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Autore: _Nympha_    08/07/2015    0 recensioni
Non si nasce con dei poteri particolari se non per compiere un grandioso destino...
Genere: Avventura, Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Sulla collina a nord il vento sfiorava l'erba, emettendo un morbiso fruscio che si disperdeva lontano. Alcune nubi grigie si stavano ammassando nel cielo, e una luce plumbea ricopriva il paesaggio. C'era odore di pioggia nell'aria, anche se ancora non era caduta neppure una singola goccia, e il sordo brontolio di alcuni tuoni in lontananza prometteva un feroce temporale.
Chrystal stava seduta nell'erba, ascoltando quei suoni che tanto amava e assaporando il vento, che alcune volte era così forte da mozzarle il fiato. Tra le mani una spiga di grano, con cui giocherellava pensierosa. Si chiedeva cosa ci fosse al di là delle colline, al di fuori del villaggio in cui aveva sempre vissuto. Desiderava ardentemente saperlo, ma dubitava che la sua curiosità potesse mai essere soddisfatta: aveva compiuto da poco quattordici anni e già i suoi genitori avevano ricevuto molte visite da parte dei capofamiglia lì intorno. Volevano concordare il suo matrimonio, il che significava che presto si sarebbe sposata con uno dei ragazzi del villaggio e la sua vita si sarebbe limitata semplicemente alle faccende di casa e a mantenere una prole il più numerosa possibile.
Quei pensieri la deprimevano. Tutti i suoi sogni, tutte le sue speranze sarebbero presto finite in cenere e non avrebbe più potuto fare nulla per recuperarle. Con il volto scuro, spezzò in due la spiga di grano, cercando di trattenere la rabbia. Aveva ascoltato così tante storie su posti lontani, a volte all'altro capo del mondo, posti in cui la gente aveva usanze del tutto diverse. Uomini con la pelle di altri colori, che parlavano lingue a lei sconosciute, creature fantastiche che venivano cavalcate da coraggiosi guerrieri. Tutto ciò l'affascinava e dentro di lei cresceva la voglia di viaggiare, di scoprire a sua volta terre lontane.
Il nitrito del suo puledro, che brucava l'erba poco più in là, la riportò al presente. Sarebbe dovuta ritornare alla locanda ad aiutare i suoi genitori, anche se avrebbe avuto voglia di restare ancora lì a crogiolarsi nei suoi sogni ad occhi aperti. Una goccia le cadde sul dorso della mano e, per un attimo, le sembrò quasi che emettesse un lampo di luce, ma si disse che probabilmente era stato un riflesso, così scosse la testa e si alzò, strofinando una mano sui vestiti per liberarsi di alcuni fili d'erba rimasti impigliati.
Prese il cavallo per le briglie e tornò verso il villaggio.




Jon Crowly sbattè rumorosamente la pinta di birra sul tavolo, facendo voltare quasi tutti gli altri avventori del locale. Era il suo modo di attirare l'attenzione e chiedere che il bicchiere fosse nuovamente riempito. Non parlava quasi mai, si limitava ad emettere grugniti, che potevano voler dire qualsiasi cosa. Era conosciuto come il più grande ubriacone del villaggio, una presenza costante tra chi pasteggiava alla locanda, e grazie a lui i genitori di Chrysta potevano contare su una certa dose di monete giornaliere.
Stava seduto sempre al solito tavolo, che considerava di sua proprietà, tanto che le poche volte che qualche sfortunato visitatore aveva scelto di sedervisi, era poi stato brutalmente aggredito da Crowly. Grazie alla sua forza fisica, pur avendo i riflessi rallentati dal bere, riusciva sempre ad avere la meglio e a riappropriarsi del suo posto.
Nessuno gli rivolgeva mai la parola, per paura che si rivoltasse e prendesse a pugni chi osasse farlo. Era visto come una specie di besta pericolosa, e per questo era ormai lasciato in disparte da tutti.
Chrysta lo compativa: sapeva che aveva una storia difficile alle spalle, che un tempo non era stato così. Semplicemente, un giorno si era arreso. Aveva smesso di lottare, di credere in giorni migliori, e aveva cominciato a buttare i giorni della sua esistenza, uno dopo l'altro, probabilmente nell'illusione o nella speranza che non ne rimanessero poi molti. E invece era ancora lì.
Lui alzò un po' lo sguardo, che fino a qualche momento prima era stato ostinatamente puntato sul legno del tavolo, e la sorprese a guardarlo. Un brivido le corse lungo la schiena e abbassò subito lo sguardo, concentrandosi sullo strofinare accuratamente i bicchieri per asciugarli. Come tutti, aveva un po' paura di lui e delle sue reazioni e non voleva in alcun modo rischiare di provocarlo.
Il viso dell'uomo era reso ancora più scuro dalla flebile luce che proveniva dalla fiaccole sparse per la stanza, che lo illuminavano solo da lontano, così che la sua espressione sembrava ancora più minacciosa del solito.
Tesoro, sbrigati con quei bicchieri, mi servono in fretta – le disse sua madre, richiamandola al dovere. Non poté fare a meno di emettere un sospiro di esasperazione all'idea di essere lì, e guardava la gente seduta ai tavoli, prevalentemente uomini, viandanti di passaggio che si fermavano per la notte e poi ripartivano l'indomani. Alcuni avevano la pelle arrossata dalle tante ore sotto il sole, rughe profonde sul viso. E tutti raccontavano la propria storia, lieti di avere qualcuno con cui parlare dopo giorni passati in solitudine.


Il rombo di un tuono squarciò l'aria, perdendosi nella notte. Gli zoccoli dei cavalli calpestavano il suolo con passo pesante, tradendo la stanchezza degli animali. Davanti alla locanda, l'uomo seduto a cassetta che li teneva per le briglie li fece fermare. Era coperto da un mantello, che con la pioggia si stava ormai inzuppando e gli ricadeva addosso come un cencio, il viso coperto dal cappuccio.
Dal carretto che trasportava scese una ragazza, alta e magra, quasi spigolosa. Nonostante il brutto tempo, non portava nulla per ripararsi se non i suoi soliti vestiti.
Corse agevolmente verso la locanda e i suoi movimenti erano così leggeri ed aggraziati che sembrava quasi che i suoi piedi non toccassero terra.
L'uomo mise il cavallo ed il carretto al riparo sotto ad una tettoia, dopodiché la raggiunse.
Sapeva già cosa aspettarsi, sicuramente l'aspetto della ragazza avrebbe attirato l'attenzione, così come il suo. Avrebbero avuto tutti gli occhi addosso, ma ci erano abituati: la gente non era avvezza a quelli come loro ed era sempre un po' sospettosa perché di voci ne giravano tante.
Spinse la porta ed entrò nel locale e subito venne colpito dal forte odore di pelle proveniente dai vestiti di tutte le altre persone all'interno, bagnati di pioggia e sudore, e da quello delizioso dello stufato sul fuoco, diligentemente controllato da quella che doveva essere la padrona del posto.
Come aveva previsto, tutti gli occhi si diressero verso di lui e la ragazza, che l'aveva atteso all'entrata. Sui volti degli uomini seduti lì intorno vide diffidenza, a volte anche odio malcelato.
Bocche storte in una smorfia, occhi socchiusi e sospettosi. Senza farsi minimamente impaurire da quel clima, avanzò verso un tavolo libero e si sedette, seguito dalla sua compagna di viaggio.
Subito una ragazzina bionda si avvicinò e chiese loro di ordinare.
L'uomo, con fare teatrale, mise la mano in un sacchetto che portava attaccato alla cintola e ne estrasse delle monete d'oro. Per un attimo tutte le voci e i rumori si smorzarono e si creò un clima di sorpresa, nessuno si aspettava di vedere qualcuno vestito così poveramente disporre nientemeno che di oro sonante. Qualcuno sussurrò la parola "Ladri!" in qualche angolo nascosto, senza però che si potesse capire chi avesse pronunciato quel giudizio.
L'uomo, comunque, non ne sembrò minimamente toccato e nulla nell'espressione del suo volto cambiò. Si stropicciò i baffi lunghi e appuntiti da pirata e ordinò due porzioni di stufato e due pinte di birra. "Per cominciare", disse sorridendo sornione e ammiccante alla ragazzina, che assentì e se ne andò.
L'uomo appoggiò i gomiti sul tavolo e con fare divertito, disse alla ragazza: "Qui ci sarà da divertirsi".


Chrysta tornò al banco, dove diede l'ordinazione alla madre, che preparò i piatti e le bevande. Intanto lei, crcando di non farsi vedere, guardava di sottecchi la giovane ragazza che accompagnava l'uomo con i baffi. Aveva la pelle color caramello e i capelli neri, lunghi e lisci. Gli occhi avevano una forma allungata, all'insù,e le conferivano quasi un'aria felina. Stava seduta con la schiena drittissima, senza fare alcuno sforzo, e aveva un ché di sinuoso nei suoi gesti. Era vestita in maniera molto particolare, con una lunga gonna leggera color del fuoco e il seno coperto da una fascia. Sembrava provenire da una terra molto lontana ed esotica, e moriva dalla voglia di sapere tutto su di lei, ma ovviamente non poteva: doveva limitarsi a darle da mangiare e basta, non poteva fare conversazione con un cliente. Era una delle regole ferree di suo padre, e guai a violarla.
Poteva solo guardarla da lontano e fantasticare.
"Chrysta! Chrysta! Ma che hai stasera, si può sapere? Smettila di distrarti e porta questi a quei signori, prima che i piatti si raffreddino!" le intimò la madre, passandole il vassoio con lo stufato e la birra.
La ragazza prese subito il fardello, cercando di non far rovesciare nulla, e li portò verso di loro.
Li vide che stavano confabulando animatamente, chini sopra il tavolo l'uno verso l'altra, ma appena si accorsero che si stava avvicinando si tirarono di nuovo su e smisero di parlare. La ragazza quasi la trafisse con lo sguardo, evidentemente infastidita dall'interruzione.
Lui, invece, si mise comodo sulla sedia, con le gambe stese sotto al tavolino per tutta la lunghezza, e ad alta voce, con i suoi soliti gesti teatrali, disse: "Ahhh, finalmente si mangia, sono affamato!"




Più tardi, nella notte, Chrysta fece molti incubi. Aveva una strana sensazione addosso, si sentiva inquieta e questo influenzava enormemente i suoi sogni. Si trovava sott'acqua, a metri e metri di profondità, e intorno a lei vedeva solo tenebre. La luce del sole arrivava da lontano, e lei cercava in tutti i modi di raggiungere la superficie, ma qualcosa la tratteneva giù. Sentiva la paura impadronirsi di lei, l'urgenza di riempire i polmoni di ossigeno, le sembrava che stessero per scoppiare, e quando alla fine le sembrò d'impazzire si svegliò. Era madida di sudore, con il respiro corto e affannato, il cuore che batteva come un tamburo.




Il giorno dopo, nella piazza principale della città, si era riunita molta gente, incuriosita dallo spettacolino messo su dai due viandanti che la sera prima avevano attirato tanta attenzione. A quanto pare non gli era bastata, perché ne cercavano ancora. Avevano allestito un piccolo palchetto di legno, che avevano decorato con degli scampoli di stoffa leggera e setosa, per dargli un tocco più ricercato. Chrysta, attirata dal vocìo della folla, si fece largo per assistere anche lei allo spettacolo. Il ragazzo e la ragazza erano in piedi sul palco, vestiti esattamente con gli stessi abiti con cui li aveva visti la sera prima. Avevano un'aria concentrata e sembrava si stessero accordando per gli ultimi preparativi. Ad un cenno del capo della ragazza, un vecchio suonatore ambulante cominciò a comporre una melodia e lei cominciò a muoversi sinuosa in una danza. Le mani fluttuavano in aria, armoniose ed eleganti, disegnando piccoli cerchi invisibili. Ad ogni passo, la stoffa della sua lunga gonna la seguiva leggiadra, rendendo i suoi movimenti ancora più aggraziati e sinuosi. Dopo qualche minuto andò ad un lato del palco e prese due bastoncini lunghi e sottili, facendoli roteare con le sue mani. Non appena la musica prese un ritmo più veloce e incalzante, la sua danza prese maggiore energia e nel momento culminante fece sbattere i due bastoncini fra loro, e subito una scintilla sprizzò. La gente non poteva credere ai propri occhi quando vide divampare il fuoco alle due estremità dei bastoni. La ragazza continuò a danzare, muovendoli intorno al suo corpo, mentre girava su se stessa più e più volte. Le fiamme, sospinte da quel movimento, sembravano avvilupparla nelle loro scie infuocate e sembrava che da un momento all'altro avrebbero potuto bruciarla. Era uno spettacolo meraviglioso e Chrysta sentiva i brividi percorrerle la schiena dall'emozione, ne fu completamente conquistata. La ragazza sul palco fece qualche altra piroetta da sola ma subito il ragazzo le si avvicinò e prese parte alla coreografia. Al contrario di lei, però, non si mise davvero a ballare, ma più che altro gesticolava con le braccia, e ad ogni movimento sembrava che le fiamme rispondessero. Se lui alzava le braccia, loro divampavano più forte, se le abbassava la loro fiamma diventava più flebile. Nessuno nella folla riusciva a comprendere come facesse, ma erano tutti a occhi sgranati. La ragazza vorticò su se stessa un'ultima volta, con il fuoco che la rincorreva, per poi fermarsi in perfetta sintonia con la musica.
Non appena la danza cessò ci fu un attimo di perfetto silenzio, nel quale nessuno si mosse, ma poi la folla cominciò ad applaudire e a urlare complimenti ai due artisti, che con falsa modestia finsero sorpresa e poi s'inchinarono cerimoniosamente al pubblico. A quella danza, seguirono altri spettacoli, tutti sorprendenti: in uno la ragazza sembrava quasi sputare fuoco dalla bocca, come una virago, in un altro il ragazzo faceva levitare una bottiglietta vuota con la forza del pensiero.
La folla si dimostrava entusiasta, anche se Chrysta si accorse che c'era qualche persona che non gradiva affatto simili dimostrazioni. Alcuni guatavano da lontano la coppia, gli occhi stretti cme fessure, la bocca in una smorfia dura. Qualcuno andò anche a chiamare il parroco del villaggio, che accorse subito a guardare lo spettacolo. Quando arrivò, il suonatore smise subito di accompagnarli con la sua musica, staccando la bocca dal suo flauto, e la folla si zittì. Solo una vecchia parlò. Puntò il dito contro i due giovani e con la sua bocca sdentata cominciò ad accusarli.
"Questi, padre, sono due fattucchieri, due miscredenti che cercano di insinuare la brava gente di questo villaggio", gridò, con la sua voce rauca. "Li ho visti io con i miei occhi, padre, hanno fatto ogni genere di magia con i loro poteri da demonio, cercando di incantarci e portarci sulla strada del male. Dovete fermarli, cacciarli via, voi che potete!"
Il parroco, uomo conosciuto per la sua severità, era una persona molto superstiziosa, che non faticava a credere alle storie di streghe e fattucchieri, gente depravata che si riuniva con la luna piena a fare strani concerti. Non ci mise che un attimo a convincersi che ciò che diceva la vecchia fosse vero e ordinò di scacciare i due viandanti dal villaggio all'istante. Molta gente fu stupita e quasi dispiaciuta, affascinata com'era da ciò che i due ragazzi avevano mostrato, ma non fecero nulla per fermare le guardie cittadine, che cominciarono a smantellare il palco di legno a furia di calci e colpi. I due ragazzi cercarono di fermarli, ma quando una delle guardie li minacciò di colpirli con il calcio del fucile si ritirarono. A quel punto, la folla cominciò a parteggiare per le guardie e ad incitarle, seguendo la legge del più forte, e quasi nessuno dimostrò di aver gradito la presenza dei due.
Non appena il palco fu ridotto a un mucchio di schegge e legno, i due ragazzi furono presi di forza e scortati alle porte del villaggio, vicino al bosco a Nord, e furono gentilmente invitati a non farsi rivedere. La ragazza cominciò a protestare e a pretendere che gli ridessero il loro cavallo, ma le guardie non le risposero nemmeno. Quando lei fece per correre di nuovo verso la città, lui la fermò, dicendole che sarebbe stata una pazzia e che avrebbe rischiato di essere pestata. Era molto meglio per loro andarsene, concluse. "Peccato, speravo che il nostro soggiorno qui sarebbe stato più lungo e proficuo. Non immaginavo che la getne qui si sarebbe rivelata così diffidente".
"Ormai è così dappertutto", rispose lei. "Non riusciremo più a fare dei begli affari con i nostri spettacoli, è inutile".
"Non darti per vinta, se abbiamo questi poteri un motivo ci deve essere. Non si nasce così se non perché si debba compiere un grandioso destino. Adesso andiamo, dobbiamo cercare un posto dove stare e credo che il prossimo villaggio sia a due giorni da qui. Se non vogliamo essere sbranati da qualche orso ci conviene trovare un riparo".




Chrysta trovava profondamente ingiusto il modo in cui i due ragazzi erano stati trattati. Potevano essere anche degli stregoni, ma non avevano fatto del male a nessuno. "Chissà dove sono ora?", si chiese. Ma subito dopo si rispose con un categorico "Non sono affari tuoi!". Per quanto avrebbe disperatamente voluto aiutarli, non poteva certo scappare nel cuore della notte, cercarli, farli entrare di soppiatto nel villaggio e offrire loro un riparo. Primo, perché avrebbero rischiato che qualcuno se ne accorgesse e desse l'allarme. Secondo, perché sospettava che i suoi genitori l'avrebbero strozzata se l'avessero scoperto. Però conosceva meglio di chiunque altro i dintorni e sapeva che c'erano molti posti sicuri all'interno del bosco a saperli cercare. Ci passava così tanto tempo che li conosceva a memoria e sapeva sempre orientarsi benissimo. "Però non ci sono mai andata di notte, rischierei di perdermi..."
Non sapeva perché ci tenesse tanto. Sentiva una curiosità appassionata verso di loro e avrebbe voluto conoscerli e aiutarli. Sentiva una sensazione nelle viscere, quasi un legame profondo con loro, anche se non sapeva spiegarsi perché. La sua voce razionale le diceva che era semplicemente follia. "Sì, forse sono pazza, però fin'ora il mio istinto non mi ha mai tradita".
   
 
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