Film > La Bella e la Bestia
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Autore: VeronicaDauntless    04/07/2015    3 recensioni
Nelle fiabe, a volte, i sogni si avverano. E se sognaste di cadere in un pozzo guardando il vostro riflesso? Fin da bambina la più grande paura di Belle è quella di addormentarsi, quella di sognare. Non immagina che di lì a breve, tentando di salvare suo fratello, si sarebbe ritrovata prigioniera di una bestia.
Dal prologo: "Avrebbe potuto dire di aver perso la sua umanità molti anni addietro, ma la verità era che non l’aveva mai avuta. [..]Questa non è la sua storia. Questa è la storia di come il suo cuore riprese a battere."
Genere: Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adam, Belle, Gaston, Lumière, Quasi tutti | Coppie: Adam/Belle
Note: Movieverse, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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                Image and video hosting by TinyPic 16- Casa

Casa non le era mai sembrata così bella. Vestiti comodi, acqua calda che usciva dal
doccione, phon, cibo preconfezionato, riscaldamenti, nessuna fontana assassina o lupi e
soprattutto nessun incubo. Non sognava da quando era tornata ed erano passati giorni 
ormai. Sua madre aveva quasi avuto un infarto quando l’aveva vista. L’aveva stretta con
tanta forza da soffocarla quasi e anche Dominic era stato più affettuoso del solito. Non 
aveva saputo che scusa inventare per il fatto di essere sparita per un mese, così aveva 
semplicemente detto la più assurda delle bugie. Non ricordava nulla. Assolutamente nulla.
Christian l’aveva trovata priva di sensi in un vicolo della città e l’ultima cosa che ricordava
era che era uscita di casa la mattina in cui era scomparsa. Sua madre non aveva indagato
oltre, le aveva solo chiesto centinaia di volte se stesse bene. In effetti, tutte quelle attenzioni
non le dispiacevano. Veniva coccolata, viziata e, per la prima volta da tanto, ascoltata.
Quello che non aveva apprezzato erano state le attenzioni della polizia. L’avevano 
sommersa di domande, scrutandola come se fosse una pazza o una bugiarda. E non 
avevano tutti i torti. Ma lei aveva continuato a sostenere la sua tesi. Non ricordava nulla.
Inoltre Christian aveva detto di averla trovata a terra, svenuta.
Aveva dovuto fare anche una visita medica di accertamento dei “danni”, ma l’unica lesione
che avevano trovato era stato il livido che aveva sul polso sinistro, dove la bestia l’aveva
afferrata per portarla nelle segrete. Alla fine i poliziotti avevano lasciato perdere, almeno 
finché lei non avesse ricordato qualcosa che potesse aiutarli nelle indagini.
Christian era diventato più protettivo nei suoi confronti, come tutti del resto. Ogni notte, prima 
di andare a dormire, socchiudeva appena la porta della sua stanza e le chiedeva se fosse
tutto okay.
Aveva sfiorato più volte il pensiero di raccontargli tutta la storia, di Rosaline e dei suoi sogni, 
ma ogni volta scacciava quell’idea.
Inoltre, che importanza aveva più? Ora che Christian aveva rotto lo specchio, non avrebbe 
più rivisto il castello, né tanto meno Adam.


Aveva riposto quel poco che restava del fiore sotto una piccola teca di vetro, l’aveva
lasciato al buio, in una stanza dove non sarebbe entrato mai più, dove non avrebbe più
potuto vederlo. Aveva chiesto alla strega di proteggerlo con un incantesimo, così che non
sarebbe appassito mai, così che ci sarebbe sempre stato almeno quel flebile ricordo.
Avrebbe voluto distruggerlo, bruciarlo, stringerlo tra le mani finché tutto il suo colore non
l’avesse abbandonato, scorrendo sulle sue mani colpevoli, ma non aveva potuto, perché 
ora quel sottile petalo rimasto conteneva tutta la sua anima. E lui non era altro che un 
corpo vuoto.
Aveva dovuto, aveva dovuto lasciarla andare. Lì, costretta in quelle mura, con una bestia
che non aveva fatto altro che mentirle, sarebbe morta. E lui non avrebbe sopportato che 
quella luce nei suoi occhi si spegnesse, non se lo sarebbe mai perdonato.
Aveva sempre creduto di essere solo un mostro e che nessuno avrebbe mai potuto 
salvarlo, ma, quando quella notte aveva visto per la prima volta i suoi occhi, l’aveva sperato
con tutto se stesso. Aveva sperato che potesse essere salvato, redento, per poter essere 
degno di quello sguardo. Si era aggrappato con disperazione alla speranza che potesse 
anche solo avvicinarsi a quell’anima che vedeva attraverso quegli occhi.
E aveva quasi creduto che il suo desiderio potesse avverarsi. Ma quella notte, di fronte 
all’orrore che riempiva il suo sguardo, aveva capito che lui non sarebbe mai stato altro che
un animale che un tempo era la brutta controfigura di un uomo. Il suo cuore, che così
timidamente e sorprendentemente aveva ripreso a battere, nutrito da un sentimento che 
credeva gli sarebbe stato per sempre estraneo, si era infranto definitivamente, finché non ne
era rimasto altro che un muscolo avvizzito di cenere molle. Lo sentiva ancora sanguinare 
copiosamente, strappato all’anima che lui aveva rinchiuso in una teca impolverata, 
nascondendola, preda del ricordo di un’altra anima affine, ora troppo lontana.
E avrebbe voluto rincorrerla, fermarla, costringerla a tornare da lui, quell’anima, perché il primo
istinto di chi non trova aria è spalancare la bocca e respirare, e perché se il suo cuore non
fosse tornato a battere, lui sarebbe morto.
Ma non aveva potuto. Per la prima volta in tutta la sua vita, aveva sentito il bisogno di
mettere la felicità di qualcun altro prima della propria.
Così, aveva perso l’aria per i suoi polmoni, la benda che gli teneva in vita il cuore e né le
urla né la furia con cui aveva distrutto ogni cosa nel castello, nella serra, avevano potuto
lenire quella mancanza.
Si era rinchiuso in una stanza, a fissare il vuoto con lo sguardo perso, sopraffatto da un 
dolore che non conosceva e che era molto più forte di lui, tenendo lontano il pensiero della
rosa e dell’ultimo sogno che gli era rimasto.


Mi sono sentito uno stupido, sai?, le aveva detto quella sera, quando aveva bussato alla
sua porta, come ormai faceva sempre. Insomma, urlavo il tuo nome al vento e ho pensato,
ecco, ora quella bestia mi sente e mi riduce a polpette, ma non sapevo se fossi ancora nel
castello e magari, se mi avessi sentito.. non ho riflettuto molto.

Oh, Christian, non era riuscita a non rispondere, non è una bestia.
Suo fratello l’aveva guardata, aspettando che continuasse, ma lei era rimasta in silenzio, 
restituendogli lo sguardo.

L’importante ora è che tu sia qui, aveva sussurrato alla fine e, dopo averle sorriso, l’aveva 
lasciata sola.
Già. Lei era lì, a casa, quello era l’importante. O no?
Sospirò, esasperata, rigirandosi ancora una volta nel letto. Non avrebbe mai detto che i suoi
sogni le sarebbero mancati, ma la sua mente la stava torturando con quel silenzio ad oltranza.
Scalciò via le coperte, si alzò e avanzò scalza fino alla cucina. Si raggomitolò sul divano,
avvolgendosi con una coperta e accese la tv. Poco a poco, mentre attori e telecronisti si 
susseguivano sullo schermo, gli occhi le si fecero pesanti e fu avvolta dall’oblio.  


Sbatté le palpebre più volte, guardandosi intorno e non poté fare a meno di sorridere.
Stava sognando. Portava l’abito verde e bianco che aveva indossato per andare alle serre
con Adam, prima che scoprisse la verità su Rosaline e su Leon. Si scostò i capelli dal viso,
cercando di capire dove fosse. Di fronte a lei si allungava una scalinata di marmo bianco 
spezzata in più rampe, i cui tasselli erano bianchi scalini rovinati dal tempo, costellati di 
crepe. Ad ogni curva, una finestra rettangolare lasciava intravedere un prato secco, 
circondato da un alto cancello di ferro e più su, la notte. Alle sue spalle occhieggiava una
porta, anch’essa totalmente bianca, socchiusa. Soppesò l’idea di continuare a salire, ma 
alla fine optò per la porta, ritrovandosi in un ampio androne dalle pareti bianche e le grandi
finestre, arredato solo con due tavoli rotondi e qualche sedia sparsa qua e là, molte delle 
quali rotte o con i piedi spaccati. L’edificio doveva essere stato abbandonato anni prima, il
pavimento era ricoperto da uno spesso strato di polvere, i vetri erano sporchi e in molti angoli
i ragni tessevano silenziosi le loro ragnatele. Aprì l’unico altro uscio della stanza e attraversò
il corridoio costellato di soglie chiuse, finché non arrivò ad un’ altra porta, più grande, provò 
ad aprirla, ma doveva essere chiusa a chiave. Sembrava una specie di ospedale o ricovero.
Chissà perché avevano smesso di utilizzarlo.
Si avvicinò ad una delle tante porte, spingendola delicatamente, e guardò dentro. C’erano
solo due letti e un piccolo armadio, la solita finestra rettangolare e poi una figura. Un uomo.
Sembrava guardarsi intorno, confuso.
Trattenne il fiato, lasciando la presa sulla maniglia.
-Adam?- si voltò di scatto, non appena udì la sua voce. Fece un passo verso di lei, ma poi
si bloccò, sovrappensiero.
Gli era mancata terribilmente. E rivederla non faceva altro che ricordargli quanto quella
mancanza gli facesse male. Avrebbe dovuto rimanere nel suo dolore solitario, oscuro, 
lontano da quella rosa, spoglia dopo quella notte, e lasciare che lei lo dimenticasse.
Ma l’istinto era stato più forte, lo aveva condotto fino alla teca, tentandolo e lui aveva ceduto.
-Io.. volevo solo assicurarmi che tu stessi bene-
-Sto bene- si avvicinò appena.  -E così, questo è il tuo vero aspetto-
Nel suo ultimo sogno, era stata così presa da ciò che Rosaline le aveva mostrato, che non
si era presa il tempo per guardarlo e studiarne ogni dettaglio. Si avvicinò ancora, sollevando
la mano, e lui rimase immobile, scrutandola con attenzione, mentre faceva scivolare le dita
sulla fronte ampia, il naso appuntito, le guancie. Se non l’avesse più rivisto, voleva almeno
imprimersi a fuoco nella mente ogni particolare. Lasciò cadere la mano.
-Mio fratello ha rotto lo specchio- sussurrò, senza neanche sapere perché.
-Io.. credevo che non volessi tornare al castello-
-È così, ma..-
Arretrò, portandosi le mani sul volto, mentre il suo respiro accelerava. Ma? Aveva detto ma?
Dio, era così confusa. Quando era tornata a casa si era sentita così sollevata e non voleva
tornare al castello, non voleva tornare da una bestia che l’aveva ingannata. Adam, però, le
mancava ogni giorno di più, le mancava la felicità che aveva provato con lui e, sebbene le
avesse mentito, l’aveva fatto per poterle stare accanto, lui l’aveva sempre ascoltata, l’aveva
salvata più di una volta, le aveva donato la biblioteca e la serra, anche se in un modo tutto
suo. Non voleva lasciare la sua famiglia e non voleva perdere Adam.
-Io non posso farlo. C’è la mia famiglia e.. non posso-
Lui annuì, abbassando lo sguardo, quella lieve speranza svanita dai suoi occhi.
-Adam, la maledizione può essere spezzata solo da qualcuno che ti ami sopra ogni altra 
cosa.. tu.. pensavi che fossi io?-
No, non l’aveva mai pensato, ma l’aveva desiderato ardentemente.
-Non ha importanza. Se anche non fossi tu e un giorno arrivasse qualcuno, non avrebbe
importanza. La maledizione più grande non era non essere amato, ma non amare 
nessuno, ma ora.. ora tutto è cambiato-
Cosa? Tutto è cambiato? Si accigliò, lasciando che lui si avvicinasse.
-Che vuoi dire?-
Le afferrò il braccio, attirandola a sé e poggiò le labbra sulle sue, stringendola con la foga
di chi respira di nuovo dopo tanto tempo.
Si staccò da quel contatto di malavoglia e, in realtà, anche stupito non solo che lei glielo
avesse lasciato fare, ma che avesse risposto con lo stesso impeto. Voleva che lei capisse.
-Belle, al diavolo la maledizione, non mi importa di essere un mostro, perché tu non vedi la
bestia, tu vedi..-
Indicò se stesso.  -.. questo. Quello che voglio dire è che non mi importa più ciò che io vedo
allo specchio, ma ciò che vedi tu-
Le prese il volto tra le mani, costringendola ad alzare lo sguardo. –Belle?-
Cosa avrebbe dovuto dire? La confusione che aveva provato prima non era nulla in 
confronto al vortice con cui mille pensieri la stavano torturando.
Aprì la bocca per rispondere, ma non uscì alcun suono. Un movimento oltre le spalle di 
Adam attirò la sua attenzione. Ma che..? Quando erano finiti in quel bosco? Sbatté le 
palpebre insistentemente, sicura di vedere male, anche se una brutta sensazione le aveva
attanagliato lo stomaco. Il movimento che aveva attirato la sua attenzione era la corsa di un
cerbiatto in fuga da qualcosa. Si sporse oltre Adam, cercando di capire cosa stesse 
succedendo.
-Belle?- lo ignorò, scrutando la vegetazione.
Il cerbiatto riapparve nel suo campo visivo, sfrecciandole accanto. Seguì la sua corsa, prima
di tornare a voltarsi. A poca distanza da loro, una figura d’uomo avvolta dall’ombra, si era 
appena fermata. Sollevò il fucile, puntò, premette il grilletto.
Belle sgranò gli occhi, trattenendo il fiato. No, no, no.
Era solo un sogno, solo un sogno..
Non poteva lasciare che colpisse Adam. Non poteva permettere che gli accedesse qualcosa.
Al diavolo la maledizione, al diavolo ciò che aveva fatto in passato, il suo aspetto, ciò che le
aveva rivelato Rosaline, al diavolo i suoi sogni, il fatto che non l’avrebbe rivisto mai più.
Lo scostò, sentendo il proiettile perforarle la carne, ferirle l’addome. Trattenne il fiato, il 
cacciatore svanì poco a poco, Adam urlò il suo nome, la sorresse, stendendola 
delicatamente a terra.
Guardò l’espressione di dolore e stupore che gli scolpì il volto.
Lei lo amava, più di ogni altra cosa.
Le accarezzò i capelli, il volto, mentre una lacrima silenziosa gli solcava il viso.
-Andrà tutto bene, okay? È solo un sogno, solamente un orrendo incubo.
Deve essere 
solo un sogno-

-Lo è- sussurrò, le palpebre sempre più pesanti.
Lo era, solo che prima o poi si sarebbe avverato.

 
Spalancò gli occhi in un’oscurità che non si diramò poco a poco grazie ai raggi della luna.
Un’oscurità immobile che la circondava, senza lasciarle fiato. Non poteva muoversi, 
parlare, sollevare le dita e non poteva piangere, come avrebbe voluto. Era in un limbo 
silenzioso e scuro dal quale voleva risvegliarsi a tutti i costi, così, presa dal panico del 
sogno e dell’insolito risveglio, urlò.
Una luce pallida l’accecò e delle braccia la scossero, finché non mise a fuoco il volto teso
di sua madre.
L’abbracciò d’istinto e lasciò che le accarezzasse i capelli e la schiena, sussurrandole 
parole dolci e rincuoranti.
-Oh, mamma- piagnucolò, nascondendo il volto sulla sua spalla.  –Ero in un posto buio e 
non potevo muovermi o parlare-
Si strinse di più a lei, tenendo gli occhi sbarrati in cerca della luce.
-Tesoro, calmati, era solo un sogno-
Smise di tremare e lasciò la presa, tornando a stendersi. Guardò sua madre come se 
fosse una figura troppo distante per poterla toccare ancora.
-Sei più tranquilla ora?-
Annuì, la mente lontana.
-Lascio la luce accesa?-
Scosse la testa. Non era l’oscurità a spaventarla, ma quelle parole. Era solo un sogno..
L’ultima volta che sua madre aveva detto così, delle persone erano morte.

  
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