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Autore: bluecoffee    01/07/2015    2 recensioni
Non aveva mai temuto veramente Dahpne, la piccola Nott, ma non era mai riuscita ad esprimere il suo vero volere di un po’ più di confidenza ostentata tra le due, perché aveva paura di un rifiuto in tronco che l’avrebbe fatta solamente star ancora più male, nonostante sapesse perfettamente come i rapporti tra persone non dovevano essere più infantili dopo che il figlio sarebbe cresciuto. Ricordava bene che Trina le raccontava di quando aveva anche quattro anni, indossava un vestitino dai toni chiari e dalla fattura di un elfo e dormiva con la testolina poggiata sulla spalla del padre e Daphne che, vicina, le carezzava la gambetta o la schiena in gesti di affetto confidenziale e senza alcuna paura di mostrare ciò che veramente provava per la figlioletta bella già da piccola.
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Spin-off di "Blood's question" sugli anni prima di Hogwarts di Thea Nott.
Genere: Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Daphne Greengrass, Nuovo personaggio, Theodore Nott
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
- Questa storia fa parte della serie 'Questioni di sangue e scelte.'
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The fault, dear Brutus, is not in our stars,
but in ourselves.

- William Shakespeare





Aveva sempre avuto quella pelle liscia e morbida, anche quando girava per il Manor e, certa di non ricevere visite, non indossava alcun trucco in viso e lasciava che quelle sue sottili rughe le abbellissero il contorno degli occhi e le pieghe del sorriso, quei piccoli marchi che la facevano sembrare reale e concreta sotto lo sguardo di una figlia che continuava ad idealizzare sua madre come fosse un esempio di donna da seguire fin da subito. A quella pelle liscia e struccata, però, Thea aveva sempre preferito i delicati nei che costellavano la schiena di sua madre come i pois beige nel suo vestitino preferito, quello con la gonna scampanata ed il colletto in pizzo, il regalo di compleanno dei coniugi Malfoy per i suoi sette anni. Poi, aveva sempre associato quei nei alle stelle che d’estate punteggiavano il cielo limpido, le stesse stelle che fino a tre anni guardavano insieme durante le serate di vacanza alla casa estiva sulla costa sud della Francia, quella casa che l’aveva vista con un sorriso veramente contento sulle labbra dopo la giornata passata in spiaggia con entrambi i genitori che al pubblico facevano i giovani fidanzatini ancora innamorati.
Entrambe le ante della porta della camera da letto di Thea si aprirono con un tonfo fastidioso e pesante, facendo sobbalzare la bambina, che se ne stava placidamente accucciata in una delle due poltrone che davano le spalle alla grande finestra circolare di un angolo della stanza. La figura di Daphne Greengrass apparve davanti gli occhi assonnati della figlia, stretta in una gonna grigio perla ed attillata che le arrivava al ginocchio ed in una camicetta rosa pallido con qualche bottone di troppo sbottonato: aveva il portamento regale e raffinato di ogni Purosangue da Anthea incontrata ed i lineamenti del viso che erano identici, fin troppo, a quelli della figlia, solamente più maturi e spigolosi.
“Tesoro, il baule è pronto?” domandò la donna alla bambina, limitandosi a raggiungere il centro esatto della stanza e senza muovere un gesto d’affetto verso la piccola di dieci anni, la quale era intenta a sfregarsi gli occhi con entrambe le mani chiuse a pugno e a trattenere uno sbadiglio carico del sonno interrotto da sua madre.
Thea si raddrizzò sulla poltrona, prima di rispondere, le spalle ossute lasciate scoperte da una canotta e le gambe magre scoperte completamente dall’assenza di un qualsiasi paio di pantaloni. Guardò sorpresa ed un po’ vergognosa i propri piedi, uno completamente scalzo e l’altro scaldato da un calzettone bianco che le si era arricciato alla caviglia, dandole un aspetto ancora più malandato del solito e facendole pentire di non aver chiesto alla sua elfa Rina di avvisarla quando sua madre sarebbe tornata dall’ufficio di suo padre.
Daphne continuava a starsene al suo posto, dritta nei tacchi eleganti e semplici che indossava senza alcun problema, le mani giunte sul ventre e gli occhi critici che lasciavano intendere tutto il disaccordo con l’aspetto della figlia in quel momento, ma che aveva deciso di non esprimere a parole per semplice stanchezza di una giornata di ferie passata comunque nel proprio ufficio per sistemare un paio di cose prima della partenza estiva nella casa in Francia.
“Il baule è quasi pronto, mamma, mancano le ultime cose” disse Thea, facendosi più piccola contro la poltrona, sulla quale era tornata a sedersi e sulla quale prese a rannicchiarsi, incastrando i talloni sotto il sedere e circondando le ginocchia con le braccia.
Daphne osservò sua figlia in silenzio, soffermando lo sguardo su quei lineamenti del viso Greengrass, gli zigomi che si iniziavano ad appuntire maggiormente e gli occhi grandi e pieni di chiari e scuri che sembravano minacciare la perfezione regale del viso della bambina, perché quei occhi non riusciva ad associarli a nessun Purosangue, nonostante riprendessero quelli della sua bisnonna, la stessa alla quale voleva somigliare da bambina. Si rigirò la fede nel dito e aggrottò la fronte, mentre lo sguardo dispiaciuto ed inquisitore di Thea continuava a seguire tutti i suoi gesti anche negli scatti più minuziosi. La donna si avvicinò di un paio di passi alla poltrona della figlia e Thea poté vedere le labbra della madre coperte da un sottile strato di lucidalabbra marrone, ma lo vide troppo fresco e si lasciò sfuggire un piccolo accenno di sorriso arrivando alla conclusione che, in fondo, Daphne e Theodore avevano imparato ad amarsi veramente con il tempo e che tutto il risentimento per il matrimonio combinato fosse sparito e fosse solamente un brutto ricordo.
“Chiama Trina e fatti aiutare a fare il baule. Mettici dentro anche i due vestiti che abbiamo comprato la settimana scorsa, potrebbero servire in caso venisse qualcuno a farci visita. – fece per andarsene, il passo severo e la schiena perfettamente dritta come suo solito. All’ultimo, però, si voltò verso la figura della figlia, lo sguardo un po’ più tenero di quello precedente ed il sorriso ad evidenziare le poche rughe che aveva la donna – Metti dentro quello che vuoi e poi fatti trovare di sotto dopo una doccia, siamo a cena da un collega di tuo padre.”
Le porte della camera della bambina si chiusero con un secondo tonfo, più morbido e delicato del primo, e Thea si alzò in piedi, avvicinandosi alla finestra dietro le poltrone: il sole continuava a sostare alto nel cielo azzurro ed il giardino perfettamente curato sotto di esso la risvegliò dal placido sonno dal quale era stata interrotta dalla madre. Non aveva mai temuto veramente Dahpne, la piccola Nott, ma non era mai riuscita ad esprimere il suo vero volere di un po’ più di confidenza ostentata tra le due, perché aveva paura di un rifiuto in tronco che l’avrebbe fatta solamente star ancora più male, nonostante sapesse perfettamente come i rapporti tra persone non dovevano essere più infantili dopo che il figlio sarebbe cresciuto. Ricordava bene che Trina le raccontava di quando aveva anche quattro anni, indossava un vestitino dai toni chiari e dalla fattura di un elfo e dormiva con la testolina poggiata sulla spalla del padre e Daphne che, vicina, le carezzava la gambetta o la schiena in gesti di affetto confidenziale e senza alcuna paura di mostrare ciò che veramente provava per la figlioletta bella già da piccola.
Anthea raccolse i capelli scuri in una coda alta che le sfiorava la base del collo con le punte e si voltò verso la stanza dai toni del panna, del verde scuro e del rosa antico: le quattro pareti che delimitavano una stanza troppo grande per una bambina di dieci anni, ma che l’avevano fin da subito abituata al lusso più delicato e perfetto dei Purosangue. Raccolse il calzetto che le era caduto mentre dormiva e lo indossò poggiandosi ad una poltrona, si sistemò la canotta e lasciò le gambe scoperte, schioccò le dita per chiamare la sua elfa e sorrise all’apparizione di quella strana e bassa figura che l’aveva accompagnata fin da bambina.
“Padroncina Anthea, come posso esserle utile?” l’elfa aveva le c e le s che le fischiavano e le r che non riusciva a pronunciare se non arricciando la lingua e facendola così risuonare come una lettera inventata al momento, ma a Thea era sempre piaciuta, per quella pancia perfettamente tonda che trasportava su quelle gambette magre che terminavano con dei piedi spropositatamente grandi e dalle dita affusolate e lunghe. Indossava una vecchia maglietta a manica corta di Theodore che le arrivava alle ginocchia nodose e mostrava orgogliosa il proprio naso arcuato e lungo che, qualche anno addietro, era un passatempo giocoso della piccola Nott, delle sue manine paffute e della sua risata squillante e rumorosa.
“Potresti aiutarmi con il baule delle vacanze, Rina, per favore? Se hai da fare in cucina non importa, faccio sola.” Thea non l’aveva mai maltrattata, aveva sempre chiesto tutto cortesemente e l’aveva sempre chiamata per soprannome per farla sentire più a suo agio: ci teneva veramente alla sua elfa e aveva promesso a se stessa che quando sarebbe partita per Hogwarts non l’avrebbe abbandonata mai a se stessa o alle maniere brusche degli altri elfi che le impartivano ordini come fossero superiori.
Trina sorrise a labbra chiuse ed annuì: “La aiuto io, in cucina devono solamente finire di lavare i piatti e le pentole. Le prendo il baule, lei inizi a scegliere i vestiti che porterà dietro” sparì nuovamente con un poof, sicuramente diretta nella stanza dei bauli a prendere quello appartenente alla bambina per poter trasportare nella stanza ed iniziare a riempirlo con i propri abiti.
Thea aprì le ante dell’armadio troppo alto e prese ad osservare il vestiario che lo occupava interamente, appeso in grucce di legno scuro e disposte in un ordine casuale che Daphne non aveva mai approvato, perché non era possibile mischiare le gonne con le magliette ed i pantaloni con i cardigan. Decise che avrebbe seguito il consiglio di sua madre dei due vestiti nuovi e che, per fare un piacere anche a se stessa, avrebbe portato più abiti buoni che jeans corti e canotte che avrebbe indossato per la spiaggia o per giocare tra la casa ed il giardino che la circondava.
Prima che Trina tornasse con il suo baule, le ante della porta si aprirono di nuovo, mostrando la figura elegante e longilinea di un Theodore Nott di ritorno in anticipo dal suo ufficio e con indosso ancora la camicia, la cravatta ed i pantaloni. La figlia si voltò ad osservare il padre con un ampio sorriso, la felicità di ritrovarselo lì davanti con le maniche della camicia arrotolate fino ai gomiti ed in mano un piccolo regalo per la bambina nascosto in una busta dai toni pastello e con un fiocco troppo grande e troppo rosso.
“Papà!” urlacchiò Thea, lasciando stare la sua attenzione dal contenuto dell’armadio ed avvicinandosi al padre di corsa, saltando e facendosi prendere in braccio dall’uomo, che la tirò a sé senza troppa fatica a causa del peso leggero della bambina.
Theodore la lasciò a terra dopo pochi attimi e si sistemò la camicia uscita un po’ dai pantaloni per il gesto brusco e tese il pacchetto alla figlia, che lo prese tra le dita lunghe e un po’ storte della famiglia di lui e lo scartò con una calma straordinaria ed un ordine che lasciava trapelare non solo la compostezza imposta dai Purosangue, ma anche la delicatezza innata della bambina anche nei più piccoli gesti. E con occhi trasognanti e sgranati a farli ancora più grandi del normale, Thea strinse tra le dita un Boccino d’Oro elaborato finemente e con piccoli inserti in diamantini colorati di arancio, portandoselo vicino al viso e constatando che quello era uno dei regali più belli mai ricevuti.
“Ti piace?” le chiese il tono leggermente roco del padre, le mani grandi poggiate sulle spalle nude ed ossute della bambina.
Theodore era un bell’uomo, Thea l’aveva sempre constato, i lineamenti poco marcati e maturati nel tempo e le piccole rughe che gli si erano formate solamente sugli occhi; gli occhi avevano lo stesso colore di quelli della figlia, di un azzurro brillante e macchiato di piccole pagliuzze che sfumavano dal marrone al verde, ma che perdevano importanza se viste da lontano o se non osservate accuratamente. Il fisico lo aveva ancora un po’ troppo magro come una volta, ma con le spalle che si erano allargate solamente dopo la fine di Hogwarts e il petto che si era un po’ rafforzato poco prima del fidanzamento ufficiale con Daphne, premuto dai genitori di entrambe le famiglie per poter avere una lieta notizia durante tutto l’orrore per i vecchi Mangiamorte alla fine della guerra. Non aveva gli stessi nei particolari di sua moglie, ma a Thea, suo padre, piaceva nel complesso del suo aspetto e per l’aria rigida che si smorzava quando erano solamente loro tre di famiglia. Effettivamente, Theodore perdeva la rigidità da Purosangue apatico quando era tra le mura deserte del Manor e al suo fianco trovava una Daphne impegnata a sfogliare placida una rivista o a leggere un libro ed una Thea intenta a raccontare la giornata o ad organizzare minuziosamente la nuova disposizione del giardino assieme a Trina e la sua delicatezza nel disegnare tremendamente bene qualsiasi cosa volesse.
“Papà, - chiamò Thea, stringendosi all’uomo e continuando a sfiorare il Boccino con i polpastrelli dal tocco delicato e quasi invisibile – ma una volta ad Hogwarts potrò entrare nella squadra di Quidditch per prendere il Boccino e tenerlo con me?”
Theodore sorrise, stringendo a sé in un abbraccio infantile il corpo minuto della figlia: “Tesoro, il Boccino non lo potrai mai tenere con te, spesso viene gettato o perso per comodità. E poi è pericoloso entrare in squadra, sai come si finisce se si viene preso da un Bolide.”
La bambina storse il naso, ma perse la voglia di entrare nella squadra della sua futura casa, perché aveva sempre avuto il terrore dei Bolidi e delle mazze da Battitore, le stesse che nelle squadre scagliavano a velocità immensa quelle palle troppo pesanti che facevano sempre male a qualcuno che aveva, come una colpa, l’essere della squadra avversaria.
Trina riapparve nella stanza della padroncina con un poof che venne momentaneamente ignorato dalle due presenze che formavano un cumulo di abiti estivi e pelli che si scontravano e che profumavano di due odori differenti. L’elfa osservò il signor Nott stringere la figlia in un abbraccio, accasciato a terra con le piante dei piedi che lo sorreggeva in un equilibrio stabile, nonostante la bambina fosse appoggiata all’uomo con tutto il suo peso. Si soffermò ad osservare come quell’abbraccio fosse così estraneo alla solita fredda complicità tra Purosangue e come fossero frequenti in quella casa, probabilmente rendendo unica e strana quella famiglia che non aveva paura di esprimere i propri sentimenti tra loro, ma che in presenza di altri si limitava ad apparire la classica famiglia fredda e statuaria che non ammetteva infrazioni da parte della figlia e che non si lasciava andare a sentimentalismi come quelli che colpivano periodicamente tutti i componenti di quel nucleo Nott Greengrass. Thea veniva puntualmente trattata come se fosse una cosa preziosa, ma nessuno aveva mai smesso, per un istante, di impartirle gli insegnamenti gelidi dei vecchi Purosangue che non avrebbe mai smesso di pensarla allo stesso modo in nessuno dei punti che tutti gli altri maghi avevano deciso di snobbare.
 

 
 
 
 
sarebbe bello riuscire a spiegare il motivo per cui sono qui, ma diciamo che di spiegarlo a pieno non ci riesco, perché è stata una one shot scritta un po’ di getto ed un po’ con lo stare troppo a pensarci.
m’ero ripromessa che avrei scritto altro prima di tornare a thea, ma sono stata “spinta” dalla rilettura delle recensioni, dove in alcune veniva chiesto (tra virgolette, perché erano curiosità che ho avuto piacere di soddisfare) un approfondimento di come era thea da bambina, anche per capirla meglio, credo.
credo che questa sarà una raccolta di one shot incentrate sulla nostra nott bambina, aggiornata veramente di rado, perché veramente, io vorrei scrivere anche di altri e non solo di lei. ma soprattutto perché passerò la mia estate sopra i libri di greco! yeeee.
spero che sia piaciuta e che, nonostante sia sconclusionata, si capisca un po’ di più del rapporto tra thea ed i genitori e tra thea ed il suo modo di vedere le cose: perché è importante arrivare a capire che lei si aggrappa a tutte le più piccole cose che si ritrova intorno, come i nei della madre o le parole del padre o, anche, i racconti di trina di quando era più piccola.
da qui uno potrebbe anche dire “ma se ha una famiglia così, perché vuole stare sola e pensa all’essere una purosangue venuta con lo stampo?”
domanda legittimissima! nonostante la famiglia sia così, le sono stati impartiti certi insegnamenti che le fanno pensare quello, anche perché basti vedere come daphne agisca all’inizio e come thea si senta inadeguata vestita in quel modo davanti alla madre, oppure come theodore reagisca al volere entrare in squadra della figlia: deve essere sempre perfetta, non può permettersi cadute di nessun tipo. anche il fatto che sia tutto così caldo in famiglia è perché come genitori vogliono essere tali, sia daphne che theodore, ma come purosangue non vogliono che la figlia abbia un approccio troppo diretto con altri insegnamenti, quindi un po’ il ragionamento: va bene che ti coccoli e ti tratti bene, però se dico una cosa è quella e dato che hai dieci anni non ti immischi in ciò che è da grandi.
magari tutte queste cose l’avete capite da soli e vi sono sembrata noiosa, ma voglio chiarire tutto nei minimi dettagli perché di base thea è un personaggio un po’ complicato nonostante sembri stereotipato.
e vi do la bella notizia che ho finito di essere logorroica e vi saluto con un abbraccio grande grande e mi auguro che abbiate passate delle belle vacanze finora!
bluecoffee
  
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