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Autore: rightnextojustin    08/07/2015    6 recensioni
Avevo diciannove anni e mi comportavo come se la nuova generazione mi facesse salire il vomito, ma la nuova generazione ero io.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sbattei più volte la punta della penna sul banco, facendo un rumore estremamente fastidioso nel silenzio che regnava in classe in quel momento. Il mio foglio era bianco, sospirai come se in qualche modo le mie preghiere a Dio potessero servire a far finire l’ora. Guardai le lancette dell’orologio che stava al centro della parete, erano solo passati due minuti eppure mi sembravano anni che il mio fondo schiena fosse attaccata in quella sedia. Tutti a testa abbassata cercando di scrivere il più possibile. La mia testa era come vuota “Chi sei?”, erano solo due parole che in quel momento mi stavano facendo diventare pazza. Cosa potevo dire? La mia mano scivolò sul banco, riprendendo la penna che avevo lasciato per pochi secondi.

 

Chi sono? Non l’ho mai capito, come posso rispondere a una domanda che non ha risposta?

 

Non lo so chi sono, non l’ho mai saputo. Sono me, solo me. Basta come descrizione?

 

Se dovessi descrivermi non userei aggettivi, non userei frasi fatte.

 

Tre righe, solo tre righe. Sospirai trovando terribilmente inutile la consegna del tema.

 

Voleva sapere chi sono? Beh, gli avrei dato un’ampia descrizione.

 

Ha presente quando il mondo sembra crollarti addosso e l’unica cosa che puoi fare è guardarti intorno?Mi sono sempre sentita così, come se non avessi abbastanza forza a sopportare tutto ciò che la mia mente diceva. Mi sentivo come se i giudizi e gli insulti potessero condizionare a pieno il mio umore, ed io lo facevo sa? Mi facevo condizionare da tutto ciò che mi era sconosciuto.

 

Perciò mi dica, c’è un aggettivo che può descrivere questo comportamento?

 

Abbassavo la testa e mi infilavo le cuffie alle orecchie, come se il volume alto della musica potesse zittire i miei pensieri, le parole della gente. Mi ero chiusa in me stessa eppure non ho mai realmente capito cosa fossi, chi fossi. Mi nascondevo nei libri, vivevo le storie di milioni di protagonisti, passavo dall’avventura fino ad arrivare al drammatico. Guardavo film, osservando ogni singolo comportamento degli attori, come potevano fingere di essere un’altra persona? Io non riuscivo nemmeno a ordinare la pizza per telefono. Però non mi accorgevo di come questo mio “nascondermi” fosse un po’ come mentire a me stessa. Odiavo le feste e chi ne faceva parte, odiavo uscire di casa e incrociare gli sguardi della gente, odiavo parlare con le persone, odiavo i social network, odiavo il telegiornale e tutte le notizie fasulle che giungevano alle mie orecchie, notizie su quel cantante che mi piaceva tanto, era una cosa che mi faceva incazzare da morire, e mi scuso per il termine ma era il termine migliore per sottolineare ciò che provavo. Odiavo lo specchio, che mi mostrava sempre ciò che fingevo di essere. Odiavo alzarmi dal letto la mattina e sentire freddo, tanto freddo. Odiavo l’estate per le troppe ochette che si abbronzavano sulla spiaggia, ma ancora di più odiavo i discorsi della gente che mi facevano perdere il suono del mare quando di scontrava con gli scogli. L’odio era il sentimento che nutriva le mie giornate, era il sentimento, che tanto benevolo non è, che provavo, pensai fosse colpa della gente, delle loro parlate, del loro modo di fare e del loro modo di vivere. Pensavo fossero gli altri a doversi accorgere di tutte le cose brutte del mondo, pensavo davvero di avere ragione, pensavo a tutto, tutti, senza vivere la mia vita, ed era stupido, troppo stupido. Avevo diciannove anni e mi comportavo come se la nuova generazione mi facesse salire il vomito, ma la nuova generazione ero io. Allora che fare? Continuare a sognare una vita che non è la mia ? Dovevo continuare a nascondermi nei libri? Dovevo continuare ad ascoltare la musica odiando le canzoni allegre che ogni tanto passavano alla radio? Dovevo continuare ad infamare le persone? Doveva mentire? Dovevo ferirmi? Perché? A che scopo? Per chi?

 

Solo dopo ho capito quanto pretendevo. Solo dopo ho capito quanto mi sbagliavo.

 

Non erano le persone a doversi accorgere delle cose poche buone al mondo, ero io che dovevo vivere le belle emozioni, lasciando da parte quel sentimento straziante e vuoto che da sempre provavo.

 

Dovevo smetterla. Smetterla di odiarmi. Dovevo solo aprire gli occhi, senza guardare me, senza guardare tutto il dolore che provavo, tutta la colpa che mi davo.

 

Me la prendevo per tutto, ma nessuno mi doveva nulla, e infondo io non mi aspettavo niente, oltre che un po’ di amore.

 

Alla fine lo trovai, dico, l’amore, anzi no, lui trovò me. Eppure non è stato lui a salvarmi, che delusione, penserà. Non è stato lui a far uscire la vera me, non è stato lui a farmi accorgere chi fossi, non è stato lui a colmare il dolore e i miei vuoti. E quanto dico lui, intendo lui, quel qualcuno che la maggior parte delle adolescenti desiderano. Sono stata io e non perché fossi una guerriera, ero solo umana e me ne facevo la colpa. Nessuno, nemmeno l’amore più grande, più forte, più eterno, poteva farmi stare bene. Mi ero costruita la muraglia cinese per mandare via le persone, ma l’unica persona che dovevo mandare via ero io. L’artefice del mio malessere.

 

Non avevo bisogno dell’amore degli altri, avevo bisogno dell’amore verso me stessa per stare bene.

 

Avevo bisogno di me, tutti noi abbiamo bisogno di noi stessi per vivere.

 

Ora alla domanda “chi sei?” secondo lei cosa posso rispondere? Non ci sono aggettivi, solo una storia per raccontare ciò che sono. Riassumo il tutto okay?

 

Chi sei?”

 

Me, semplicemente me.”

  
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