Capitolo
1
Damon
POV
Ero
appoggiato alla parete in muratura del cortile principale della
loggia, una Marlboro light stretta tra le labbra, quando Katherine mi
raggiunse.
- Stai camminando in una direzione pericolosa, Dam –
esordì,
avvicinandosi a sfilarmi la sigaretta.
La portò alle labbra e prese un paio di profondi tiri.
Lasciò fuoriuscire il fumo in lente e ben delineate volute
che si
persero nella brezza invernale.
- Non abbiamo tempo da perdere e la loggia non lo capisce. Se Rackozy
ha ragione ogni giorno che passa é uno in meno a nostra
disposizione per
trovare la Coppa. E Scarlett … per l’amor di Dio,
dobbiamo seriamente
portarcela dietro? –
Katherine mi lanciò un’occhiata di rimprovero.
- È emozionata e scombussolata per il suo primo salto.
–
- È un impiastro. –
Ricevetti un buffetto dietro al collo.
- Ha solo bisogno di fare un po’ di pratica. –
Roteai gli occhi. – Questo é l’eufemismo
del secolo. –
- Oh, andiamo, non fare il Golden Boy della situazione. –
Sbuffai, pescando dal pacchetto una nuova sigaretta. Aspirai il primo
tiro con decisione e vidi brillare la brace rossastra.
- Ci farà ammazzare e, quando saremo
nell’aldilà, ti rammenterò che
“io
te l’avevo detto.” –
Katherine sorrise malandrina.
Conoscevo quell’espressione e di solito non prometteva nulla
di buono.
- Che c’è? –
Sgranò innocentemente gli occhioni verde azzurri.
– Cosa? –
- Non provarci, Kat. Lo so che stavi pensando a qualcosa di tremendo o
che finirà con il farci passare dei guai. –
Stavolta il sorriso si tramutò in un vero e proprio attacco
di risate.
- Stavo solo pensando a quanto assomigli alla mamma quando dici certe
cose. –
Indignato, le rivolsi uno sguardo piccato.
- Io non assomiglio alla mamma! –
- Sì, invece, sei proprio un’adorabile quarantenne
sulla via della
menopausa – continuò a ridere.
- Molto matura, Kat, sul serio – borbottai, cercando di
scacciare
dalla mia mente l’immagine di una mia versione quarantenne in
gonnella.
Tossicchiai per nascondere l’attacco di risate che minacciava
di
sommergermi.
Katherine non aveva decisamente bisogno del mio incoraggiamento quando
si trattava di fare ironia.
- Torniamo dentro, i miei piedi devono tornare a essere calpestati
dall’impiastro – aggiunsi, lanciando lontano il
mozzicone di sigaretta.
E no, non era una battuta.
Avevo perso il conto delle volte in cui Scarlett ci era finita sopra
nel corso dell’ora precedente. A un certo punto avevo
cominciato a pensare che
lo facesse apposta e, conoscendola, non era un’ipotesi
completamente da scartare.
Kat mimò un beffardo saluto militare con tanto di battito di
tacchi. –
Agli ordini, signor capitano. –
Percorremmo fianco a fianco il breve tratto di strada che ci separava
dalla sala da ballo. Stavamo per entrare quando mi resi conto che la
musica era
accesa e che Scarlett era al centro della pista e provava ad eseguire i
movimenti che le avevo spiegato precedentemente.
Ci metteva davvero molto impegno, non potevo negarlo, e il suo essere
impacciata era decisamente più tenero quando non comportava
il torturare i miei
piedi.
Katherine mi diede di gomito, sorridendo con l’aria di chi
sapeva bene
cosa mi stesse passando per la testa.
La ignorai.
- Dille qualcosa di carino – mi esortò,
spingendomi con forza all’interno
della sala.
Preso in contropiede, non potei fare a meno di sbilanciarmi e trovarmi
davanti a una Scarlett rossa per l’imbarazzo di essere stata
scoperta a fare
qualcosa di tanto inconsueto.
- Forza, dillo – mi esortò.
Perplesso, inarcai un sopracciglio. – Dire cosa? –
- Quanto sono ridicola e scoordinata, so che muori dalla voglia di
ribadirlo per la centesima volta – chiarì la
rossa.
Le iridi blu violacee si erano improvvisamente incupite e ricordavano
lo sguardo che avrebbe avuto un cucciolo preso a calci.
Sapevo di non essere propriamente una persona cordiale e amorevole ma
non immaginavo che i miei commenti l’avessero ferita tanto
profondamente.
Avvertii il pungente senso di colpa all’altezza della bocca
dello
stomaco.
Detestavo quella sensazione, ma non riuscivo a ignorarla quando sapevo
di essere dalla parte del torto.
- Okay, sono stato uno stronzo – cedetti.
- Un grandissimo stronzo – precisò Katherine,
guadagnandosi un’occhiataccia.
- Un grandissimo stronzo,
grazie mille per la precisazione – sibilai tra i denti.
- Sì, lo sei stato. –
- Magnifico, visto che siamo tutti d’accordo, possiamo andare
avanti?
Sto cercando di scusarmi e non mi riesce facile farlo. –
Scarlett annuì, incrociando le braccia al petto e
predisponendosi all’ascolto.
- Tutta questa storia del Conte e del suo erede mi fa uscire di testa
e dalla perfezione con cui esegui i movimenti del minuetto fino alla
cosa più
trascurabile come potrebbe essere … - tacqui, in cerca di
ispirazione.
- Il modo in cui tengo in mano la reticule? –
Annuii. – Esatto. Tutto questo è di importanza
assoluta e ci
permetterà di tornare a casa tutti interi. La mia
priorità è questa: riportare
te e Kat indietro sane e salve. Se non dai il meglio di te il mio
lavoro si
complica enormemente. –
Scarlett annuì lentamente.
- Lo capisco, sul serio. Mi impegnerò per dare il meglio e
alla fine
riuscirò a ballare questo stupido minuetto a occhi chiusi.
Anche se ammetto di
averti pestato i piedi volutamente in un paio di occasioni –
ammise con un luccichio
malandrino negli occhi.
Ecco, lo sapevo.
Dio, dammi la pazienza.
Scarlett
POV
Si
era scusato.
Damon “pomposo” Gabriel de Villiers si era scusato
con me e, come se
ciò non bastasse, era sembrato assolutamente compito e
sincero.
Roba da non crederci.
Dopo il suo discorso mi sentii quasi in colpa per avergli pestato i
piedi con tanto impeto.
Quasi
perché
una parte di me non aveva ancora dimenticato quando mi aveva paragonato
a un
mulino a vento impazzito.
- Vogliamo riprovare, monsieur de Villiers? –
Lo vidi annuire, eseguire un inchino e sfoggiare quella classe da
perfetto gentiluomo d’altri tempi che lo faceva sembrare
tremendamente simile
al mr Darcy di Orgoglio e Pregiudizio, il mio libro preferito.
- Con piacere, mademoiselle. –
Katherine fece ripartire la musica, sistemandosi nell’angolo
più
remoto della sala e osservandoci come avrebbe fatto il giudice di uno
di quei
programmi in stile “Ballando con le stelle”.
Appoggiai una mano sulla spalla di Damon e mi stupii una volta di
più
nell’appurare quanto il suo corpo fosse possente. Sembrava di
toccare del marmo
invece di carne e ossa. Eppure era rapido e si muoveva con una grazia
assoluta.
Invidiavo la facilità con cui faceva certe cose e il modo in
cui le
faceva sembrare tanto semplici da replicare, dovevo ammetterlo.
Sentii la sua mano stringermi la vita, sfiorando il fianco lasciato
leggermente scoperto dalla camicia della divisa scolastica.
Una scarica mi percorse la pelle e fu quasi come se avessi preso la
scossa.
Sussultai, pregando silenziosamente che il gesto fosse passato
inosservato.
Ovviamente non era stato così perché gli occhi
verde azzurri di Damon
si erano posati sui miei con sorpresa.
- Stringo troppo? –
- No, stringi abbastanza … Cioè, non hai una
presa troppo forte –
balbettai.
Perfetto, adesso dovevo sembrare un’idiota incapace di
mettere in fila
soggetto predicato e complemento.
Si è appena scusato per aver preso in giro la tua
imbranataggine e tu
dimostri nuovamente di essere un patetico caso umano.
Bel lavoro, Scar, davvero; mi complimentai silenziosamente tra me e
me.
Ero talmente presa dai miei ragionamenti che non mi resi conto di aver
quasi ultimato il minuetto e per giunta con notevole successo.
Perfetto, avevo trovato la risposta a ogni problema danzante: sarebbe
bastato che disconnettessi il cervello e lasciassi fare tutto a Damon.
La musica terminò nel momento esatto in cui Damon mi
lasciava andare e
si inchinava nuovamente con eleganza sfiorandomi il dorso della mano in
un
lieve baciamano.
Qualunque altro ragazzo sarebbe parso un perfetto idiota nel compiere
gesti tanto all’antica, ma lui risultava stranamente
seducente.
Oh, in nome del cielo, dovevo davvero smetterla di pensare a Orgoglio
e Pregiudizio.
Lui non era Darcy e io non ero sicuramente Elizabeth.
- Non era poi tanto difficile, no? –
Annuii, non sapendo bene come replicare.
- A Giordano sarebbe preso un attacco apoplettico se fosse stato
presente. Avrebbe cominciato a sproloquiare con i suoi
“C’est magnifique” e
altre idiozie – rise Katherine, battendo le mani in un
piccolo applauso.
Sorrisi, incoraggiata dal commento.
- Niente male, Scar, sul serio. –
Sgranai gli occhi, sorpresa.
In sedici anni di vita dubitavo seriamente di aver mai sentito Damon
chiamarmi con quel soprannome.
Raven, Kat e i miei genitori lo facevano quotidianamente, ma lui
…
forse mi ci aveva chiamato qualche volta quando eravamo
all’asilo. Dagli otto
anni in poi, quando avevo cominciato a frequentare la loggia, ero
diventata
semplicemente “combina guai”,
“impiastro” o “terremoto”.
Insomma, niente
vezzeggiativi amorevoli e femminili per me.
- Beh, grazie. –
Stupida carnagione alabastrina che mi impediva di non arrossire ogni
due per tre!
Sul serio, perché non potevo fare a meno di sembrare
un’imbranata
patentata?
Che domande, evidentemente i geni di Rubino avevano surclassato quelli
di Diamante e così mi ero ritrovata con un abbonamento no
limit alle figuracce.
Grazie, mamma.
Erede
di Saint Germain POV
Assottigliai
lo sguardo sforzandomi di leggere i caratteri sfumati e
quasi incomprensibili del documento redatto dai Templari secoli prima.
Quel latino imbastardito contribuiva ad aumentare sensibilmente il mio
mal di testa.
Non ero mai stato versato nelle lingue morte, ma quel particolare
paragrafo era tanto indispensabile alla buona riuscita della mia
missione
quanto terribilmente ostico.
Passai le dita sulle tempie in lenti movimenti rotatori nella speranza
di placare quel fastidioso martellio.
Tentai una nuova traduzione.
Scarabocchiai i primi periodi, poi storsi il naso e accartocciai la
carta.
Spinsi via calamaio e piuma con stizza, osservando la china riversarsi
lentamente sul pavimento di marmo.
Ci sarebbero volute ore di duro lavoro per ripulirlo e riportarlo al
consueto splendore, ma non sarebbe stato un mio problema.
In fin dei conti la servitù esisteva per un valido motivo.
Sbuffai, abbandonando lo scrittoio dello studio e avvicinandomi alla
grande finestra che affacciava sulla grande e incantevole Piccadilly
Circus.
C’era una quiete assoluta nell’ultimo periodo a
causa di quell’assassino
a sangue freddo che in molti ormai avevano soprannominato Jack lo
Squartatore.
Agiva nel degradato quartiere di Whitechapel e nei distretti adiacenti
ma l’intera
buona cittadinanza di Londra era terrorizzata indipendentemente dal
fatto di
vivere nella povera East End rispetto alla ricca e lussureggiante West
End.
Ciò comportava che nessun uomo o donna saggi vagassero per
le strade
all’una di notte passata.
E la cosa mi piaceva.
Non amavo granchè feste ed eventi mondani tantomeno la
vivace
confusione londinese. Insomma, questo spietato assassino se non altro
contribuiva a garantirmi pace e quiete.
Peccato solo che tutto ciò non fosse neanche lontanamente
sufficiente
a permettermi di tradurre quelle cruciali pagine.
Ero a un passo dal portare a termine la mia missione e venivo
ostacolato da dei ridicoli vecchi Templari che adottavano costruzioni
sintattiche e lessico arcaico e incomprensibile.
Avrei dovuto chiedere l’aiuto di qualche vecchio scribano o
docente di
latino nella speranza che potesse giungere a una conclusione
più sensata delle
mie.
Ci sarebbe voluto un po’ più di tempo, ma nulla di
irreparabile.
Sarei riuscito a portare a termine ciò che mi ero
prefissato, di
questo ero sicuro.
Spazio
autrice:
Eccoci
qui con l’aggiornamento. Spero che questo
nuovo capitolo vi sia piaciuto e che vogliate farmi sapere che ne
pensate. Ho
volutamente omesso il nome dell’erede del Conte per creare un
po’ di suspance,
saprete la sua identità solo dopo che i nostri tre baldi
viaggiatori l’avranno
scoperta. Che dire, siate magnanimi e lasciate una recensioncina
così ho un
parere dalla critica xD.
Alla prossima.
Baci baci,
Fiamma Erin Gaunt