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Autore: BabaYagaIsBack    10/07/2015    0 recensioni
Jay ha diciotto anni e tutto ciò che ha imparato sulla vita le è stato insegnato da Jace, il fratello maggiore, e i suoi migliori amici. Cresciuta sotto la loro ala protettrice, ha vissuto gli ultimi anni tra la goffaggine dell'adolescenza, una cotta mai confessata e un istituto femminile di cui non si sente parte. E' ancora inesperta, ingenua e alle volte fin troppo superficiale, ma quando Jace decide di abbandonare Londra per Parigi, la sua quotidianità, insieme alle certezze, iniziano a sgretolarsi, schiacciandola sotto il peso di ciò che non sa
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo
Capitoli:
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Chapter Thirty Two
§ All the unspoken things §
part one

 

"It's like an angel
Kissing the devil
And it's toxic but it works
Beautiful when it hurts 
We're so good at
Bad love
The way you give me
Mad love
The way you work your magic
Addicted, gotta have it
We can never get enough
It's in our blood
We're so good at
Bad love
"


- Juliet Simms, Bad Love

 

Il tempo che passa sembra infinito. Resto raggomitolata a terra per dieci, venti, forse cinquanta minuti - poi, dal nulla, il cigolio della porta mi fa sussultare e i piedi scalzi di Seth entrano nel mio campo visivo. La flebile luce che oltrepassa le tende glieli sfiora con dolcezza, ma più si avvicina, più lei sembra impaurirsi e scappare via, proprio come un gatto diffidente. Quando arriva a me, non c’è più traccia dei lampioni al di là della finestra.
Sento le sue ginocchia far rumore mentre si piega per mettersi alla mia altezza e, nel momento in cui i nostri occhi tornano a fissarsi, mi sento nuovamente sopraffare dalla preoccupazione.

E se ciò che è successo fosse l’ultima goccia? Potrei sopportare il traboccare dell’acqua al di fuori dei miei margini? Saprei tenermi a galla?

Le labbra di Morgenstern si schiudono, quasi dovesse dire qualcosa, ma poi tornano a toccarsi e il silenzio ricomincia a farmi sentire schiacciata da tutto ciò che sta succedendo.

Non voglio perderlo.
Ma non posso nemmeno sacrificare Charlie.

E il problema forse sono proprio io a questo punto, a dispetto di ciò che mi ha detto prima: desidero poter avere tutto, conscia del fatto che non sia possibile, non ora quantomeno.

Seth allontana lo sguardo e, se non fossi troppo orgogliosa, lo pregherei di riportarlo su di me a prescindere dall’imbarazzo - perché se mi guarda ho una chance di leggere tra i suoi pensieri, se mi guarda so cosa aspettarmi. Eppure lui si lascia cadere con il sedere sul pavimento, poi porta le braccia in avanti e si circonda le gambe. Non mi tocca, ma lo vorrei. Non mi fissa, ma lo desidero. Adesso che mi ha dato l’occasione di sentire la voce di Benton, di chiarirci, parlarci, vorrei solo tornare a premermi a lui, inebriandomi del suo profumo, assuefacendomi del suo calore. Peccato che tenga le distanze, spazi che seppur minimi mi danno l’idea di essere abissi.

«Venerdì» sussurra d’un tratto, facendo perdere al cuore il proprio ritmo.
Venerdì? Mi domando accigliata, incapace di dare un senso a questa parola. 
«Ha detto che prima non può, ma venerdì vedrà di ritagliarsi del tempo per te».

Il labbro mi trema. Il solo pensiero di ciò che questa frase vuole dire mi mette addosso una piacevole agitazione. Sento una sorta di calore riempirmi le viscere, il petto e poi le mani, che vorrei premere sul viso di Morgenstern per tirarlo a me, baciarlo e ringraziarlo ancora, nonostante ogni singola cosa successa - ma non lo faccio, non mentre i suoi occhi sono altrove e chissà per quale motivo.
Così lascio che la mente si soffermi su un unico particolare, il migliore in questa serata ormai a brandelli.

Dopodomani Charlie mi chiamerà, mi dico rigirando la frase tra i pensieri come una caramella gustosa. Avverto il sorriso farsi strada sulle labbra e, subito, mi costringo a trattenerlo. Ho la sensazione di non dovermi far vedere, di dover tenere la contentezza solo per me - perché sicuramente Seth non ne sarebbe felice, in lui c’è quel costante pizzico di gelosia che piace, anche se in alcuni momenti diventa un po’ superflua.

«Jay...» La mia attenzione torna sul suo viso, più precisamente sulla bocca. Il cuore riprende a battere forte, aumenta il ritmo con l’aumentare dello spazio tra le sue labbra, e non so se sia per paura o altro: «a prescindere da tutto, ciò che provo per te è vero e…»

Sento un lieve tremore, ma cerco di mantenere il contegno necessario per non darlo a vedere; non voglio che si interrompa, desidero le sue parole perché al momento mi paiono essere l’unica cosa che ci può unire - o separare, anche se è un’evenienza che non mi piace considerare - così resto in attesa come una bambina davanti a un film eccessivamente coinvolgente e spero, ma cosa, non lo so.

«E...» la voce di lui fatica a uscire, sembra restia al mettere a tacere la mia curiosità, eppure alla fine trova un modo per pizzicarmi i timpani: «e vorrei che lo tenessi a mente».

Oh.
Il sapore della delusione si fa strada tra le papille gustative, mi riempie bocca e gola facendomi desiderare di poterlo sputare - ma anche in questo caso mi devo trattenere.

«Ora vai a letto, okay? E’ tardi e sembri stanca» nel dirlo, un lieve sorriso prova a manifestarsi sul suo viso, peccato che lo sforzo sia evidente e i suoi occhi trasmettano tutto tranne che serenità - è lui quello più esausto, tra noi. Nonostante i minuti passati in stanze diverse, lontani, è ovvio che l’umore di Morgenstern sia ancora rovinato, che nella sua mente si stiano ammassando pensieri sempre meno piacevoli, così mi sporgo un po’, cercando di sfiorarlo e trasmettergli un po’ di tranquillità, anche se sono la prima a cui manca. 
Le mie dita si allungano, gli sfiorano il polso, ma non sembrano ottenere alcun risultato. Seth infatti fa leva sulle gambe, si alza sfuggendo al mio tocco: «Vuoi qualcosa per dormire? Una maglia, dei pantaloni o...»
«Tu non resti?»
La sua espressione s’indurisce. Lo sguardo si sposta nuovamente lontano da me e la gioia che provo nel sapere che parlerò con Charlie si attenua a tal punto da diventare solo un’eco lontana - ora il ragazzo di fronte a me tutto il mio interesse.

«Non credo sia il caso di dormire insieme, stanotte».
Un nuovo scossone mi fa rabbrividire: «P-perché lo pensi?»

I suoi piedi tornano a muoversi, li sento ritmicamente toccare il pavimento componendo una melodia tutt’altro che piacevole, una sorta di marcia che parla di resa. Il trapezio di carne a cui ho sempre desiderato aggrapparmi si allontana, diventa un muro tra me e lui, un ostacolo che non so se sia giusto superare, ma che, comunque, mi piacerebbe abbattere per poter nuovamente bearmi dei suoi abbracci.

Lentamente si avvicina alla cassettiera, ne apre un ripiano e mestamente si mette a cercare qualcosa: una maglia, dei pantaloni, o…
Sospira: «Perché non è giusto, Jay. Non dopo ciò che ti ho tenuto nascosto e quello che ancora ci allontana».
«E se...» ma non trovo le parole per finire, così lui ha modo di porgermi la maglia che ha scelto per me, di chinarsi un poco e posarmi un bacio sulla fronte - ma è frettoloso, freddo, assente.
«Sono di là, non preoccuparti».

***

«Come stai?»
«Se non mi sentissi i muscoli dolere, direi bene, ma credo sia il prezzo da pagare durante un trasloco» ride, ma il suono della sua risata non è caldo e accogliente come lo ricordo, sembra più una reazione di circostanza, un gesto automatico. La mia mente non può evitarsi di compararla al giorno in cui, a casa sua, su quel letto che in passato ho riempito di briciole e capelli, abbiamo fatto la lotta e siamo finiti con l’abbracciarci, ebbri di un buonumore che ormai mi pare una chimera, oppure all’ultima merenda insieme, sul divano da cui lasciavamo che gli amorevoli rimproveri di Molly ci solleticassero le orecchie.

Davvero ci siamo allontanati tanto?

Mi mordo il labbro, provando a non dargli peso, anche se ne ha - e tanto: «O a causa della tua scarsa prestanza fisica...»
«Parlò la Schwarzenegger del Brent!»
A ridere, stavolta, sono io, però a differenza sua non devo sforzarmi, il sorriso mi appare naturalmente sul viso, tirando fastidiosamente le labbra secche.

«Tu, invece?»

Lascio passare qualche secondo, valutando quale risposta sia meglio dare. Potrei mentire, dire che le cose vanno bene e che sono in ansia per gl’imminenti esami scolastici, magari condendo il racconto con qualche aneddoto casalingo, oppure potrei confessare la verità: che mi manca terribilmente, che dopo aver scoperto la ragione del suo litigio con Seth persino io fatico a far funzionare le cose con lui, nonostante veda gli sforzi e sappia che, sotto sotto, ci tiene davvero a me.
Potrei scoppiare a piangere negli squallidi bagni della Saint Jeremy, pregandolo in tutti i modi di volermi ancora bene, di non lasciarmi, di sostenermi mentre affronto l’amore per la prima volta, ma alla fine sussurro solo: «Quando torni?»

Lui si ammutolisce, sento solo il suo respiro che fa gracchiare la conversazione quando colpisce il microfono - e un po’ mi agita.

La sua esitazione non mi piace, sento la pressione nello sterno aumentare sempre più, quasi ci sia qualcosa da sputare prima che possa soffocarmi.

«Tra qualche tempo, Jay… zia e Dana hanno bisogno di me e-»
«E qui c’è Seth» lo precedo d’un tratto, decidendo infine di liberarmi dall’asfissia. E’ un commento che mi esce di bocca senza che mi renda conto del suo reale significato, eppure voglio che lui capisca, che sappia.

«Anche, ma non solo. Le cose sono più complicate di quel che credi, corvetto».
« In che senso “non solo”? E’ per via di lei?»

Un nuovo istante di silenzio va a interrompere il nostro scambio. La domanda resta in sospeso per un tempo brevissimo, poi lo stupore di Benton fa capolino dall’altra parte della linea: «Lei
«Sì, lei. La ragazza di cui sei innamorato».
«Di che stai parlando, Jay? C-cosa ti ha… cosa ti ha detto Seth?»

Ora sono io quella confusa.

«Mi ha detto la verità, sul motivo del vostro litigio, intendo».
«Okay, ma… cosa ti ha detto esattamente?»
Corrugo le sopracciglia, mentre con le ginocchia al petto provo a rannicchiarmi maggiormente sul coperchio della tazza del water. Una sensazione di disagio prende a solleticarmi la pelle, così cerco l’illusione di un abbraccio che so non arriverà.
«C-che… beh» le parole fanno fatica a uscire di bocca, non so quanto e cosa possa dire senza ferirlo oppure aizzare nuovamente la sua rabbia, men che meno se sia autorizzata o meno a svelare ciò che Morgenstern, tra una mia lacrima e un suo ringhio, mi ha confessato.
Con gli incisivi premo sulla carne del labbro, poi la umetto. Mi guardo attorno spaesata, timorosa, eppure conscia che non ci sia nessuno ad ascoltare. Dopotutto per rispondere a questa telefonata ho finto un mal di stomaco che in infermeria non hanno saputo spiegarsi. «… mi ha detto che avete litigato perché si è scopato la tipa di cui sei innamorato. E che Jace ha preso le tue parti, giustamente» pronuncio queste frasi svelta, sperando di non aggravare una situazione già di per sé traballante.

«E’ così, quindi…» un verso infastidito gli sfugge dalle labbra: «ti ha anche detto chi è, questa lei?»
Deglutisco: «No, non lo ha fatto...» - non che io mi sia premurata di chiederglielo o di domandargli un resoconto più accurato della questione, a dire il vero. La semplice idea di sentirgli dire ciò che ha fatto, con questa sconosciuta, o di udire il modo in cui ha silenziosamente premuto la punta del suo tradimento nel petto di Charlie, mi nausea. Non voglio immaginare né il suo corpo addossato a quello di una ragazza diversa da me, bramoso di pelle, accaldato nello sforzo del momento e certamente soddisfatto, nè l’atrocità con cui ha pugnalato il suo migliore amico. Provo una sorta di disgusto al pensiero di tutto ciò.

«Beh, almeno su una cosa si è dimostrato un amico...»
Sussulto, riemergendo dalle considerazioni in cui mi ero lasciata annegare: «Che vuoi dire?» Non capisco il senso di questa sua frase, il motivo per cui debba dire una cosa del genere.

«Nulla, Jane… Non ti preoccupare. Ora scusami, però mi stanno chiamando». 
«No, aspet-» 
«Fai la brava, corvetto!»

E appena lo dice, il rumore della conversazione interrotta prende a rimbombarmi nell’orecchio. Una, due, tre volte e poi silenzio, un silenzio che mi lascia intontita e confusa, come se mi fossi brutalmente risvegliata da un sogno tanto reale da confondersi con la vita vera.
Lentamente allontano il telefono dall’orecchio, ne fisso il display adesso vuoto e mi rendo conto che la sua foto non riempie più i pixel disponibili, che mi ha realmente riattaccato la cornetta in faccia.

Fanculo! penso mentre mi concedo un sospiro sconsolato. Nonostante questi minuti non ho ottenuto nulla. Non mi ha dato una data effettiva del suo ritorno e, men che meno, abbiamo chiarito - forse, e mi duole dirlo, non ho fatto altro che peggiorare nuovamente la situazione.


 
   
 
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