Tutte le notti il solito, insolito calore fra le mani
Certe notti.
Certe notti s'avvicinava talmente a lei. Ma i suoi gesti, i suoi sorrisi appena abbozzati in tutto quel quadro di falsità, i suoi gesti, e i suoi capelli artificiosi, e i suoi gesti, e lei; ecco, certe notti non riusciva più a dormire, poiché realizzava che era tutto falso.
Atmosfera quieta e angosciosa, con gli occhi sempre curiosi, che guardavano il buio e la luce palpabile filtrata dalle serrande e il silenzio e lei. Gumi guardava soprattutto il silenzio, colui che sanciva tutto ciò che di mancato le accomunava, accompagnando ai sintomi delle illusioni un'agrodolce convinzione dettata da tutto il tempo piacevole passato insieme, ma così innaturale da renderle perfettamente conformanti al resto del mondo.
Rin distese un attimo la mano, allungò il braccio, le dita si mossero un poco - ancora intorpidite, ma gli occhi svegli e attenti -, un impercettibile scatto che significava: “Prendimi la mano”.
Non si tenevano per mano; si prendevano le mani. Così come si prende un vaso vuoto e lo si appoggia nei meandri di casa, pur di dimenticare il lutto del fiore che un tempo era intriso nell'acqua di quel contenitore d'arte. I vasi contenevano l'arte della natura, ma potevano divenire materiale inutile - spazzatura artistica -, così come i sentimenti.
Gumi non sorrideva, eppure in genere sorrideva sempre. Rin lo sapeva, perché anche se non poteva vedere, s'è accenato qualche riga più addietro che aveva gli occhi ben vigili. E dunque, Gumi non sorrideva. Stava ponderando tutta una catena di pensieri sull'umanità. Non stava divagando: stava delirando.
Rin invece sorrise, non tanto dei sorrisi vivaci che in genere le contornavano il volto, piuttosto di un sorriso triste e appasionato, di un sorriso che è maturo poiché si rende conto della sua infantilità eterna, di un sorriso pieno di confusione: di un sorriso vuoto. Allora si decise a destare un poco Gumi, sfiorandole le dita con la sua mano sudaticcia ed imprimendo un segno di risveglio sulla mano dell'altra. Gumi non spalancò gli occhi. Quando era sorpresa, Gumi sorrideva. Basta immaginare di come si spalancano gli occhi, per esempio, dopo un brutto incubo; ecco, lei invece stirava le labbra, per svegliarle un po' e mandare a dormire i sentimenti. I suoi sentimenti erano stati tanto in letargo da essere morti, e i loro spettri ritornavano nel silenzio fittizio e nella compagnia di Rin.
Le mani di Gumi erano inspiegabilmente calde. Strinse lievemente le dita delicate di Rin e quest'ultima rise un poco, obbligandosi a far nascere le sue solite emozioni create appositamente per raggirare; un'alitata putrida d'ipocrisia, ma al contempo coscienza del suo ridursi imminente dell'Io.
Per un istante, la mano di Rin esitò. Un attimo prima cercava asilo sotto quelle di Gumi, ma ora voleva perdersi e lasciare che nessuno la disturbasse. Ma Gumi stringeva troppo la presa, sebbene neppure lei trovasse alcun piacere in quel gesto.
Quest'ultima allungò un po' il collo, poggiando la guancia di lato ed osservando il silenzio ed ascoltando la risata di Rin. Dato che la risata s'era già spenta, Gumi accese una candela.
«Andiamo a dormire», le disse, e sorrise con un'amabile dolcezza apatica.