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Autore: cadma    24/02/2005    2 recensioni
Vi sono troppi spazi da riempire obbligatoriamente. Non mi sento di dare un genere al mio breve racconto, perchè è solo figlio della mia mente, e seppur io lo conosca bene, non riesco a classificarlo. E' un sogno, dentro un sogno, dentro un sogno. Sarei potuta andare avanti all'infinito con questa strategia. Il fine del mio scrivere è semplice: sfogo.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Posò la tazzina del caffè vuota, sul tavolo, sopra il piattino, di fianco alla caffettiera che emanava ancora calore. Era sopra un piccolo stuoino, infatti. Per evitare che la tovaglia si bruciasse. Alzò lo sguardo verso di me, che gli sedevo di fronte. Aleggiava un atmosfera molto tesa, mi sentivo a disagio. “Lei, è un idiota, Signor Johnson.” Non risposi. Ricambiai lo sguardo. Dopo poco, annuii. “Lo so.” Sussurrai piano, accennando un sorriso. “Grazie” Aggiunsi, pacato. -Me lo diceva sempre anche mia moglie- pensai, muovendo le labbra, ma senza emettere alcun suono. Aveva lo sguardo fisso su di me. “Ed è anche pazzo, per di più”. “so anche questo, mio caro.” Sorridendo ancora. Dopo di chè, mi alzai senza produrre un eccessivo rumore e mi avviai verso la porta d’ingresso, indi, senza salutare, abbassai la maniglia con la mancina, e sgattaiolai fuori, nel piccolo atrio del palazzo pieno di piante grasse, chiudendomi la porta alle spalle. Chiamai l’ascensore. Mi sveglia di colpo. Ero completamente sudato. Il pigiama aderiva al mio corpo da quanto era bagnato. Mi morsi il labbro inferiore, pensieroso. “AH!” esclamai con gioia, senza alcun motivo. Scoppiai a ridere. Smisi dun tratto, e lo sguardo di spostò lentamente sull’orologio, quasi temessi di sapere l’ora. Focalizzai solo il rumore delle lancette, “tic, tac, tic, tac”. Non sentivo null’altro. Scattai in piedi, in un movimento velocissimo. “Signor Johnson, lei è un idiota. Un idiota. Un idiota.” Ripetevo. Il suono delle parole rimbombava nelle mie orecchie, quasi con eco…quasi come se spaziasse libero dentro la mia mente a forma di cubo, rimbalzando qua e la, proprio come una palla. Ah! Che sogno! Ah! Mi preparai con un flemma mai vista. Bevvi un bicchierino di Lambrusco, ed uscii di casa, per andare al lavoro. Voltai l’angolo che sbocciava sulla via principale. Fatti esattamente due passi mi trovai innanzi una donna, bella, vestita di grigio, che mi guardò. Avvicinò la bocca al mio orecchio, e sfiorando il mio lobo col suo labbro inferiore sussurrò “ Lei, è un idiota, Signor Johnson.” Ma non era una voce di donna. Era la stessa dell’uomo senza identità del sogno. La donna scomparve. Il tempo di socchiudere appena le palpebre e riaprirle, e non c’era già più. Scossi appena la testa ed andai avanti, cercando di ignorare tutto ciò. Ma, appena mi trovai sulla via principale, mi bloccai di colpo. C’era un muro di gente che mi si parava davanti. Tutto si era fermato, le macchine, i camion, persino il tempo aveva smesso di correre. Erano fermi. “Ma..”…”Sognor Johnson, lei è un idiota!” gridarono tutti in coro, ripetendolo mille e mille volte. Mi tappai le orecchie con le mani, inginocchiandomi per terra, facendomi cadere a peso morto sulla strada asfaltata. “Basta, maledizione, Basta ho detto!” Urlai a gran voce, cercando di soffocare le loro voci. Ma la mia era troppo fievole rispetto alle loro messe insieme. Ma loro non smisero, continuarono a martellarmi con quella frase. Avevano un sadico sorriso stampato sul volto. Non riuscivo a muovermi, e tantomeno non riuscivo a guardarli. Ogni volta che cercavo di alzare lo sguardo venivo colpito da fitte lancinanti alla testa, e mi bruciavano troppo gli occhi. I loro, di occhi, erano ormai ridotti a piccole fessure, non avevano pupille, e l’iride era rosso come il sangue. Per qualche minuti, credetti di essere diventato cieco. Aprii gli occhi di scatto, e mi trovai sdraiato sul letto di pochi minuti prima. Il mio respiro era pesante e affannato. Gli occhi fissi sul soffitto, non mi bruciavano più, ma la testa di doleva ancora.
  
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