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Autore: Kiffwoman    01/07/2015    2 recensioni
I pensieri di un'anziana paziente d'ospedale, poco prima di lasciare per sempre questo mondo.
Genere: Drammatico, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Bene, siamo al capolinea.” Pensi, mentre con una mano rugosa ti asciughi una lacrima che sbadatamente hai lasciato scappare da quegli occhi grigi. Guardi le pareti bianche anonime della tua stanza d’ospedale: pareti che ultimamente vedi troppo spesso. Non ti mancheranno di certo quelle pareti, rifletti quasi sorridendo, così come non ti mancheranno le iniezioni, le flebo, i medicinali, i continui spostamenti in giro per quel luogo di morte chiamato ospedale. Lanci un’occhiata all’orologio: sono le tre del pomeriggio. A quell’ora nei mesi precedenti, molto probabilmente ti saresti alzata per gironzolare pigramente per i corridoi, cercando qualcosa di nuovo in tutta quella monotonia ovattata. Ti faceva sentire meglio: spesso e volentieri riuscivi ad arrivare fino alla saletta dei giocattoli, dove ti sedevi e facevi compagnia ai bambini. Ti ricordavano così tanto i tuoi nipoti, ormai cresciuti, quando ogni finesettimana insistevano per passare del tempo con te. Poi ti alzavi e tornavi nella tua stanza, consapevole che le infermiere non sarebbero state d’accordo, ma felice di aver passato un paio d’ore diverse, quasi spensierate, alla vista di quei bambini che giocavano, noncuranti del motivo del loro ricovero. Ora non ne hai le forze, non riesci quasi più ad alzarti dal letto, figuriamoci passeggiare per l’ospedale. Le infermiere dicono che forse c’è speranza, ma sai benissimo che non è così: ormai il tuo corpo non può più reggere il peso dell’età, aggravato da un principio di Alzheimer. Cominci a dimenticare perché sei lì, non riconosci i volti delle persone che ti parlano, anche i tuoi figli sembrano un vago ricordo. Non può andare avanti così. Non può e basta. Non mangi neanche più, l’unico nutrimento lo ricevi dalla flebo, per il resto non riesci più a ingurgitare niente: sembra che il tuo stomaco non voglia assolutamente collaborare. Le ossa, sempre più deboli, non reggono il seppur esile peso del tuo corpo. Rischi fratture anche solo cercando di scendere dal letto. “Ormai sono da rottamare” pensi, sorridendo appena. Beh, la tua vita l’hai vissuta, eccome se l’hai vissuta. Il primo amore, cioè l’uomo che hai sposato e che ti è stato accanto fino a pochi anni fa. I tuoi bambini, che ora, cresciuti e sposati, ti guardano con occhi tristi e rassegnati. Il tuo lavoro, la maestra di italiano, che ti ha dato un sacco di soddisfazioni: bambini timidi e chiusi che scrivendo della propria giornata riuscivano a uscire dal guscio; la sana competizione che c’era tra i compagni di classe, che li spingeva a dare sempre il massimo in tutto quel che facevano; i loro sorrisi quando sapevano di aver preso un ottimo voto; gli sguardi orgogliosi delle mamme. I libri che hai scritto, ma che per paura, o forse vergogna, non hai mai fatto pubblicare. Sorridi, fiera delle tue scelte e dei tuoi traguardi, e lentamente scivoli nel sonno più lungo della tua vita, pensando al dolce sorriso di tuo marito che ti allunga una mano, pronto a salutarti di nuovo.
   
 
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