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Autore: Tigre Rossa    03/07/2015    5 recensioni
‘Tornerò da te, amore mio. Te lo prometto.’
Sfioro la sua guancia per quella che, lo so, sarà per lungo tempo l’ultima volta.
Il mio piccolo mezzuomo chiude gli occhi e, perdendosi in quella carezza fugace, mi stringe la mano tra le sue, cercando di far durare quel flebile contatto il più a lungo possibile, prima che l’oblio ci separi.
‘Sai che non puoi fare una promessa simile, Thorin.’
Sussurra, la voce spezzata di chi ha smesso di sperare.
Incapace di sentirlo parlare in questo modo, gli sollevo delicatamente il mento con due dita ed aspetto che riapra esitante quei grandi occhi blu di cui mi sono innamorato.
‘Posso, invece.’
Mormoro dolcemente, affidandogli il mio giuramento.
Non lo perderò, non più, mai più.
‘Tornerò, Bilbo. Dovessi metterci mille secoli, tornerò da te.’
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Reincarnation AU-Bagginshield
Genere: Angst, Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altri, Bilbo, Thorin Scudodiquercia
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 1 – Oblio
 
 
 
 
 
“Mai abbastanza vicini per tenersi.
Mai abbastanza lontani per lasciarsi andare.”
- cit.
 
 
“E come procede il tuo nuovo libro?”
 
Lancio un’occhiataccia a Bofur, che in equilibrio alquanto precario su una sedia cerca di rimettere a posto una catasta di libri alta quanto un bambino delle medie.
E’ il mio migliore amico da quando ne ho memoria e mi conosce meglio di quanto io conosca me stesso, ma comunque riesco a stento a resistere all’istinto di tiragli addosso tutti i dannatissimi romanzi della sua dannatissima libreria.
“Ti ho detto mille volte che . . .”
“... non vuoi parlare di quello che scrivi fino a quando non è sugli scaffali, lo so, lo so.” mi interrompe prontamente, infilando un tomo di Hugo grosso quasi quanto una Bibbia in uno spazietto minuscolo ed improbabile “Sei fin troppo superstizioso, Bilbo.”.
Sbruffo, un po’ seccato da quel commento. “La mia non è superstizione, ma previdenza. Ogni volta che parlo con qualcuno di un progetto a cui sto lavorando va sempre a finire che non riesco a completarlo o che mi viene rubato e devo buttare mesi di fatica nel cestino, come nel caso de ‘Il riflesso della luna’ o ‘Cinquanta giorni’. Quindi, ho imparato a tenere la bocca chiusa.”.
Bofur trattiene a stento un sorrisetto “Ah, questi scrittori, sempre così melodrammatici.”.
“Ah, questi librai, sempre così strafottenti.” replico tranquillamente, sorseggiando il mio the ormai freddo.
Per ripicca, mi lancia maldestramente addosso un’edizione tascabile de ‘Il gabbiano Jonathan Livingston’, che afferro con la mano libera per poi riporla sul bancone  “Se tratti così i tuoi libri non voglio pensare al trattamento che riservi ai tuoi clienti.”.
“Sicuramente è migliore di quello che riservo agli amici rompiballe come te.” risponde, mentre scende dalla sedia e si sistema meglio il suo amato cappello sulla testa “Tornando al discorso di prima, stai lavorando a qualcosa o sei ancora fermo?”.
Mi mordo l’interno della guancia, indeciso se ammetterlo o no “Mi sto . . . prendendo del tempo per pensare un po’.” borbotto infine “Sai, ho alcune trame interessanti in mente e . . .”
“E non riesci a buttare su carta nemmeno un parola.” completa per me Bofur, sedendosi sul bancone e facendo dondolare le gambe come un bambino.
Faccio per obbiettare, ma lo sguardo che mi lancia blocca tute le mie possibili proteste o scuse “Si, è così.” ammetto infine, stringendo con forza la mia tazza tra le mani.
Mi da’ una pacca amichevole sulla spalla “Non c’è da farne un dramma, sai? Per tutti gli scrittori, prima o poi, arriva il momento del fatidico blocco. E’ praticamente una legge cosmica. Doveva succedere anche a te, prima o poi. E’ metà della tua vita che sforni best-seller come se fossero crostate di mele, insomma!”.
Un live sorrisetto divertito si forma sulle mie labbra per essere subito cancellato da una smorfia “E se non riuscissi più a trovare l’ispirazione?” domando, quasi esitante.
Bofur mi guarda, e deve leggere la paura nei miei occhi, perchè il suo volto si fa improvvisamente serio. Sa quasi meglio di me che la scrittura è tutta la mia vita, la ragione per cui mi alzo la mattina da quindici anni a questa parte. Non potrei immaginare un’esistenza senza di essa. Se non riuscissi più a scrivere, sarei perduto, completamente perduto.
“La troverai quando meno te lo aspetti, vedrai. E’ solo un momento di stanchezza, che passerà con la stessa velocità con cui si dimentica un bel sogno. Magari le tue dita hanno semplicemente deciso di prendersi una meritata vacanza, o forse la tua mente è fin troppo presa da qualcos’altro. O qualcun altro.”.
A quell’ultima frase sobbalzo, mentre lui mi lancia un’occhiata d’intesa, e subito la mia mente torna a un paio di occhi di ghiaccio.

Bofur è l’unico, oltre a Ham, ad essere a conoscenza del sogno che ormai mi tormenta da qualche settimana. E, cosa forse più importante, è il solo a sapere che da quando quegli occhi si sono infilati nelle mie ore notturne non riesco più a scrivere.

“Io . . .” inizio, ma non so cosa dire. Come potrei descrivere l’agitazione e i sentimenti infuocati che quel sogno continua a mettermi dentro? Come posso parlare dell’emozione, sconosciuta e fin troppo tangibile, che quei occhi mi scatenano dentro? Come posso spiegare che quel nome mai sentito prima, quel ‘Thorin’ che continuo a pronunciare ogni volta che chiudo gli occhi, mi sta divorando vivo senza che io riesca ad opporre resistenza?
Bofur si stringe nelle spalle e continua a parlare, quasi incurante della confusione e dell’agitazione che solo il pensiero di quel volto mi scatena dentro “Comunque, sono certo che ti sbloccherai una volta che smetterai di pensarci su. Devi dimenticare il portatile e la penna per un po’, distrarti, magari incontrare qualche bella ragazza... oh, che idea!” sbatte le mani insieme, gli occhi che gli brillano come quelli di un ragazzino all’idea di una giornata di vacanza inaspettata “Dobbiamo uscire, Bilbo! Io, te e qualcuno del vecchio gruppo! Si, ecco cosa ci vuole, una bella serata vecchio stile, come ai tempi del liceo o dell’università! Oh, sarà una cosa mitica, veramente!”.
Sganghero gli occhi, quasi terrorizzato per ciò che ha appena detto “Co-cosa? No no, Bofur, davvero non c’è . . .”
Senza nemmeno ascoltarmi, salta giù dal bancone e si mette e girovagare per la stanza, gesticolando animatamente e parlando senza mai fermarsi “Si si, faremo così! Oh, sarà fantastico, organizzeremo una serata incredibile! Devo contattare Gloin, Bifur, Bofur, Oin, . . . oh, e Gandalf, assolutamente! E chissà, magari posso chiedere anche a quelle mie cugine del Sussex di fare un salto, e . . .”

Mi prendo la testa tra le mani, sconfitto, e il mio ultimo pensiero prima di perdermi in quel fiume incontrollato di parole e progetti è per un paio di occhi color del ghiaccio.
 
 
.o0O0o.
 
 
Sono steso su una lastra di ghiaccio, gli occhi persi nel cielo lontano, il respiro interrotto da forti colpi di tosse ed ansimi, un dolore forte e lancinante nel fianco.
Sono qui, in attesa.
Sto morendo, ma non sto aspettando la nera falciatrice.
Sto aspettando qualcos’altro.
Qualcun altro.
 
Sento dei passi lontani, affrettati, farsi sempre più vicini, ed accanto a me una figura familiare si inginocchia al mio fianco, il viso spaventato, la paura e il dolore negli occhi.
Una figura che, in qualche modo, mi riaccende qualcosa nel cuore.
 
“Bilbo...”
 
Lo chiamo, e dentro di me so che è giusto, che è lui che stavo aspettando, e che adesso manca davvero poco per andarmene.
Il piccolo uomo dai capelli ramati e dagli occhi blu si mette ad armeggiare con le mie vesti, alla ricerca della mia ferita.
 
“Non muoverti. Non muoverti, sta fermo. Oh!”
 
La sua voce è calma, contrariamente al suo sguardo, e sento in essa un tremore solo quando scorge la mia ferita, che subito si affretta a tamponare, come per fermare la fuoriuscita del sangue.
Parlo ancora, nonostante mi costi fatica, nonostante mi faccia male, perché so che è l’ultima possibilità che ho per farlo, è l’ultima vota che potrò parlare con lui, con colui che mi sta facendo battere il cuore in questo modo innaturale, quasi come se volesse usare tutti i suoi battiti prima della fine.
 
“Sei qui, sono contento.”
 
Sussurro, la dolcezza nella voce, la gratitudine, l’affetto, e qualcosa che non sono mai riuscito ad esprimere e, lo so, non ci riuscirò nemmeno adesso.
 
“Shh!”
 
Mi fa quasi con tenerezza, ben attento a non guardarmi in viso per non mostrarmi la paura che lo attanaglia.
 
“Voglio separarmi da te in . . .”
Esito, anche se so di non potermi permettere esitazioni o dubbi, non più
” ... amicizia . . .”
 
Si volta a guardarmi, il volto deciso, la voce controllata, come un vero guerriero, e dentro di me non posso far altro che stupirmi ancora un’ultima volta di quanto in realtà, nonostante l’aspetto fragile, sia forte come l’acciaio.
 
“Non andrai da nessuna parte, Thorin. Tu vivrai.”
 
Torna a concentrare la sua attenzione alla mai ferita, ma so di non avere più tempo e quindi continuo, lentamente, con fatica, a parlare.
 
“Mi rimangio le mie parole e le mie azioni. Hai fatto quello che . . . un vero amico ... avrebbe fatto. Perdonami. Ero troppo cieco per vedere. Mi dispiace tanto di averti messo in un tale pericolo.”
 
C’è dolore, e pentimento, e tutto quello che non sono mai stato capace di dire in quelle parole, e lui lo avverte, glielo leggo negli occhi, e lo sento afferrarmi la mano e farsi più vicino, e posso sentire il calore del suo corpo premere contro il mio, sempre più freddo.
 
“No, sono contento di aver condiviso i tuoi pericoli, Thorin. Dal primo all’ultimo. E’ molto più di quanto meriti un Baggins qualsiasi.”
 
Sussurra con dolcezza, e posso sentire tutto ciò che provo dentro di me nella sua voce, e sorrido, perché sono stato cieco, veramente cieco, e stupido, a non essermene mai accorto prima.
 
Un dolore ancora più intenso mi travolge, ma quasi non ci faccio caso.
 
E’ tardi, lo so, lo sento. Ho stretto i denti più del dovuto, sto facendo aspettare troppo la nera signora.
Devo andare, adesso.
 
“Addio, mastro scassinatore.”
 
Chiude gli occhi e sospira, incapace di trattenere oltre il dolore e la paura, ma non ha bisogno di nasconderle a me, non più, perché ho visto anche altro nel suo sguardo, e ciò mi basta per farmi accettare il mio destino.
 
Apri gli occhi e guardami, perché se devo andarmene voglio farlo con l’immagine del tuo viso ad accompagnarmi.
 
“Torna ai tuoi libri e alla tua poltrona. Pianta i tuoi alberi. Guardali crescere.”
 
Ansimo, ormai senza più forse, la vista quasi del tutto oscurata.
E’ tempo, ormai.
 
“ Se più persone considerassero la casa prima dell’oro il mondo sarebbe un posto più felice.”
 
Gemo, e sento la vita scivolarmi via dal corpo, lontana, e subito lui si tende verso di me, la disperazione ormai palpabile nella voce.
 
“No! No, no, no! Thorin! Thorin, non lasciarmi!”
 
La sua voce è l’ultimo suono che sento e i suoi occhi blu l’ultima cosa che vedo, prima che tutto, semplicemente, finisca.
 
“Thorin!”
 
 
Apro gli occhi di scatto e faccio per mettermi a sedere, ma una fitta dolorosa al fianco e delle braccia robuste me lo impediscono e mi tengono fermo, mentre una voce burbera mi ammonisce.
 
“Con calma, Capitano! Stia giù, se non vuole tornare nel mondo dei morti.”
 
Sbatto le palpebre una, due, tre volte, e il mondo attorno a me prende forma.
Sono steso in una brandina, e di fronte a me un uomo basso dai folti capelli rossicci e numerose cicatrici ad attraversargli il volto mi fissa, lo sguardo duro ma in qualche modo sollevato.
 
“Dàin . . .”
mormoro, scrutandolo con aria confusa, mentre lentamente mi appoggio allo schienale della brandina.
Il mio attendente grugnisce e si tira un po’ indietro, incorniciando le braccia, ma dal luccichio dei suoi occhi capisco che è contento.
“Era ora che si svegliasse, sa? Ci ha fatto prendere uno spavento. Credevamo che ormai avesse tirato le cuoia, non so se mi spiego.”
In un attimo, tutto mi torna in mente.
Il combattimento, i colpi, la pallottola. Le braccia dei miei uomini che mi sollevano da terra. Le urla. I mio cuore che smette di battere. Il mondo che svanisce.
“Cosa è successo?” domando piano, passandomi una mano sugli occhi.
“L’hanno colpita al fianco durante l’ultima missione.” risponde, infilandosi uno stuzzicadenti tra le labbra gonfie “Era una brutta ferita ed ha perso i sensi quasi subito. L’abbiamo portata al campo immediatamente, io e un paio di ragazzi. I medici erano preoccupati, pensavano che non ce l’avrebbe fatta, ma hanno comunque tentato il tutto per tutto, e alla fine le sue condizioni si sono stabilizzate. Ha dormito per, tre, quattro giorni, ma be’, eccola qui!” fa un sorriso storto , ed io istintivamente allungo la mano verso il fianco, dove avverto un dolore intensissimo, anche se molto più leggero rispetto a quello sul campo di battaglia.
Il volto di Dàin si scurisce, e mi ferma la mano con un gesto imperioso, in modo che non possa sollevare la maglia per osservare la ferita “E’ meglio che non guardi, è uno brutto spettacolo. Profonda, infetta e non so che altro. Per sapere qualcosa di questa robaccia dovrà aspettare il dottor Watson, temo. A proposito, vado a chiamarlo e a dire ai ragazzi che si è svegliato. Erano preoccupatissimi, sa?”.
Si alza dalla sedia pieghevole e si stiracchia, per poi allontanarsi con un altro grugnito ed uscire dalla tenda medica dopo avermi lanciato un ultimo sguardo sollevato.
 
Sospiro e chiudo gli occhi, mentre dentro di me ripenso a quel poco che ricordo di quel momento, e ciò che mi colpisce per prima sono l’ultima voce che ho sentito, quella voce che mi chiamava per nome, e quegli occhi che mi è parso di vedere prima di perdere i sensi.
Gli stessi che ho ritrovato in quello strano sogno, prima di risvegliarmi dal mio sonno di morte.

“Bilbo . . .”
  
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