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Autore: DO4PE    04/07/2015    0 recensioni
Sotto le spoglie di esistenze abiette si annidano le sembianze autentiche di vite anomale.
Genere: Fluff, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Vittoria è lì nella sua torre che in realtà è un casolare, né lei una principessa, ma l'attesa la fa sentire in trappola e segregata in una prigione senza accesso o uscita.
Sono state due settimane vuote si potrebbe dire, ma si sente disgustata dai pensieri che pensa perché ha sempre detto a tutti "fai in modo che ciò che ti rallegra non sia l'unica tua fonte di felicità". E così pensa ad altro, ai suoi capelli orridi, alle scarpe da lavare e i libri da finire, ma quel tarlo, quelle orchestre che suonano contemporaneamente e non si stancano quasi mai si fermano ogni tanto e torna imperituro un solo pensiero: dove sei, Tullio?
Le aveva detto "devo partire e non puoi venire con me. Tornerò un giorno, tu prendi questo piccione, sa dove abito, e quando proprio non ne puoi più, quando hai tanto bisogno di parlarmi, prendi un foglietto da quel blocco e scrivimi. Io ti aspetto. Non disprezzarmi per la mia codardia".
Così oggi Vittoria si è detta che basta, deve parlare con parole autentiche e vive. Deve mandare un pezzo di carta alla persona che non ama perché non si amano loro, no davvero. Amare implica che si doni qualcosa all'amato e Vittoria ha sempre espresso la sua volontà d'essere integra; Tullio muove ritmicamente la testa dall'alto verso il basso. E' giusto così. L'amore implica gelosia e possessione, sfiorisce e non torna più. Vittoria e Tullio si comprendono, sforzano di comprendersi, ma il mondo è pieno di variabili e spesso restano in silenzio. Un giorno erano su una panchina e Tullio disse "quando abbiamo smesso di parlare?" ma Vittoria non se ne era accorta perché è così naturale stare insieme; nessun loro silenzio è opprimente o inopportuno.
Come Tullio ascolta e accetta in silenzio le bizzarrie della sua amica, così Vittoria accetta le decisioni incomprensibili del suo caro, ma prende un solo foglietto delicato e sottile e scrive: "Caro Tullio, in questo pomeriggio uguale a tutti gli altri ti sto pensando. Spero che anche tu abbia il coraggio di farlo". Lo lega al piccione e libera quest'ultimo urlando "pussa via e torna subito!". Poi lo segue con lo sguardo fino a quando non diventa un minuscolo puntino nel cielo blu e pensa "spero ti sia già arrivato".

Avrà dodici o tredici anni l'Ariano, e tutti lo chiamano così perché è biondo, lo sguardo corrucciato ad ogni ora - credetemi, anche nel sonno - ed è facilmente irritabile.
A vederlo direste che è un vecchio, di quelli che stanno al circoletto il pomeriggio ed esclamano improvvisamente "sono già le sette!" perché le sette sono vicino alle otto e alle otto si va a casa, si mangia e poi si dorme ed un altro giorno si è concluso senza morire, benché questa trafila non abbia più alcun senso. Ma l'Ariano, come gli anziani giù al circolo, omette il "finalmente!" in "sono già le sette!" e quindi serbano nel loro intimo quell'angosciante sensazione opposta a quella provata dai giovani: il tempo non finisce mai e per molti i tramonti sono tutti uguali ed i colori gli stessi. L'Ariano non è malvagio, è solo prematuramente stanco. Ciondola per la strada, si siede sotto agli alberi, spia i bambini che giocano allegri, si avvicina al lago. Porta sempre con se una borsa di tela, non metaforicamente riempita di sassi. Ne prende uno e lo pesa, ci gioca con le mani. A volte li lancia nel lago, a volte sulla sabbia. Oggi non è un giorno speciale, ma colpisce un piccione. Si avvicina e nota che c'è un messaggio allegato vicino alla creatura morente, ma senza nemmeno leggerlo lo prende e lo getta nel lago. Il lago lo distrugge e il fondo lo divora.

Raccoglie la legna ogni giorno, sempre di più. Nel bosco vicino casa non c'è mai anima viva, alcuni animali, ma loro non parlono e non gli ricordano nulla. A parte i gatti, perché lui è un gatto e sa aspettare pazientemente anche se non gli garba. Sta tentando di non ricordare nulla, perché per Tullio ogni ricordo potrebbe essere doloroso, ora come ora. Si dice "è la scelta giusta; quando mi scriverà io sarò come lei, mi batterà il cuore nello stomaco ed ogni cosa che leggerò sarà come vederla. E se ciò non accadrà le dirò cose spiacevoli, ma necessarie. Sarò sincero". Ma ogni giorno che passa nessun uccello arriva, e gli si piegano gli angoli della bocca: dove sei, Vittoria?
Ed ogni sera, quando torna a casa, Tullio chiede ai suoi cari se abbiano visto un piccione o un uccello o un falco o qualsiasi cosa che avesse le ali arrivare a casa e portare un messaggio. No.

Altre due settimane e niente parole, ma questo è un silenzio opprimente, indesiderato, insopportabile. Mamma - è di Tullio, ma anche Vittoria la chiama così quando parlano di lei - ha comprato un telefono e le hanno dato un bel libro in cui ci sono tanti numeri, di tutta la regione. Così Tullio prova.
- Pronto?
- Chi è?
- Sono io.
- Ah, sei tu.
- Perché non mi hai scritto?
- L'ho fatto. Ma i piccioni sono creature orrende, sicuramente si sarà accoppiato ed avrà perso il messaggio.
- Ora torno.
- Mi sei mancato tanto.
- Ti abbraccio forte.
- Pussa via e torna subito.
  
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