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Autore: bacirubati    05/07/2015    0 recensioni
Nel 1998 Elise Fanning ha 18 anni, con una nota patologia diagnosticale fin da piccola: la pazzia.
Ciò che realmente ci domandiamo è: era realmente così? O era tutto frutto della sua fantasiosa, ma terrificante, immaginazione?
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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-Sbrigati Elise, dobbiamo andare!- urla mia madre con voce innervosita dal piano di sotto. È suo solito essere sempre puntuale, in ogni occasione che le si presenta, mentre io sono l'esatto opposto, esattamente come mio padre. Un uomo freddo, dal carattere piuttosto duro, un po' come me. Oggi è undici febbraio 1998 fuori è abbastanza nebbioso e io mi chiedo ancora cosa ci potrebbe mai servire, a noi esseri umani, la sofferenza. Ho in mano la mia vecchia e solita valigia, il manico è mezzo strappato, i fili che lo congiungono si staccheranno prima o poi, ed ora che ricordo, saranno anni che la sballottolo su e giù per cliniche psichiatriche di tutti i tipi. Io non amo le cose nuove, e neanche i cambiamenti. Il mio essere ottusa e testarda a volte mi inganna, proprio ora mi domando perché non abbia mai comprato una nuova valigia. Mentre scendo le scale so già a cosa vado in contro. Mio fratello minore, mi piomba davanti con fare scherzoso, o con un'aria di sfida, quasi come per stuzzicarmi. È suo solito; d'altronde. 
-Ti hanno spedita di nuovo in quel postaccio eh?- domanda incuriosito mentre ridacchia sotto i baffi. Beh, direi che ha uno strano senso dell'umorismo per riderci su, e stupidamente, solo ora me ne accorgo. Ma dopotutto, con il mio fare menefreghista, non gli do retta, proseguendo senza nemmeno volgergli lo sguardo.

Io non sono pazza.
O almeno è quello che ho sempre pensato.
Arrivata davanti la porta di casa, mi dirigo sempre più velocemente verso la macchina.
D'un tratto udisco un tonfo. Capisco immediatamente che la mia valigia è caduta per terra di botto. Ho dimenticato la collana che mia nonna mi regalò da piccola, nessuno sa l'importanza di quel gioiello, posso capirlo solo io. Me la regalò poco prima di morire, dopo quel giorno me la porto sempre con me, è come un'ancora di salvezza, o una specie di protezione. Io senza sono persa. Così mi volto, immaginando di averla lasciata nella mia camera e mi dirigo immediatamente su per cercarla. È fondamentale per me, so che con quella potrò affrontare tutto ciò che mi spaventa, come questo giorno...
Oppure, come le cose che mi capitano, le ombre che vedo, i segni scritti sui muri o nei sogni che appaiono di continuo ogni volta che mi addormento.
Arrivo in camera e con fare svelto controllo sotto il letto, dentro il cassetto del comodino, -ancora niente- nel bagno, -nulla di nulla- ed infine in mezzo al letto disfatto, ed eccola lì, finita sotto le coperte. La prendo, ed è così bella. Descriverla sarebbe inutile, ha un colorato d'oro ed un ciondolo con l'iniziale di mia nonna, Dorotea, la lettera è poco visibile, quasi trasparente. Decido così, di incamminarmi verso il mio solito e vecchio specchio sul muro, agganciandola, per poi guardarmi ed osservarmi attentamente. Fu questione di pochi secondi, fino a quando non intravedo ombre di due uomini alti e vestiti completamente di nero, proprio dietro di me. La stanza si è ricoperta anch'essa di nero e l'ansia mi assale sempre di più, posso sentire i loro respiri farsi sempre più forti, così inizio a chiudere gli occhi per un paio di secondi, pensando alla mia adorata nonna. Lei era l'emblema di questa famiglia. Iniziò a prendersi cura di mia madre per i suoi disturbi alimentari, da quando mio padre se ne andò lei perse ogni speranza e si buttò sulla bulimia, quando ero più piccola non capivo mai perché andasse sempre di corsa in bagno dopo aver mangiato, un po' sospettavo, ma non di certo sotto questo aspetto. In fondo avevo solo 7 anni, e Jake, mio fratello, non era ancora nato. Mia nonna, da parte di mio padre, sapeva capire le persone, calmarle e aiutarle. Ti leggeva nel cuore e io ho sempre saputo che persona meravigliosa si celava dietro. L'amavo come fosse parte di me. Mi aiutò ad attraversare i momenti più brutti della mia vita. Come la mia prima volta in clinica, l'abbandono di papà, i problemi con me stessa, ma soprattutto a darmi l'esempio di una madre, che la mia stessa non ha mai saputo darmi. Non amo parlare male di lei, perché non ci sarebbe molto da dire. È sempre stata attenta nei miei confronti ma non ha mai trascurato la sua voglia di vivere una vita sua, anche se alla fine, non posso immaginare cosa significa avere me, sua figlia, a 15 anni. Quando ancora devi fare le tue esperienze e la tua vita è appesa ad un filo perché le tue decisioni saranno tante. È così che va, non potrai mai sapere cosa succede se prima non decidi. Si basa tutto su questo. Il tuo destino. Così aspetto che quelle ombre, se ne vadano, tenendo gli occhi chiusi,a subito dopo riaprendoli. Incurvo le sopracciglia, sento il cuore battere più forte, mentre il respiro si fa sempre più veloce e pesante. Sono scomparsi. Fortunatamente è ritornato tutto alla normalità, posso sentire il cuore rallentare. Poggio le mie dita tremolanti sulla collana di nonna, la tengo stretta, so che tutto questo prima o poi sparirà.
Il clacson mi spaventa e con un piccolo saltello, mi accorgo che mia madre è impaziente, devo muovermi. Tiro un sospiro di sollievo tra un misto di: ansia, preoccupazione, coraggio e tristezza. Era il mio sospiro preferito. O credo più o meno, l'unico.
Durante il tragitto in macchina continuo ad avere la testa poggiata al finestrino freddo e appannato, non avevo voglia di ritornare in quel posto e guardare fuori dal finestrino quell'orribile e monotona città in cui vivevo, era l'unica cosa bella che potessi mai fare in quel momento. In fondo, non era così male, New York, la città di pietra, con gente di pietra, cuori di pietra e vita di pietra. Ognuno corre per fatti suoi, per cose magari, che finiranno inconcludenti, per lavori che non avranno o semplicemente per promozioni che gli tireranno un po' più sul il morale, perché infondo, ”più si ha, meglio è” in questa città. Onestamente avrei voluto vivere in un posto più caldo di New York, ad esempio il Texas, una delle tante città in cui viaggiò nonna. Da giovane fu una grande esploratrice, viaggiò per quasi tutto il mondo, era un'appassionata anche di libri e storia. Un giorno aspiro a diventare come lei. È il mio grande sogno.
Posso scorgere la testa abbassando il finestrino notando un edificio abbastanza grande, con il solito viale lungo metri e metri, quasi troppo infinito a mio parere. La macchina frena, e come potevo ben notare, ero davanti la clinica, una delle tante in cui per anni, andai. La considerai come una seconda casa oramai, anche se Casa, non era. 
Scendo sbattendo forte la porta della macchina, volgendo lo sguardo su mia madre che era quasi sul portico della clinica. Si è sempre presa cura di me, ma non ha mai avuto voglia di dimostrarlo, forse per il semplice fatto che è sempre stata una persona che non ha mai avuto niente di bello dalla vita oltre che me, e mio fratello. In fondo, però, sapevo che aveva un animo dolce anche lei.
La porta era abbastanza alta, di un colorito cupo e grigio, come le porte d'entrata dei carceri, ma più invitanti. Mi apre una ragazza, dall'aspetto presumo sia un'infermiera visti i suoi abiti color bianco neve e scarpe solite a chi lavora in ospedali e cliniche. Credo abbia più o meno dieci anni più di me.
Sorride, ma lo capisco subito che è un sorriso forzato, fino a quando schiarisce la voce. 
-Ciao, tu devi essere...- si ferma un attimo controllando il mio nome su una cartella e dei fogli che regge con due mani, poi riprende lo sguardo su di me.
-...Elise, giusto?- lo pronuncia male, come immaginavo, ma annuisco lo stesso senza dargli conto, mentre lei mi fa cenno di entrare dentro. Capisco che è nuova, posso notarlo dal modo in cui mi tratta e come è impacciata nei suoi movimenti. 
-Bene. Io sono Sarah e ti aiuterò durante il tuo percorso qui in clinica. Spero ti troverai a tuo agio, se hai bisogno di qualcosa ricorda che puoi chiedere tutto. Ora saluta tua madre, mentre io ti aspetto vicino il bancone, in salotto.
Mia madre mi abbraccia. Mi stringe, ma non ricambio, in mente mi si ricongiungono tutti i perché e i motivi per cui ancora lei si ostina sempre a riportarmi qui, dopo tutte le notti tra urla e pianti, ignorate da lei stessa. Prendo velocemente la valigia senza guardarla, e le sussurro un "Ti voglio bene" quasi come se non voglia farle capire che dopo tutto il male che mi sta facendo, io a lei, tengo ancora. Posso sentire chiudere la porta mentre mi incammino dentro quell'immenso salone, guardandomi attorno, dove solo infermieri e pazienti possono essere notati tra le loro faccende quotidiane. Intravedo Sara l'infermiera impacciata, così composta, vicino al bancone di registrazione dove mi fa cenno di seguirla.
-Elise. Vieni, ti accompagno alla tua stanza.- dice accennando un sorriso per poi incamminarsi verso un lungo corridoio, fatto di porte e numeri su di esse.
La sto seguendo, ma qualcosa mi ferma, vedo Sarah più avanti, di fronte la porta della mia nuova stanza. La fisso, ma non le dico niente, e senza accorgermi, non mi muovo.
-Elise, tutto bene? Vieni, è qui.- dice lei, tirando fuori delle chiavi. Apre la porta, mentre comincio ad avvicinarmi, entrando dentro. Le pareti erano bianche ospedale e il pavimento grigio cemento, di primo impatto, sembra essere gelida. Ma d'altronde, sono abituata.
-Vai, sistema pure le tue cose. Un infermiere ti chiamerà dopo per la cena- mi giro verso di lei, per poi annuire, sento la porta chiudersi.
Quel posto è così stretto che avrei voluto voglia solo di scappare, scappare e basta, anche da me stessa. Noto il letto, ha poggiato un lenzuolo piegato bianco perla, l'odore di questa clinica già mi strazia e io non posso già sopportarlo. Decido di sedermi lì, ma non faccio in tempo a scrutare i vari oggetti della stanza che da un momento all'altro scoppio in lacrime, in silenzio, con il viso tra le mani. Mi ritornano in mente quelle orribili visioni davanti i miei occhi. E con questo capisco che sono di nuovo all'inferno. Non posso più scappare.

  
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