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Autore: Tomi Dark angel    07/07/2015    9 recensioni
STEREK.
Tratto dalla storia: "-Pronto?-
-Scott…?-
-Sceriffo, che succede? Mi sembra un po’ tardi per chiamare…-
-La... la camera di Stiles è… un bagno di sangue. E lui non… non c’è più. Mio figlio, Scott. Mio figlio…-"
Stiles Stilinski sparisce per tre anni. Per tre anni tutti lo credono morto, per tre anni di lui non si hanno notizie. Quando però riappare, non è più lo stesso. Di lui non resta che una creatura nuova, un incubo talmente orrendo che anche Beacon Hills teme di accogliere.
Genere: Mistero, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Hale, Stiles Stilinski, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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“Sognatore è colui che trova la sua via
Solo al chiaro di luna, e la sua punizione
Sarà vedere l’alba prima del resto del mondo.”
 
È strano come tante piccole cose possano cambiare, quando la vita decide che è il momento giusto per farlo. Particolari minuziosi che si danno per scontati assumono improvvisamente importanza quando vengono a mancare, e tutto si trasforma al cospetto di quelle piccole, terribili mancanze. Un istante, una vita, un’intera esistenza. Tutto si contorce e muta intorno a ciò che di più importante sparisce nel nulla, sottraendo luce e calore alle giornate di chi ancora respira.
Derek se ne è reso conto ore fa, quando Stiles è sparito nel nulla e non è più tornato. Per Derek è stato come perdere un pezzo di se stesso, quella parte essenziale di vita che alimentava la vita stessa. Il suo lupo interiore ha iniziato a contorcersi, a ululare, tanto che alla fine Derek si è trovato a gridare per davvero, attirando il branco e dando inizio alle ricerche di Stiles.
Non può essersene andato. Non può averlo lasciato lì, un istante prima di… cosa? Di baciarlo? Di completare la sua vita rimasta a metà, che inconsapevolmente ha iniziato a risanarsi col ritorno di quel buffo ragazzino dal viso pallido?
È ormai mattino inoltrato quando Stiles ricompare tra gli alberi, zoppicando distrutto come una marionetta spaccata. Ha lo sguardo basso, la pelle e i vestiti zuppi d’acqua e sangue scarlatto, il viso rigato di lacrime ormai secche.
I raggi del sole filtrano tra le fronde degli alberi, illuminando la sua figura martoriata e costringendo Derek a fermarsi a poca distanza da lui. Lotta contro l’istinto martellante di correre ad abbracciarlo, di toccarlo, di sentire che Stiles è lì e che quel sangue non è suo. Ma come ogni altra volta, Derek si obbliga innanzitutto a rispondere ai bisogni non suoi, ma di Stiles. Per questo resta immobile, lo sguardo fisso su quel volto troppo pallido che nonostante tutto non gli è mai apparso così bello. Quando nota il familiare Cubo di Rubik stretto come un piccolo tesoro nella mano di Stiles, Derek comincia a intuire cosa sia accaduto.
Dovrebbe essere arrabbiato, dovrebbe rimproverare Stiles per essere sparito e averlo fatto preoccupare in quel modo, ma Derek non ci riesce, non col ragazzino tremante e dimesso che ha davanti.
Stiles alza lentamente lo sguardo su di lui e lo fissa in silenzio, gli occhi più dorati che mai ma traboccanti di debole umanità. Sono occhi di bambino, occhi di chi ha visto troppo e adesso è stanco e ha solo bisogno di un rifugio dove riposare, dove dimenticare. Derek affonda nelle profondità di quello sguardo, si lascia trasportare attraverso anni di torture vissute all’Inferno che tuttavia non saranno mai dolorose come la perdita di una creatura che, conoscendo Stiles, nonostante tutto rappresentava anche un amico.
-Ho capito.- dice alla fine Derek, sospirando. Spalanca lentamente le braccia, fissa Stiles con dolcezza disarmante, innamorata, devota oltre ogni limite. Uno sguardo del genere, abbatterebbe qualsiasi male dell’Inferno, disarmerebbe il Paradiso e costringerebbe in ginocchio Dio e Satana in persona. –Andiamo a casa, Stiles.-
E Stiles non se lo fa ripetere due volte: un attimo prima si trovava lontano, e un attimo dopo è lì, in quel rifugio accogliente che ha atteso troppo a lungo. Le voci si zittiscono, il cielo pare rischiararsi e improvvisamente anche la luce del sole non brucia più agli occhi. Il mondo di Stiles torna al suo posto e tutto diventa placido grazie al semplice abbraccio di qualcuno che il suo stesso demone interiore riconosce e non potrebbe mai ferire.
Stiles capisce che perfino il suo secondo io si inginocchierebbe servizievole al cospetto di Derek.
Stiles capisce che qualunque cosa accada, la sua ancora sarà sempre lì, sempre disposta a tirarlo fuori dalla sua stessa melma, senza stancarsi mai.
Quelle sensazioni sono qualcosa di talmente puro e disarmante che Stiles se ne sente sopraffatto. All’inizio non capiva perché il suo io passato teneva tanto a Derek, ma adesso sa: Derek è l’unica luce che ai suoi occhi non è mai venuta a mancare, l’unico appiglio reale che gli consente di resistere, di rialzarsi ogni volta. Dinanzi a quegli occhi di smeraldo, il suo cuore si ricostruirà sempre, mille e mille volte diverse, nonostante le difficoltà e i pezzi andati perduti.
Sopraffatto da quelle sensazioni e dal profumo speziato dell’altro, Stiles appoggia la fronte contro il suo collo e singhiozza forte, liberando quelle lacrime fino ad ora rimaste impigliate. Piange per Alastor, per se stesso, per Derek e il branco. Piange per il mondo intero, per la guerra che avrà inizio e che alla fine, Stiles ne è certo, potrebbe solo concludersi con la sua morte definitiva. Tutto andrà in pezzi, ma per una buona causa: se Stiles muore, Derek sarà libero di andare avanti in un mondo senza angeli e demoni, senza Dio e Lucifero, senza guerra.
Mentre Derek lo prende in braccio con delicatezza, trattandolo come se fosse un cristallo in procinto di spaccarsi, Stiles continua a singhiozzare tutto il suo dolore. Questo, perché ogni istante che passa lo avvicina a una comprensione più ampia di quella situazione di stallo creatasi nella sua testa. E alla fine, Stiles capisce.
Libertà. Liberare Derek.
“Il giovane uomo, Derek: non portarlo via con te”.
Una voce morbida, accattivante, rigettata da uno dei tanti ricordi che gli affollano la testa. Stiles non riesce a collegare un viso a quel timbro musicale, ma sente che stavolta è meglio così: quelle parole sussurrate, quel consiglio vomitato dall’abisso delle voci sussurranti che gli spaccano la testa giorno dopo giorno, gli fanno paura.
Qualcuno gli ha detto di abbandonare Derek, di lasciarselo alle spalle. Perché?
Mentre Stiles singhiozza, sopraffatto dal dolore e dalla confusione, Derek lo riporta al loft. Lo appoggia sul letto con dolcezza, chiama Scott e lo avvisa che sì, ha trovato Stiles e che no, non c’è bisogno che lui e gli altri li raggiungano perché adesso il giovane demone ha solo bisogno di riposo e tranquillità.
Assicurandosi che Stiles non sparisca di nuovo nel nulla, Derek si reca in bagno e apre l’acqua, lasciando che questa cominci a riempire la vasca. Il mormorio basso del rubinetto aperto è l’unico rumore che invade il loft mentre Derek torna sui suoi passi, da Stiles che ancora si rifiuta di muoversi. Il suo sguardo è vacuo e stanco, la pelle troppo pallida, le mani ancora strette intorno al Cubo di Rubik. Derek glielo sfila dalla presa con cautela, dopo essersi inginocchiato davanti a lui. Lo fissa in viso mentre gli sottrae quel piccolo cubo colorato che per Stiles adesso è tanto importante. Contro ogni previsione però, il demone non protesta e lo lascia fare.
Derek posa il cubo sulle coperte e, sempre fissando Stiles in viso, gli afferra i bordi della maglia. Ancora nulla: Stiles si rifiuta di reagire, perciò Derek ingoia il groppo che gli opprime la gola e con dolcezza solleva i lembi del tessuto, un centimetro dopo l’altro, scoprendo quella pelle martoriata che ricopre muscoli appena accennati e fianchi stretti di adolescente in procinto di trasformarsi in giovane uomo.
Derek finisce di sfilargli la maglia e la getta per terra, gli occhi che ormai si rifiutano di staccarsi dalla meravigliosa figura dell’altro. Ogni ferita, ogni cicatrice, è un pezzo unico di un altrettanto unica mappa che racconta la storia di Stiles, la sua vita, i suoi trascorsi in quegli ultimi tre anni. Nonostante la devastazione che ricopre quel corpo, Derek pensa di non aver mai visto niente di più bello.
Come in trance, allunga una mano e sfiora gli addominali accennati, caldi, appena duri al contatto. La pelle è ruvida a causa delle ferite, ma il bacio del sole disegna su di essa ombre bizzarre di arabeschi antichi dovuti alle cicatrici. Se confrontato a una bellezza simile, Derek si sente quasi misero.
Una mano più piccola e più calda si poggia inaspettatamente sulla sua, facendogli alzare gli occhi su due iridi serpentine di un brillante oro colato. Occhi demoniaci, ma intrisi di sguardo totalmente umano. È un paradosso, una sorpresa inaspettata che finanche Satana si perderebbe ad ammirare. Bene e male si incrociano lì, in quegli occhi dorati, limpidi, brillanti più di qualsiasi luce ultraterrena.
Stiles lo fissa con calore, lo sguardo perso di un bambino che non comprende bene ciò che ha davanti e che a stento si trattiene dal domandare. Ha il capo inclinato, il viso curioso e bellissimo, le labbra appena schiuse. Sembra più vivo adesso di quanto lo sia stato durante il resto della settimana.
Derek non sa che fare. Vorrebbe azzardare un movimento, un leggero protendersi verso quel viso che ha bisogno di toccare, di sfiorare solo per sentire che Stiles è lì e sta bene. Il suo lupo interiore soffre quei pochi centimetri di lontananza che li separano, ma Derek non oserebbe mai forzare Stiles a fare qualcosa che non vuole e non capisce.
Delicatamente, Derek torna al suo lavoro e si costringe a distogliere lo sguardo dal suo prima di fare qualche stupidaggine. Senza malizia, gli sfila i jeans e Stiles lo lascia fare, abbandonato a lui come una marionetta inanimata. Derek fa il possibile per non toccarlo, per evitare qualsiasi doloroso contatto fisico e visivo con la pelle bollente del demone. Ciononostante, non riesce a impedirsi di lanciare una breve occhiata alle gambe magre ma allenate dell’altro: cicatrici anche lì, lungo le cosce, le ginocchia, le caviglie, fino a sparire oltre l’orlo dei boxer neri. Un altro pezzo della mappa, un altro brandello di quella storia che affascina profondamente Derek.
-Derek?-
Lottando contro ogni suo istinto primordiale, Derek solleva gli occhi e li affonda nuovamente in quelli di Stiles, che ancora lo fissa col capo inclinato e il suo tipico sguardo di bambino. Nonostante tutto, Derek non riesce a decifrare i suoi pensieri e questo gli fa paura perché non sa se i suoi atteggiamenti spaventano Stiles o quantomeno lo inquietano. È come camminare sul ghiaccio sottile, una lastra pronta a rompersi definitivamente.
Stiles gli accarezza il viso con dolcezza, le dita che sfiorano la pelle leggere come ali di farfalla. È un tocco caldo e gentile, che fa sospirare Derek di una serenità che lo trascina a un passo dal Paradiso.
-Grazie.- dice improvvisamente Stiles, sorprendendolo. –Non ho molti ricordi di te, ma… ma mi rendo conto dei sacrifici che stai facendo per me. Sarei scontato se ti dicessi che se non fosse stato per te, forse non sarei giunto fin qui così come sono ora.-
Stiles sbatte le palpebre, lasciando libero sfogo a due identiche lacrime cristalline, umane.
-Ho visto un amico morire, oggi. Non capiva perché lo avessi perdonato ed è spirato implorandomi di spiegarglielo. La realtà è che non avevo nulla da perdonargli perché non l’ho mai accusato di niente. Ricordo bene il male che mi ha fatto, ma… ho pensato che dopotutto, Alastor non ha mai avuto il suo branco e il suo Derek ad aiutarlo a riemergere. Non ha avuto possibilità di scelta perché non c’era nessuno al suo fianco che gli spiegasse la differenza tra giusto e sbagliato. Io ho voi. Te, Scott, Lydia e tutti gli altri. Vi siete presi cura di me, mi perdonate ogni errore che commetto e siete sempre pronti a tendermi la mano.-
Stiles gli appoggia l’altro palmo sulla guancia, il viso inondato di lacrime pulite non più di dolore, ma di commozione e serenità. Derek affonda tra le onde dorate di quegli occhi, perdendosi nel mare soleggiato di ogni riflesso, di ogni limpida sfaccettatura.
-Fa ciò che senti di voler fare.- dice semplicemente, e se Derek non avesse visto le sue labbra muoversi, penserebbe che non sia stato Stiles a parlare. L’ha detto veramente? Capisce di cosa parla o semplicemente si comporta così per pura volontà di ringraziarlo? Esita appena, ma quando Stiles inclina nuovamente il capo, gli occhi fissi nei suoi, un accenno di sorriso sulle labbra, ogni resistenza cede e Derek… lo bacia.
Lo bacia come ha sempre sognato di fare in quegli ultimi tre anni, lo bacia come se da quel contatto così semplice, così gentile e bisognoso dipendesse la sua stessa vita: respira l’aria di Stiles, vive attraverso quel bacio e finalmente, un vero raggio di sole sfiora la vita di Derek, abbracciandolo di una serenità mai provata, mai toccata davvero. Si aggrappa a lui, appoggiandogli una mano dietro la nuca e l’altra sul fianco mentre Stiles ancora gli stringe il viso con dolcezza infinita e innamorata. Le lingue danzano, intrecciandosi e sfiorandosi in un rituale ipnotico che sa di affetto disarmante e troppo a lungo celato.
Stiles sa di zucchero filato. È buffo, ma è così: il suo sapore è così dolce che Derek sente di non voler mai più provare qualcosa di diverso. Annega in quel sapore, si ciba di lui, vive grazie alla semplice benevolenza di Stiles. Il suo lupo interiore ulula felice quando Derek lo stringe più forte, baciandolo ancora e ancora, senza mai stancarsi. Finanche l’aria gli appare superficiale e assolutamente inutile, perché tutto ciò di cui ha bisogno è lì, tra le sue braccia, nella sua bocca e affonda tra le pieghe del suo animo, risanando ogni ferita.
Le labbra di Stiles sono bollenti, ma non scottano. Sembrano quelle di un malato di febbre, ma ormai Derek sa che quella è la sua temperatura normale e gli va bene così. Gli va bene tutto, perché quel tutto include Stiles Stilinski.
Lentamente, il demone si sporge verso di lui per permettergli di approfondire il bacio, ed è proprio in quel momento che Derek si accorge che qualcosa gli sfiora i fianchi, cingendoli con un filo sottile ma resistente. Stringe senza soffocare, quasi timoroso di toccarlo, e il licantropo sa già di cosa si tratta, perché lui quella coda l’ha già toccata in precedenza, quando Stiles era ancora se stesso. Apre gli occhi, e ciò che si trova davanti è quanto di più straordinario abbia mai visto.
Si dice che il mondo sia pieno di magia. All’inizio, Derek non ci credeva perché la magia benefica, quella vera che dicono faccia sorridere i bambini e volare le fate dei sogni, era sbagliata, troppo buona per esistere davvero.
Adesso però, Derek ci crede. Per l’ennesima volta, questo accade grazie a Stiles.
La pelle del demone adesso non è semplicemente attraversata da vaghi riflessi rossi e oro, no: adesso la sua pelle è fiamma, è vita e luce. Riflette i bagliori più intensi delle fiamme infernali, possenti e guizzanti, splendidi di sfumature vermiglie, dorate e arancio. Piccole squame come di serpente ricoprono il suo corpo di una corazza splendente, traslucida, che brilla di vero fuoco fatuo e colori guizzanti che abbagliano Derek di una bellezza antica e senza tempo. Stiles non è semplicemente portatore del fuoco: egli è il fuoco stesso, quella fiamma possente e inestinguibile che brilla sulle squame, come una supernova pulsante e viva di meraviglia.
Derek non riesce a smettere di fissarlo, meravigliato. Vede gli occhi di Stiles farsi di un dorato intenso, dalla pupilla verticale e sente la lunga coda dalla punta affilata stringergli dolcemente la vita. Ogni cosa in lui splende di magnificenza viva e pulsante, potente e bellissima.
È così che è fatto un demone? Non somiglia per niente a Valefar. Stiles appare come la più nobile delle creature, la più possente, la più magica e irraggiungibile. Se Derek dovesse dare un volto e un corpo all’essenza stessa del fuoco, sarebbero quelli.
Stiles lo fissa accigliato quando nota l’immenso stupore sul volto di Derek. Si sente strano, ma non è una brutta sensazione. Ha lo stomaco in tumulto, il cuore che batte a mille e le voci… le voci non ci sono più. C’è silenzio, una pace antica e senza tempo che annega ogni dolore di Stiles, ogni preoccupazione, ogni paura. Tutto grazie allo stesso uomo che adesso lo fissa stupefatto, gli occhi smeraldini sbarrati e le adorabili labbra lucide di saliva schiuse.
Stiles si chiede se ha qualcosa in faccia e automaticamente solleva una mano per toccarsi la guancia. Poi, la vede: la sua pelle adesso è squamata come quella di un rettile, ma sembra… viva. Come se il fuoco stesso guizzasse su di essa, facendo danzare una miriade di sfumature rosse e oro.
-Oddio!-
Stiles si ritrae di scatto. La coda libera Derek e schizza all’indietro in un arco che graffia profondamente il soffitto mentre il demone quasi cade dal letto, colto dal panico. La pelle guizza ancora, poi sparisce. Le squame si ritirano, il fuoco torna a covare in profondità e gli occhi tornano normali.
Stiles si rannicchia sulle coperte, gli occhi sbarrati fissi sulle sue gambe nude come se temesse di vederle trasformarsi da un momento all’altro in qualcosa di orribile.
-Stiles.-
Derek si avvicina lentamente, misurando i movimenti. Gli afferra i polsi con dolcezza e poco a poco lo costringe a distendere gli arti tremanti e coperti di cicatrici. Aspetta che il battito impazzito del cuore di Stiles si calmi, poi gli appoggia una mano sulla guancia e attende pazientemente che l’altro trovi il coraggio di guardarlo in faccia.
Quando Stiles solleva gli occhi, trova ad aspettarlo uno sguardo di giada bellissimo e profondamente innamorato. È qualcosa che non credeva di ricordare, ma… ma il volto dell’amore, quello vero, non può essere che il suo, quello di Derek. Del suo Derek, al quale Stiles affiderebbe ogni cosa, per quanto poco abbia ancora a disposizione.
-Stiles.- lo chiama ancora Derek, afferrandogli il volto tra le mani. –Sei bellissimo.-
E quando finalmente torna a baciarlo, il corpo premuto contro il suo, le mani aggrappate ai suoi fianchi e le gambe abbracciate dalla lunga coda demoniaca, Stiles sente un altro pezzo di se stesso scivolare al suo posto. Forse, non è poi così mostruoso.
 
Lydia non riesce a dormire. Se solo socchiude gli occhi, quelle terribili immagini compaiono di nuovo dietro le palpebre, come un film che si attiva solo a luci totalmente spente. Sono incubi spaventosi, traboccanti di urla e gente che implora pietà. Lydia riesce a sentire quasi il puzzo di carne bruciata misto a quello del sangue mentre la sua maledetta natura di banshee riproduce quelle immagini infernali che in effetti rappresentano l’Inferno stesso.
Lydia ne ha avuto un assaggio, un breve scorcio a malapena visibile, ed è quasi impazzita. Da allora, non fa che domandarsi come abbia fatto Stiles a resistere lì sotto, sottoposto a torture e lacerazioni fisiche e psicologiche. È sempre stato così forte? Più di tutti loro, più di Scott e Derek, più di qualsiasi nemico abbiano mai affrontato in battaglia. Perché Lydia ne è certa: nessuno sarebbe sopravvissuto per un solo giorno, lì sotto.
Comincia a tremare convulsamente, gli occhi socchiusi e l’impellente bisogno di dormire che ormai preme come un macigno sulle sue palpebre. Lydia ha paura, ma non riesce a combattere contro il suo stesso corpo.
-Vi prego, basta.- sussurra, socchiudendo gli occhi colmi di lacrime. È profondamente stanca, ma le visioni sembrano intenzionate a non darle pace. Lydia è certa che se avrà un’altra visuale seppur breve dell’Inferno, impazzirà per davvero.
-Basta… per favore…-
E forse, non tutte le preghiere cadono nel nulla quando le pronunciamo. A volte qualcuno le ascolta, ma non sempre si tratta di Dio.
Un corpo affossa il materasso alle sue spalle, un braccio caldo e inaspettatamente muscoloso le avvolge la vita con dolcezza. Lydia riconosce l’odore e la cadenza del respiro ancor prima che Valefar parli.
-Problemi di insonnia?-
Lydia sbuffa, ma si vede comunque costretta a nascondere il suo stesso sorriso contro il cuscino perché improvvisamente, gli incubi sembrano lontani anni luce mentre le ali di Valefar si spiegano lentamente, invadendo la stanza, riempiendo ogni spazio di nero e blu cobalto come uno splendido cielo notturno dai mille riflessi danzanti. Lydia le sente appoggiarsi sulle sue spalle e avvolgerla come una coperta. Non avrebbe mai pensato che potessero essere così morbide e piacevolmente calde, come un manto di seta.
-Tu che dici?-
-Dico che hai bisogno di un aiutino.-
-Non ti ho dato il permesso di entrare nel mio letto.-
-Detta così, la cosa è equivoca…-
-Colpa tua. Ora dammi un motivo per non mettermi a urlare, attirando qui i miei genitori e…-
-E spaccando tutti i vetri e gli specchi presenti nel raggio di diverse miglia? Voglio vedere poi come la spieghi ai tuoi questa tua magnifica estensione vocale.-
Lydia non riesce a trattenersi e ridacchia divertita.
-Visto?- sussurra Valefar, muovendosi appena alle sue spalle. –Sei più bella quando ridi.-
Lydia arrossisce. –Io sono bella sempre.-
-Lo so.- ride lui. –Ma ti preferisco sorridente e riposata.-
Fa scivolare qualcosa di freddo e sottile intorno al suo collo. La catenina d’argento le solletica le clavicole, risvegliando la sua curiosità. Muovendosi sotto il sottile manto  setoso delle ali, Lydia si solleva su un gomito e usa l’altra mano per afferrare la collanina e portarsela davanti agli occhi.
Una piccola rosa di rubino finemente intagliata avvolge due identici petali di autentico smeraldo intorno a una semplice sfera di legno apparentemente innocua ma tirata a lucido che Lydia riconosce. Con uno scatto della testa, si volta a fissare Valefar, seduto a gambe incrociate sul letto. Per la prima volta Lydia lo vede struccato e coi capelli arruffati. Il suo viso sembra più pallido e gli occhi stranamente più affilati, come quelli di un falco. È più bello che mai, ora che le sue iridi brillano come fari nell’oscurità, azzurre come il cielo d’estate.
-Questo è il mio… quando…-
-Non c’entro niente.- si difende lui. –Te l’ha sfilato Dumah dalla tasca. In effetti, l’idea è sua e Allison… insomma, mi ha aiutato a scegliere la forma da dare al ciondolo.-
Valefar si gratta la testa, a disagio. Distoglie lo sguardo da Lydia, arrossisce appena, rifiutandosi di guardarla in faccia.
-Questo è il grano del rosario che Stiles affidò a Deaton.-
Lydia sa che Valefar ne è a conoscenza, ma ha bisogno di ricordare a se stessa che tutto è iniziato con quel piccolo grano: l’Inferno, i dannati, gli angeli, i demoni. Tutto quanto ha iniziato a girarle intorno e, se da una parte Lydia odia quella situazione, dall’altra non può impedirsi di pensare che quel percorso l’ha condotta lì, da Valefar. In quel letto, a fissare una piccola rosa di rubino e smeraldo intrecciati.
Vorrebbe dirgli che quella misera collanina non è abbastanza per una come lei, vorrebbe dirgli che è stato uno stupido idiota a permettere che le rubassero il grano del rosario. Vorrebbe dirgli tante cose degne della vecchia Lydia, ma lei non è più così. O, più semplicemente, Lydia non è così quando si tratta di lui e se anche Allison l’ha capito, c’è da preoccuparsi.
-Grazie.- si limita a dire alla fine.
-Non avrai più gli incubi, con quello addosso.- sorride Valefar.
-Come sai dei miei incubi?-
-Tu sei una banshee e io sono un demone molto bene informato.-
Lydia sorride appena prima di tornare a coricarsi. Si raggomitola contro il fianco di Valefar come se fosse la cosa più normale del mondo e lascia che la sua ala li stringa entrambi, nascondendoli allo sguardo del mondo e richiamando per una volta quella pace tanto a lungo cercata.
Quella notte, Lydia non avrà gli incubi. A proteggerla, ci sarà il suo demone custode.
 
Dumah non ha mai pianto in vita sua: non fa per lei e, sinceramente, non ricorda bene come si fa. Non ha mai provato il desiderio di riuscirci perché piangere rende deboli ed espone a emozioni che un normalissimo demone non riesce a sopportare.
Perché allora adesso Dumah si sente così a pezzi? Non sta piangendo, ma è come se lo avesse fatto per ore, senza fermarsi mai.
Quel dolore lancinante al petto brucia da morire, le corrode gli organi e la pelle come un acido che scava sempre più a fondo, fin dentro le ossa tremanti e forse in procinto di spezzarsi.
Lo ha perso. Lui non c’è più.
Dumah cade in ginocchio sull’erba sporca di sangue, si piega, vomita. Lo stomaco si contorce, le ombre si addensano intorno al laghetto silenzioso, custode di un corpo che inanimato non avrebbe mai dovuto essere. Un corpicino piccolo, che serenamente pare dormire sul fondale, affiancato da un piccolo gatto nero. Se Dumah non lo avesse visto bene, non lo avrebbe riconosciuto.
Alastor era suo amico. Dumah aveva un po’ paura di lui, ma hanno condiviso insieme tanti momenti, tante giornate che forse non erano poi così male. Giornate in cui Alastor preparava il caffè, fingeva di non vedere gli sgarri di Dumah e, raramente, sorrideva addirittura. Forse, quando era umano, quel sorriso era in grado di rischiarare anche il sole ma adesso non riesce nemmeno a respingere le tenebre della morte che sono riuscite a soffocarlo.
Dumah non gli ha mai chiesto come si chiamava davvero, qual’era la sua storia. È morto quando era un bambino o ha acquisito questa forma per puro diletto? Aveva una famiglia, qualcuno che gli baciava le tempie e lo metteva a letto, dicendogli di non temere il buio perché alla fine, un po’ di luce anche nelle tenebre c’è sempre?
Dumah stringe forte dei ciuffi d’erba tra le dita, annerendoli. Si sente sola, schiacciata, a pezzi. Ma ancora non riesce a piangere per un amico deceduto, e per questo si odia. Forse non è abbastanza umana, forse ha sbagliato tutto. Se fosse rimasta con lui, magari… cosa? Sarebbe cambiato tutto, Alastor si sarebbe salvato? Non ci vuole un genio per riconoscere l’entità di quelle ferite, e Dumah è certa di conoscere il nome dell’assassino. Cosa avrebbe potuto fare contro Michael? Un arcangelo è feroce, malvagio più di qualsiasi cosa. Un arcangelo, nella sua purezza, è abbastanza impuro da uccidere.
Qualcosa si poggia sulle sue spalle tremanti, un giubbotto che profuma di dopobarba e terra bagnata.
-Odio vedere le belle signorine soffrire così.- dice Peter Hale, sorridendole sornione. Le stringe rudemente le spalle, inginocchiato al suo fianco. Dumah non l’ha sentito arrivare.
Cosa ci fa lì? L’ha seguita, vuole forse ucciderla?
-Hai intenzione di provare a farmi fuori adesso che non ci sono testimoni?- chiede  stancamente, fissando senza paura i suoi occhi in quelli azzurri dell’uomo che ha davanti.
Peter finge di pensarci. –No, odio sporcarmi le mani. E i vestiti. Specialmente quando sono nuovi e ancora integri.-
-Cosa vuoi, allora?-
Peter ammicca. –Ho saputo quello che hai fatto per quel demone, Valefar. La collana per Lydia.-
-Te l’ho detto, dolcezza: faccio cose strane quando mi annoio.-
-L’ho notato. Adesso sei annoiata?-
Dumah fa un sorriso storto, evitando di guardare alle sue spalle, verso la tomba subacquea di Alastor. Non vuole pensarci, non vuole continuare a chiedersi fino a che punto siano stati i suoi errori a spingerlo alla morte.
-Abbastanza.- si limita a dire, cercando di recuperare un po’ di quel contegno storico e provocante che l’ha resa famosa agli occhi degli altri demoni.
Peter si raddrizza con calma e le porge la mano, sorridendo con quel suo temperamento poco rassicurante che agli altri fa paura ma che Dumah trova… affascinante. Inquietante, certo, ma dopotutto è anche questo che attira i demoni come lei. Il pericolo, la paura, il sinistro.
-Allora immagino che andare a fare una passeggiata sia un buon modo per ammazzare la noia.-
Dumah guarda la sua mano, stordita. Nessuno ha mai fatto un gesto simile nei suoi confronti, prima d’ora. Nessuno chiede la sua opinione, nessuno le ha mai dato alcuna libertà di scelta. Per la prima volta, le chiedono se accetta di fare qualcosa, e lei non avverte il peso di alcuna costrizione. È una scelta, una possibilità. È Peter Hale. E forse, vale la pena rischiare e provare ad accettare quella mano tesa.
Con decisione, Dumah ricambia la stretta e si fa tirare in piedi, leggera come una piuma e improvvisamente rasserenata.
È così che ci si sente quando si è liberi davvero?
 
Isaac non è mai stato un tipo espansivo. Odia le emozioni e tutto ciò che da esse deriva. In passato, quelle stesse emozioni gli sono costate care, l’hanno ferito, l’hanno reso vulnerabile. Suo padre lo picchiava quando lo vedeva piangere e mentre moriva, sua madre l’ha visto gridare, arrabbiato col mondo e con Dio che gliela stava portando via. Isaac inveiva, urlava, si decomponeva lentamente ai suoi occhi mentre tutto ciò che restava della sua anima decadeva. Allora era debole, e adesso che è un licantropo non ha smesso di esserlo. Per qualche anno, ha sofferto di attacchi di panico, proprio come Stiles. Gli tremavano spesso le mani, gli mancava l’aria, a volte sveniva pure. Ed era solo quando accadeva. Odiava non avere controllo del suo corpo, odiava sentirsi fisicamente debole e dimesso, così come suo padre non riusciva a sopportare di vederlo. Per questo, Isaac soffriva in silenzio e in silenzio si decomponeva. Questo, finché non ha scoperto che qualcosa che gli impedisse di tremare, c’era davvero.
Tracciare linee su un foglio, spostare magicamente una punta di matita su una liscia superficie bianca per rimodellarla e darle vita. Si sente potente quando disegna, si sente padrone del suo mondo e dei suoi colori, dei suoi occhi e delle sue mani. A lui è affidata ogni decisione, e lui infine sceglie i parametri di ciò che foglio racchiude come segreto scrigno di creature e luoghi, storie e atmosfere. Disegnare lo ha sempre aiutato a sciogliere le matasse nel suo cervello, così come mani sapienti di saggio sbrogliano un intrigo di fili intrecciati tra loro. Un pezzo alla volta, una linea dopo l’altra, Isaac riordina le idee, i pensieri, i ricordi in scaffali colorati di astucci e matite, di fogli e gomme da cancellare.
Non vuole che gli altri sappiano che disegna da anni, non vuole che qualcuno scruti nella sua testa come farebbe semplicemente guardando uno solo dei suoi disegni. Lui, le illustrazioni a matita che costruisce, finisce sempre col distruggerle. Odia ciò che è nella sua mente, odia vedere su carta i pensieri maledetti che troppo spesso gli affollano il capo.
Era da un po’ che non lo faceva, ma adesso ne ha bisogno perché la sua testa è un maledetto pigiama party di mostruosità senza capo né coda, e Isaac non è neanche sicuro che le suddette mostruosità un capo o una coda ce l’abbiano. Vuole però provare a trovarli e l’unica cosa che può aiutarlo a fare questo sono le sue matite e i suoi fogli, che lui nasconde spesso sotto il letto per fare in modo che Scott e Melissa non li trovino.
Linee, tratteggi, picchiettii di punta contro il foglio. Un mondo si intreccia, un planisfero prende forma.
Pensa.
Stiles va all’Inferno. Sbuca di nuovo a distanza di tre anni. È un demone e fatica a controllare la sua vera natura, esattamente come un licantropo durante la luna piena.
La matita scivola, nuove linee germogliano sul foglio.
Pensa.
Dumah e Alastor lo accompagnano. Inizialmente nemici, ma Dumah si ribella e passa dalla loro parte, come Valefar. Qualcosa non quadra. Dumah potrebbe tradirli, ma è l’unica possibilità per riportare indietro il vecchio Stiles.
Tratteggi, ombreggiature, la punta della matita si spezza appena.
Pensa.
Isaac continua a ragionare, accucciato sul letto e con gli occhi vitrei che in realtà non guardano ciò che traccia la matita. Semplicemente, lasciano che essa scivoli sul foglio, che segua il percorso di quella storia senza capo né coda, curiosa in ogni sua sfaccettatura. Qualcosa manca, molto non quadra. Isaac fiuta, cerca, insegue. Guarda verso quei momenti, fissa ipnotizzato gli istanti più importanti del tradimento di Dumah, dell’allenamento di Valefar… delle ore vissute con Scott. No, forse non dovrebbe. È sbagliato pensare a Scott, è anomalo. Scott è il suo Alpha, il suo amico. Si fida di lui e a lui affiderebbe la sua stessa vita, ma pensare a lui in quel momento è stupido e inutile. Non porterebbe a niente. Quei momenti non c’entrano niente in tutta quella storia, ma nonostante tutto, Isaac li trova ugualmente impossibili da riconoscere e classificare.
Linea.
Scott è suo amico.
Linea.
Scott l’ha accolto in casa sua, l’ha protetto. Anche quando non faceva parte del suo branco, si preoccupava per lui. Nessuno l’ha mai fatto, prima. Né suo padre, né sua madre, né i suoi amici. Ognuno gli voltava le spalle, ognuno ignorava le sue debolezze e le sue malattie, coprendosi gli occhi per convincersi che egli stesso non esistesse. Isaac era un’ombra. Nessuno lo vedeva, nessuno gli parlava. Isaac non esisteva e basta.
Linea.
Qualcosa cambiò improvvisamente, e il diventare un licantropo c’entra veramente poco. Qualcuno l’ha visto, qualcuno ha sollevato la coperta sotto la quale aveva scelto di nascondersi. Un’ombra ha alzato il capo, un’ombra è stata richiamata alla vita. E improvvisamente, Scott gli ha stretto la mano e l’ha condotto alla materialità del sole e della luna, delle stelle e del pianeta Terra.
Linea.
-Ma… è una foto?- esala una voce stupita troppo vicina al suo orecchio.
Isaac reagisce d’istinto, gettando via album e matite con uno scatto nervoso. La mano artigliata saetta velocissima, ghermisce la maglia del nuovo arrivato e lo strattona con violenza, spingendolo a schiantarsi sul letto. Isaac gli preme un ginocchio sullo stomaco, gli stringe il collo e, ancora infuriato e troppo nervoso, accosta il suo viso a quello di Scott per ringhiare bestialmente, un suono che fa tremare le pareti e il pavimento, il cielo e la terra. È un avvertimento, una minaccia. Contro… Scott?
Isaac sbatte le palpebre, gli occhi ancora gialli, le zanne estese, le labbra schiuse. Resta immobile a un soffio dal volto di Scott, vicino come non è mai stato prima d’ora, vicino come mai ha scelto di osare. Fissa gli occhi in quelli rossi dell’altro, che nonostante tutto non si muove, non reagisce. Scott trattiene il respiro ma lo guarda con placida serenità, per nulla spaventato dagli artigli che premono sul suo collo, troppo vicini a un punto vitale. Isaac si accorge di premere le unghie contro la sua pelle, ma a Scott sembra non importare. Non parla, non reagisce. Potrebbe scagliarlo dall’altra parte della stanza, ma non osa. Al contrario, lo fissa e aspetta, in silenzio, adattandosi ai suoi ritmi così come Isaac ha fatto con lui tante e tante volte.
Scott profuma di buono. Isaac non ci ha mai fatto caso, in realtà. Un tempo si limitava a seguire l’olfatto, a fiutare le piste senza inalare per davvero ogni sfaccettatura di quegli odori. Lui non li studia, non li classifica.  Eppure, adesso si trova a farlo perché il profumo di Scott gli entra nelle vene e nelle carni, nella mente e nei pensieri. Strano a dirsi, ma lui odora di… sole. Non c’è altro modo per descriverlo.
Isaac ricorda di essere scappato di casa, una volta. Era appena un bambino, un infante disperato che fuggiva dalle percosse del padre e dalle urla della madre. Si copriva la testa, piangeva, supplicava il mondo di fermarsi ad ascoltarlo, almeno per una volta. Ma il mondo non ascolta mai e mai si ferma alle sofferenze dei piccoli, come a quelle dei grandi. Per questo, quando il pianeta gira troppo in fretta, a volte semplicemente si segue il suo percorso, il lento girare di un’orbita lenta e infinita attorno al sole. Isaac corse per inseguire quel movimento, per scappare dal mondo e imitarlo al contempo. Pregò di trasformarsi in terra, pregò di diventare aria e pioggia. Per una volta, anche lui voleva ignorare, così come il mondo intero ignorava lui da quando era nato.
Isaac ricorda di aver corso fino a consumarsi le scarpe, per poi crollare esausto in mezzo all’erba baciata dal sole. Aveva stretto forte i fili di smeraldo, aveva pianto. Poi, in quel mare di marcia disperazione, un nuovo profumo gli aveva schiarito i sensi, accarezzandolo e proteggendolo così come mai aveva fatto sua madre con lui. Quell’odore sapeva di libertà, di vita, di morte e rinascita. Quello era l’odore del sole e della luce. La sua luce. La sua alba e il suo tramonto. Quando inalò per davvero quell’odore, Isaac si sentì meno solo. Se gli uomini non erano dalla sua parte, non voleva dire che almeno il resto del mondo non lo proteggesse nei momenti più disperati.
Scott odora proprio come quel sole. Benefico, purificatore, immensamente forte, ma al contempo ugualmente caritatevole.
Isaac si allontana da lui bruscamente, come se Scott scottasse. Si alza dal letto, con un balzo attraversa la stanza e si schianta di schiena contro la parete opposta. Lo fissa come un animale in gabbia mentre Scott si rialza, ma nonostante tutto, Isaac non fiuta in lui il minimo sentore di paura o inquietudine. Solo… fiducia. Fiducia cieca. In lui. Ma non è possibile, perché nessuno si è mai fidato veramente di Isaac. Né suo padre, né sua madre, né i suoi amici. Nessuno.
-S… scusami.- sussurra Isaac, cercando invano di calmare il battito impazzito del cuore. Si preme una mano sul petto, respira pesantemente per liberare le narici dall’odore di Scott, che tuttavia pare essersi insinuato nel profondo del suo stesso essere. Lo stesso sole che una sola volta lo protesse quando era bambino, tanti anni fa, si riflette adesso negli occhi scuri di nocciola del giovane Alpha che ha davanti. Occhi gentili, occhi intrisi di carità gentile. Lo sguardo degli angeli, di quelli veri, dovrebbe essere quello. Giovane e pietoso, morbido e bellissimo. Lo sguardo di Scott.
Lentamente, sotto gli occhi vigili di Isaac, Scott si alza. Con calma serafica, come se non volesse spaventarlo, si china per raccogliere qualcosa, un ammasso di fogli sparpagliati che, stretti tra le mani di Scott, fermano il cuore di Isaac per diversi istanti.
Non deve vederli. Non deve guardare nella sua testa, non deve giudicarlo. Lo deriderà, lo prenderà in giro, forse lo caccerà di casa. Anche Scott gli volterà le spalle, e allora Isaac sarà solo per davvero, ancora una volta.
Scott scorre gli occhi sul foglio in cima alla pila, lo sguardo stralunato e le labbra schiuse. Stringe il blocco da disegno con delicatezza estrema, come se avesse tra le mani un fragile pezzo di cristallo. Le dita toccano riverenti la carta, le palpebre sbattono più e più volte, spaccando l’animo di Isaac in dieci, cento, mille pezzi.
Sta per farlo. Sta per tirargli addosso il blocco. Lo insulterà, gli urlerà contro, gli farà male.
Lentamente, Scott alza lo sguardo e incontra quello terrorizzato di Isaac, che impotente continua a schiacciarsi contro il muro, pronto a difendersi o a scappare.
-È… è un disegno?- domanda titubante.
Isaac non risponde, ma Scott si avvicina lentamente, il blocco ancora stretto tra le mani.
È allora che Isaac abbassa gli occhi sul suo ultimo lavoro, e guardandolo, capisce perché Scott abbia reagito così. E sa anche perché da un momento all’altro, Isaac stesso tenterà di seppellirsi vivo.
Il disegno ritrae proprio Scott. È solo un primo piano del viso, nulla di particolare. Nulla, se non fosse che l’immagine è così elaborata e ben fatta da sembrare una foto vera e propria, ma in bianco e nero. Profonda, viva, naturale. Pare che da un momento all’altro, un secondo Scott possa uscire dal foglio e tingersi dei suoi tipici colori, vivo così come lo è quello vero.
Nel disegno, Scott fissa verso il basso con occhi stanchi di giovane ragazzo che troppo ha visto e che troppo peso ha sopportato. La le labbra serrate, gli occhi che, nonostante l’assenza di colori, lasciano intendere la propria rossa brillantezza. È Scott, ma così come Isaac lo vede: affaticato e bellissimo, anziano e giovane allo stesso tempo. Capo di un branco di vite da proteggere, quando invece alla sua età, le sue uniche preoccupazioni che dovrebbe avere racchiudono la scuola e nuovi amici da trovare.
-Isaac.- chiama Scott, e allora Isaac comincia a guardare prima la porta e poi la finestra, classificandole come vie di fuga. Riuscirebbe ad essere tanto veloce da schivare i primi colpi di Scott? Riuscirebbe a impedirgli di fargli male come faceva suo padre?
-Ehi, non ci pensare nemmeno!- esclama Scott, avvicinandosi ancora. –Io non sono lui.-
Isaac allora si immobilizza, lo guarda. Vede la sua mano sollevarsi, fissa terrorizzato le dita che presto si chiuderanno in un pugno. Trema, ha paura, ma non riesce a sostituire il viso di Scott con quello di suo padre. Non sa perché, ma gli è impossibile.
Scott è diverso. Scott è il suo Alpha, e lui si fida del suo Alpha. Si fida dello stesso sole che l’ha baciato in viso una volta, quando era bambino, salvandolo da se stesso e dal mondo intero.
-È bellissimo.- esala Scott alla fine, sorridendo di un bellissimo sorriso, luminoso come quello di un bambino e reale come fiore appena sbocciato. –Non ho mai visto un disegno così bello. Sono davvero così? Posso tenerlo?-
Isaac sbatte le palpebre, ancora stordito. Fissa in viso quel piccolo sole sorridente, quel caldo abbraccio di calore che nella sua umana gentilezza, ha voluto complimentarsi con lui, riconoscere la sua esistenza. Nessuno l’ha mai fatto, prima. Nessuno è mai entrato nella sua testa e nei suoi occhi così profondamente, così impunemente. Nessuno, a parte il suo Alpha, lo stesso ragazzo che adesso gli sorride e lo fissa con… ammirazione? Esiste quel sentimento, se rivolto ad Isaac?
È un momento impossibile, qualcosa che Isaac non ha mai nemmeno immaginato. E quel regalo, per quanto piccolo, agli occhi di Isaac è invece importante più di qualsiasi altra cosa, più del respiro stesso. E a regalargli quel momento impossibile, è Scott, il suo impossibile Alpha del suo impossibile branco.
Mai come in quel momento, Isaac sente che farebbe qualsiasi cosa per lui, perché è tra le sue mani che adesso i suoi stessi sentimenti, il suo stesso essere, si riplasmano. Isaac guarda al sole, e ciò che vede è Scott. Isaac guarda alla luna, e ciò che vede è Scott.
Non ha mai pensato di essere importante ai suoi occhi. Lui si limita a fargli compagnia nei momenti più brutti, così come farebbe un bravo membro del branco. Quando ci riesce, si prende cura di lui e copre i suoi sgarri, ma Scott di certo questo non lo vede, così come suo padre non vedeva gli sforzi che compiva a scuola o quelli che faceva per pulire casa, anche con la febbre alta o un braccio rotto. Ma va bene così.
-Pre… prendilo pure.- esala Isaac, stupito, e Scott sorride più ampiamente.
-È bellissimo, Isaac. Non sapevo che sapessi disegnare così bene.-
Isaac si gratta la nuca. –Ho… lo faccio da quando ero piccolo. Mi aiutava a concentrarmi.-
Scott continua a fissare il disegno, incantato. –E hai bisogno di concentrarti anche adesso?-
-Eh?-
Scott lo guarda con un accenno di timore, un fare dubbioso che Isaac non riesce a interpretare. –Ti spiace farmi compagnia? Forse vederti disegnare mi aiuterà a distrarmi…-
Isaac non sa cosa lo spinge ad annuire, non sa perché alla fine, ad averla vinta è sempre Scott. Semplicemente, torna a sedersi sul letto, recupera le matite e i fogli mentre il suo Alpha troppo giovane e troppo appesantito dalla vita si accomoda al suo fianco e lo fissa mentre la matita scivola sul foglio, un tratto dopo l’altro.
Questa volta, Isaac non pensa. Questa volta, lascia che il suo disegno non nasca da alcun pensiero, da alcuna preoccupazione. Disegnerà per ore, fino al tramontare del sole e al sorgere dell’alba nuova, senza stancarsi mai. La presenza di Scott non lo infastidirà e lui non parlerà mai, troppo preso ad osservarlo per aprir bocca. Si addormenteranno entrambi, troppo stanchi per continuare ma più leggeri d’un unico peso che, consapevolmente, entrambi spartiranno tra loro, spalla a spalla, Alpha e Beta. Insieme.
Quando Melissa apre la porta della stanza e sbircia dentro, inconsapevolmente sorride nel trovarli assopiti su un unico letto, vicini come mai sono stati prima d’ora. Sole e luna affiancati, che si toccano, figli d’un pianeta che insieme li ha cresciuti, sotto unico cielo stellato.
Scott appoggia il capo sulla spalla di Isaac, che dolcemente adagia la guancia sui suoi capelli. In grembo, il Beta stringe ancora un piccolo album da disegno, dove come premonizione di sogno beatamente costruito, un’identica immagine di loro due assopiti nella medesima posizione ammicca in bianco e nero, realistica e bellissima come una foto che Melissa non si risparmia di scattare.
 
Angolo dell’autrice:
Fuochi d’artificio, gente! CE L’HANNO FATTA!!! Forza, Derek, l’hai capito! Adesso devi solo capire tutto il resto! Stiles ha una pazienza che io stessa non potrei mai avere! Ma, signori, forse è meglio così. Non sarebbero Stiles e Derek, altrimenti. Spero che il capitolo vi sia piaciuto e che, quantomeno, il bacio sia come ve lo aspettavate! Spazio ai meritatissimi ringraziamenti per voi demonietti recensori che nel momento del bisogno avete saputo commentare e risollevarmi il morale. Ammetto di aver avuto un blocco dello scrittore a un certo punto, ma chissà come, proprio in quel momento alcuni di voi hanno deciso di commentare e di ricordarmi che forse, a qualcuno piace davvero la mia storia, per quanto misera! Ci vediamo a fono pagina per le anticipazioni!
Justin_Onedirection_Smile_: io… davvero, non so che dire. Le tue parole non me le aspettavo proprio. Nel piccolo della mia storia, sono felice di aver animato in te sentimenti vivi, immagini che respirano e forse, qualche lacrima o sorriso in più. Io scrivo per questo, per persone come te che sanno ancora emozionarsi leggendo certe cose. E, grazie alle tue parole, so di essere riuscita ad emozionare un’altra persona, e questo è un regalo più bello di qualsiasi altro. Grazie di cuore. Davvero.
Two_dollar_bill: e porca miseria. Ho pianto, mannaggia a te. Sì, ho pianto come una bambina! Ogni volta che qualcuno apprezza ciò che scrivo, per me è sempre una novità, perché a volte io stessa ho seri dubbi sui miei capitoli e allora ho paura di scrivere ancora. Le tue parole, però… lo hai definito un libro. Ho sempre sognato scriverne uno e tu, chiamando così il mio misero racconto, mi hai rievocato alla memoria un sogno che non ho mai avuto il coraggio di inseguire. Non ho altre parole, se non… grazie.
Nye: “oh mio Dio”. Chiamala così la recensione! XD sì, Stiles e Derek sono sempre adorabili, anche quando Derek riempie Stiles di mazzate! Lo fa con amore! Dio e Satana avranno la loro bella parte da interpretare, ma più avanti. Di problemi per ora, ce ne sono altri. Pensi che finiscano qui? Eh, no, perché sono bastarda fin dentro il midollo, e me lo dico da sola, come fa Dumah. Ahahah! Ti immagino a un concerto dei Tokio Hotel dove il cantante e il chitarrista hanno le facce di Stiles e Derek! XD that’s ammmmoooreeeee!!!
KuramaLiz: ehm… domanda di riserva? No, qualche personaggio prima o poi morirà, ma ti dico una cosa. Abbi fiducia in me. A modo mio, finisco sempre col sentirmi in colpa e rimetterò le cose a posto, anche se non coi metodi tradizionali stile Sam e Dean Winchester dove la gente resuscita ogni tanto XD dunque, per il quasi bacio Sterek hai rotolato e pianto per tutta la stanza, ma per il bacio vero che è successo?! Vogliamo il video!!! Grazie per il commento e a prestissimo!
Giada_ASR: spero che il capitolo sia stato degno delle aspettative, così come spero che il bacio Sterek non ti abbia delusa. Sì, Alastor non doveva neanche morire, in realtà, ma qui i personaggi fanno il cavolo che gli pare. Che dici, la scena Sterek, per quanto piccola, è stata anche solo… ehm… carina? Dimmi di sì! Mi sale il panico per certe cose! E credo che Valefar sia un altro che necessiti di un disegnino per capire come funzionino le cose in certi campi, mentre con Scott è proprio inutile provarci, imbecille di un Alpha! Ahahah! Grazie per il commento e a presto!
Elenuar Black: ehm… in realtà non so cosa accadrà alla fine, anche se l’ho quasi scritta. Alastor è, come molti altri demoni, una vittima innocente di una guerra che non ha mai chiesto. Stiles lo ha capito e combatterà per questo, ma non sarà solo. E con questo, intendo dire che i suoi alleati potrebbero essere veramente inaspettati. Con la speranza che il capitolo ti sia piaciuto, ti saluto e ti ringrazio per il commento! A presto!
_Sara92_: chi non ama follemente Stiles! E Stiles è abbastanza folle da farsi amare da chiunque! Forse ha sbagliato a sfidare Dio e Satana, ma i risultati della sua scelta si vedranno, e io stessa non sono certa di cosa salterà fuori! Sono felice che alla fine, un po’ di dispiacere per il piccolo Alastor sia nato, anche perché dopotutto, non è neanche colpa sua. Non tutti come Stiles riescono a combattere la propria natura, ma adesso il nostro demonietto preferito ci vuole provare! A presto, e grazie!
Barbara78: cervello? Quale cervello? Che nascano dal cuore le idee, ok, ma qui il mio cervello sto ancora a cercarlo e non sono certa che ci sia ancora. Deve essersi consumato col caldo. Tra poco ho un altro esame, è vero, ma non posso non postare, anche perché so quanto è brutto attendere il seguito di una storia che si sta leggendo. Faccio del mio meglio, e sono felicissima che questo ti faccia piacere! Grazie di cuore!

 
Anticipazioni:
“-Stiles, stiamo parlando di…-
-Di cosa, Dumah? Dimmelo, o dovrò scoprirlo da solo. Le alternative sono due e molto ridotte, perciò dimmi con chi devo prendermela: chi ha ucciso Alastor?-
Silenzio, il battito impazzito di un cuore ansioso e di un demone che non sa cosa rispondere. Derek si stupisce nel constatare che quel cuore non appartiene a Stiles… ma a Dumah. Dumah ha paura. Di Stiles.
-Io…-
-Dumah, o me lo dici, o lo scoprirò comunque nel peggiore dei modi. Anzi, sai cosa? Credo che mi dobbiate delle spiegazioni, tutti e due: conoscete la mia storia, la mia vita, ogni schifosissima risposta alle domande che vi pongo continuamente. Voi pretendete verità pur rifiutandovi di essere sinceri con me e questo non posso accettarlo. So di essere fragile al momento, ma non sono fatto di vetro. Ho bisogno di sapere, di capire. Per me queste ultime settimane sono state come un immenso buco nero dove non potevo fidarmi nemmeno di me stesso perché questo corpo… io non lo riconosco. Mi dovete delle spiegazioni, o non andremo da nessuna parte. Chi sono? Cosa è stato a ridurmi così?-”

 
Tomi Dark Angel
 

 
  
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