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Autore: Columbia    05/07/2015    1 recensioni
Alexandra è una ragazza orfana che ha passato gran parte della sua vita sballottata come un pacco da una famiglia all'altra. Per sua grande fortuna però, Alex riesce a trovare asilo presso il signor Trason, uno degli uomini più criticati di Orange County a causa del suo stile di vita; nella sua nuova casa Alex incontrerà alcune persone che le cambieranno la vita, permettendole di rinascere dalle sue stesse ceneri.
Ma del resto si sa, niente va mai per il verso giusto...
DAL CAPITOLO I
"Le spiegò che quasi tutti i loro conoscenti additavano quei giovani ragazzi come dei veneratori di Satana e sciocchezze varie: era difficili vederli per strada durante il giorno perché rischiavano di essere linciati vivi se riconosciuti, cosa alquanto probabile visto il loro modo di atteggiarsi e di vestirsi. Alexandra, attraverso i racconti dell’uomo, capì che era un loro simpatizzante e ne ebbe la conferma quando venne a sapere che era stato uno dei pochi ad aiutare il signor Trason nel suo obiettivo: dare casa a tutti coloro che erano stati colpiti, seppur indirettamente, da quel massacro; per questo motivo, quando i Crocket finirono in bancarotta, Trason si offrì di dare asilo alla ragazza."
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Matthew Shadows, Nuovo personaggio, Synyster Gates
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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La carrozza si fermò dopo circa mezz’ora di viaggio, con grande sollievo della ragazza: aveva sempre odiato viaggiare su quei cosi, le davano la nausea e non lo sopportava.
Scostò leggermente le tendine oscuranti e si sfilò gli auricolari dalle orecchie spegnendo il lettore cd; dall’interno non riusciva a scorgere molto di quella che aveva sentito essere una delle case più grandi della contea, per questo decise di scendere, convinta che ci sarebbe stato qualcuno ad aspettarla. Abbassò la maniglia della portiera e, afferrata la sua borsa, scese dalla scaletta della carrozza; appena appoggiò il piede sulla ghiaia del vialetto, il cocchiere fece scoccare la frusta per  poi sparire dietro ad un muro che separava la casa da quello che doveva essere il magazzino, un grosso capannone di legno scuro, imponente tanto quanto la villa.
Alexandra lo seguì con lo sguardo fino a che non fu definitivamente fuori portata, poi si voltò verso l’enorme palazzo. Quando era arrivata a casa Crocket per la prima volta le era sembrato di trovarsi in uno di quei castelli delle fiabe che le educatrici cercavano di raccontarle prima di andare a dormire e che lei aveva sempre, profondamente odiato…Quella a cui si trovava davanti ora, oltre ad essere tre volte più grande, aveva la strana capacità di incutere timore nelle persone che vi si trovavano davanti…E la cosa non faceva altro che suscitare curiosità nella ragazza. Il vialetto di ghiaia, grosso quanto una strada a due corsie, era accostato da una sfilza di sequoie e pini dalle dimensioni incredibili: le fronde degli alberi frusciavano con il sibilare del vento simulando quello che poteva sembrare benissimo lo scrosciare delle onde. Il sole, ancora alto nel cielo, proiettava le loro ombre sulla strada, oscurandola quasi completamente; da sotto il cappuccio Alexandra fece vagare il suo sguardo sullo sconfinato giardino che si estendeva a perdita d’occhio per poi concentrarsi sulla villa di fronte a se stessa, ritrovandosi davanti ad un’enorme fontana che ritraeva degli angeli e dei demoni, intenti a combattersi con delle lance. I suoi getti d’acqua si stagliavano verso i cielo raggiungendo il tetto della dimora: Alexandra fissò uno spruzzo d’acqua scagliarsi contro il cielo come una freccia lanciata da un cacciatore, cadendo quasi in catalessi. Quando questo si ritrasse, la ragazza poté finalmente osservare appieno la casa: suddivisa in tre blocchi, dominava gran parte del parco. Quello centrale era leggermente più piccolo ed alto degli altri: il portone d’ingresso era nero come la pece e sulla sua superficie spiccavano due maniglioni di ferro, illuminati dai raggi del sole. I due blocchi ai lati erano letteralmente immensi; leggermente più scuri di quello centrale, erano circondati da cespugli di bacche e da fiori. Sul tetto, in corrispondenza degli angoli, erano state poste delle statue di Gargoyle che gettavano le loro ombre sullo spiazzo di fronte alla villa.
Alexandra la fissò incantata, provando allo stesso tempo un po’ di soggezione: era quanto di più bello avesse mai visto. Era talmente presa che neanche si accorse che qualcuno la stava chiamando
“Sei Alexandra, vero?”
La ragazza si voltò verso colui che la stava chiamando; Portò una mano al livello della fronte per potersi proteggere gli occhi dalla luce accecante del sole e mettere a fuoco la figura che si trovava a poco più di due metri di distanza da lei.
In piedi sulle scalinate se ne stava un uomo che ad occhio e croce aveva sui cinquant’anni; i capelli leggermente brizzolati erano tagliati a spazzola ed incollati probabilmente con il gel. Alexandra rimase un po’ disorientata; in diciott’anni di vita aveva sempre e solo incontrato uomini di alto rango, fasciati in abiti che costavano all’incirca diecimila dollari al pezzo…Perché alla fin fine era quello che la società proponeva: un modello da seguire. E questo modello era bardato di pizzi e merletti e vestiti dai colori candidi per le giovani donne e il trac per gli uomini…Roba che Alexandra aveva sempre considerato come una merda. Uno dei tanti motivi per cui aveva deciso lei stessa di non essere introdotta nell’alta società era appunto questo; lei voleva essere se stessa, ma se si fosse dimostrata per ciò che era davvero avrebbe probabilmente scatenato il disdegno di tutta la California e dintorni. Tutti gli uomini a cui era stata introdotta avevano arricciato il naso nel vederla e lei si divertiva a guardarli scappare da casa Crocket con la coda tra le gambe…Dopotutto era l’unica ragazza ad Huntington che riusciva a spaventare gli uomini! Il problema del matrimonio non aveva neanche provato a porselo: piuttosto di diventare la servetta di qualche vecchio grassone preferiva rimanere zitella per il resto della sua vita. E adesso questo qua le si presentava davanti in una veste che mai aveva visto addosso ad altri, se non a se stessa: quello che aveva concluso essere il signor Trason se ne stava davanti a lei indossando un semplice paio di jeans scuri che ricadevano a sigaretta sopra ad un paio di mocassini neri e una camicia a righe leggermente sbottonata al di sotto del mento. Dopo essersi ripresa dallo shock momentaneo, Alexandra si decise a rispondere
“Sì signore, sono io. E’ un onore per me essere qua” disse avvicinandosi a passo sicuro verso l’uomo; il signore Trason si sporse verso di lei strizzando leggermente gli occhi
“Che ne dici di toglierti quel cappuccio? Non riesco a vederti in faccia e mi piace poter guardare la persona con cui parlo” rise porgendole una mano per aiutarla a salire i gradini della scalinata; Alexandra l’accettò volentieri e, dopo essersi ritrovata davanti al portone d’ingresso, appoggiò la valigetta. Con cautela afferrò ai lati il cappuccio nero e lo sollevò dal capo, facendoselo ricadere sulla schiena; quando il signor Trason riuscì a vederla finalmente in faccia si aprì in un sorriso leggermente ingiallito, ma che ispirava sicurezza…Almeno in Alexandra.
I lunghi capelli corvini erano raccolti a destra, lasciando libero il collo magro; gli occhi, tuttavia, erano quanto di più strano avesse mai visto…Erano oro. Non di un castano chiaro simile, ma proprio oro. Inutile dire che Michael ne rimase terribilmente affascinato: emanava una tale sicurezza che avrebbe fatto tentennare chiunque si fosse trovato davanti a lei…Fu proprio questo a colpire il signor Trason. Quando Jack lo aveva chiamato circa un mese prima, aveva accettato di accogliere in casa sua Alexandra senza neanche conoscerla: Jack lo aveva assicurato che era diversa da tutte le giovani della sua età, ma Trason aveva i suoi seri dubbi. Dopo essere rimasto lui stesso orfano aveva deciso che con tutti i soldi che era riuscito a guadagnare avrebbe aperto una reggia talmente grande da contenere tutti i giovani della contea in cerca di una casa…Le sue strane abitudini avevano però preso il sopravvento sulle sue buone intenzioni e molti avevano preso le distanze da lui: quando girava per strada molti lo additavano, sussurrano di tutte le cosiddette “feste aberranti” che avvenivano in casa Trason. La sua fama si estese a tutta la California e tutti i suoi buoni propositi andarono a farsi fottere a causa di una società bloccata e bigotta, verso la quale cominciò a provare un odio profondo. Con suo grande sollievo però, scoprì che vi erano altri giovani sparsi per la contea che non si rispecchiavano in ciò che venivano obbligati ad essere…In questo modo villa Trason era diventata una specie di centro di ritrovo per coloro che andavano contro quel mondo, così aberrante e senza senso. Fu proprio per quel motivo che quando Jack l’aveva chiamato chiedendogli disperatamente di accogliere la figlia adottiva si era rivelato titubante: non voleva avere in casa una di quelle damerine senza cervello…Ma adesso che se la trovava davanti capiva quanto le sue paranoie fossero state infondate; la labbra rosse erano leggermente incurvate all’insù in un sorriso gentile ma duro, distaccato che le conferiva un’aria piuttosto misteriosa…Trason era convinto che dietro quella corazza che sembrava essersi costruita attorno, vi era una storia…E lui non vedeva l’ora di scoprirla.
“Mia cara, siete veramente bellissima” disse sinceramente, per poi afferrare la valigetta abbandonata sul suolo; Alexandra lo guardò titubante e fece per riprendersela, ma il signor Trason allungò una mano verso di lei per farle capire di non avvicinarsi. “E’ molto pesante e non ho intenzione di farla portare ad una bellissima ragazza come voi”
“Ma signore…” cercò di ribattere Alexandra, prima che Trason le voltasse le spalle per entrare in casa. La ragazza non ci pensò un secondo di più e lo seguì dentro
“Niente ma mia cara, questa è casa mia e comando io” esclamò l’uomo camminando tranquillamente; gli spazi erano talmente grandi che l’eco della sua voce si fece sentire per qualche secondo. Alexandra seguiva Trason con la bocca spalancata, continuando a guardarsi attorno in adorazione: l’atrio, che era direttamente comunicante con il salotto, era completamente costruito con marmo nero dalle sfumature verdi acqua. Le enormi finestre che davano sul giardino facevano penetrare la luce che illuminava la sala, separata dall’ingresso solo da una porta scorrevole; due enormi divani di pelle erano posizionati davanti ad un camino di pietra bianca, sopra ai quali pendeva un lampadario di ferro. Il pavimento era ricoperto da tappeti dall’aria antica e molto, molto preziosa.
Alexandra era talmente impegnata a guardarsi attorno che non si rese conto che il signor Trason si era fermato, tanto che ci andò a sbattere contro; la ragazza rischiò di cadere, ma l’uomo le afferrò prontamente il polso prima che potesse cadere con il sedere a terra
“Scusi signore, sono maldestra a volte” borbottò la ragazza, slacciandosi il nodo del mantello. Per lo meno in quegli anni i Crocket erano riusciti ad insegnarle le basi della buona educazione. Il signor Trason agitò una mano per aria per farle capire che non era successo nulla di grave
“Non ti preoccupare, il primo che non sa muoversi qua sono io!” rise grattandosi la testa; Alexandra guardava con curiosità quell’uomo che le stava di fronte, non riuscendo a credere che potesse esistere davvero “E comunque” aggiunse puntandole l’indice contro “Non chiamarmi mai più ‘signore’ o ‘signor Trason’, intesi?”
Alexandra sorrise leggermente imbarazzata ed annuì vigorosamente
“Sì sig…Ehm…”
“Chiamami pure Michael” sorrise il signor Trason facendole l’occhiolino. Michael ricominciò a camminare e la portò a fare un giro per quella reggia enorme che sembrava infinita: era talmente grande, infatti, che Alexandra si dovette accontentare di un “breve” tour solo del blocco centrale, visto che Michael era letteralmente impaziente di farle conoscere qualcuno. Fu abbastanza per poter visitare tutto l’atrio, il salotto, la sala da pranzo e il piano delle camere da letto.
Alexandra, che era sempre stata una ragazza piuttosto diffidente, si sentiva stranamente a casa. Era come se ogni singolo oggetto presente in quella casa riuscisse ad esprimere una parte del suo essere…Non si era mai sentita più a casa che in quel momento.
“Devi sapere che mi dispiace molto per la tragedia che si è abbattuta sulla tua famiglia” disse Michael mentre salivano una scala a chiocciola, diretti al terzo piano “I tuoi erano dei bravi genitori…”
“Non erano i miei genitori” lo bloccò prontamente Alexandra; Michael, che camminava di fronte a lei, si voltò per guardarla leggermente sconcertato “Non fraintenda” aggiunse la ragazza sorridendo mestamente “Ero grata a loro per avermi tirata fuori da quel buco di orfanotrofio e non posso negare di essermi affezionata a loro in questi sette anni…Tuttavia non sono mai riuscita a considerarli come miei genitori, erano troppo diversi da quello che stavo cercando…”
Michael la guardava con le sopracciglia leggermente corrucciate, e per una frazione di secondo Alexandra temette veramente che l’avrebbe cacciata via a pedate nel culo
Tenessi chiuso questa stramaledettissima ciabatta.
Poi tornò a sorriderle amabilmente come qualche secondo prima, annuendo solennemente
“Non ti preoccupare Alex…Ti posso chiamare Alex, vero?” chiese, ottenendo un cenno di assenso dalla ragazza “Bene. So cosa si prova…Non ti senti parte di questa società, vero?”
Alexandra guardò Michael con le sopracciglia leggermente inarcate per lo stupore: come faceva a leggerle nel pensiero? Annuì mestamente, stringendo sotto al seno il mantello nero
“Sai, anche io non ho mai conosciuto i miei genitori…Mi sono fatto da solo! E ho dimostrato al mondo intero che dalla merda possono uscire i fiori, come diceva un vecchio cantautore…”
“De Andrè” sorrise Alexandra, sconcertata dal fatto che qualcun altro conoscesse uno dei suoi autori preferiti…Dalla maggior parte era considerata la musica degli eretici. Michael si voltò nuovamente verso di lei, guardandola con gli occhi sbarrati
“Lo conosci?! Oh cazzo…Una ragazza giovane come te..” Michael iniziò a farneticare qualcosa di cui Alexandra perse quasi immediatamente il filo. La scena si protrasse fino a quando i due non arrivarono davanti ad una porta, ricoperta di adesivi; Michael bussò velocemente alla porta e una voce femminile gli rispose da dentro di entrare: l’uomo aprì la porta con al seguito Alexandra, che stava attaccata al suo braccio.
La stanza non era molto luminosa, proprio come piaceva alla ragazza; un piccolo letto ad una piazza sola era posto proprio di fronte alla porta. Le pareti erano dipinte di un viola intenso e per terra erano sparpagliati fogli, libri e vinili; l’attenzione di Alexandra venne catturata da una ragazzina che se ne stava seduta proprio nel centro della stanza, con un libro aperto sulle ginocchia
“Mckenna, ti presento Alexandra” annunciò Michael, facendosi da parte per poter permettere alla ragazza di osservarla; alzò lo sguardo dal libro, rivelando due enormi occhi marroni e delle labbra molto sottili. La pelle era molto pallida, ma ciò che notò Alexandra furono i capelli fucsia della ragazzina, che la affascinarono subito: Mckenna si scostò una ciocca ribelle che le sfuggiva dal caschetto perfetto, rivelando una matita incastrata dietro l’orecchio, poi si alzò facendo precipitare il libro proprio sul suo piede
“Cazzo che male!” urlò saltellando su un piede solo, tenendosi l’altro tra le mani; Michael si passò una mano sul viso con fare sconsolato, mentre Alexandra sorrise appena della scena. Non che non la facesse ridere, ma era molto difficile che si lasciasse andare
“Macky, piantala di dire le parolacce o lo dico a tuo fratello appena torna!” la minacciò Michael mettendosi le mani sui fianchi come un padre che rimprovera la figlia. Mckenna assottigliò lo sguardo e si mise nella stessa posizione
“Ma le dite tutti! E poi è stato proprio lui ad insegnarmele, eh che cazzo”
“Oh dio del cielo” sospirò Trason lanciando ad Alexandra uno sguardo sconsolato “A volte penso di essere in una gabbia di pazzi”
“Ma lo sei Mich, è quello il problema” rise la ragazzina, che nel frattempo si era avvicinata ad Alexandra porgendole una mano “Sono molto contenta che tu sia qua, aspettavamo il tuo arrivo da settimane ormai!”
“Oh… Anche io sono molto contenta di essere qui” sorrise Alexandra rispondendo al saluto di Mckenna, la quale le fece l’occhiolino
“E poi sembri anche una buongustaia… Secondo me piacerai molto ai ragazzi!”
Alexandra guardò sconcertata Mckenna, che continuava a saltellare pimpante, per poi rivolgersi interrogativa verso Michael
“Si riferisce a suo fratello e ai suoi amici” rispose Trason, pronto a spiegarle tutto “In questo momento non sono a casa perché sono andati a fare un tour per la California”
“Un tour?” chiese Alexandra alquanto stupita
“Sì, un tour. Sai, ce ne sono un po’ come noi in giro…Non sono tutti dei damerini” rise Michael, contagiando la piccola Mckenna
“Mich ha ragione Alexandra, aspetta di vederli!” esclamò Mckenna, che nel frattempo aveva cominciato a mangiucchiarsi l’estremità della matita
“Dovrebbero ritornare a giorni ormai, se non questo weekend il prossimo” annuì Michael sorridendo felice “Quando arriveranno li accoglieremo nel migliore dei modi”
“Cazzi sì! Una festa dove scorrono fiumi di alcol, fumo, musica e ses…”
“MCKENNA! Hai solo dodici cazzo di anni, chi ti ha detto queste cose?!” sbraitò Michael puntandole l’indice contro
“Quel coglione di mio fratello!”
“Cazzo! Quella testa di cazzo…E tu smettila di dire parolacce, che fai brutta figura davanti a Alex!”
“Ma tu…”
“ZITTA!”

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Sera a tutte!
Da questo capitolo inizia la storia vera e propria, anche se lo reputo come una specie di introduzione più che altro...Nei prossimi capitoli comincerò ad introdurre gli altri personaggi :)
Aspetto le vostre recensioni!

-Columbia
   
 
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