Libri > Il Signore degli Anelli e altri
Segui la storia  |       
Autore: Tielyannawen    05/07/2015    5 recensioni
Sotto il cielo di Arda accade a volte che alcuni cammini si incontrino, legando indissolubilmente destini altrimenti separati.
Dal testo:
«Tu non dovresti essere qui... perché sei tornato indietro?», chiese con un filo di voce, lottando per non lasciarsi avvolgere dalle ombre.
«Perché non potevo abbandonarti. Tu ci hai mostrato la via quando la credevamo perduta e hai lasciato la tua casa, rischiando la vita per salvarci. È ora di pagare il nostro debito».

Dicono che la storia sia fatta da eventi straordinari, ma a volte sono proprio le piccole cose quelle di cui dobbiamo serbare ricordo.
Queste pagine ne sono memoria... perché in fondo tutti cerchiamo la nostra strada nel mondo.
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bilbo, Elfi, Gandalf, Nani, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

PARTE PRIMA

La pietra non mente,
testimone delle stagioni migliori,
dei giorni più bui.
(Tielyannawen)


Nel cuore della tempesta

Dopo gli Anni Bui e la sconfitta di Sauron, ebbe inizio la Terza Era del Mondo.
Narrano le leggende che gli Elfi riuscirono a salvare e nascondere dal Nemico tre dei loro anelli, quelli costruiti per ultimi e che possedevano i massimi poteri: Narya, l’anello di Fuoco, su cui brillava un rosso rubino; Nenya, l’anello d’Acqua, su cui era incastonato un diamante bianco; Vilya, l’anello d’Aria, su cui spiccava uno zaffiro azzurro. Grazie all’accortezza dei loro custodi, i Tre Anelli rimasero senza macchia, perché non furono mai sfiorati dalla mano di Sauron, nonostante questi avesse tentato a lungo di impadronirsene.
Col passare del tempo si smise di parlare dei Tre Anelli, ed erano pochi coloro che sapevano dove fossero realmente conservati. Eppure il loro potere continuò ad operare, preservando la bellezza e la gioia nella Terra di Mezzo. Così, pur senza averne la certezza, molti pensavano che l’Anello Bianco riposasse all’ombra degli alberi di Lorien, regno di Celeborn e Dama Galadriel, e che l’Anello Azzurro avesse trovato rifugio nella valle nascosta di Imladris, dimora di Elrond il Mezzelfo. Dell’Anello Rosso invece non si ebbero più notizie, ed era convinzione di molti che fosse andato perduto.

*****

Raramente a Imladris [1] accadeva qualcosa di inaspettato. La vita era tranquilla, un succedersi di piacevoli giornate. Se qualcuno glielo avesse domandato, Helan l’avrebbe paragonata ad un bellissimo lago, sempre uguale a se stesso, eppure sempre diverso; sulle sue acque si riflettevano i giorni, come nuvole che si rincorrono veloci nel cielo, e lo scorrere del tempo appariva sbiadito, un battito di ciglia al di fuori del mondo. Un luogo di pace, ed era così che lei lo vedeva.
Eppure quel giorno qualcosa accadde. Helan si trovava su una delle terrazze laterali, dove spesso si recava per leggere. Un gran vociare la distolse dalla lettura. Non era insolito che giungessero visitatori, a cercare riposo o consiglio tra quelle mura accoglienti, ma certo non creavano un simile trambusto. Spinta dalla curiosità abbandonò il libro, dirigendosi verso l’ingresso. Era una bella mattinata di sole, e i raggi che attraversavano le colonne intarsiate disegnavano trame luminose sui pavimenti di pietra. Si guardò intorno e, dopo essersi sincerata che nessuno fosse in vista, si mise a correre tra i fasci di luce. Sorrise. Quasi duemila anni, eppure ancora si comportava come una bambina.
In molti erano accorsi nel piazzale. Facendosi largo, Helan trovò uno spiraglio e fu allora che lo vide. Un enorme stallone, nero come la volta del cielo nella notte più scura. Al suo fianco i migliori destrieri parevano puledri intimoriti. Diverse corde lo trattenevano, per impedire che fuggisse, o che colpisse qualcuno nel suo furioso tentativo di riguadagnare la libertà.
«Che cosa è accaduto Lindir?», chiese Helan, rivolgendosi a un elfo che aveva nel frattempo preso posto alla sua destra.
«Alcune sentinelle lo hanno trovato che si aggirava vicino ai nostri confini, come se fosse in cerca di qualcosa», rispose l’elfo, «e hanno deciso di portarlo qui».
«E ora cosa ne sarà?».
«Immagino», disse Lindir, facendosi serio in volto, «che toccherà a Mastro Elrond decidere della sua sorte».
Helan aggrottò la fronte e tornò a volgersi verso l’animale. Lottava con tutte le forze per liberarsi dalle funi e il suo nitrito riecheggiava sulle pareti scoscese del burrone, mentre le guardie lo spingevano verso le scuderie. Continuò a risuonarle nelle orecchie, anche quando si fu allontanata.

 

Nella grande sala c’era agitazione. L’apparizione dello stallone nero era guardata con sospetto, e su tanti visi solitamente allegri era comparsa un’ombra, nel timore che fosse un presagio per l’arrivo di eventi più tristi e bui. Mentre entrava, Helan riuscì a cogliere le ultime parole di un discorso accalorato tenuto da Erestor, uno dei più fidati consiglieri del Signore di Imladris.
«… un destriero di quel colore non è stato più visto da molti anni, perché solo il Nemico se ne serviva! Durante i saccheggi i suoi servitori sceglievano sempre animali neri, che poi egli utilizzava per scopi malvagi», concluse Erestor.
«Eppure è certamente uno dei Mearas», soggiunse Glorfindel, la cui conoscenza delle cose del mondo era vasta, «e in questo non possiamo essere stati tratti in inganno. Sono una razza orgogliosa, che difficilmente si lascia piegare dalla volontà altrui».
«Non possiamo essere certi che sia venuto tra di noi in pace!» ribatté secco Erestor.
A quel punto calò il silenzio e i presenti si voltarono verso un elfo dai lunghi capelli neri, leggermente striati d’argento, che si era appena alzato da una poltrona posta all’estremità della sala. Nobile era il suo aspetto e i suoi brillanti occhi grigi svelavano una immensa saggezza; tutti i popoli della Terra di Mezzo gli portavano rispetto, e per Helan si era sempre dimostrato un sostegno, un punto fermo che, ne era certa, non l’avrebbe mai abbandonata. Gli doveva la vita. Egli era Elrond, il Mezzelfo, le cui imprese erano raccontate in tanti canti e leggende.
«Amici miei, conosco le vostre preoccupazioni», disse con voce grave. «Molti pensieri vi turbano, ma, per quanto è in mio potere, non permetterò che alcun pericolo ci sorprenda».
Helan fece un passo avanti e prima di rendersene conto la sua voce si levò chiara e decisa. «Non sempre ciò che non conosciamo è un pericolo. In questa valle il male non è mai riuscito a penetrare. Perché dovrebbe accadere proprio ora?».
Aveva parlato con sicurezza; era convinta di ciò che aveva detto, ma sapeva altrettanto bene di non aver alcun diritto di interferire in quell’assemblea. Percepiva lo sguardo di disapprovazione di Erestor e il sorriso indulgente di Glorfindel. Ma non le interessava. Non era a loro che si era rivolta.
Elrond rimase impassibile. Poi parlò. «Ci rifletterò. Nel frattempo a nessuno sarà permesso avvicinarsi alle scuderie senza il mio consenso». Si diresse verso la porta e, quando fu davanti a Helan, le posò una mano sulla spalla. «A nessuno», ripeté con dolcezza.
«Sì… Padre», rispose l’elfa, chinando il capo in segno di rispetto.

 

Attese per buona parte della notte. La vallata era immersa nel silenzio, placida e rassicurante come l’abbraccio di una madre, e ogni cosa attorno a lei parve trattenere il fiato, mentre attraversava le ampie sale di Imladris con passi leggeri e sicuri. Helan scese rapida le scale che conducevano ai cortili inferiori, senza mai fermarsi; se l’avesse fatto, forse non avrebbe trovato il coraggio di proseguire. Indossava una lunga veste bianca, stretta in vita da una cintura verde, con la folta chioma sciolta sulle spalle. Il sole non era ancora sorto, ma il cielo iniziava gradualmente a schiarirsi, segno che l’alba non era lontana.
Si avvicinò cauta alle scuderie; nessun suono proveniva dall’interno e quel luogo, di solito animato da nitriti festosi, appariva invece desolato e privo di vita, dopo che tutti i cavalli erano stati condotti ai verdi pascoli lungo le rive del Bruinen [2]. Giunta al cancello, guardò dentro e, nonostante il buio, i suoi occhi acuti furono capaci di scorgere i segni della devastazione: paglia e fieno disseminati ovunque, abbeveratoi rovesciati e distrutti, sui muri erano evidenti i solchi lasciati da zoccoli possenti. Al centro, maestoso e fiero, stava lo stallone nero. Rimase immobile, ma Helan sapeva che era ben conscio della sua presenza; il suo furore sembrava essersi placato, ma i muscoli in tensione e le orecchie tese ne tradivano l’inquietudine. Stava aspettando.
All’improvviso cominciò ad avanzare, fermandosi a pochi passi da lei. Sollevò la testa e i suoi occhi incontrarono quelli di Helan. Erano scuri e profondi, ma ella non colse alcuna traccia d’ira o malignità; c’era in essi una sorta di tristezza, come chi abbia a lungo vagato senza trovare un luogo in cui riposare.
Si fronteggiarono a lungo, l’elfa e il cavallo, immobili, ignari dello scorrere del tempo. Poi finalmente Helan allungò una mano, come a voler accarezzare la criniera corvina, ma non lo fece; aprì invece il cancello, spostando anche le varie travi che lo tenevano bloccato. Aveva fatto la sua scelta.
«Sevig dhâf an gwad [3]», disse abbassando lo sguardo. Si spostò di lato per liberare il passaggio e una folata d’aria la investì, mentre l’animale correva verso il ponte. Era libero, libero come lei non si era mai sentita. Perché da sempre nel suo spirito ardeva il desiderio dell’avventura.

 

Quasi un mese era trascorso. La scomparsa dello stallone era stata meno rumorosa del suo arrivo. I canti festosi continuavano a riempire i saloni e nelle fucine il lavoro non era rallentato. Il cancello delle scuderie era stato trovato chiuso, ma non si erano sprecate troppe energie nelle ricerche, perché nessuno desiderava davvero il ritorno di quel timore che per un attimo aveva avvinto i cuori degli abitanti di Imladris. Eppure Helan sospettava che Mastro Elrond sapesse. Nulla accadeva entro i suoi confini senza giungere fino a lui, prima o poi.
Una mattina Helan si svegliò all’alba. Dalla finestra della sua stanza osservò le stelle spegnersi e i colori farsi sempre più caldi. Era inquieta; aveva la sensazione che il crepaccio, di solito benevola protezione, si stesse per chiudere su di lei. Strinse il ciondolo che portava appeso al collo, cercando un po’ di conforto nel tiepido contatto con il gioiello. Il respiro si fece più tranquillo, e si sforzò di ricordare che cosa l’aveva turbata. Non riusciva a dimenticare la malinconia che aveva letto nel cuore del destriero dal manto nero, perché ora lo stesso sentimento si agitava anche nel suo animo.
Non poteva restare lì. Si vestì in fretta e chiese a due stallieri insonnoliti che le fosse subito sellato un cavallo; quando fu pronto, lo spronò verso il ponte e uscì dalla valle senza aggiungere una parola. Per la seconda volta in poche settimane disobbediva apertamente a suo padre. Rischiava di diventare una pessima abitudine. Elrond non le permetteva di allontanarsi da sola, e raramente le era concesso farlo anche con una scorta; si sentiva responsabile per lei ed Helan sapeva che una simile decisione era dettata dal desiderio di proteggerla. Ma c’era qualcos’altro che pesava sul Mezzelfo, un’ombra che egli aveva sempre nascosto e che sperava di non dover mai rivelare.
Cavalcò per un paio d’ore; il paesaggio attorno a lei nascondeva precipizi e acquitrini, boschetti e ruscelli, ma era per lo più un’ampia distesa di erba che ondeggiava, come sfiorata da dita invisibili. Si fermò in una radura ricoperta di erica selvatica e muschio, le cui piccole foglie formavano un morbido tappeto verde. Smontò e lasciò la sua cavalcatura libera di tornare indietro, restando sola in quel deserto silenzioso. Sedette con la schiena appoggiata a una roccia e si chiese cosa l’avesse guidata fino a lì. Perché aveva liberato quel destriero tenebroso? La verità era che ancora non lo capiva. Tuttavia sentiva che era stato giusto; una simile forza della natura non era nata per essere rinchiusa. Quel pensiero la consolò e si assopì, scaldata dai raggi del sole che illuminavano la pianura.
Fu destata dai tuoni. Lampi attraversavano il cielo, che da azzurro era diventato grigio e ostile. Le nubi si addensavano rapide e il vento prese a urlare, pronto a scatenare una bufera. Mentre cercava il sentiero iniziò a piovere; grosse gocce cadevano con la violenza di una cascata e impregnavano la terra sotto i suoi piedi. Sarebbe stato un cammino lungo e decisamente bagnato. Non era spaventata, e del resto nulla la minacciava; certo, se non si fosse dimostrata così testarda a quell’ora forse sarebbe stata seduta accanto al fuoco, in compagnia di un buon libro. Ma non avrebbe potuto godere di quello spettacolo: il mondo agitato da raffiche di vento e pioggia, totalmente in balia della bufera. Era straordinario.
E proprio lì, in mezzo alla tempesta, all’improvviso lo vide. Di nuovo. Lo stallone nero era davanti a lei, per nulla turbato dal violento temporale; mentre si avvicinava, ad Helan parve di cogliere un bagliore di ilarità nello sguardo dell’animale, come se lo divertisse l’idea di essere riuscito a sorprenderla. La stava aspettando e quando si chinò per permetterle di montargli in groppa, Helan capì che anche lui aveva fatto la sua scelta. Un atto di fiducia per entrambi.
Quando fu salita, si strinse alla criniera bagnata e, piegandosi in avanti per sovrastare il rombo dei tuoni, disse: «Gwaem nan bar, mellon nín [4]».

 

A Imladris tutte le lanterne erano accese, tanto da farla sembrare un’oasi all’interno del temporale, un’oasi la cui visione aveva il potere di scaldare lo spirito dei viaggiatori in arrivo. Una piccola folla si radunò sotto i portici che circondavano il piazzale, osservando l’elfa e il cavallo che se ne stavano in attesa, incuranti dello scrosciare della pioggia.
Mentre indugiava sotto il diluvio, Helan rabbrividì impercettibilmente; rivoli d’acqua le attraversavano le guance e gli abiti inzuppati si erano fatti freddi e pesanti. Avvertiva il nervosismo dello stallone di fronte a tutti quei volti che li scrutavano: non timore, ma impazienza. Come due torrenti che si uniscono a formare un unico fiume, così il legame che avevano creato non poteva essere sciolto. Entrambi sapevano che sarebbe durato per sempre. Helan era consapevole che non sarebbe stato facile da spiegare, ma mentre galoppavano verso la vallata i loro cuori avevano battuto all’unisono, felici. E questo le aveva dato la certezza che tutto sarebbe andato per il meglio.
«Questo è Alagos [5]», disse con voce ferma e un sorriso sulle labbra, «perché nel cuore della tempesta ci siamo incontrati. D’ora in avanti cavalcheremo insieme».




 

NOTE:
[1] Nome elfico di Gran Burrone, in Sindarin significa Profonda valletta del crepaccio.
[2] Nome elfico del fiume Rombirivo che attraversa Gran Burrone, in Sindarin significa Acqua rumorosa.
[3] In Sindarin significa Puoi andare (letteralmente You have permission to go).
[4] In Sindarin significa Andiamo a casa, amico mio.
[5] In Sindarin significa Tempesta di vento.

DATE:
2937 T.E. 24 marzo: Helan incontra Alagos durante la tempesta.

   
 
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Il Signore degli Anelli e altri / Vai alla pagina dell'autore: Tielyannawen