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Autore: Daisy Ross    04/07/2015    4 recensioni
Dal Prologo:
"Se c'era una cosa di cui Alice Paciock andava certa, fin da bambina, era che la compostezza e l'eleganza caratterizzanti sua madre e sua nonna, oltre che tutti i numerosi cugini Abbott, c'entravano con lei quanto i cavoli con la Burrobirra.
Difatti a soli cinque anni, dopo una sfilza di infinite cadute tragiche e numerose visitine al San Mungo, poté constatare di avere totale assenza di equilibrio e, invece, una buona dose di goffaggine.
Insomma, era una bambina piuttosto imbranata.
Ed ora, compiuti quindici anni...non era cambiata poi granché. Anzi, è più corretto dire che fosse peggiorata."

~
Prendiamo una Nuova Generazione scombussolata dai normali problemi dell'adolescenza, i primi amori e le prime delusioni; aggiungiamoci una buona dose di bugie, filtri d'amore spaventosamente potenti, fidanzati segreti e piani strampalati per sabotare matrimoni. Accostiamo il tutto a misteriose forze oscure che gravano segretamente sul Mondo Magico e tanti, troppi misteri da risolvere...ne viene fuori un mix piuttosto esplosivo, non vi pare?
Genere: Avventura, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus, Severus, Potter, Alice, Paciock, Jr, James, Sirius, Potter, Nuovo, personaggio, Rose, Weasley | Coppie: Rose/Scorpius, Teddy/Victorie
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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Ricapitolando: Viene alla luce che cos’è la setta delle ombre sulla quale Alice, Rose e Cathy avevano cercato informazioni: fin ora si è scoperto che è un’associazione segreta di maghi che mira a destabilizzare il ministero tramite minacce, sotterfugi e altre azioni di cui i cittadini vengono tenuti all’oscuro; nessuno per ora sa da chi sia composta, né come e quando agisca. Alice e James trovano il cadavere di Dedalus Lux, ex vicesegretario del Ministro della Magia e membro dell’Ordine della Fenice, nella Foresta Proibita, mentre sono fuori di nascosto per cercare l’ultimo ingrediente per la pozione polisucco (che servirà loro per prendere le sembianze di Victoire e il suo presunto amante e smascherare così la loro relazione); Alice, Rose, Cathy e gran parte dei cugini Weasley-Potter si riuniscono e concordano che durante le vacanze natalizie cercheranno di scoprire tutto ciò che possono riguardo la setta delle ombre e i progetti segreti che, sempre secondo il ministero, le loro famiglie stanno portando avanti di nascosto (capitolo: When the darkness comes). Le vacanze di Natale si avvicina; nel frattempo, strani eventi e misteriose morti continuano a verificarsi.
+ Adam è un Tassorosso dello stesso anno di Alice; alla festa di Halloween aveva invitato Alice a ballare, ricevendo un rifiuto.
+Rose, attualmente, frequenta Matt Finnigan, da quando si sono baciati, sempre ad Halloween.

 
 
 
 
 
23.
Going nowhere
“Here I am, going nowhere on a train;
Here I am, growing older in the rain…”
Going Nowhere - Oasis
 
 
 
Alice si svegliò di soprassalto, con il fischio di un treno che ancora le risuonava nelle orecchie.
Aveva sognato l’Espresso, e se stessa che osservava le immense distese di campagne sfrecciare al di là dei finestrini, mescolandosi con i colori del cielo. Poi il treno aveva frenato bruscamente, arrestandosi nel bel mezzo del nulla: e allora, pian piano, lunghe file di uomini incappucciati avevano iniziato a riversarsi nei corridoi, setacciando gli scompartimenti in cerca di chissà che cosa. Fa’ che non mi vedano, continuava a ripetersi lei. Fa’ che non mi trovino.
E poi uno di loro, inevitabilmente, aveva spalancato la porta della sua cabina, parandosele di fronte; era alto più di due metri e il lungo mantello scuro lo ricopriva per intero, aprendosi solamente in una piccola fessura per gli occhi: erano bianchi e vuoti.
Alice si era ritratta, schiacciandosi contro la parete, tremando come una foglia e reprimendo un groppo in gola, mentre l’uomo incappucciato levava la bacchetta…
E poi aveva aperto gli occhi.
Si guardò intorno, facendo mente locale sul luogo che la circondava: era ancora molto buio, ma l’abitudine le permise di distinguere con facilità i contorni dei letti a baldacchino, gli spigoli dei muri, la sagoma del suo baule ai piedi del letto.
Lanciò un’occhiata al piccolo orologio che teneva sul comodino; faceva le cinque e dodici. Tra meno di tre ore sarebbe cominciato il suo ultimo giorno di scuola prima della pausa natalizia, per cui sarebbe stata un’idea decisamente sana quella di sdraiarsi, chiudere gli occhi e tornare a dormire.
Invece, ovviamente, Alice optò per recuperare le proprie pantofole – le cui punte, rosicchiate da Briciola, erano ormai così logore che lasciavano intravedere la punta dei piedi – e alzarsi, barcollando leggermente sul posto, ancora insonnolita, prima di ritrovare l’equilibrio.
A grosse falcate raggiunse il bagno, facendo del suo meglio per essere silenziosa (ma considerata la sua andatura poco aggraziata, si rivelò più difficile del previsto), e cercando di non inciampare, nel buio, su qualcuno dei bauli delle sue compagne di stanza.
Una volta giunta sana e salva nel bagno, chiuse la porta alle proprie spalle e lanciò un’occhiata di sbieco verso lo specchio: aveva due profonde occhiaie violacee e il pigiama tutto stropicciato – per non parlare dei capelli, minuziosamente sistemati in una treccia la sera precedente, e che ora infuriavano sulle sue spalle, così arruffati che non avrebbe potuto distinguerli da un nido d’uccello. Ripensò con un moto d’orrore a quella volte in cui James le aveva fatto crescere dei lunghi rami intricati sulla testa, e decise che aveva comunque avuto un aspetto migliore di quello che aveva ora.
Uno scherzo azzeccato, pensò con una punta d’ironia, roteando gli occhi al cielo. D’altronde, gli scherzi di James si rivelavano sempre piuttosto azzeccati.
Prese a spazzolarli furiosamente, ignorando il dolore qualora incontrasse un nodo particolarmente resistente.
Non si era mai piaciuta granché – ma d’altronde, quale adolescente al mondo aveva mai apprezzato il proprio aspetto? L’unica persona che conosceva che si dichiarava fiera delle sue fattezze era Jo, eppure Alice conosceva troppo bene l’amica – l’ex amica, sottolineò una vocina nella sua testa che Alice zittì prontamente – per crederci davvero. Jo era, in effetti, insicura di sé quasi quanto lei, solo che riusciva a nasconderlo molto meglio.
Rose, che Alice considerava una delle ragazze più carine del suo anno, arrossiva e sorrideva sempre in modo triste quando qualcuno le faceva un complimento, come se non ci credesse o, peggio, sentisse di non meritarselo.
Fissò di nuovo il proprio riflesso nello specchio, che gli restituiva la stessa espressione scocciata. Lasciò vagare lo sguardo sulle gambe corte, i fianchi stretti, il seno appena accennato sotto la maglia; il tutto diventava molto buffo se comparato alle guance, piene e tonde, che la facevano assomigliare a una bambina troppo cresciuta.
Storse il naso. Come avrebbe mai potuto suscitare interesse in Chris, quando lei stessa si vedeva piuttosto insignificante? Aveva sognato così tante volte che lui la notasse, che la vedesse, perlomeno, e la trovasse bella. Forse, rifletté, lo aveva fatto non tanto per la cotta che aveva nei suoi confronti, quanto per la vaga illusione che, se lui l’avesse considerata carina, allora lei si sarebbe sentita tale. Chris le era piaciuto tanto, tantissimo, ma ora che non le interessava più molto, si domandò per la prima volta se una cosa del genere sarebbe potuta accadere davvero.
Sì, disse una parte di lei.
No, decise Alice. Era sbagliato. Non poteva giudicare se stessa in base a come la vedevano gli altri. O forse sì?
Sua nonna le aveva detto, una volta, che il segreto per essere belle era, prima di ogni altra cosa, sentirsi belle. E non importava come invece ti reputavano gli altri.
Ma Alice non capiva: se nessun altro la reputava bella, come avrebbe potuto considerarsi tale? E se, al contrario, tutti l’avessero considerata carina, non era automatico ritenersi carina almeno un po’?
Non appena formulò quei pensieri, li scacciò via, percependo il calore infiammarle le guance. Era una convinzione talmente superficiale, quella – e poi sapeva che sua nonna aveva ragione in proposito. Di solito, sua nonna aveva sempre ragione.
E sì, Augusta Paciock era una grande fonte di saggezza, ma il problema era metterli in pratica, quei consigli che le dava, perché Alice non sapeva assolutamente come fare.
Di solito, Alice non sapeva mai come fare.
Sbuffò, sciacquò velocemente il viso con l’acqua calda per poi voltare le spalle allo specchio, sgattaiolando di nuovo nella stanza a vestirsi.
Aveva altre cose a cui pensare, comunque, e molto più importanti: tra le altre, pianificare come estorcere informazioni a suo padre sulla Setta, organizzarsi per le vacanze di Natale da Rose, farsi un’idea su quali corsi avrebbe scelto una volta superati i G.U.F.O. (e questo le fece venire in mente che, quel pomeriggio, avrebbe affrontato il colloquio con la direttrice della sua Casa per discutere sulle possibili opzioni della sua futura carriera lavorativa).
Sempre che li avrebbe superati, i G.U.F.O., ma questa era un’altra storia.
Scostò un po’ la tenda di una delle finestre della torre, sbirciando fuori: il cielo era diventato rosa opaco e i primi raggi di sole spuntavano dietro le montagne. Ovviamente a Hogwarts era vietato andarsene in giro per la scuola dopo il coprifuoco; nessuna regola, però, impediva di uscire dal dormitorio la mattina presto, dopo l’alba.
Alice ne approfittò per recarsi alla Guferia. Nella lettera che aveva ricevuto la mattina precedente, infatti, Neville e Hannah le avevano finalmente dato il permesso di passare le vacanze a casa di Rose, avvertendola che invece loro due sarebbero volati in Scozia dai suoi zii, per poi tornare solamente pochi giorni prima di Capodanno. Tutto ciò, ovviamente, ad una condizione: la partecipazione di Alice al Tè delle Streghe, che ormai sembrava essere perentoria.
Sinceramente, lei non capiva ancora tutta la determinazione di sua madre nel portarla di forza a quegli incontri. Magari non glielo aveva mai detto apertamente – d’altronde, Alice non parlava quasi mai in modo aperto con sua madre – ma si vedeva lontano un miglio che detestava le riunioni del Tè delle Streghe, così come erano abbastanza evidenti i suoi vani tentativi di evitarle.
Era anche questo uno dei motivi per cui preferiva di gran lunga suo padre ad Hannah: lui – Alice ne era sicura – non l’avrebbe mai costretta a partecipare a qualcosa che odiava.
Comunque, se non fosse stato per questo, non sarebbe stata poi così contraria a passare del tempo con i suoi, prima di andare da Rose. In effetti smaniava per riabbracciare suo padre, e a seguito dell’aggressione tendeva a dare meno per scontato il tempo che trascorreva con lui e sua madre.
Afferrati penna, calamaio, un sacchetto di biscotti gufici e una pergamena nuova, scese le scale a chiocciola del dormitorio e attraversò in fretta la Sala Comune, che era prevedibilmente deserta. La Signora Grassa mugugnò qualche protesta quando s’infilò nel buco del ritratto, ma le parole furono presto soffocate dal suo profondo, sonoro ronfare. 
Alice, ridacchiando sotto i baffi, attraversò tranquillamente i corridoi vuoti del castello.
Una volta raggiunta la Guferia, che si trovava spiacevolmente lontana rispetto alla torre di Grifondoro, diede una rapida occhiata ai gufi che popolavano i vari cunei della parete – molti sonnecchiavano ancora, con il muso nascosto sotto le imponenti ali. Poi si lasciò scivolare lungo una delle pareti di pietra, fino a toccare il pavimento freddo con le gambe: si sistemò con la schiena contro il muro, poi  riprese in mano la pergamena che aveva poggiato lì di fianco, intinse la punta della penna d’oca nel calamaio, e cominciò finalmente a tracciare le prime parole sulla carta ingiallita:
 
"Cari mamma e papà,
Grazie per aver accettato di lasciarmi passare le feste con Rose. Mi mancate anche voi.
P.S.
Se proprio devo partecipare a quell’incontro, comunque, mi servirà un vestito adatto e non credo di avere -
Forse sarebbe scortese presentarsi a casa di Rose giusto la Vigilia di Natale, dovrei
Non voglio non voglio NON VOGLIO andarci
Quelle streghe hanno tutte la puzza sotto al naso non voglio andarci voglio solo andare da Rose non voglio andarci non voglio

Va bene, mamma, verrò con te al Tè delle Streghe. Ci vediamo a King’s Cross dopodomani.
 
Sempre vostra, Alice"
 
 Sospirando, ripose la penna da un lato e cominciò ad arrotolare la pergamena su se stessa. Forse un giorno avrebbe finalmente trovato il coraggio di affrontare sua madre; per ora, le andava bene così. Più o meno.
Si alzò ed allungò in avanti un braccio, tenendo in mano uno dei biscotti gufici. Fischiettò un paio di volte, e immediatamente una grossa civetta dispiegò le ali e falciò l’aria planando nella sua direzione. Afferrò nel becco il biscottino, poi puntò su di lei i due occhietti vispi, in attesa. Alice agganciò la lettera alla cinghia che la civetta teneva al collo; poi restò ferma a guardarla mentre questa spiccava il volo, sbucava fuori da una delle grosse aperture della torre, e diventata sempre più piccola man mano che si allontanava, inconfondibile tra il resto del paesaggio.
Non seppe esattamente per quanto rimase a fissarla, ma fu solo quando ormai era scomparsa che sentì lo scricchiolio alle sue spalle. Sobbalzò, voltandosi di scatto, facendo per brandire una bacchetta che non c’era (non aveva nemmeno preso la bacchetta, che stupida era!), per poi scoprire che si trattava solamente di Jo.
Tirò il sospiro di sollievo più lungo della sua vita: per un attimo si era sentita come quella notte nella Foresta; per un attimo, uno soltanto, aveva pensato che fosse…be’, non importava ormai.
Jo indossava già la divisa, che era un po’ sgualcita, e portava i lunghi capelli di un viola ormai sbiadito legati in una coda di cavallo. La stava guardando con un’espressione indecifrabile, e Alice si chiese da quanto fosse lì o perché mai si trovasse nella Guferia a quell’ora improbabile, dal momento che Jo non era mai stata un tipo mattiniero.
Così la domanda le sfuggì dalle labbra prima che potesse pensarci due volte: « Mi stavi seguendo? »
Jo, le mani incrociate sul petto, sbuffò. « Non gira tutto intorno a te, sai. »
« E questo che cosa c’entra? »
« Lascia perdere. »
Alice la osservò, mentre l’amica – o quello che era – la sorpassava senza degnarla di un altro sguardo, richiamando un gufo verso di lei e tirando fuori un piccolo biglietto.
Si domandò a chi potesse mai mandare biglietti alle cinque di mattina, cosa ci fosse scritto, ma soprattutto, cosa diamine fosse successo tra di loro. Neanche se lo ricordava più, il vero motivo del litigio. Ma era sicura che c’entrasse qualcosa con quelle orribili frasi che Jo le aveva rivolto contro la sera di Halloween, tra le quali “mi sono stancata di voi!” e “lasciatemi respirare!” erano quelle che più le facevano attorcigliare lo stomaco dalla rabbia. Era strano provare quel sentimento, ed era ancora più strano provarlo nei confronti di Jo.
« Che cos’è successo? » disse, con una nota disperata nella voce che fece del suo meglio per nascondere.
La ragazza continuò a darle le spalle. « Che vuoi dire? »
« Intendo…che cosa ci è successo? Non è strano anche per te, non parlarsi più? Io, te e Rose stavamo sempre insieme fino a poco tempo fa. »
Jo si irrigidì, smettendo per un secondo di agganciare il biglietto alla cinghia del suo gufo. « Be’, non saprei. Non è stato così male, esentarsi per un po’ dai giudizi di Rose o… »
« Dovresti smetterla di parlare di lei a quel modo » scattò Alice, « non ti ha fatto nulla! Non lo merita. »
« Ma certo, sei sempre pronta a prendere le sue difese, vero? » Finalmente, si voltò verso di lei. « Lascia che ti dica una cosa: mi mancate, Alice. Sia tu che Rose. Ma non ne potevo più! »
Alice arretrò, ferita. Sentì le lacrime pizzicarle gli occhi, ma non le lasciò uscire, non stavolta. « Bene. Ci dispiace di essere state una tale scocciatura per te » sbottò, con un’acidità che lei stessa non credeva di possedere.
« Oh, risparmiamela, per favore! Sai bene che non intendevo questo. Ma voi…lei…mi ha sempre biasimata per quello che facevo, per come mi comportavo, certe volte mi sembrava di stare con mia madre, non con la mia migliore amica! »
Alice scosse la testa; non sapeva con certezza da quanto Jo covasse certi pensieri, ma di una cosa era sicura: quella descrizione di Rose non le era affatto famigliare, anzi, la trovava a dir poco improbabile. Non corrispondeva certamente alla Rose gentile e pragmatica che conosceva lei: una ragazza un po’ introversa, insicura, ma sempre pronta ad offrire qualche saggio consiglio, e non dei rimproveri.
« Forse hai frainteso qualcosa, Josey » tentò, stavolta più dolcemente. « Sono sicura che non è mai stato quello il suo intento, e di certo non il mio. Noi ti vogliamo bene, e… »
« Apprezzo quello che stai dicendo, Alice, davvero – ma credo che dovrebbe essere la diretta interessata a venire qui a scusarsi con me, non trovi? »
« Non saprei. Io non mi sto scusando. »
Jo parve presa, per un attimo, in contropiede. Poi le rivolse un’occhiata scettica: « E da quando sei diventata così schietta, tu? »
« Ci sto lavorando su » borbottò Alice scrollando le spalle.
Jo sospirò, lasciando andare il gufo con il biglietto. « Be’, in caso decidessi di schierarti dalla parte del nemico, sai dove trovarmi, no ? » buttò lì, ma stavolta non c’era alcuna freddezza nelle sue parole. Era una proposta.
« Io non voglio schierarmi proprio da nessuna parte… »
« Ma lo hai già fatto » la interruppe Jo.
Poi la superò e sfrecciò via giù per le scale della torre, lasciandola lì, immobile e interdetta, mentre le sue parole le riecheggiavano nella testa.

 

Quando finalmente arrivò l’ora della colazione, Alice si trovava nella Sala Grande già da un pezzo, tutta intenta ad imburrare il proprio pane tostato mentre leggeva la Gazzetta del Profeta di quel giorno. Per una volta, nessuna notizia di strane sparizioni o omicidi infestava la prima pagina. Curioso, pensò Alice: nelle ultime settimane, quel giornale non aveva dato pace neanche un momento alla McGrannitt, narrando le vicende di Hogwarts nei modi più dettagliati e plasmando ogni parola in modo che il tutto risultasse, se possibile, ancora più inquietante di quanto già non fosse.
« Sentita l’ultima? » proruppe Cathy, prendendo posto sulla panca proprio vicino a lei e facendola sobbalzare per la seconda volta quella mattina – quasi le cadde il coltello dalle mani.
« Mmh? »
« Il torneo di Quidditch inizierà solamente a metà gennaio. »
« Oh » esalò Alice, « accidenti, non era mai cominciato così tardi. »
Naturalmente, non c’era alcun bisogno di interrogarsi sul motivo: gli eventi recenti, che avevano coinvolto Alice in prima persona, rappresentavano un motivo sufficiente per rimandare una partita, o almeno così la pensava la McGrannitt – forse troppo occupata a gestire le cose con gli Auror e i giornalisti per prendersi ulteriori impegni organizzando gli incontri di Quidditch.
Bene o male tutti quanti avevano sorvolato sulla questione: l’intera scuola, d’altronde, era ancora scossa dall’accaduto.
Olivia Baston, però, era di tutt’altro avviso. All’annuncio della cancellazione dell’incontro previsto per due settimane prima, proprio il giorno dopo quella notte, era andata su tutte le furie, inveendo a destra e a manca contro le orribile ingiustizie che avvenivano ad Hogwarts nei confronti di squadre che si erano preparate un’intera stagione per quella partita.
Alice era anche troppo contenta di non dover giocare, non solo perché non se la sentiva, ma anche perché una piccola parte di lei non poteva fare a meno di ripensare alle occhiate feroci che, di tanto intanto, ancora le lanciavano Flitt e Warrington. Eppure, non riusciva a biasimare del tutto Olivia, perché era anche convinta che magari un po’ di normalità, mischiata al fervore che solo una partita di Quidditch sapeva scatenare, sarebbero riusciti a spezzare quell’atmosfera cupa che era calata sulla scuola.
Neanche l’aria natalizia era riuscita a smorzare tutta la tensione, e sebbene ognuno fosse tornato alle proprie attività – professori e alunni –, si riusciva comunque a percepire che c’era qualcosa che non andava.
« Già. E sono stati rimandati anche i tornei di scacchi magici. Pare che Gwyneth McLaggen – sai, il loro presidente – abbia scritto persino una lettera di protesta! »
« A quando? » chiese, offrendo nel contempo all’amica la metà altrimenti sprecata del suo panino, che aveva abbandonato sul piatto.
« A – umf – gennaio, anche quelli » rispose Cathy mentre infilava un pezzo straordinariamente grande di quel panino in bocca.
« Be’, gli altri membri del club degli scacchi ne saranno– »
« Alice, va tutto bene? »
Quest’ultima la guardò per un secondo, spiazzata, prima di rivolgerle un sorriso un po’ stanco « Sì » mormorò. Poi, visto che l’amica non pareva affatto convinta, aggiunse: « Sì, voglio dire, io…be’, ho parlato con Jo. »
« Ah. » Un lampo di comprensione attraversò gli occhi di Cathy, che la scrutò come in cerca di qualche malanno. « E…? »
« Niente, in realtà. Fa dei discorsi strani. Non riesco a capire se ce l’abbia davvero con me o meno. »
« Chi dovrebbe avercela con te? » le interruppe in quel momento Dominique, che si sedette davanti a loro seguita a ruota da Rose. Avevano entrambe l’aria molto assonnata. « Sei troppo dolce per poter fare arrabbiare qualcuno. »
Alice rise, a disagio come lo era sempre di fronte ad un complimento, ma Cathy rispose per lei. « Jo Mitchell. Chi altri, se no? »
Rose s’irrigidì immediatamente, mentre Dominique roteava gli occhi al cielo.
« Quella ragazza ha la capacità di infastidirmi pur non conoscendola affatto. »
« Che cosa ti ha fatto? » indagò Rose, la voce vagamente triste.
«  Niente, davvero » si affrettò a chiarire Alice. « Abbiamo solamente parlato di…me » aggiunse poi, senza pensarci. Per qualche strana ragione, capì che era meglio non riportare le esatte parole di Jo alle amiche – avrebbero potuto ferire Rose o, ancora peggio, rendere irreparabile una situazione già terribilmente precaria.
Rose corrugò la fronte. « Avete fatto pace? »
« Non credo. E’ tutto molto strano » commentò, e stavolta era assolutamente sincera.
« E’ lei ad essere strana » commentò Dominique con un cipiglio molto simile a quello di Molly Weasley, la nonna di Rose.
« Sì, d’accordo, cambiamo argomento » implorò Rose, « allora vieni da me per le vacanze, ‘Lice? »
A questo, la giovane Paciock sfoggiò un sorriso a trentadue denti. « Tutto confermato! »
« Oh, menomale! » Rose, ora più serena, le sorrise a sua volta. « Non vedo l’ora. »
« Già, sarà entusiasmante » intervenne Dominque, « preparati a una folla imbizzarrita di cugini. Anche se, devo ammettere, i peggiori sono gli adulti. »
Alice rise, al pensiero delle clamorose festività che si svolgevano alla Tana. L’ultima volta che aveva passato il Natale da Rose risaliva solo a qualche anno prima, ed era da un po’ che non vedeva la casa dei suoi nonni bella piena – eccezion fatta per il matrimonio di Percy e Audrey, i quali, però, avevano richiesto con non poche difficoltà un certo decoro alla famiglia, ragion per cui la scatenata dozzina dei cugini Weasley-Potter non aveva avuto l’opportunità di farsi valere in tutta la sua rumorosa energia.
« Ma no » ridacchiò Rose, « i peggiori sono James e Fred. »
« Perché? » chiese Alice, subito scattante non appena l’amica aveva pronunciato il nome di James.
Wow. Calmati. Che ti prende?
« Si fanno scherzi a vicenda per tutto il tempo – è una specie di tradizione, una gara a chi è il migliore. Secondo me è una gara a chi è il più cretino, e ogni anno finisce in pareggio, trai le tue conclusioni » sentenziò Dominque, facendo ridere ancora di più Alice.
« E mettono sempre in mezzo tutti gli altri » sospirò Rose, « lo scorso Natale mi sono beccata una Fattura Foruncolante, e mi è anche andata bene. Lily è inciampata per sbaglio in una delle trappole che James aveva messo per Fred, ed è rimasta appesa al soffitto della sua stanza per ore prima che qualcuno la trovasse. »
Un lieve sorriso increspò le labbra di Dominique quando disse: « Sì, ma quando è riuscita a scendere, è andata su tutte le furie. E gliel’ha fatta pagare. C’erano brillantini rosa ovunque…la scena più divertente che avessi mai visto. »
Anche Rose rise, lo sguardo perso probabilmente nel ricordo di quel momento. « James se l’è meritato. Da allora si guarda bene dal fare scherzi a Lily. »
« Dev’essere il caos totale, lì da voi » commentò Cathy, ma aveva gli occhi colmi di meraviglia. Era chiaro che quella prospettiva non le dispiaceva affatto.
« Sì, be’, siamo una “famiglia movimentata!” » rispose Domi, facendo il verso a qualcuno che Alice non riconobbe.
« Tu invece che farai, Cathy? » s’informò Rose.
Quest’ultima fece spallucce, rigirando un cucchiaio nel proprio succo di zucca. « Niente di straordinario. I miei saranno in viaggio di lavoro in Nuova Zelanda, e be’, a chi va di andare in Nuova Zelanda?, così ho deciso di rimanere a Hogwarts. »
« Cosa…? Ma Cathy, vieni da noi alla Tana! » esclamò Rose, chiaramente colta di sorpresa. Anche Alice, dal canto suo, era perplessa: aveva creduto che Cathy fosse già impegnata per quanto riguardava le vacanze – e che fosse per questo motivo che Rose non aveva invitato anche lei.
« Oh…dici sul serio? » fece Cathy, titubante.
« Naturalmente, io… » Rose arrossì, visibilmente imbarazzata. « …io credevo che avessi già dei piani, per questo che non te l’ho chiesto… »
« Be’, accetto volentieri » la interruppe subito Cathy con un grande sorriso, probabilmente notando lo stato d’animo dell’amica.
« Sarà divertente » commentò allegramente Alice. Quel Natale si prospettava sempre più entusiasmante, e lei ormai non aspettava altro che la scuola finisse.
« Sì, non vedo l’ora che…oh » si interruppe Rose, lasciando vagare lo sguardo verso l’ingresso della Sala Grande.
Alice fece lo stesso, riconoscendo nientemeno che Matt Finnigan venire verso di loro; aveva proprio tutta l’aria di essere un ragazzo perfetto con una vita perfetta.
E una fidanzata perfetta, aggiunse mentalmente quando vide Rose alzarsi e raggiungerlo in un baleno. Matt le sorrise calorosamente, stringendole la vita con un braccio; poi le scoccò un tenero bacio sulla fronte.
« Rose sembra al settimo cielo » osservò Cathy, « sono davvero adorabili! »
Alice non poté che essere completamente d’accordo.
I due avevano iniziato a frequentarsi dopo il ballo di Halloween, e a quanto pareva adesso si trattava di una cosa ufficiale. Rose aveva speso parecchi pomeriggi in sua compagnia, nonostante ultimamente – tra quella notte e tutto il resto – avesse passato molto più tempo con Alice e Cathy.
Era contenta che finalmente Rose avesse trovato un po’ di tranquillità, nonostante in cuor suo fosse convinta che l’amica covasse ancora dei sentimenti – sebbene non era possibile definire esattamente di che natura fossero – per Scorpius Malfoy. Dopo tutto, per Alice quei due rimanevano pur sempre le perfette incarnazioni di Romeo e Giulietta, e non era affatto facile trovarne altre, né dimenticarsi il modo in cui Scorpius sembrasse un po’ meno scorbutico in presenza di Rose, o viceversa il modo in cui la ragazza paresse sempre così intrigata da lui.
Ma in fondo, Alice delle questioni di cuore non ci capiva nulla.
« Sì, lui ha la mia approvazione » constatò Dominique. « E tu? Non stavi con quel…Jade? » chiese, rivolgendosi a Cathy.
« Gale. E no, non era proprio il mio tipo » ammise questa, « e poi, dopo un intero anno passato a sbavare per Alec Nott, che poi si è rivelato peggio del pus di Bubotubero, credo di volermi prendere una pausa dalle cotte e dai fidanzati. »
Alice rise per il paragone.
Quando finalmente lasciarono la Sala Grande e si recarono verso le lezioni di quella mattina, Cathy e Dominique stavano ancora discutendo sulle dimensioni apparentemente molto piccole del cervello di Nott.
Alice si era estraniata, persa nei propri pensieri; rimase in un mondo tutto suo per l’intera giornata, rimanendo cosciente quel tanto che bastava per scarabocchiare qualche appunto di Trasfigurazione mentre con la mente già vagava a ciò che sarebbe accaduto quel pomeriggio.
Quando infine arrivò l’ora del colloquio, era così nervosa che per poco non si era sgranocchiata tutte le unghie delle mani, che tremavano strette in due pugni.
Salutò le amiche al corridoio del secondo piano; poi, mentre queste si diressero nei rispettivi dormitori a preparare i bauli per l’indomani, Alice si recò verso l’ufficio della Spinnet, che le sembrava stranamente più grande e minaccioso del solito.
Alle cinque in punto bussò alla massiccia porta di legno e, solo dopo aver ricevuto il permesso d’entrare, mosse pochi passi titubanti all’interno della stanca circolare.
Le riaffiorò subito alla mente il ricordo di quella notte, e poi, immediatamente dopo di questo, uno più vecchio e sfocato, che risaliva all’inizio di quell’anno: il primo giorno di scuola, quando lei e James erano stati messi in punizione per aver scatenato una rissa ancor prima di mettere piede nel castello. Lily Potter l’aveva definito un record; lei, Alice, l’aveva definita una disgrazia.
Anche se, doveva ammettere, non proprio tutte le conseguenze di quella punizione erano state disastrose.
« Accomodati pure, signorina Paciock », disse la Spinnet con quel suo solito tono gentile ma perentorio, appostata dietro la sua scrivania ed intenta ad impilare delle pergamene che davano l’aria di essere documenti importanti.
« Grazie, professoressa. »
Quando Alice prese posto nella sedia di fronte a lei, la Spinnet sollevò gli occhi dalle scartoffie, la squadrò con gli enormi occhi azzurri e mise su un’espressione piuttosto rilassata.
« Dunque: questo colloquio ha come scopo quello di aiutarti nello scegliere quale carriera ti piacerebbe intraprendere una volta conclusi gli studi qui ad Hogwarts » cominciò. « Ti servirà anche per capire che materie scegliere per il sesto e il settimo anno. So che prendere questo tipo di decisioni è difficile, ma è fondamentale per il tuo futuro, credimi. »
Alice deglutì, tesa, malgrado l’atteggiamento empatico della professoressa.
« Allora, quali sono le tue materie preferite, ora? In quali ti reputi più portata? »
« Oh, ehm - » Alice si schiarì la voce, « be’…mi piacciono molto Incantesimi e Cura delle Creature Magiche. E sono queste le due in cui prendo dei voti più alti. »
La Spinnet annuì, pensierosa, « Capisco. E per quanto riguarda le tue aspirazioni per il futuro? »
« Uhm. Io pensavo di…ho una mezza idea per…ehm… »
La professoressa interruppe, sorridendo, il suo patetico tentativo di cercare un’aspirazione lì, su due piedi. « Non ti preoccupare » disse, « molti ragazzi alla tua età non sanno ancora quello che vogliono. »
« Davvero? » si lasciò sfuggire Alice.
« Certamente. Alcuni lo capiscono durante il settimo anno, altri solamente dopo i M.A.G.O…anzi, sarebbe più strano se ne fossi già assolutamente convinta. Comunque, viste le circostanze, io ti consiglierei di orientarti in base a ciò che più ti piace: magari portando avanti gli studi di Cura delle Creature Magiche, o scegliendo il corso avanzato di Incantesimi. »
Alice ci pensò su; era un buon punto di partenza, perlomeno. Avrebbe preso quelle materie, ne avrebbe aggiunta qualcun'altra importante – come Pozioni e Trasfigurazione – e poi avrebbe potuto cercare di farsi venire in mente qualcosa in base a queste.
Sua madre voleva che pensasse a Medimagia, ma era l’ultima cosa che Alice intendeva fare. E insegnare, come suo padre…non ci si vedeva per niente. Non era per lei. Come non lo erano una carriera da giocatrice di Quidditch professionista o una da giornalista per la Gazzetta del Profeta. Ma allora cosa era per lei?
« Hai qualche domanda? » la incoraggiò la Spinnet, probabilmente notando la vistosa riga di preoccupazione che le tagliava la fronte.
« Sì » disse Alice, « se per caso volessi – se non ci fosse nessun lavoro magico…adatto a me? »
« Be’, puoi sempre puntare su un impiego babbano, ci hai mai pensato? »
Alice scosse la testa, così la Spinnet continuò: « Sono molti adesso i maghi che scelgono questa strada, specialmente nel caso in cui dovessero sposarsi con dei babbani. Se i tuoi interessi riguardano cose al di fuori del nostro mondo… »
Alice ripensò all’amore che nutriva per la letteratura babbana, che di certo non poteva garantirle un lavoro – a meno che non esistesse un qualche tipo di posto in cui venivi pagato per leggere sempre di più.
« …non c’è alcuna vergogna nel provare cose diverse. O potresti lavorare al Ministero, che offre davvero innumerevoli possibilità… »
Il Ministero le faceva venire in mente brutti ricordi.
(Un sacco di cose le facevano venire in mente brutti ricordi. E non era salutare, per niente.)
« …ma hai ancora del tempo per decidere. Per ora, concentrati sulle materie per il prossimo anno. Pensaci bene » l’avvertì, trapassandola con un’occhiata, « una volta fatta la tua scelta, non ti sarà più permesso cambiare. »
Uscita da quell’ufficio, Alice era, se possibile, ancora più nervosa e confusa di prima.
 
 ✻

Mentre tornava verso il dormitorio, Alice poté constare per l’ennesima volta il suo complicato rapporto con il fato, che sembrava provare piacere nel farle capitare cose spiacevoli e poi ridere gustosamente di lei. E infatti, mentre percorreva un corridoio apparentemente isolato al terzo piano, incappò in una delle scene più disgustose che avesse mai visto: schiacciati contro il muro di pietra, Chris Canon e Bree-rovina-momenti erano impegnati in un allucinante scambio di saliva, che le fece drizzare i peli sulle braccia.
Non appena li avvistò, Alice sgusciò di corsa dietro l’armatura più vicina, ringraziando il cielo o chiunque avesse deciso che fosse il caso di allestire la scuola con quei singolari pezzi d’arredamento. Nascosta lì dietro, non osava allungare la testa per avere una visuale del corridoio: non ci teneva affatto, e nella mente aveva ancora una chiara immagine che non riusciva a scacciare.
Chris la teneva così stretta che fu costretta a chiedersi se Bree riuscisse almeno a respirare, in quella presa; inoltre, avvolgeva uno dei seni di lei in una stretta d’acciaio, che aveva tutta l’aria di fare un male cane.
Così gliela spremerà, pensò Alice. E poi le venne da ridere; si bloccò di colpo dopo il primo schiamazzo, appena in tempo per capire che i rumori di risucchi che quei due emettevano erano appena cessati.
« Hai sentito? » stava sussurrando Bree.
« Cosa? »
« Una risata. Forse dovremmo andarcene. »
« Siamo in un castello stregato, Bree. Probabilmente sarà stato Pix, o un fantasma. Dai, lascia perdere... »
Altri risucchi.
Alice alzò gli occhi al cielo, ma era sollevata: se l’avessero scoperta, non avrebbe mai saputo trovare una scusa plausibile per spiegare il motivo per cui si trovasse lì. Improvvisare davanti a Chris le era riuscito bene una volta, ma era meglio non sfidare la sorte di nuovo.
Cercando di fare il meno rumore possibile, Alice fece dietro-front, svoltando l’angolo del corridoio senza mai guardarsi alle spalle. Avrebbe preso la via più lunga per il dormitorio, ma non importava.
Quello che davvero contava, era l’effetto che le aveva fatto vedere quei due scambiarsi effusioni nel bel mezzo di un corridoio deserto: nulla assoluto. Il vuoto totale.
Niente guance arrossate, né moti di rabbia inspiegabile, né quel fastidioso prurito alla bocca dello stomaco che aveva provato la prima volta che li aveva visti baciarsi.
E ne era così contenta che avrebbe potuto mettersi a saltare dalla gioia.
 
Varcato il buco del ritratto, Alice mise piede nella sala comune di Grifondoro credendo di trovarla vuota come quella mattina, con la mente già rivolta verso il suo caldo letto a baldacchino – aveva in programma di saltare la cena e dormire fino alla mattina dopo. Di certo non si sarebbe mai aspettata, invece, di vedere quel mucchietto di studenti tutti ammassati in un angolo, vicino il camino, dal quale provenivano degli strani rumori di voci acute che in un primo momento non riuscì ad identificare.
Superò le poltrone e si avvicinò a Gwen, che si trovava ai margini del piccolo cerchio formato dalla folla: « Che sta succedendo? » bisbigliò.
La ragazza si voltò verso di lei con gli occhi spalancati per lo stupore. « Mitchell e la Weasley stanno per darsele di santa ragione! »
Alice ci mise trenta secondi buoni per digerire il significato di quelle parole. Mitchell e la Weasley. Non era assolutamente possibile.
Scosse la testa, incredula, ma poi sentì l’inconfondibile voce di Rose dare conferma ai suoi timori: « Va bene, ora basta. Non c’è alcun bisogno di dare spettacolo. Smettiamola. »
Alice sfruttò la sua piccola statura per sgattaiolare in mezzo agli altri, tutti molti più alti e massicci di lei, e sbucare in prima fila. La scena che le si parò davanti era a dir poco assurda: da un lato vi era Rose, in piedi, con le gote tinte di rosso e un’espressione chiaramente seccata; dall’altro c’era Jo, che si trovava vicino ad uno dei divanetti e fissava la Corvonero con occhi fiammeggianti. La tensione nell’aria era così fitta da poter essere tagliata con un coltello.
« Ma fammi il piacere, Rose » sbottò Jo, roteando teatralmente gli occhi al cielo. « Il tuo problema non è dare spettacolo, è non sapere più che diavolo dire! E non sono tutti obbligati a obbedirti solo perché sei un prefetto. O una Weasley. »
Fu come se qualcuno avesse versato addosso a Rose un secchio d’acqua gelida.
Alice fissò Jo, sconcertata: quest'ultima sapeva quanto ferisse Rose essere etichettata per la sua famiglia, sapeva quanto ci sarebbe rimasta male. Eppure, non aveva esitato nemmeno per un secondo a scagliarle addosso quelle parole.
« Attenta a come parli, Mitchell » intervenne una voce burbera di ragazzo; quando Alice, come tutti gli altri, si voltò, vide James farsi largo tra la piccola folla di studenti.
« Ecco che arriva la cavalleria. » Jo incrociò le braccia e lo guardò con le sopracciglia inarcate, chiaramente in segno di sfida.
« Non c’è bisogno, Jamie » disse Rose con calma, esprimendo tuttavia una certa risolutezza che non ammetteva obiezioni.
« Esatto, Jamie, non intrometterti » cinguettò Jo.
James la guardò come si potrebbe guardare un esemplare di Vermicolo particolarmente disgustoso. « Non sarai certo tu a dirmi quello che devo o non devo fare » le fece notare.
« Ooh, che paura! » commentò Jo, l’ironia marcata nella sua voce, « è questo il meglio che sai fare? »
« Senti un po’, razza di… »
« James » tuonò Rose una seconda volta. « Basta. »
« Ma no, finisci la frase, Potter! Insultami pure! Prendi le difese della tua adorata cugina! D’altronde è questo quello sapete fare meglio voi Weasley, no? Farvi coprire dagli altri, sempre nascosti dietro la schiena di qualcuno, con - »
« Piantala, Jo! » Rose, con il viso ormai di un intenso color porpora, era quasi sull’orlo delle lacrime. « Forse sarò anche una rompiscatole, come dici tu, ma sai cosa? I miei amici, i miei parenti, loro rimarranno per sempre al mio fianco. E sì, prenderanno le mie difese, perché è questo che si fa in una famiglia. Invece tu respingi tutti, sei così impegnata a pensare a te stessa che non ti accorgi nemmeno di ferire le persone che ti vogliono bene. Hai fatto del male a me, ad Alice, e lo farai a tutti quelli che ti si avvicineranno, perché è quello che sai fare meglio. E’ per questo che nessuno ci sarà per te, è per questo che rimarrai sola. E vuoi sapere un’altra cosa? Mi dispiace per te. »
Jo incassò il colpo con difficoltà, facendo involontariamente un passo indietro. Rose, invece, si era eretta in tutta la sua statura e aveva un’espressione incredibilmente ferita, sebbene a tratti furiosa.
 « Bene. » Fu tutto ciò che riuscì a pronunciare Jo, livida di rabbia. Poi, senza un’altra parola, questa girò i tacchi, voltò a tutti loro le spalle, e scavalcò senza difficoltà la marmaglia di Grifondoro. Poi si girò all’improvviso, rivolgendosi con occhi freddi e accusatori verso Alice– che aveva creduto erroneamente di non essere stata notata: « Vedi? Te lo avevo detto. Tu l’hai già scelto, da che parte stare. »
E detto ciò, sparì senza ulteriori indugi su per le scale del dormitorio femminile, seguita a ruota dagli sguardi curiosi dei presenti.
Non appena si fu dileguata, gli occhi di tutti i Grifondoro si puntarono su Rose, la quale tratteneva a stento le lacrime; Alice si diresse in fretta verso di lei, passandole un braccio attorno alle spalle e conducendola il più lontano possibile da lì. Fu imitata da James, il quale, grazie al cielo, si premurò di scacciare via chiunque tentasse di seguirli.
Una volta fuori dalla sala comune, Alice abbracciò Rose, tenendola stretta più che poteva. Quando infine si staccarono, Rose aveva il viso rigato da lacrime silenziose, che asciugò via velocemente con l’orlo della camicia, per poi aprirsi in un sorriso titubante.
« No, sto bene » asserì, anticipando la domanda di Alice.
« Rose » proruppe James, grattandosi la nuca, « magari potremmo… »
« Sto bene » ripeté, « davvero. Non c’è bisogno. » Rivolse loro un altro mezzo sorriso. « Devo andare in dormitorio, ora. Ho ancora un baule da riempire…ci vediamo. »
Alice restò a guardarla percorrere il corridoio con le gambe tremolanti.
« Che idiota, quella vostra amica » fu il commento di James. Anche lui fissava Rose allontanarsi, e aveva un’aria piuttosto preoccupata, conferita soprattutto dai profondi solchi sulla sua fronte.
« Eh, già. »
« Le starai vicino, no? » farfugliò poi lui, facendo cenno verso la cugina con un gesto impacciato. « Ora avrà bisogno di qualcuno, immagino…insomma… »
« Certo, James » lo bloccò Alice, sorridendo al suo tenero tentativo di affrontare un argomento che riguardasse la sfera emotiva. Provava un certo piacere distorto nel vederlo imbarazzato, perché era un sentimento che lei conosceva bene, mentre lui a volte pareva essere il ragazzo più sfrontato ed espansivo del mondo. « Le starò sempre accanto. »
 
 
Il mattino successivo, la stazione di Hogsmeade pullulava di vita, mentre centinaia di studenti si preparavano al tanto atteso ritorno a casa.
Quando l’Espresso fece il suo ingresso, rallentando progressivamente fino a fermarsi davanti a loro, l’eccitazione era ormai talmente palpabile e i giovani così irrequieti che Hagrid, incaricato di badare al trasferimento degli alunni sul treno, era sull’orlo di perdere le staffe.
Alice era sulla banchina con Rose, Cathy, Albus e Dominique, in attesa che la folla si diradasse cosicché potessero caricare anche i loro bauli.
« Spero che anche quest’anno organizzeremo qualche partita a Quidditch tra cugini » stava dicendo Dominique, splendida come sempre nei suoi jeans super-attillati. « Non vedo l’ora di battere Roxanne! »
« In bocca al lupo, allora » disse Fred Weasley, appena sbucato alle sue spalle. « Mia sorella è invincibile, Domi, persino per te. »
« Sciocchezze. »
« Se è in squadra con Lily, poi, non potrai vincere per nulla al mondo » scherzò Rose.
« Allora, Alice, che giorno hai detto che arriverai? » le chiese Cathy, lasciando i due cugini alle loro dispute.
« Credo la mattina della vigilia. » rispose lei con una smorfia, ripensando al Tè delle Streghe.
« Non vedo l’ora! Io sarò già là da Rose…arriva presto, non vorrei dover trascorrere troppo tempo sola con Albus » ridacchiò, lanciando al suddetto un’occhiata divertita.
I Potter erano vicini di casa dei Weasley, e così Albus, James e Lily passavano praticamente metà del loro tempo da Rose.
« Sì, Alice, ti prego, salvaci da questo supplizio » commentò Albus.
Alice rise, mentre Cathy assunse un’espressione di finto stupore ed esclamò: « Era mica sarcasmo, quello?! Attenzione, maghi e streghe! Albus Potter sa fare del sarcasmo! Che si avvicina pericolosamente allo scherzare. Non ti pare di esagerare un po’? »
Albus scosse la testa, sconsolato, ma Alice poté giurare di aver visto gli angoli della sua bocca incurvarsi verso l’altro.
Lasciò vagare lo sguardo tra le teste di ragazzi impegnati nell’affrettarsi a salire sul treno. Erano tutti così indaffarati che nessuno di loro si accorse dello sguardo premente di Alice, praticamente imbambolata di fronte a quello spettacolo chiassoso e, in qualche modo, caloroso.
E poi lo vide: in piedi di fianco ad una delle panchine della banchina, con il baule da una parte e una pergamena stretta tra le mani, c’era Adam Mason.
Aveva un cappello con visiera e un semplice giacca di jeans, e guardava insistentemente verso il treno, come se fosse catturato da qualcosa di molto importante o molto bello. Ed era, come sempre, estremamente carino.
Alice mosse i piedi verso di lui prima che potesse anche solo rendersene conto, ritrovandosi improvvisamente faccia a faccia con il Tassorosso. Maledisse mentalmente se stessa, pentendosi subito di quello che aveva fatto; poi si accorse che lui, ora, la stava fissando, così si schiarì la voce nel tentativo di darsi un contegno – tentativo reso vano dall’evidente espressione da pesce lesso che aveva sulla faccia.
« Ciao » disse, cercando di sorridergli nonostante l’imbarazzo.
« Ehy, Alice. » Si ricordava il suo nome se lo ricordava se lo ricordava! « Pronta a partire? »
« Direi di sì, » lanciò un’occhiata di sbieco verso il suo baule, che aveva lasciato vicino ad Albus e Cathy. Entrambi la stavano guardando da lontano, con un sguardo divertito decisamente mal celato. « Tu? Starai dai tuoi? »
Adam fece una smorfia. « Dagli zii dalla parte di mio padre. Un vero strazio. Fortuna che dopo Capodanno torno dritto di filato a Hogwarts. »
Alice annuì, comprensiva. « Io sono sotto custodia dei miei fino alla vigilia, ma poi per fortuna andrò a stare dalla mia amica Rose. »
Adam le sorrise. Per un po’ nessuno dei due disse nulla, e Alice ebbe l’oscuro presentimento che quello lì fosse stato un sorriso di congedo, che lui non stesse aspettando altro che girasse i tacchi e lo lasciasse in pace, ma poi lui sembrò farsi coraggio, e proruppe all’improvviso: « Senti, magari potremmo scriverci durante le vacanze. Insomma, se…se ti va. »
« Sì! » esclamò Alice, forse un po’ troppo velocemente. Così si schiarì una seconda volta la gola, costringendosi a darsi un tono. « Voglio dire, sì, certo che mi va. »
Adam sorrise ancora e Merlino, aveva persino le fossette. E le lentiggini. Moltissime, innumerevoli, adorabili piccole lentiggini.
« D’accordo, allora. Buone vacanze, Alice. »
« Buone vacanze, Adam. »
Quando tornò verso il punto in cui, un minuto prima, c’erano tutti i suoi amici, lo trovò deserto. In effetti, la maggior parte degli studenti aveva ormai preso posto sul treno, lasciando così la banchina molto più vuota di quanto non fosse prima.
Una voce, proveniente da qualche parte sopra di lei, la fece sobbalzare e voltare.
« Se non ti sbrighi ti lasciamo qui! »
Era Cathy, affacciata da uno dei finestrini.
« Avanti, sali, rubacuori! Abbiamo noi il tuo baule. »
Alice sorrise ed imitò gli altri salendo sull’Espresso, e raggiungendo lo scompartimento dal quale Cathy si era affacciata. In quella piccola porzione di treno era riunito un numero sorprendente di persone, tutte ammassate sui sedili come meglio potevano: Rose, Albus, Cathy, Dominique, Fred, James, Lily e Hugo, tutti intenti a scherzare e discutere in modo colorito dei temi più bizzarri. Alice non sapeva come erano arrivati a quel punto, e non ricordava il momento preciso in cui tutti loro erano diventati così amici; fatto stava che quel cambiamento le piaceva, e sperò con tutto il cuore che non fosse l’ultima volta che vedesse quello stesso scompartimento così pieno da scoppiare.
E quando prese posto, arrancando, accanto al finestrino, ripensò ad Adam Mason e alle lettere che avrebbe scambiato con lui nei giorni seguenti, non accorgendosi neanche del sorriso che, inevitabilmente, le increspò le labbra. 
  
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