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Autore: CocoritaSama24    02/07/2015    1 recensioni
Se Alekseevič avesse mai dovuto descrivere sua sorella Anzhelika, avrebbe usato la parola "bianca" in ogni circostanza: bianca come la sua pelle, bianca come la sua innocenza, bianca come la morte che vuole per sé.
Bianca come la Russia da cui presto entrambi dovranno separarsi.
Genere: Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Freddo.
Se mi fosse stato chiesto di usare una parola, una sola, per descrivere quel che provavo, avrei risposto così.
L’aria che respiravo era talmente fredda da darmi l’impressione di soffocare, lasciandomi un aspro sapore di sangue in bocca, e freddi erano i miei piedi che, decisi ma stanchi, avanzavano nudi sulla neve.
Forse anche io ero fatta di neve: i miei capelli lunghi, di un biondo argenteo, svolazzavano, agitati da quel vento fatale, intorno al mio viso, da cui sembrava essere sfuggita ogni traccia di colore. Percepivo la presenza delle lacrime su di esso, ma per quanto fossero bollenti rispetto alla mia temperatura corporea, ebbi l’impressione che anche quelle potessero essere di ghiaccio.
Ogni cosa era congelata attorno a me… ma non il lago; non del tutto.
Proseguii verso di esso. La lunga camicia da notte che indossavo faceva sembrare che fluttuassi, come un fantasma, sopra la neve, bianca come me, bianca come la mia terra.
Arrivai al lago. Non sostai sul bordo, terrorizzata all’idea di pentirmi di ciò che volevo fare. Il ghiaccio riuscì a sorreggere il mio peso solo per i primi due passi, poi caddi, nell’acqua gelata. Riuscivo a toccare sulle punte, ma i piedi non mi appartenevano più. Sapevo, comunque, che anche se l’acqua non fosse stata abbastanza alta per annegarmi, lo sarebbe stata per velocizzare il mio assideramento.
Pregai Dio, costretta dal gelo ad ansimare.

Chiusi gli occhi.

Delle braccia mi si strinsero attorno alla vita e mi sollevarono. Non avevo bisogno di vedere per sapere chi stesse cercando di salvarmi la vita, per cui le mie palpebre rimasero chiuse.
«Lasciami andare, Alekseevič»
Non avrei saputo descrivere quale effetto mi fece ascoltare il tono isterico della mia voce, ma ero occupata a divincolarmi e dunque non me ne curai.
«Tu sei pazza, Anzhelika»
Non avrei mai ritenuto mio fratello capace di provare tutta quella rabbia mentre si rivolgeva a me. Continuai a lottare per essere liberata.
«Te ne prego, fammi morire»
Scoppiai a piangere. Non smisi di opporre resistenza, ma Alekseevič riuscì comunque a tirarmi fuori dall’acqua e gettarmi sulla neve, appena meno fredda.
Mi raggomitolai, portando le ginocchia al petto e stringendole con le braccia. Affondai lì il viso, mentre brividi di freddo e singhiozzi percuotevano il mio corpo.
Mio fratello mi prese in braccio e, anche se il suo corpo era bagnato e freddo come il mio, nascondere il volto sulla sua spalla destra mi diede un minimo di sollievo.
Alekseevič era tutto quello che avevo. Io tutto quello che aveva lui.

*

«Sono passati sei anni»
Guardai mia sorella. Era ancora bagnata, nonostante fosse appoggiata al camino e avvolta in una coperta da più di mezz’ora, ma vedere che tremasse sempre meno mi rassicurò.
Ero nelle sue stesse condizioni.
«Perché proprio ora?» continuai.
Anzhelika evitò il mio sguardo, che decisi quindi di spostare sulla cicatrice sulla sua guancia.
Erano passati sei anni da quando le era stata fatta, sei anni dal giorno in cui mio padre aveva perso il lavoro, aveva ucciso mia madre e tentato di fare lo stesso con noi. Sei anni da quando la nostra casa era diventata quell’orfanotrofio.
«So perché lo hai fatto» aggiunsi, stringendomi l’asciugamano addosso. Mi accorsi che la mia gemella fece lo stesso.
Non avrei mai potuto dimenticare le grida di mia madre e il suono delle coltellate che affondavano nella sua carne, il modo in cui mio padre era corso verso Anzhelika e l’impulso che mi aveva spinto a scagliarmi su di lui.
Anche se il mio naso non fosse rimasto storto dopo essere stato rotto, non lo avrei dimenticato.
«Ma perché ora?»
La mia voce era un sibilo. Avevo chiesto alla direttrice di lasciarci soli, o forse lo avevo imposto, ma non temevo origliasse. Parlavo piano, invece, perché non sarei stato capace di fare altrimenti.
Mia sorella ci mise un’eternità a rispondere, ma non le misi fretta.
«La zia»
Mi sorpresi di essere riuscito a capire quel mormorio… Non ebbi bisogno di chiederle altro.
Avevamo una sola zia, quella che aveva deciso di adottarci, ed era sorella di mio padre. Questo doveva essere stato sufficiente per risvegliare il dolore di Anzhelika.
Ora potevo leggere nei suoi occhi la paura per la donna che in quel momento, dall’altra parte del mondo, stava preparando casa propria per il nostro arrivo.
Mi chiesi se anche il resto della California, in qualche modo, stesse facendo lo stesso, e se avrebbe saputo accoglierci.
«Non farlo mai più, Anzhelika»
Urlarle contro rimproveri sarebbe stato inutile e ingiusto.
Mi avvicinai a lei e la strinsi, nuovamente, tra le mie braccia. Questa volta, nonostante avesse ripreso a piangere rumorosamente, non oppose resistenza.
Fu un piacere sentire le sue lacrime calde sulla pelle fredda, e furono esse a suggerirmi che fosse pentita.
Capii che tutta l’America era pronta ad accoglierci.
   
 
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