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Autore: EleEmerald    04/07/2015    1 recensioni
 Dal decimo capitolo:
"Io vi maledico" disse. "Maledico tutti gli uomini di questo mondo. Tutti gli uomini che si metteranno sulla strada di mia figlia e delle sue nipoti. Quando ingannereto loro, come avete ingannato me, esse vi uccideranno. Sarà l'ultima azione sbagliata che compirete perché le mie figlie vi perseguiteranno, vi inganneranno e saranno la vostra rovina. E poi vedremo, come ci si sente a stare dall'altra parte del manico."
.
Quando Matthew Williams, un tranquillo ragazzo di diciassette anni, incontra Elizabeth, di certo non si aspetta che quella ragazza lo porterà incontro a tanto dolore. Ma, dopo averla ritrovata in un bosco ricoperta di sangue, non rimanere implicato nelle sue faccende è quasi impossibile. Le prove che dovrà affrontare si riveleranno più complicate di come sembrano e, inesorabilmente, si ritroverà a perdere molto di più che la sua semplice normalità. Implicato tra leggende e antiche maledizioni, vivrà, oltre ai momenti più brutti, anche quelli più belli della sua vita.
Genere: Azione, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 14: Bugie e verità

- Matthew, mia nonna è morta.
Elizabeth si lasciò cadere sul letto, con ancora la scatola del Monopoli tra le mani, incredula. Fissava il vuoto e aveva un'espressione ferita.
La circondai con le braccia e la trascinai verso di me finché non arrivò ad appoggiarsi al cuscino, poi l'abbracciai tenendola stretta.
- Mia madre ha detto che era morta. Era morta.
- Calma. - Appoggiai il mio viso tra i suoi capelli. Profumavano di miele.
- Lei è morta - ripeté.
Con fatica, cercai di spostarmi ma Elizabeth mi afferrò il braccio. Non avrei voluto, ma feci in modo che allentasse la presa e le sfuggii. Mi misi divanti a lei. Le sorrisi, le presi le mani e gliele strinsi. Ma lei non voleva una semplice stretta di mano: si gettò tra le mie braccia con un tale impeto da sbalzarmi all'indietro e l'unico motivo per cui non finii sdraiato fu che misi una mano sulle coperte e mi ci aggrappai. Ripreso l'equilibrio, cominciai a sussurrarle all'orecchio che andava tutto bene e le accarezzai i capelli.
- Ci sono io - sussurrai.
Chiusi gli occhi e cercai di godermi il momento. Non sentivo più il dolore alla testa.
- Sono stata al suo funerale.
- Mi dispiace.
- Sono stata malissimo.
- Mi dispiace, Elizabeth.
- Lei è viva. - Mi strinse il braccio.
- È viva - ripetei.
Mosse la mano sulla mia schiena, provocandomi dei brividi.
- Grazie, Matthew.
Sorrisi.


 

Due ore dopo, Elizabeth mi stava decisamente battendo a Monopoli. Aveva cominciato già nel primo giro, dove aveva atteso senza comprare caselle finché non era caduta su quelle più costose e, già che c'era e avendo soldi, aveva comprato anche delle case, facendomi perdere molti biglietti una volta finitoci sopra. Nel secondo turno, aveva comprato altri terreni, anche meno costosi, ormai il suo obbliettivo era compiuto. Mai una volta che finisse sulle mie caselle. Alla fine capitai nel suo albergo e, dovendo darle duecento dei soldi del Monopoli, finii in bancarotta.
- Come hai fatto? Nessuno ha mai terminato una partita a questo gioco, figuriamoci vincere - dissi ancora stupito.
- Perché non avevi mai giocato contro di me. Chiedi a Thomas, se tutti quegli anni a Natale non l'ho stracciato. - Aveva un'espressione molto soddisfatta. Ero felice di vedere che si era ripresa.
Ero felice con lei.
Per la prima volta lo capii e lo accettai: quello che provavo per Elizabeth non era la semplice infatuazione che avevo avuto la prima volta che l'avevo vista, non era la cotta che mi ero preso per la ragazza del mistero con cui avevo litigato la mattina dell'ultimo dell'anno. No, quello era passato molto tempo prima. Quello che provavo per lei era qualcosa di più grande, qualcosa che non avevo mai sentito prima per nessuno. Io ero innamorato di lei.
Avrei voluto baciarla.
Mi avvicinai tantissimo a lei e la vidi arrossire, ma non si ritrasse. Incominciai a farle il solletico e lei si piegò in due dalle risate, cercando di allontanare le mie mani.
- Smettila - disse con le lacrime agli occhi per le risate.
Scivolò giù dal letto e io sentii un tonfo, così mi sporsi a guardare. Era accovacciata contro il materasso e si teneva la pancia.
- Non farlo mai più. - Rise.
- Non posso promettere niente. Hai fame?
Elizabeth annuì.
Mi alzai in piedi e aiutai lei a fare lo stesso tendendole una mano.
Arrivati in cucina, cominciai ad armeggiare con le pentole.
- Che fai? Sei malato. Sei svenuto. Dovrei prepararti io qualcosa - disse.
- È casa mia e poi sto meglio. Ho preso un'aspirina. Sei una brava infermiera. - Ricordai per un momento Margareth, che una volta lasciata la scuola voleva studiare medicina e diventare un medico, e misi a confronto i sentimenti che avevo provato per lei con quelli che sentivo per Elizabeth. Erano diversi perché gli ultimi erano più intensi. Non avrei mai potuto lasciare andare Elizabeth come avevo fatto con la mia compagna di nuoto.
- Cos'hai fatto nel tempo in cui ho dormito? - chiesi mentre indicavo alla bionda dove trovare le posate per apparecchiare la tavola.
- Mi sono presa cura di te...e mi sono annoiata.
Una trentina di minuti dopo, pronte le bistecche, ci eravamo seduti in tavola e le avevamo divorate. Poco dopo averle finite, suonarono alla porta.
Elizabeth disse che sarebbe andata lei ad aprire perché io non dovevo prendere freddo. Si alzò dalla sedia ed uscì dalla cucina. I suoi passi erano rumorosi e la porta si aprì con una cigolio.
- Cosa ci fai tu qui? - chiese la voce di Thomas.
Mi alzai dalla sedia e raggiunsi Elizabeth.
- Ciao Thomas! - lo salutò lei.
- Sono venuto a portare i libri di Matt, quelli con le cose da studiare - disse vedendomi arrivare. - Idea di Iris. - Fece cenno alla sua macchina, nella quale Iris era seduta tranquilla.
- Grazie.
- Che ci fai tu qui? - chiese di nuovo spostando lo sguardo verso la cugina e poi verso di me, alzando le sopracciglia.
- Sono venuta a vedere come stava.
- Certo - disse non troppo convinto. - Torno a scuola. Devo ancora pranzare e tra mezz'ora ricominciamo le lezioni. Dovresti fare lo stesso Lil. Vuoi un passaggio? - Non sapeva che in realtà lei non ci era proprio andata quella mattina.
Elizabeth scosse la testa. - No non preoccuparti.
- Non ti lascio andare a piedi. Forza, sbrigati.
La ragazza mi lanciò uno sguardo, voleva restare, ma sapeva che convincere Thomas era quasi impossibile. - D'accordo. Ciao Matthew.
- Ciao Elizabeth.
Uscì dalla porta con il cugino e mi lasciò nel silenzio.


 

Quando finalmente la febbre mi passò e potei tornare a scuola, andai in cerca di Elizabeth nei corridoi. Una volta davanti al suo armadietto incontrai Hannah. Aveva i capelli legati in una coda e indossava una maglietta a maniche corte, era sicuramente appena stata in palestra per l'ora di ginnastica.
- Non c'è - disse soltanto.
- Cosa? - chiesi confuso.
- Elizabeth ha la febbre. È assente.
- Ah okay. Grazie.
E si allontanò. Sembrava nervosa.
Alzai le spalle tranquillo e mi diressi dai miei amici.
Mentre percorrevo il corridoio scrissi un messaggio ad Elizabeth: "Evidentemente stare abbracciata ad un ammalato per troppo tempo, fa prendere anche a te la febbre."
Mi guardai intorno per cercare faccie conosciute ma notai soltanto ragazzi che parlavano vicino agli armadietti e altri che si dirigevano in fretta verso le aule.
"Blu" mormorò il mio telefono, vibrando. Lo presi in mano e lessi la risposta di Elizabeth: "Ne è valsa la pena."
Un sorriso si fece largo sul mio viso.
Iris e Thomas parlavano tranquillamente, come ogni giorno, quando arrivai da loro. La rossa portava i capelli sciolti e indossava una gonna che le arrivava sopra il ginocchio. Era davvero molto bella. Thomas si voltò verso di me e annunciò che mi doveva parlare. Guardatosi intorno, mi prese da parte.
- Non ho mai visto Elizabeth così, con quella luce negli occhi - disse posando i suoi occhi su di me.
- Cosa intendi? - chiesi.
- Non so se questo valga anche per lei, ma so riconoscere lo sguardo di una persona... - Si bloccò. - Felice. Quindi, Matt, so che ti ho già fatto un discorso del genere ma, a Capodanno, era solo per farti capire che non dovevi giocare con lei. Adesso però lei è molto più importante per te e so che non la deluderai. - Si fece serio. - Non provarci nemmeno.
Alzò i suoi occhi su Iris e la sorrise per poi dirigersi verso di lei. Li raggiunsi e proposi di andare a lezione. I due si avviarono mentre io mi fermai per qualche passo a guardarli. Cosa voleva dire Thomas sullo allo sguardo di Elizabeth? Ero sicuro che la prima parola che aveva pensato non era stata "felice". Una parte di me provava gioia mentre l'altra si chiedeva se i miei sentimenti erano davvero così facili da decifrare o Thomas sapeva leggermi perché era il mio migliore amico. Tornai a guardarlo. Anche lui ora avevo una strana luce negli occhi, ma era felice perché era con i suoi amici o era innamorato di qualcuno?
Iria scoppiò in una fragorosa risata e spintonò Thomas. Si trattava di lei? No, non poteva essere, erano solo loro. Un'amicizia nata da una promessa.
Sospirai e li raggiunsi in classe.


 

Quando mi misi in macchina per tornare a casa dopo le lezioni, ricevetti un messaggio da parte di Elizabeth. "Vieni al bosco, ti prego. Parcheggia la macchina in un punto non troppo in vista."
Eseguii i suoi ordini, chiedendomi per quale motivo una ragazza ammalata dovesse girare per i boschi. La strada sfilò velocemente intorno a me mentre svoltavo prima a destra e poi a sinistra. Arrivatovi davanti, mi fermai per capire dove lasciare la macchina. Qualsiasi posto davanti agli alberi era troppo in vista. Sbuffai e premetti il piede sull'accelleratore per allontanarmi da lì. Qualche metro più avanti, trovai una piccola insenatura nascosta dove potevano essere parcheggiate almeno due macchine quindi feci le giuste manovre e scesi dall'auto. Corsi sul ciglio della strada guardandomi intorno, nel tentativo di riconoscere gli alberi più vicini alla piccola radura con il masso dove avevo incontrato Elizabeth la seconda volta, in modo da poterla raggiungere con più facilità, sicuro che l'avrei trovata lì. Osservai bene un pino e alla fine decisi di addentrarmi nel bosco. Un'aria umida mi avvolse. Tutto era più scuro e freddo e degli aghi di pino caduti formavano un tappeto per terra. Camminai per un po', scostando i rami che mi impedivano il passaggio. Perché Elizabeth voleva che ci incontrassimo in quel posto?
Poi, improvvisamente, sentii una mano affermarmi da dietro e coprirmi la bocca, impedendomi di urlare. Cercai di uscire dalla presa del mio assalitore ed egli perse la presa su di me, giusto il tempo di voltarmi, poi mi coprì di nuovo la bocca. Io sgranai gli occhi vedendo Elizabeth.
- Shh. Stavi facendo troppo rumore. - Tolse la sua mano dal mio viso. - Un appunto per me: sei troppo grosso perché io riesca a tenerti fermo.
- Cosa facciamo qui? - mormorai.
- Seguiamo mia madre. È uscita con la scusa di andare al centro commerciale ma non ha preso la macchina, così l'ho seguita. Deve incontrarsi con qualcuno e spero sia la nonna.
Proseguimmo a passo lento, cercando di non pestare rami secchi per non fare rumore. Gli alberi iniziarono a frusciare a causa del vento e finalmente, arrivati quasi alla radura, la zona si fece più illuminata. Un brusio di voci iniziò a fare rumore ed Elizabeth mi spinse contro un albero dicendomi di rimanere fermo e zitto. Lei fece lo stesso, acquattandosi di fianco a me.
- ...si farà del male - sentii dire, riconoscendo la voce della madre di Elizabeth.
- Lo so. Dov'è lei adesso? - domandò una donna.
La mano di Elizabeth afferrò la mia con forza. Era la voce di sua nonna. Le sue labbra si mossero ma le parole le morirono in gola.
- A casa. La sto tenendo d'occhio, per evitare che vada da lui, evito di controllarla solo durante l'orario scolastico. Non l'ha visto in questi ultimi giorni... - disse sua madre.
Io ed Elizabeth ci lasciammo andare in un respiro di sollievo, non sapeva del nostro incontro.
- ...dopo le minacce.
- Hai applicato il mio metodo, allora.
- Si. Ma non mi piace molto il fatto che avevi ragione - disse sfregandosi le mani come faceva Elizabeth quando era nervosa.
- Perché? Hai paura che tenga a lui? - Sua nonna era molto tranquilla, di una tranquillità che metteva paura.
Isabelle annuì.
- Se ha rispettato le tue minacce é tutto il contrario.
- Cosa intendi dire?
- Se Elizabeth avesse davvero tenuto ad un ragazzo, non si sarebbe fatta scoraggare da una semplice minaccia - affermò.
La ragazza allontanò la sua mano dalla mia e io mi voltai a guardarla ma lei abbassò gli occhi. Era davvero come diceva sua nonna?
- Era una minaccia di morte, mamma. Elizabeth mi ha vista uccidere, sa che posso farlo.
- Conosco mia nipote, non le sarebbe importato - disse la nonna con un gesto della mano.
- Conosco mia figlia meglio di te - ringhiò Isabelle.
Mi sporsi a guardare la scena. La donna più giovane aveva le mani strette a pugno e un'espressione arrabbiata, mentre la più anziana aveva lo sguardo calmo e le braccia erano lungo i fianchi.
- Cos'hai Isabelle? - chiese quest'ultima.
- Credi di conoscere Elizabeth quando te ne sei andata al suo decimo compleanno, facendoti credere morta. Non hai fatto altro che pretendere da lei, per tutta la vita. Le hai dato lezioni di francese a otto anni, le hai raccontato le leggende a tre. Ha passato la sua intera vita conoscendo tutto. Sapeva che avrebbe dovuto uccidere suo padre a quattro, sapeva che i ragazzi l'avrebbero fatta stare male a cinque. Anche lontana da lei hai preteso che fosse un'assassina, come tutte noi, non hai sperato neppure un attimo che fosse lei la ragazza della profezia, che forse avrebbe potuto vivere felice.
- L'ho sperato. Perché mi stai dicendo tutte queste cose adesso?
- Lo sto facendo perché non voglio che mia figlia soffra e non voglio che tu mi illuda che io stia riuscendo ad allontanarla dal ragazzo. - La guardò dritta negli occhi.
- Non capisco.
- Nemmeno io. - La madre di Elizabeth si voltò e andò via, dalla parte opposta in cui eravamo nascosti noi, lasciando tutti, io, Elizabeth e sua nonna, a bocca aperta.
La ragazza si voltò verso di me e mi abbracciò, di slancio, senza pensare al rumore che avrebbe potuto fare. Io la strinsi molto forte e affondai il viso tra i suoi capelli. Mi piaceva abbracciarla, mi piaceva ogni sorta di contatto con lei.
Udii un rumore di passi e lasciai andare Elizabeth. Sua nonna stava vedendo verso di noi, quindi afferrai la ragazza e mi gettai per terra tirandola giù con me, dietro ad un cespuglio. La donna passò senza vederci.
- Perché mi ha mentito? - mormorò da sotto il cespuglio la ragazza, rivolta a sua nonna. - Mi hai abbandonato.
Non sapevo se avessi dovuto dire qualcosa. La nonna di Elizabeth le aveva raccontato ogni cosa da bambina, privandola dei pochi anni di spensieratezza che avrebbe potuto vivere. Lo aveva detto Isabelle. Ma perché allora lei le voleva bene?
Quando ci fummo assicurati che eravamo soli, Elizabeth uscì dal nascondiglio e si diresse alla radura. La seguii e la vidi sedersi sul masso.
- Mia nonna era molto severa. Più severa del professore di fisica - disse facendo una risata forzata. - Si occupava di me come se non avessimo nessuna parentela. Quello che ha detto mia madre è vero, mi ha raccontato tutto a tre anni ma inizialmente non credevo che quelle cose sarebbero dovute capitare anche a me. È stato quando l'ho capito, a cinque anni, che ho iniziato a desiderare di scappare sull'Isola Che Non C'è. Sapevo un sacco di storie sulle mie antenate, tranne l'ultima che ti ho detto, quella della chiromante. Mia nonna aveva evitato di dirmelo. L'ho scoperto a soli dieci anni, poco prima che se ne andasse, origliando diverse conversazioni. Quando le ho chiesto perché non me l'aveva raccontato mi ha detto che non lo aveva fatto perché quel racconto era inventato. Se n'è andata un mese dopo, il giorno del mio compleanno. Mia madre ha detto che era morta, un incidente. Le ho creduto anche se non ho mai visto il corpo, non volevo vederlo. Mi ha messo in punizione tante volte ma ho sempre pensato che mi volesse bene. Sono affezionata a lei, nonostante mi abbia lasciata senza spiegazioni, con una bugia, facendomi piangere tutte le lacrime che avevo in corpo. Quando mi hai detto che l'avevi vista viva all'inizio non volevo crederci e poi ho cominciato a pensare che, se era vero, era stata un'idea di mia madre. Ma non è così, ne sono certa. Mia nonna ha preso ogni decisione da sola, per tutta la vita, e anche ora è così. Una delle storie che volevo raccontarti è proprio la sua, che ho conosciuto grazie a mia madre, due anni fa, mi ha anche confermato che la storia della veggente era vera. - Si lasciò scivolare giù dal masso e vi si appoggiò con la schiena.
Rimasi in silenzio, aspettando che Elizabeth mi raccontasse la storia di sua nonna ma non arrivò. Lentamente e con cautela, mi appoggiai di fianco a lei.
- Cosa si prova? - mormorò. - Cosa si prova a sapere che la sera cenerai con entrambi i tuoi genitori, che di notte sentirai i loro respiri nella stanza vicino, che troverai sempre entrambi ad aspettarti?
Mi lasciai andare in una risata. - Penso di non essere la persona giusta a cui chiederlo.
Elizabeth mi guardò con un'espressione confusa.
- I miei genitori non stanno più insieme da sette anni. Mio padre ha tradito mia madre e lei l'ha buttato fuori di casa. Lui sta con un'altra e tra qualche mese avrò un fratellastro. I miei genitori si odiano.
- E tu non odi tuo padre?
- Per tanto tempo sono stato convinto di si. Ora non lo so...l'odio è un sentimento così forte. Provo rancore, questo si. E sono arrabbiato, da anni, e non l'ho ancora perdonato.
La ragazza rimase zitta per un lungo momento e poi mi prese la mano, stringendola. - È uno dei sentimenti più sbagliati che potrei provare adesso ma sono...sollevata.
Ero confuso. Sollevata?
- Tu puoi capirmi e ne sono contenta.
- Non volevi una risposta? - chiesi.
- Forse no. Ho sempre vissuto con la gelosia verso le famiglie felici: quella di Thomas, di Hannah e altre. Andavo da loro e venivo inondata da amore. Quell'amore che io non ricevevo davvero.
- Tua madre... - cercai di dire.
- Mia madre mi vuole bene, ma tu lo sai che riceverlo da una sola persona non è proprio il massimo. Non se tua nonna ti tratta e ti dice bugie come faceva con me tutti i giorni.
Annuii.
- Credevo che sapessi che i miei genitori avevano divorziato. Insomma, sei una specie di stalker. Hai trovato da sola il mio numero - dissi per farla ridere.
- Ho fregato a Thomas quello di cellulare la sera del ballo. E in quanto a casa tua, esistono quei giornali con i numeri di tutta la città. Non sono una stalker - rispose imbronciata.
- Perché hai preso il mio numero la sera del ballo? - chiesi ammiccando.
Lei rise. - Era da un po' che ti osservavo.
- Allora si che sei una stalker - esclamai.
- No - disse di nuovo ridendo.
- Sarà di famiglia. - Ripensai a sua madre e alle minacce. Ma non volevo che ci rovinasse quel momento quindi cercai di dimenticare tutto, almeno per un po'.
- Davvero mi osservavi?
Elizabeth annuì, arrossendo leggermente. - Non saprai altro, Matthew.
Cercai di protestare ma lei mi fece cambiare argomento.
- Ma tu non eri ammalata?
- Lo sono. Ma dovevo venire qui. Passarono minuti, nei quali rimanemmo soltanto vicini, seduto uno di fianco all'altra, ad osservare gli alberi. I silenzi non erano imbarazzanti con lei, non lo erano mai stati.
- Ti fidi di me, Elizabeth? - chiesi a bassa voce.
- Certo, Matthew. Mi fido di te. - E sapevo che quello era davvero molto per lei. Significava più delle sciocche promesse che si facevano tante persone, quello che intendeva Elizabeth andava oltre seicento anni.
Non feci quello che avrei voluto, rimasi soltanto vicino a lei, stringendole la mano, per simbolareggiare che la sua fiducia era ben riposta.



Angolino dell'autrice: Eccomi qui! Ho aggiornato appena ho potuto. Mi piace molto la fine di questo capitolo quindi spero che sia piaciuta anche a voi, fatemelo sapere. Forza recensite che mi fate contenta. Davvero, le recensioni mi migliorano sempre le giornate. Ci "vediamo" al prossimo capitolo!
  
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