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Autore: Letizia25    02/07/2015    2 recensioni
«Com’è la vita?»
«La vita è bellissima già per il semplice fatto di esistere, per il fatto di poter dire: “Sono parte di qualcosa di meraviglioso”. Perché la vita è bellissima, nonostante tutti i problemi che possano presentarsi durante il cammino. La vita è un continuo cadere e rialzarsi, a volte da soli, a volte grazie agli altri. La vita è colore, è quell’unico arcobaleno che, qualche volta, comprende anche il nero. La vita è scoprire, emozionarsi, piangere, ridere, soffrire. La vita è originalità, è unica. La vita è pazzia pura.»
*
«Ti prego Ashton, insegnami a vivere!»
«Ma non so come si fa.»
«Allora lo capiremo insieme.»
*
Il destino si divertirà a far incontrare due mondi apparentemente diversi, ma accomunati da tante, troppe cose. Due ragazzi si si ritroveranno a lottare insieme contro qualcosa che all’apparenza sembra impossibile da affrontare. Ma poi l'amore si mette in mette in mezzo.
E sarà proprio l’amore ad aiutarli a superare qualsiasi cosa, insieme.
*
Una storia che parla di quanto sia importante vivere al massimo ogni singolo giorno che ci è dato da vivere, perché la vita è una sola e non va sprecata, mai.
*
Trailer: http://youtu.be/1rNyxp_yUAI
Genere: Angst, Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ashton Irwin, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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10.
Insegnami a vivere
 
 

In quel preciso istante, gli occhi color cioccolato di lei entrarono in contatto con quelli dorati di lui.
Due mondi apparentemente distanti, ma accumunati da tante, forse troppe cose, entrarono in collisione, come quella prima volta sul tetto, in quel giorno di pioggia, creando un’esplosione di una portata immensa, quasi infinita, più potente di quando si erano ritrovati a camminare insieme di notte per le vie addormentate.
Ashton si sentì spaesato osservando gli occhi di lei. Erano così belli, con quelle sottili venature dorate, eppure avevano un qualcosa, ancora quell’ombra, che li rendeva opachi, tristi, vuoti, non vivi. Ma c’era qualcosa di più quel giorno, che lo fece preoccupare più delle altre volte. C’erano quegli occhi scuri lucidi e rossi di pianto, c’erano le lacrime che le rigavano le guance, c’era la sua aria distrutta da un qualcosa estremamente più grande di lei, c’era lei che era sola.
Kay, a vedere quegli occhi così simili alla luce, si sentì ancora più spersa, mentre una nuova crepa si disegnava sul suo blocco di vetro. Perché anche se aveva bisogno di qualcuno al suo fianco, non voleva che nessuno la vedesse in quello stato, specialmente Ashton. Perché nessuno l’aveva mai vista piangere. E lei non avrebbe mai voluto che proprio quel ragazzo fosse il primo.
Fu questione di un attimo, quell’esplosione che li colpì in pieno, facendoli vacillare, un attimo, fuggito via troppo velocemente. Perché Kay abbassò presto testa, cercando di nascondere il viso, anche se ormai non ce n’era più alcun bisogno.
«Non lo so.» rispose con voce fioca, dopo secondi che parvero interminabili.
Ashton non si sorprese della risposta, perché forse se lo aspettava da quella ragazza con quegli occhi tristi, persi, soli. E rimase completamente rapito dalla figura davanti a sè. L’aveva riconosciuta subito, Kaylin, grazie a quel colore caldo e intenso, a quella felpa che non aveva voluto indietro, agli occhiali neri che poggiavano sul suo naso. L’aveva riconosciuta subito, appena aveva visto lo stile di quel disegno per terra. Uno stile pieno di vita, che metteva a nudo cose mai dette, cose che nessuno avrebbe potuto capire ma che arrivavano dritte al cuore e ci rimanevano impigliate, come per cercare il posto giusto dove potersi fermare.
Senza che la ragazza gli chiedesse niente, lui iniziò a mettere in ordine tutti gli altri fogli che erano usciti dall’album e, una volta finito, si alzò in piedi e le porse la mano.
«Vieni con me, così ti aiuto a darti una sistemata.»
Lo disse in modo gentile e comprensivo. E fu proprio il modo in cui lo disse, che fece alzare la testa alla mora, che lo guardava confusa. Perché Kay non aveva ancora capito il loro rapporto, fatto di aiuto reciproco benché nessuno dei due avesse mai chiesto qualcosa. Era rispondere a quelle domande mute e assordanti che leggevano negli occhi dell’altro, era dare un appoggio, nonostante fossero entrambi rotti dentro. Però non fece domande. Semplicemente, si aggrappò a quella mano tesa verso di lei, come se fosse la sua ancora di salvezza da quello che stava vivendo, come se fosse la sua unica via di uscita da quel dolore che l’aveva invasa completamente.
Senza dire una parola, si avviarono mano nella mano, con le loro dita che si stringevano timidamente tra loro, ma che comunque si tenevano salde, forti. Perché avevano bisogno di quel calore di cui avevano sentito la mancanza in quei giorni. E perché Kay ed Ashton credevano che, se avessero lasciato la mano dell’altro, sarebbero caduti nuovamente in quel posto senza colori, a cui nessuno dei due voleva fare ritorno.
 
Il mare era leggermente increspato quel pomeriggio, a causa della brezza leggera che tirava . I ragazzi si erano seduti sulla sabbia, non lontano dalla riva, con le scarpe affondate nella sabbia e i brividi che si erano impossessati di loro, agendo spesso sulla loro pelle. E nessuno dei due aveva mai lasciato la mano dell’altro.
Ashton, con quelle dita sottili e fredde a contatto con le sue, si sentiva meglio. E Kay avvertiva meno, seppur in minima parte, quel dolore che le gravava sul cuore. Era questo che quella loro stretta faceva ogni volta: li curava entrambi, curava gli angoli troppo appuntiti di lui e quel cubo troppo spesso di lei.
Da quando erano usciti da scuola, nessuno dei due aveva parlato. Solo che quel silenzio tra di loro stava diventando veramente troppo pesante. E, stranamente, Ashton quel silenzio, in quel momento, proprio non riusciva a sopportarlo. Così alla fine attinse da tutta la sua riserva di coraggio e si rivolse alla ragazza.
«Vuoi parlare un po’?» chiese, cercando di non sembrare invadente.
Kay, sentendo quella voce così vicina a lei, alzò nuovamente lo sguardo da terra.
«Parlare di cosa, se non so cosa spiegarti?» rispose, come sempre dando voce a quello che pensava, e ricevendo un’occhiata perplessa da parte del ragazzo. Perché per Ashton c’era sempre una spiegazione a qualsiasi cosa si provasse, e proprio non riusciva a capire la risposta che la ragazza gli aveva dato.
Kay, intuendo quello che passava per la mente del ragazzo, sospirò e fece in modo che i suoi occhi si puntassero in quelli di lui. E solo in quel momento si rese conto che, quel peso che l’aveva schiacciata fino a poco prima, si era notevolmente diminuito. Non sapeva il perché, ma aveva bisogno che lui capisse, aveva bisogno di renderlo partecipe a tutto quel casino che aveva dentro e che non riusciva a capire lei per prima.
Così prese fiato e parlò, con lo sguardo fisso in quello del ragazzo.
«Io… Non so come dirlo…» si fermò. Era vero. Come avrebbe potuto far capire agli altri tutto quello che le succedeva dentro? Come avrebbero fatto gli altri a capire, a capirla, quando non ci riusciva nemmeno lei stessa? Come avrebbe potuto spiegare quel niente che c’era dentro di lei?
Ashton si intenerì un po’, vedendo l’espressione persa su quel viso stanco. Allora strinse un po’ di più la mano alla ragazza, per aiutarla a tirare fuori quel che aveva da dire. Perché voleva conoscerla, voleva conoscere ogni singola parte di Kaylin, ogni singola sfaccettatura del suo carattere. Perché quelle tre settimane non era state sufficienti per nessuno dei due per aprirsi abbastanza. Eppure, l’altro era entrato ugualmente dentro il loro cuore, senza prepotenza. Ci si era intrufolato timidamente, e si era messo lì, in un piccolo angolo, in attesa di poter fare anche solo un passo in più.
«Dimmi quello che senti, e vediamo se riusciamo a capirci qualcosa in due.» le disse, cercando di smorzare un po’ la tensione. Sperò di vedere un piccolo sorriso sul volto della ragazza, ma questo non accadde, e lui iniziò seriamente a preoccuparsi per lei.
Kay si sorprese alle parole del ragazzo e alla stretta sulle sue dita. Non le era mai successo niente di tutto questo, e non sapeva come comportarsi, cosa dire, cosa fare. Perché non si era mai ritrovata a dover aprirsi così tanto con qualcuno. E questo la spaventava, la spaventava davvero tanto.
La cosa più logica da fare fu però seguire il consiglio. Forse probabilmente, parlandone, le cose sarebbero migliorate, o altrimenti non sarebbe cambiato niente. Perché non sarebbe potuto andare peggio di così, ne era sicura. Aveva toccato il fondo quel giorno, e sapeva che adesso avrebbe potuto, avrebbe dovuto solo risalire quella salita quasi invalicabile.
Allora sospirò, per cercare di mettere in ordine tutta la valanga di pensieri che si attanagliavano nella sua testa, e parlò. Però… «Cosa c’è da spiegare, se non ho mai provato alcuna emozione?»
Ecco qual era il problema più grande da affrontare, l’ostacolo che da sempre la frenava. Era vuota, lei.
Ashton non riuscì a credere alle parole della ragazza, quelle parole dette e udite per la seconda volta dalla stessa persona. Parole incomprensibili, impossibili, impensabili. Perché, nonostante tutto, Ashton sapeva che chiunque poteva provare delle emozioni. «Non è possibile…» sussurrò, ancora incredulo.
Ma Kay lo sentì forte e chiaro e sospirò. Sapeva che non era possibile una cosa del genere, eppure questo faceva parte di lei, e lei non sapeva come poterne uscire. Non si sorprese del commento del ragazzo. Anzi, da una parte se lo aspettava. E questo le confermò che nessuno l’avrebbe mai capita, neppure lui, la persona che sentiva più vicina di tutti in quel dolore che, in un certo senso, accomunava entrambi, anche se per cose differenti. Allora divise le sue mani da quelle del riccio e si alzò in piedi, rabbrividendo, perché quel calore che la mano di Ashton le donava non la scaldava più.
Lui la osservò pensieroso ed incredulo. Non riusciva a capacitarsi che una persona non provasse niente, era impossibile. Non riusciva a credere che proprio lei, proprio Kaylin, potesse stare così male. Aveva notato che aveva qualcosa dentro, quella ragazza, qualcosa che la faceva cadere con poco. Ma non avrebbe mai pensato qualcosa di simile, mai.
«Ashton, non perdere tempo con me. Non sono niente. Lasciami stare, non pensare più neppure alla promessa che mi hai fatto. Lascia che questo pomeriggio, che tutto quello che abbiamo passato insieme sia solo una piccola parentesi da dimenticare. Sul serio, non perder tempo con me, non ne vale la pena.»
Disse questo Kay, prima di allontanarsi dal riccio, senza voltarsi indietro, come a mettere l’ennesimo muro tra lei e il mondo, muro da cui quel suo blocco di vetro poteva trarre forza per farle ancora più male.
Non sapeva come mai, ma parlare di lei, dire quella frase, che raccoglieva tutto quello che era, l’aveva mandata ancora di più in pezzi e le aveva fatto ancora più male, procurandole l’ennesima spaccatura in quel suo cubo di vetro. E sapeva che non aveva senso continuare quel qualcosa che c’era tra di loro. Niente aveva senso, e non volve caricare il ragazzo di un peso che solo lei doveva portare.
Ashton restò per qualche secondo immobile, rimuginando sulle parole della mora. Poi però reagì a quel torpore in cui era caduto e le corse dietro, riuscendo a prenderle il polso.
Lei, sentendo di nuovo quella presa gentile su di sé, si fermò, ma non riuscì a voltarsi.
A questo piccolo particolare però, lui non ci badò, preso com’era a cercare di capire perché stesse facendo tutto questo, per quella ragazza che stava pian piano iniziando a conoscere, ma di cui sapeva poco o nulla, per quella ragazza che aveva sconvolto tutto, che aveva iniziato a levigare gentilmente i suoi angoli troppo spigolosi senza saperlo. Non lo sapeva, Ashton, e sinceramente non gli importava il perché.
Sapeva solo che non voleva lasciarla da sola. Sapeva che voleva starle vicino. Perché non avrebbe sopportato che il pezzo di cuore che lui le aveva dato senza neppure rendersene conto si sbriciolasse perché non ci sarebbe più stata lei a prendersene cura, senza saperlo. Perché Ashton voleva aiutarla.
«Kaylin, non è vero che non provi niente. Come non è vero che dimenticherò quel che pian piano stiamo costruendo. Come non potrei mai far finta di tutto questo. Perché per me tu non sei tempo perso. Anzi, sei forse l’unica persona che mi dimostra che posso servire a qualcosa.» disse serio, convinto più che mai di quelle parole forti e semplici, dirette. Parole che arrivarono a scalfire, a indebolire un po’ quel blocco di vetro dentro di lei che, a sentire il suo nome detto in quel modo, si voltò e tremò sotto quegli occhi seri e profondi.
«E allora dimmi tu cosa provo, perché io non lo so!» esclamò.
E quando percepì delle gocce salate rigarle le guance, si ammutolì. Non aveva mai pianto così tanto in vita sua, ma quelle ultime settimane si erano rivelate un’eccezione, come se quel che sentiva dentro, come se qualcosa che non riusciva a spiegarsi volesse uscire fuori in qualche modo. Solo che quel giorno, piangere due volte nel giro di un’ora, era troppo per lei. E presto ricominciarono i singhiozzi ed il suo corpo, così scosso e stanco, non riusciva a reggere tutto quello che le stava accadendo.
Ashton la guardò per un istante, domandandosi come mai una persona dovesse soffrire così tanto. Perché lui aveva capito che Kaylin soffriva, soffriva da morire. Lo aveva letto in quel corpo sfinito, in quell’aria distrutta, in quegli occhi assenti e vuoti. Però non glielo disse, non glielo spiegò. Semplicemente si avvicinò a lei e la strinse a sé, in un abbraccio caldo e confortante.
E Kay a quell’abbraccio, a quelle braccia che la avvolgevano in modo gentile, a quel ragazzo che stava con lei benché non si conoscessero, si aggrappò di nuovo con tutta se stessa, si aggrappò a quel calore che solo il riccio riusciva a darle, quel calore, quella dolcezza che spianava almeno un po’ tutto quel che aveva dentro, anche se per poco. Perché si sentiva affondare in qualcosa più grande di lei e quel ragazzo era l’unica ancora che in quell’istante aveva a disposizione per salvarsi.
Lui la cullò piano, passandole dolcemente la mano sulla schiena per calmare quei singhiozzi forti che gli laceravano l’anima al solo sentirli. Sperava solo che con quell’abbraccio le cose potessero migliorare, anche se di pochissimo. Aveva agito d’impulso, quando aveva visto in quegli occhi scuri una richiesta di aiuto che non riusciva a venire fuori. E allora aveva risposto. Non voleva che quella ragazza provasse le stesse cose che stava vivendo lui, non voleva che anche lei arrivasse ad annaspare in quel bianco opprimente e vuoto, senza quei colori di cui aveva bisogno. Perché Ashton si rivedeva completamente in Kaylin, nei suoi occhi tristi e spenti, nella sua confusione, nel suo dolore.
 
Rimasero così, l’una tra le braccia dell’altro per minuti che parvero infiniti, a gustarsi un po’ quel calore di cui avevano bisogno, quel calore che pian piano stava lenendo le ferite più piccole. Era piacevole, stare vicini così. E la cosa che un po’ li sorprendeva, era che una cosa simile tra loro accadeva solo quando avevano bisogno di ripararsi a vicenda, e non per prevenire il dolore, anche se in minima parte. Era strano tutto quel che stavano vivendo. Non c’era niente di normale, eppure sapevano che non vi avrebbero rinunciato per niente al mondo, mai. Perché forse una speranza c’era, una speranza da fare propria per combattere e forse sconfiggere quel vuoto che sentivano dentro.
Si divisero lentamente, e Kay puntò i suoi occhi in quelli brillanti di Ashton, che le sorrise e le accarezzò piano una guancia, per mandar via l’ultima lacrima rimasta sulla pelle della ragazza. Lei sentì un calore strano a quel contatto. Un calore simile a quello di un piccolo fuoco ma diverso al tempo stesso. E percepì una nuova crepa nascere nel suo cubo di vetro, perché il calore che Ashton le stava dando era riuscito a spazzar via l’ultimo grammo di quel qualcosa che era annidato nel suo cuore da troppo tempo. Si sentì stranamente leggera, come non lo era da tempo. E non capiva come un semplice tocco del ragazzo davanti a lei potesse portare tutti quei cambiamenti.
Lui, invece, si sorprese di quanto la pelle della ragazza fosse così morbida e fresca. Era riuscito ad accarezzarla qualche volta, con le labbra, con le dita, eppure non ci aveva mai fatto troppo caso. Era una sensazione veramente molto piacevole averla sotto le dita.
«Forse sarà meglio tornare a casa adesso.» disse Kay, interrompendo il silenzio tra di loro, facendo tornare il ragazzo con i pensieri per terra e facendolo annuire. Così si incamminarono e, come se fossero calamite potentissime, le loro mani si cercarono di nuovo e si strinsero, più saldamente di prima. Come se fossero state programmate per stare unite, solo con la mano dell’altro.
Camminarono lentamente, senza fretta e senza dire una parola.
Solo che dentro di loro, mille e più domande nascevano. Perché nessuno dei due sapeva spiegarsi il proprio comportamento e quello dell’altro. Era tutto così nuovo, strano, per entrambi. Non sapevano cosa fare, cosa dire di preciso. Non era semplice quella situazione, per niente. Si sentivano risucchiati in un qualcosa molto più grande di loro e non sapevano come e se sarebbero riusciti ad uscirne.
Ashton si stava scervellando, per trovare una soluzione al problema di Kaylin, ma non ci riusciva. Era un qualcosa fuori dalla sua portata. Però voleva aiutarla a farla stare meglio, sapeva che era la cosa giusta da fare, forse l’unica cosa giusta in vita sua che avrebbe potuto fare al momento giusto… In fondo, provare non costa niente. Allora si fece coraggio e, preso un lungo respiro, diede voce al suo turbine di pensieri.
«Ma non provare emozioni, alla fine, significa “non vivere”?» chiese. Era quello il suo chiodo fisso, da quando la ragazza aveva detto quella frase. Perché proprio non riusciva a spiegarsi una cosa simile, neppure volendo.
Lei lo guardò a lungo, indecisa se rispondere o meno, se aprirsi così tanto oppure restare nel suo blocco di vetro che si ingrossava ogni secondo. Fu la sincerità che vide in quegli occhi dorati e vivi che le fece cambiare idea. Perché alla fine, Ashton se le meritava, le spiegazioni, per quanto lei potesse spiegare quel che non c’era dentro di lei. Cercò le parole migliori per farsi capire e alla fine rispose.
«In un certo senso sì. Infatti io non vivo. Sopravvivo. E la cosa è ben diversa.»
Quelle parole confusero ancora di più Ashton che, più cercava un modo per volgere al meglio la situazione, più trovava ostacoli da superare. Solo che non si sarebbe dato per vinto, come faceva di solito al primo problema e lasciava andare tutto. No, quella volta avrebbe dato tutto quel che aveva, pur di farla stare bene, ne era sicuro. Non si sarebbe dato per vinto, non quella volta.
In compenso, Kay sentì quel peso che le gravava sulle spalle affievolirsi ancora un po’, mentre il blocco di vetro iniziava finalmente a fare un po’ marcia indietro. Forse, alla fine, spiegare a quel ragazzo il casino che c’era in lei la stava aiutando ad affrontare quel che da sola non sarebbe mai neppure riuscita a mandar via, neppure per qualche minuto.
Spostò lo sguardo su Ashton. E si rese conto davvero che le cose avevano iniziato a prendere una piega diversa da quando le loro vite si erano incontrate, cambiando irrimediabilmente tutto. E allora decise di buttarsi in quel qualcosa che era nato quando i loro occhi si erano incontrati su quel tetto, sotto la pioggia, un qualcosa di sconosciuto, strano, diverso, nuovo. Un qualcosa che Kay voleva provare ad affrontare, a sentire suo, anche se non sapeva né come né dove l’avrebbe condotta
«Però non è semplice, sai… Mi sento vuota e non riesco a capire niente di quello che provo… Dentro di me c’è solo un grande casino che non riesco mai a capire… E tu non hai idea di quanto sia stancante e dura vivere senza conoscere se stessi neppure un po’…»
Altre parole che avevano nuovamente rotto il silenzio, altre parole che avevano chiarito almeno un po’ di idee ad Ashton che, per tutta risposta, strinse più forte la mano alla ragazza quando voltarono l’angolo.
«Vorrei tanto saper vivere, solo… Non so come si fa…» continuò la mora, abbassando il capo e mettendosi completamente a nudo, mostrandogli la sua insicurezza, quel che aveva dentro. Cosa stava facendo? Nessuno l’avrebbe mai capita, nessuno si sarebbe mai preso la briga di aiutare un caso perso in partenza come lei. E allora perché Ashton Irwin era ancora accanto a lei? Perché non l’aveva lasciata stare?
Tutte le sue domande vennero fermate dalla voce del riccio, intenerito da quella ragazza che gli appariva così fragile e sola, persa. Esattamente come lui.
«Sai, neppure io so come si vive. Però riesco a capire cosa provo, quasi sempre, almeno credo… Solo che… È complicato, ed io non sono proprio la persona meglio indicata per spiegarti una cosa così importante.»
Dicendo quelle parole, Ashton si rese conto di essere completamente inutile in tutta quella faccenda, che non aveva né capo né coda. Si era cacciato in qualcosa di impossibile da gestire, da affrontare, per un semplice diciottenne come lui. E si rese conto solo in quel momento della portata che aveva tutto.
«Allora non c’è niente da fare con un caso perso in partenza come me…» sussurrò la ragazza, arrendendosi nuovamente davanti a quella realtà che aveva ripreso a schiacciarla lentamente, quella realtà che dava sempre nutrimento e forza a quella prigione che attanagliava il suo cuore.
Ad Ashton, quelle parole non sfuggirono. E si sentì in dovere di riscattare sia lei che se stesso da quella realtà, da quella vita che non aveva fatto altro che prendersi gioco di entrambi. Rese più salda la presa tra le loro mani intrecciando le loro dita e parlò, con il cuore che gli pompava a mille per l’adrenalina.
«Non è vero. Nessuno è un caso perso. È solo che forse il tuo momento non è ancora arrivato.» disse sincero, sperando di non ferire in alcun modo Kaylin. Lei però non rispose. Si limitò ad annuire con il capo ed il silenzio calò definitivamente su di loro per tutto il resto del tragitto.
 
Quando ormai mancava solo un centinaio di metri alla casa della ragazza, Kay si decise a dar voce a quella domanda che la assillava da sempre. E sperava che almeno a questo suo dubbio, Ashton le potesse rispondere.
«Com’è la vita?»
Il riccio rimase spiazzato da quella domanda, così diretta, così semplice, ma allo stesso tempo così difficile. La guardò negli occhi, sperando di trovare proprio lì le parole. Ma non gli veniva in mente niente. Allora scrutò la strada, il cielo, le persone che passavano di lì, le case, i colori. Percepì distintamente il cuore battergli nel petto ed il pulsare del sangue nelle dita di Kay. Non trovò le parole giuste, ma le disse quel che pensava, sinceramente, senza freni, libero per un attimo da quel bianco, da quelle catene che lo legavano al suolo.
«La vita è bellissima già per il semplice fatto di esistere, per il fatto di poter dire: “Sono parte di qualcosa di meraviglioso”. Perché la vita è meravigliosa, nonostante tutti i problemi che possano presentarsi durante il cammino. È un continuo cadere e rialzarsi, a volte da soli, a volte grazie agli altri. È colore, è quell’unico arcobaleno che, qualche volta, comprende anche il nero. È scoprire, emozionarsi, piangere, ridere, soffrire. È originalità, è unica. La vita è pazzia pura e tante altre cose che si conoscono solo vivendo.»
Ashton avrebbe potuto andare avanti all’infinito di quel passo, perché si rese conto che la vita è così immensa che non sarebbe bastato tutto il tempo del mondo per descriverla. Però non continuò, si limitò a quelle parole, a quelle piccole verità che erano tante piccole facce di un qualcosa di impossibile da definire in pieno. E non si accorse di aver fatto nascere nella ragazza un qualcosa, una specie du fuoco.
Perché Kay, ad ogni singola parola che aveva ascoltato, si era sentita vibrare, pulsare, bruciare. E forse intuì quello che il suo cuore e la sua menta stavano cercando di dirle da tanto, forse troppo tempo. Ma non disse niente. Rimase in silenzio, facendo sì che quelle parole si marchiassero indelebilmente dentro di lei.
Il riccio si voltò verso la mora, facendo incontrare i loro occhi ancora una volta. E a quello sguardo perso, intenso, indecifrabile, a quella ragazza che lo incuriosiva come mai nessuno era riuscito a fare prima, sorrise dolce, cerando di darle un po’ di coraggio per affrontare tutto.
Kay, a vedere quel sorriso vero, sincero, percepì qualcosa nella pancia, un qualcosa che le arrivò fino al viso, scaldandole le guance e facendole sentire qualcosa di veramente strano all’altezza del cuore, che iniziò a battere più forte, senza ritegno, facendole girare un po’ la testa.
Si guardarono, per una frazione di secondo, giusto il tempo necessario perché Ashton tornasse a far incastrare le sue dita con quelle della mora. Un qualcosa, una scarica, li attraversò completamente, fermandosi nei loro cuori e facendoli fremere. Tuttavia, i due cercarono di non badarci, non sapendo come interpretare quella reazione, quella specie di segnale. Semplicemente misero l’accaduto in un angolo, nel dimenticatoio.
Continuarono a camminare, fino a che la ragazza non si fermò davanti casa sua, con la mano ancora stretta in quella di Ashton, quella mano che avrebbe preferito continuare a tenere nella sua.
«Allora ci vediamo, Kaylin.» disse lui, dividendo a malincuore le sue dita da quelle della ragazza. E fece per incamminarsi, ma una voce insicura e flebile lo fece fermare. «Ashton, aspetta.»
Il ragazzo si volò e lei gli andò incontro, fermandosi a pochi centimetri di distanza.
«Prima cosa: chiamami solo Kay. Seconda cosa…» e qui dovette fermarsi, perché non credeva che un ragazzo come lui potesse davvero prestar attenzione alle sue parole.
Ma Ashton era incuriosito, interessato, voleva sapere tutto ciò che quella piccola ragazza mora pensava.
«Seconda cosa, Kay
La ragazza rabbrividì lievemente a sentire il suo nome sussurrato in quel modo così dolce. E fu proprio quello a sbloccarla del tutto.
«Mi hai descritto la vita come qualcosa di unico, pazzesco. E… Credo di volerne far parte anche io…» ammise, facendo spuntare un sorriso sincero e bellissimo sul volto del riccio, perché mai lui si sarebbe immaginato di aver provocato un effetto simile su di lei che, con gli occhi puntati nei suoi, diede finalmente voce a quella richiesta del suo cuore che non era mai stata in grado di comprendere fino a quel pomeriggio.
«Insegnami a vivere
Lo disse con voce insicura, bassa, timida. Ma Ashton capì benissimo e si ritrovò perplesso. Non credeva di poter esaudire una richiesta di questo genere. Non si sentiva capace.
«Ti prego Ashton, insegnami a vivere!»
Kay ripeté quella preghiera una seconda volta, con la voce sempre più flebile ed insicura.
«Ma non so come si fa.» si scusò, a voce bassa, dando voce a quella fastidiosa vocina che gli era entrata dentro come una pulce e non aveva fatto altro che infastidirlo, fino a quel momento.
«Allora lo capiremo insieme.»
Ed entrambi si sorpresero, alla forza e alla verità semplice e pura delle parole della mora. Perché sì, nessuno può insegnare agli altri a vivere. Si impara da soli, magari più in fretta se qualcuno è al proprio fianco.
Alla fine, però, Ashton annuì, convinto. Era veramente curioso di sapere dove tutto questo li avrebbe portati, e avrebbe fatto di tutto pur di mantenere la promessa quel «Resta.» che aveva fatto. E Kay sperava davvero di non dover affrontare quella scelta da sola. Avrebbe dovuto combattere tante, troppe cose. E sinceramente, non era sicura di potercela fare da sola. Ma lo sentiva, che Ashton sarebbe stato con lei. Perché entrambi riuscivano a leggere la risposta dell’altro negli occhi, senza aver bisogno delle parole.
«Però da adesso chiamami solo Ash.» disse lui, sorridendole e copiando la frase della mora.
E grazie a quel sì implicito, racchiuso nei loro sguardi complici e forse amici, sia Kay che Ashton iniziarono a sentirsi meno soli, meno vuoti, come due pezzi di un puzzle che, pian piano, stavano cercando di colmare i loro spazi incompleti.






Letizia
Ciao bellissimi!!!! Come state? Quest'estate sta andando bene? Lo spero per voi ;).
Bien, passando al capitolo... Che cosa dirvi? 
Questo è un po' il centro della storia. Questo è quello su cui si baserà ogni cosa da ora in poi, è da qui che la storia prende il titolo.
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, perchè giuro che ci ho messo il cuore, in ogni parola.
Per questo vorrei che almeno a questo capitolo vi facciate sentire. Giuro è importantissimo per me! E poi sapete che a me bastano 20 parole di numero, non chiedo tantissimo
Quindi, per favore, fatevi sentire, ci conto! Per sapere se vi piace, se non vi piace, se vorreste che cambiassi qualcosa, se avete critiche (COSTRUTTIVE) da fare, sono disponibile ad accettare qualsiasi cosa!
Detto questo, ci sentiamo presto. Grazie per ogni cosa, sul serio, per visite | preferiti | ricordati | seguiti. Siete meravigliosi ed io vi voglio davvero troppo bene! <3
A presto e grazie ancora! Un bacione, Letizia <3
   
 
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