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Autore: suni    18/01/2009    3 recensioni
Giuseppina, per gli amici Giù, Pi per gli affezionati. Diciotto anni di goffaggine, sfortuna e individualismo. Quando suo malgrado cambia città e arriva nella nuova scuola non si aspetta altro che una nuova scarica di sfighe, e invece la ruota sembra girare. Perché Eva è una vicina di banco strepitosa, Francesco l’amico ideale, Greg, Lalla, Patty e Jack la compagnia perfetta. Ma Giù è Giù e la vocina nella sua testa le ricorda che non può essere su.
E difatti c’è un un ma. Un ma alto e biondo, con tanto di occhi azzurri, adorabili fossette e giacca arancione.
Tra serate alcoliche adolescenziali, improbabili sessioni cinematografiche, confidenze tra i banchi e risate miste alle lacrime, Giù scoprirà che anche affrontare i cambiamenti non è un’impresa impossibile. E che ad essere se stessi, alla fine, c’è soltanto da guadagnare. Anche quando si è, appunto, insostenibilmente Giù e tassativamente…sfortunati?
Genere: Generale, Comico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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III: L’ULTIMA FILA

 

L’indomani mattina Giù riuscì a non sentire la sveglia per tre volte di fila ed emerse dal groviglio delle coperte soltanto quando sua madre andò a prenderla a cuscinate. Ovviamente era di nuovo in ritardo, ma non stava più per affrontare il suo primo giorno di scuola quindi se ne strafregò della matita agli occhi, dei capelli a cespuglio, dei vestiti abbinati a pugni in faccia e dei calzini spaiati. Soltanto quando si fu gettata fuori dalla porta di casa, e una folata di gelido vento invernale le ebbe scosso il cervello intorpidito, ricordò la possibilità di incontrare Tizio sull’autobus e apparirgli in tutto il suo splendore di larva pesta e sgarrupata. 

Troppo tardi, considerò mesta zompettando in strada.

Una volta a bordo ebbe a malapena il tempo di osservarsi nel riflesso del finestrino e verificare con attonita rassegnazione la propria somiglianza con la copia troppo magra e bianca di Aretha Franklin in pigiama e cappotto, che un formicolio alla base della nuca la costrinse a spostare uno sguardo vacuo a lato. La sua mano tremò sulla sbarra cui era aggrappata e il cuore prese a galopparle in patto quando incrociò le pozze cerulee delle iridi di Tizio, distrattamente fisse su di lei in una sorta di catalessi soporifera.

Porco Giuda e Diavolo canterino, era assolutamente bello da far scricchiolare le ginocchia.

Quel mattino Tizio non era solo. Accanto a lui un ragazzo grassoccio e bruno blaterava enfaticamente, senza che Tizio sembrasse riuscire a seguire l’incatenarsi delle frasi. Persa nella contemplazione amorevole del suo mento magnificamente virile Giù considerò che doveva avere anche lui qualche problema con la sveglia mattutina, a giudicare dal modo in cui quelle palpebre dispettose si ostinavano a coprire parzialmente i suoi bellissimi occhi.

Tizio sbadigliò apertamente, spalancando le fauci come un ghepardo sotto il sole della Savana.

Sempre che i ghepardi vivessero nella savana. Forse quelli erano i leoni.

Adorabile, comunque.

Giù si concesse il lusso di esaminarlo più attentamente. Aveva già scannerizzato la giacca di pessimo gusto arancione quasi fosforescente, le lentiggini, i bei capelli chiari che scivolavano verso le spalle, dondolando qualche centimetro sotto le orecchie e spettinandosi, più in alto, in ciuffi un po’ più corti. Inoltre, scoprì, Tizio era parecchio alto. La giacca era aperta – niente di strano, su quel bus sembrava di stare in un forno pronto per cuocere la pizza – e lei poté venire a sapere con gran gaudio che lui aveva un bel fisico snello e mediamente atletico, da quel che si poteva capire tra il maglione grigio e slabbrato e i pantaloni neri cadenti.

Sospirò tra sé, ammaliata.

L’uomo della sua vita prendeva il suo stesso autobus. Tu guarda a volte i casi, si poteva ben dire.

Il suo sguardo adorante dovette risultare alla lunga un tantino invasivo, perché alla fermata numero due Tizio si riscosse sbattendo delicatamente le palpebre e sembrò riemergere da un lungo sonno: raddrizzò il busto, strizzò gli occhi un paio di volte e infine la vide.

Non che fosse in qualche modo difficile notare una psicopatica appesa a un sbarra a bocca aperta, con la testa sporta verso di lui e  l’espressione di chi sta assistendo a una performance live dei Rolling Stones a proprio esclusivo beneficio. Mancava solo un filo di bava al lato delle labbra, gemette Giù nei propri pensieri distogliendo vergognosamente lo sguardo. Avvampò come un furgone dei vigili del fuoco fissando vacua il cartellino dei posti per gli handicappati. Con un po’ di fortuna Tizio le avrebbe rivolto la parola, solo per suggerirle di accomodarsi lì.

Invece, quando si azzardò a spostare nuovamente uno sguardo cauto verso di lui, lo scoprì completamente indifferente e intento a chiacchierare col grassoccio. Tese l’orecchio per riuscire a captare quale fosse il contenuto della conversazione e fu così che udì una bella voce profonda e leggermente rauca esclamare un soave “porco cazzo”.

Intimamente gioì. Aveva anche il suo stesso lessico raffinato.

Poi l’autobus sferragliò fermandosi davanti al liceo Calvino e Giù balzò a terra cercando di prendere tempo e trattenersi in mezzo al passaggio, di modo da costringere Tizio a chiederle di nuovo di passare. Invece lo vide incamminarsi verso l’ingresso della scuola poco lontano da lei.

Era passato dalla porta dietro.

Giuuù-ù!” la raggiunse in quel momento un ruggito sonoro.

Francesco stava più o meno rotolando giù dalla via che si arrampicava verso il quartiere collinare, con un casco al braccio e l’eskimo sventolante. Fendeva la calca dei compagni di scuola dall’alto del suo metro e novanta o giù di lì, sorridendo beato nella sua direzione.

Giù si sentì contenta senza una ragione particolare, soltanto perché era il suo secondo giorno di scuola e c’era già una persona che sembrava davvero felice di vederla. Lo aspettò senza sentirsi troppo intimidita da tutte le persone sconosciute che le camminavano intorno e Francesco la raggiunse con un’altra delle sue pacche.

“Hai rivisto il tipo dell’Angelus?” esordì allegro, accendendosi una sigaretta.

Giù sospiro estasiata, annuendo ripetutamente.

“Proprio ora. Bello come un putto del Botticelli,” affermò gravemente.

“Dai, indicamelo che ti dico tutto quel che c’è da sapere. A parte me i begli uomini son quattro gatti, in questa scuola,” la incalzò lui, scrutando vivacemente la piazzola affollata. Giù trovava stupefacente tanta elettrica vitalità alle otto meno dieci del mattino.

“Come fai ad essere così sveglio?” chiese, con genuina ammirazione.

Francesco si strinse nella spalle, modesto.

“Sono venuto in motorino. Senza guanti.”

Giù rabbrividì al pensiero, cercando attentamente la sagoma di Tizio tra quelle degli altri allievi del Calvino, ma del suo colpo di fulmine non c’era più traccia.

Dev’essere già entrato,” borbottò delusa.

Vabbè, dai,” commentò Francesco accomodante. “Nell’intervallo lo rintracciamo. Com’è fatto?”

Giù esitò, persa nella mistica ricostruzione della perfezione dell’amato.

“E’ bello,” rispose, sintetica e precisa.

“Ah, ho capito chi dici,” osservò Francesco sarcastico, levando lo sguardo al cielo.

Lei ridacchio ebete, prendendo fiato.

“E’ alto e affascinante e si veste da cani,” aggiunse, più esaustiva.

Francesco aggrottò la fronte, sospettoso.

“Sarà mica quel grandissimo coglione di Mattia Galleani?”

Un coglione. Perfetto. Considerata la sua spiccata propensione ad invaghirsi del classico pirla della situazione, il suo colpo di fulmine non poteva che essere il re delle teste di cazzo. Aveva un senso.

“Probabilmente,” mugugnò Giù fatalista. “Non ne ho idea.”

Francesco fece per parlare nuovamente, fraterno.

“Ciao Franz,” intervenne invece Gregorio detto Greg, avvicinandosi con passo ciondolante. Giù sorrise timidamente al compagno di classe, accennando un saluto, mentre Francesco lo accoglieva con un’altra pacca, stavolta virile, e Giù ritenne che non potesse che aver frantumato qualche costola al ragazzo, di costituzione piuttosto mingherlina.

“Ehilà, biondo,” esclamò il gigante ignaro. Greg sorrise dietro la coltre di capelli corvini, poi mosse il capo verso la nuova allieva.

“Ciao…Giù,” salutò dopo una leggera esitazione.

Era avvolto in un maglione di lana grezza, grosso quanto due omini Michelin e contornato di sciarpine colorate di sapore tibetano. Nonostante questo riusciva a sembrare minuto accanto alla massa muscolosa di Francesco nel suo eskimo peloso.

“La squinzia l’hai nascosta?” domandò questi, sparpagliando cenere come se stesse nevicando.

“E’ andata con Patty a comprarsi la brioche,” rispose Greg, mite. Giù ricordò le informazioni avute il giorno prima da Eva: Gregorio, vicino di banco di Francesco, usciva con Laura detta Lalla, a sua volta vicina di Patrizia aka Patty. Insieme, i quattro costituivano lo zoccolo duro dell’ultima fila settore est; a sinistra, insomma. Tutto tornava, in fin dei conti.

“Oggi mi sgama di filo,” continuò Greg tristemente, portando alle labbra una sigaretta di trinciato che, dall’odore, Giù riconobbe immediatamente non essere tale. L’aroma di erba si spandeva leggero, con grazia discreta. Considerato che si trovavano a quattro metri dall’ingresso del liceo e che un insegnante era appena passato al loro fianco, lei ne dedusse che Greg non doveva essere particolarmente intimidito dall’autorità costituita.

“Chi è l’ultimo che abbiamo studiato?” s’informò Francesco distrattamente.

“Cartesio. Credo,” rispose Greg, non senza incertezza.

Giù non poté reprimere un risolino, proprio mentre la campanella suonava l’inizio delle lezioni. Francesco e Greg lanciarono via le loro paglie in sincrono avviandosi all’interno e quest’ultimo espulse l’ultima sostanziosa boccata di fumo già nell’atrio, tossicchiando delicatamente. La bidella lo scrutò con odio atavico e profondo e Gregorio replicò con un angelico sorriso. Giù scoppiò a ridere apertamente, seguendo i due compagni verso il terzo piano.

Durante l’interrogazione di Greg della seconda ora l’astuccio di Giù si ribaltò in terra, seminando penne, matite, pennarelli, biglietti ingrigiti, scontrini, biglie, linguette di lattine, clips e rimasugli di gomma per cancellare fino al fondo dell’aula. Arrossendo nuovamente la fanciulla si mise in caccia di resti, tra i sorrisi amichevoli o pietosi di qualche generoso che le porgeva i pezzi. Ad allungarle il prezioso tappo della prima birra che si era comprata alla tenera età di tredici anni fu appunto Patty, nell’ultimo banco coté finestra. Si scambiarono un cortese sorriso e nulla più, perciò Giù fu piuttosto sorpresa di vedere le due ragazze appropinquarsi al suo posto allo scoccare dell’intervallo, quando Eva scomparve di nuovo come se l’avessero sparata via dalla sedia con un cannone.

“Come va?” le chiese Patty, con l’espressione di chi porge le condoglianze ad una vedova fresca di lutto. Giù ingoiò la timidezza e si ravviò nervosamente i capelli. La sua mano restò incastrata in un nodo e mancò poco che si staccasse tutta la ciocca.

Ahio. Meglio prima,” borbottò dolorante.

Patty rise, di una bella risata cristallina ed acuta. Accanto a lei Lalla giocherellava col piercing al labbro e sorrideva leggermente, assorta nella contemplazione di Greg che si contendeva un pacchetto di patatine con Fra’ a colpi di righello.

“Mi piacciono i tuoi capelli,” continuò candidamente Patty. Giù sgranò gli occhi e la guardò allibita, puntandosi istintivamente il dito contro nell’insicurezza che parlasse davvero a lei. Patty annuì spiccia. “Sono creativi,” aggiunse a mo’ di spiegazione.

Creativi.

Beh, quello era il complimento più creativo che le fosse mai stato fatto.

“Grazie,” mugugnò perplessa.

“Patrizia si colora i capelli una volta al mese e se li arriccia, se li spunta, li tortura da anni,” intervenne Lalla noncurante, spostando finalmente uno sguardo pacifico dal suo ragazzo. “Ignorala.”

“Sei una stronza. Lo sai, sì?” la rimbeccò l’amica con un spintone.

Giù le osservò educatamente mentre prendevano scherzosamente a darsele, finché Greg si intromise distribuendo amichevoli schiaffoni con una mansuetudine spiazzante. L’arrivo di Francesco, che con una singola spintarella scaraventò quasi Patty contro la parete, sancì la fine della lotta.

“Sei il solito vitello sovrappeso, Turco,” commentò Lalla rassegnata.

“E tu sei una…”

“Zitto lì, che poi devo cercare di menarti e mi rovini,” s’intromise Greg pazientemente, allungando furtivo una mano e rubando qualche patatina dal pacchetto che l’amico gli aveva sottratto.

Giù continuava a guardarli. Le sarebbe piaciuto intervenire e dire qualcosa di divertente, ma aveva paura che invece le sarebbe uscita una frase stupida e sciapa e finì per tacere. Ma Francesco si voltò verso di lei e le sorrise radioso.

“Non mi hai ancora dato il tuo numero di cellulare, Giù,” osservò bonario, come rimproverandole una leggera mancanza.

“Porco,” sentenziò Lalla truce, e Patty scoppiò di nuovo a ridere.

“Tre volte scema!” ribatté lui piccato, mimando uno sganassone. “E’ appena arrivata e non conosce nessuno, per quello le ho chiesto il numero,” aggiunse altezzoso, sollevando il mento all’aria.

“Oh, anch’io devo darti il mio, Pi,” piovve la voce trasognata e composta di Eva, che si sporse il quel momento a scavalcare il banco.

“Già qui? L’hai scaricato?” ghignò Francesco.

“Ti piacerebbe, eh?” replicò lei con fare superiore, sventolando i capelli con movenze da vamp.

“Come no, non vedi quanto patisco la gelosia?” replicò lui melodrammatico.

“Mi pareva, in effetti. Ti ho visto subito un po’ gracile e sciupato,” commentò Giù gravemente, scribacchiando il proprio numero di cellulare su un bigliettino. Eva scoppiò a ridere e Francesco storse comicamente il naso, mentre Greg scoppiava in un ridacchiare asmatico da malato di tisi.

Al suono della campanella sciamarono tutti ai loro posti e fu mentre la professoressa di francese entrava in classe che Eva si voltò verso di lei, con espressione assorta e pensierosa, e la guardò seria.

“Lo so che non mi conosci e che quindi non ti sembrerà particolarmente strana come informazione,” iniziò, quieta, “ma penso di essere innamorata.”

Giù spalancò gli occhi e la guardò incerta, senza sapere se congratularsi o esprimerle tutto il suo più sentito cordoglio. Dall’espressione della sua faccia sembra non saperlo nemmeno Eva, se fosse una notizia positiva o meno.

Allora sorrise, ironica.

“Buona fortuna,” augurò.

Con un po’ di fortuna anche per lei – un po’ tanta, magari, ma perché porre limiti alla Provvidenza che al momento le sembrava amica – entro qualche settimana avrebbe potuto dire la stessa cosa di sé e Tizio. Wow.

Eva ridacchiò e la professoressa iniziò a spiegare.

Le lezioni finirono proprio quando Giù cominciava a credere che non avrebbe potuto fare a meno di addormentarsi e mentre si avviava all’esterno con i suoi nuovi amici, o qualcosa del genere, realizzò di cominciare a credere che la sua nuova vita fosse addirittura migliore della precedente e l’ipotesi le sembrò trovare inoppugnabile conferma quando, ferma sulla piazzola ad accendersi una sigaretta col gruppetto di nuovi compagni, vide Tizio emergere dalla porta dell’istituto. Individuò a colpo d’occhio l’arancione della sua giacca, poi ritrovò il sorriso, le fossette, le ciocche dorate che accarezzavano il collo e infine il cielo primaverile degli occhi che, per una sorta di miracolo divino, dardeggiavano splendenti proprio nella sua direzione.

Tizio avanzò verso di lei con andatura ferma e morbida, le mani cacciate in tasca. Dopo un paio di passi scosse leggermente la testa per scostare un ciuffo di capelli dal viso e Giù non seppe trattenere un sospiro estatico degno del testimone di una comparsa della Vergine Beata.

Era troppo bello per essere vero. Stava venendo proprio verso di lei.

Non poteva essere.

E infatti in quel momento Eva si mosse accanto a lei, si slanciò in avanti con entusiasmo e spiccò un saltello atterrando con precisione tra le braccia di Tizio che, invece di gettarla a terra come Giù egoisticamente sperò per un istante, piegò il collo per andare a depositare le sue labbra da film porno per casalinghe su quelle della sua vicina di banco.

Giù sentì distintamente il suono lugubre dei propri polmoni che scoppiavano con lacerazione di mucosa e le gambe cederle malamente, mentre i suoi occhi si sgranavano con orrore e la salivazione le si azzerava completamente. Realizzò immediatamente la triste, drammatica realtà dei fatti.

Tizio era Stef.

 

 

 

 

 

 

 

__________________________________

 

 

Ahm.

Devo a tutti delle scuse per questa immonda lentezza nell’aggiornare. Purtroppo ho iniziato, ahinoi, a lavorare e devo ancora organizzare bene le mie ore libere, il che mi ha portata a poter postare soltanto un paio di fic cortissime e altre due (una e mezza) vecchie che avevo lì.

C’è un pezzo di questa storia già pronto e poi è da continuare, ma sto cercando di non finire subito di sottoporvi la parte già scritta, così avanzo pian piano a passo con la stesura.

Ciò detto.

 

_sefiri_: Mille grazie! Spero l’opinione si sia mantenuta invariata con questo nuovo capitolo. Alla prossima!

Little Jewel: …Ho il sospetto che il tuo sospetto abbia trovato conferma. No? Inoltre sì, ho rifilato a Fra’ alcune delle mie passioni cinematografiche (i Monty Python, aaaah! Che ridere, cielo!) Che altro, grazie mille per i complimenti e spero il seguito non deluda le aspettative. A presto.

fog: WOOOOOOW! TU! TU, TU! Oh, che bello, che gioia, che bello! Guarda, mi dispiaceva aver cambiato momentaneamente fandom specialmente perché sapevo che non ci saresti stato…ed eccoti qui sulla mia originale. Dunque, che dire. Come al solito le tue entusiastiche recensioni a fiume mi toccano tantissimo, come al solito mi lusinghi e come al solito quell’altro gelosino (ciao!) farà bene a rassegnarsi al nostro mistico e arcano legame psicologico-mentale(-patologico?). quanto a Giù e la strada da fare, come vedi gli esordi non promettono molto. Chissà. Un abbraccio, nel frattempo.

kry333: Grazie. Dunque, penso di averti accontentata. Per cominciare, ecco svelata l’identità di Tizio. Per il resto, chi vivrà vedrà…^__^

linduzz: ^__^ Grazie! Fra’’ è un personaggio per me importante sotto parecchi punti di vista, sono contenta che abbia catturato qualche simpatia. Speriamo bene per il resto… Alla prossima!

Urdi: oh, chi si vede. Ho visto che sei tornata e spero tu stia meglio e vada tutto bene – nei limiti del possibile. Quanto alla recensione, sono molto contenta del tuo parere positivo e spero di mantenerlo invariato con il resto della storia. Vero che è strano, anche a me sembra essere passato molto meno tempo di quanto è, dall’epoca dei miei diciotto anni. Sarà che la maturità non è poi molto aumentata…^__^ Con questo, passo e chiudo. A presto!  

 

Saluti a tutti

   
 
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