visita, ho negato tutto. L'unica cosa che mi preoccupa è cosa hanno detto a te...-
-Ho negato tutto anche io chiaramente- dico veloce 
-Lo avevo intuito visto che non sono dietro le sbarre- dice sorridendo -ti ringrazio ma ciò che mi incuriosisce è come tu abbia fatto- 
Non voglio farglielo sapere:
-Credo di essere abbastanza persuasiva- rispondo -e sai anche chi è stato?- Gli domando.
-Nora- commenta asciutto -non ti preoccupare non vedrei più quella donna, fosse l'ultima cosa che faccio- suona minaccioso.
-Non vorrai ucciderla- dico tra le risate.
-Non ne varrebbe la pena- mi rassicura -Ma ora non farti distrarre da questo importante momento: volevi un tatuaggio- mi ricorda avvicinando un carrellino al mio letto e posandoci sopra ciò che aveva in mano -avevo pensato di pagare un tatuatore e farlo venire qui ma poi il mio buonsenso da medico ha avuto il sopravvento quindi dovrai accontentarti di questo- dice mostrandomi il pezzo di carta. Non posso credere ai miei occhi. È la riproduzione esatta di un piccolo fegato ed è pure colorato! Lo osservo con gli occhi lucidi quando noto la frase che lo incornicia "irrimediabilmente fastidiosa".
-È...è un tatuaggio per bambini, quelli non permanenti!- Esclamo incredula.
-Si. Faresti meglio a fartelo piacere: ho girato tutta la città per trovare un tizio disposto a farlo. Penavano tutti fossi uno psicopatico- 
Lo guardo con amore. Non posso credere abbia fatto tanto per me!
-Lo amo- rispondo incantata.
-Perfetto allora- dice avvicinandosi -non temere: non sbaglierò posizione, credo di sapere bene dove si trova un fegato- mi rassicura scherzoso bagnando una spugnetta.
Solevo il camice lasciando scoperta la pancia, lui mi fa un sorriso e appoggia il mio tatuaggio ancora su carta sulla mia pelle. Ha le mani fredde ma non mi importa. Lo seguo quando posa la spugnetta sopra la carta e picchietta più volte. Attendiamo un minuto e poi lo scopre rivelando un perfetto "tatuaggio" sulla mia pancia.
-È perfetto- dico con ammirazione -tu sei perfetto- gli dico felice.
-Scusate. Dottor Crow, signorina Stone- ci sentiamo richiamare. Rimango immobile alla vista di un uomo col camice bianco sulla porta, è un medico anche lui...
-Stein- commenta Lear che, a quanto pare, lo conosce -cosa ci fai qui?- 
-Non te l'hanno detto?- Chiede lui.
-A quanto pare no- risponde Crow spazientito.
-Beh ecco...sono il dottor Charles Stein- dice rivolto a me -il suo nuovo medico-


Autrice: Grazie come sempre per le recensioni allo scorso capitolo, spero vi piaccia anche questo e scusate per il "cliffhanger".
Per il prossimo aggiornamento potrebbe volerci un po' di più rispetto al solito (scusate ma sarà una settimana impegnatissima) grazie ancora :) 
   
 
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