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Autore: Alkimia    19/01/2009    2 recensioni
Una mia personalissima idea di come potrebbe continuare la storia del Fantasma dell'Opera, la fanfic comincia dove il film si interrompe, la sera del Don Juan. Erik è in fuga dopo l'addio di Christine ma alcuni incontri imprevisti gli mostreranno la prospettiva di una nuova esistenza, perchè anche il Figlio del Diavolo ha diritto a una vita normale...
Genere: Romantico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO VENTINOVESIMO

Meg stava girando energicamente la minestra nella pentola sul fuoco mentre Christine preparava la tavola e madame Giry finiva di cucire un bottone su un vestito. Se non fosse stato per la tristezza che si era riversata come una cappa opprimente su quelle splendide giornate di primavera, quella situazione avrebbe potuto sembrare simile ai vecchi tempi in cui le tre donne vivevano insieme nel collegio del teatro.
Qualcuno bussò alla porta proprio mentre Meg stava per mettere la minestra nei piatti,
“Vado io” rispose sua madre dirigendosi verso il corridoio per poi tornare in cucina con in mano alcune lettere,
“Sono per te Christine- spiegò- le ha portate un domestico di casa De Chagny, evidentemente Raoul sapeva che ti avrebbe trovata qui”
“Un gesto molto carino e premuroso da parte sua farti portare la posta fin qui” azzardò Meg con un tono che avrebbe voluto far sembrare quel suo commento del tutto innocente e disinteressato,
la sua amica scosse il capo nella sua direzione,
“Le leggerò dopo, ora è pronto il pranzo” disse,
“Bhe, magari c'è qualcosa di importante, non vuoi almeno vedere chi te le ha mandate?” osservò madame Giry
la ragazza annuì e guardò le lettere, erano tre, ognuna chiusa in una busta di dimensione diversa, di sicuro non avevano lo stesso mittente. Aprì la prima lettera e lesse rapidamente le poche righe che erano scritte su un biglietto di carta gialla,
“Qui ci sono solo i ringraziamenti del direttore del teatro dell'Odeon...” disse chiudendo gli occhi per un momento, cercando di non collegare il ricordo di quella serata con il terribile evento che gliela aveva resa indimenticabile. Se non fosse stato per l'arresto di Erik quella sera sarebbe stata una delle più belle della sua vita, dopo quella del suo debutto all'Opera e quella in cui... quella in cui Raoul le si era dichiarato.
“E questo è un messaggio di Raoul” aggiunse lasciando cadere la seconda busta sul ripiano del mobile senza nemmeno aprirla, pensando che il ricordo del visconte la perseguitava in ogni momento, e malgrado tutto non aveva smesso di amarlo, anzi, proprio il fatto che fosse furiosa con lui era la dimostrazione che teneva a quel ragazzo più di ogni altra cosa.
Madame Giry sorrise con aria sarcastica,
“Arriverà presto il giorno in cui avrai di nuovo voglia di leggere le sue lettere” commentò
“Può darsi, ma per ora sono ancora troppo arrabbiata con lui, e non è per lui che devo essere in pena” rispose la giovane,
Meg e sua madre decisero di non aggiungere altro, avevano già discusso con lei a proposito di quella faccenda, e comunque erano entrambe consapevoli del fatto che Christine amava ancora molto Raoul e che prima o poi sarebbe riuscita a perdonarlo, ma quello non era il momento più adatto per rivangare la discussione.
“E questa è una lettera di Diane!” esclamò la ragazza accennando un sorriso, il primo che le vedevano fare in quei tre giorni che aveva trascorso in casa loro,
“Ah, la marchesa De Valois, l'abbiamo conosciuta quella sera...- Meg si interruppe un attimo, poi pensò che ormai era il caso di completare la frase- quella sera, a teatro”.
Christine aprì la lettera, vide che il foglio era pieno su tutte e due le facciate, scritto con una calligrafia fitta e leggermente disordinata, come se quella lettera fosse stata scritta in fretta, di getto. Rigirò la missiva tra le mani con aria perplessa. Cosa mai aveva da dirle Diane per scriverle una lettera così lunga? Perché se doveva parlarle di cose complicate non aveva chiesto di vederla?
“Avanti, leggila” la incoraggiò Meg
Christine spiegò il foglio e cominciò a leggere.

Mia cara Christine,
So che non è molto corretto da parte mia scriverti queste cose per lettera, invece di parlartene di persona, ma spero che vorrai essere comprensiva riguardo le mie ragioni e il mio stato d'animo.
Tu hai riposto la massima fiducia in me, mi hai concesso la tua amicizia, e io ora sento il bisogno di essere altrettanto sincera e leale nei tuoi confronti, poiché in passato non lo sono stata del tutto. Non credere che le mie dimostrazioni di affetto siano state false, ma c'erano delle cose che meritavi di sapere e che io sono stata così sciocca e infantile da non volerti raccontare. Ora non riesco più a trattenermi dal dirtele, ma sono troppo scossa e non riuscirei ad affrontare un discorso su questi argomenti avendoti di fronte.
In uno dei nostri primi incontri mi raccontasti del tuo passato all'Opera Populaire e del tuo coinvolgimento nella vicenda del Fantasma. Ebbene, io ascoltai il tuo racconto con molto interesse, non solo perché la storia era tragica quanto avvincente, ma anche perché avevo bisogno di conoscere la verità.
La sera dell'incendio del teatro mia figlia si perse e fu tratta in salvo da un uomo che sparì subito dopo averla messa al riparo. Rincontrammo quest'uomo molto tempo dopo in un circo e dopo aver notato una serie di strani particolari cominciai a sospettare che si trattasse proprio del Fantasma dell'Opera, fuggito dal teatro e non morto, come molti volevano credere. Il tuo racconto alimentò i miei sospetti ma allo stesso tempo mi  fece comprendere quale era la vera natura di quella persona che tutti avevano sempre giudicato un mostro e un efferato assassino. Quando scoprì che i miei sospetti erano fondati, non riuscì ad allontanare quell'uomo (che nel frattempo era tornato a Parigi con il suo circo), in parte perché gli ero grata per aver salvato mia figlia, in parte perché la storia che mi avevi raccontato mi aveva convinta che c'era del buono in lui e che i suoi crimini erano stati indotti dalla sua triste condizione e non da una natura malvagia.
Inizialmente ne ero quasi incuriosita, malgrado tutto, e malgrado si fosse sempre rivelato una persona scontrosa nei miei riguardi, ma poi...
Christine, mi risulta così difficile scriverlo, anche se sono sola davanti a un foglio di carta che non può avere alcuna reazione, ma il solo pensiero che tu leggerai questa lettera mi paralizza...
Mi innamorai di lui. E troppo tardi compresi di essere ricambiata. Mi ha confessato di ricambiare i miei sentimenti solo due settimane fa quando già era stato arrestato, durante una visita che sono difficilmente riuscita ad ottenere di fargli. Ed è inutile tentare di spiegarti quanto il mio cuore sia straziato dal dolore nel saperlo imprigionato e condannato a morte...
Questa è la verità. Io sapevo che lui era vivo, mentre tu ti disperavi chiedendoti che fine avesse fatto. Ti ho tenuto nascosta ogni cosa per un motivo futile come la gelosia infondata (come fino alla fine ho tenuto nascosto a lui il fatto che ti avevo conosciuta). Ma tu eri stata il suo primo grande amore e temevo che se foste riusciti a incontrarvi lui non sarebbe più stato capace di dimenticarti. Non avevo mai conosciuto l'amore prima d'ora, e nel profondo del mio cuore volevo solo proteggere il più a lungo possibile il sogno che mi aveva resa di nuovo viva. Perdonami se l'ho fatto a tuo discapito, commettendo una terribile mancanza nei tuoi riguardi.
Posso solo sperare che tu comprenda, dal momento che anche tu conosci l'amore e sei stata disposta a difenderlo, anche se in maniera più nobile di quanto lo abbia fatto io.
Con affetto, Diane.

“Diane... oh, Diane... Erik...” sussurrò Christine fissando la lettera che aveva appena finito di leggere con un'espressione indecifrabile,
Meg e sua madre si guardarono quasi spaventate,
“Cosa dice questa lettera, mia cara?” domandò la donna posando una mano sulla spalla della giovane,
per tutta risposta Christine le porse il foglio e si lasciò cadere su una sedia.

*

Un giorno...
… una settimana...
… e ancora un giorno... e poi un altro ancora...

Erik non sapeva se essere contento o se maledire ancora una volta Raoul De Chagny per essere riuscito a garantirgli altri dieci giorni di vita in prigione.
Non sapeva come era andato l'incontro tra il visconte e il Capitano della gendarmeria, ma il fatto che la sua esecuzione fosse stata rimandata era sicuramente un segnale. Se era da considerarsi un segnale positivo o negativo, era presto per dirlo.
Intanto i giorni avevano cominciato a trascorrere ancora più lentamente ed Erik aveva cominciato a chiedersi cosa avrebbe fatto se fosse uscito vivo da quella cella. Il suo cuore gli suggeriva che la risposta a quella domanda era una sola: correre a riabbracciare Diane. Ma ogni volta che pensava a quella opportunità la sua parte razionale gli ricordava che era una pessima idea. Sarebbe stato quasi crudele rivederla solo per dirle che malgrado fosse vivo avrebbe dovuto dimenticarlo comunque. Ogni volta giungeva alla conclusione che non gli sarebbe restato altro da fare che lasciare Parigi e cercare lavoro in un posto molto lontano da lì. Ormai non aveva più paura del mondo, non dopo che aveva girato mezza Francia insieme al circo, che aveva camminato per Parigi alla luce del sole per dieci giorni, quando raggiungeva la residenza dei De Valois per dare lezioni di musica a Vivianne, e soprattutto non dopo che aveva incontrato una donna che lo aveva amato per quello che era.
Si rese conto che non aveva voglia di pensare alla sua morte. Aveva accettato serenamente le conseguenze delle sue azioni, aveva pensato, in un impeto di disperazione, che la sua fine sarebbe stato un sollievo per molti, ma in realtà non avrebbe mai voluto che andasse a finire così, non voleva morire. E in quei dieci giorni, nel suo cuore aveva davvero sperato che il visconte riuscisse a tirarlo fuori di lì, anche se l'idea che fosse Raoul De Chagny a salvargli il collo continuava a sembrargli ridicola. Tra l'altro, immaginare la scena del giovane visconte impegnato a inventare chissà quale storia per convincere il Capitano a rilasciarlo era diventato il suo passatempo più divertente di quelle giornate buie.
Non fece in tempo a immaginare un altro improbabile dialogo tra Raoul e il Capitano che si vide comparire il giovane davanti alla cella. Non era più tornato a fargli visita dalla prima volta e non fu difficile indovinare che, se era lì, aveva certamente delle notizie.
Erik gli si avvicinò cercando di non dargli la soddisfazione di mostrarsi impaziente, si limitò a fissarlo impassibile in attesa che lui parlasse.
“Dunque- esordì Raoul in tono inespressivo- avevi ragione, il Capitano si è mostrato irremovibile”,
il prigioniero si limitò ad annuire, significava che il visconte non era riuscito a convincere i gendarmi che lui non fosse l'uomo che stavano cercando. Il cuore di Erik era così abituato alle delusioni che lui cercò di convincere se stesso che quella non era particolarmente grave. Cosa mai poteva aspettarsi? Aveva previsto che sarebbe andata così. Avrebbe voluto far notare a Raoul che era stata una pessima mossa farlo marcire in galera altri dieci giorni inutilmente, ma preferì non dire niente.
“Vuoi restare a fissarmi ancora a lungo o vuoi deciderti ad andartene?” borbottò Erik incrociando le braccia sul petto
“Volevo che tu sapessi come è andata” disse il giovane
“Non c'è bisogno che lo sappia”
“Si è mostrato irremovibile... ma io sono stato convincente”,
Erik sollevò le sopracciglia
“Come, prego?” chiese
“Sono stato convincente, sarai scarcerato” precisò il visconte, il suo interlocutore ebbe bisogno di qualche attimo per mettere a fuoco il significato quelle parole poi trattenne a stento un ghigno,
“Mi stai dicendo che hai un talento recitativo nascosto?” esclamò
“Così pare”.
I sue uomini restarono a guardarsi in silenzio per una manciata di secondi.
Erik non poteva crederci, alla fine quel ragazzo ce l'aveva fatta. Era certo che il motivo principale per cui Raoul si fosse impegnato così tanto ad ottenere la sua scarcerazione non era un improvviso scoppio di affetto nei suoi riguardi, continuava a pensare che lo aveva fatto solo per fare colpo su Christine, per togliersi un peso dalla coscienza, ma qualunque motivo ci fosse dietro al suo gesto era il risultato la cosa più importante.
Erik avvertì un dolore ad altezza del petto come se il cuore si fosse contratto all'inverosimile per poi dilatarsi fino quasi a scoppiare. Pensò che disabituarsi alle delusioni era piuttosto strano.
“Voglio che tu sappia anche un'altra cosa- disse all'improvviso Raoul rompendo il silenzio- Christine è tornata da me, ha detto che si è convinta dopo aver letto una lettera inviatale da un'amica, ma visto quello che ci siamo detti l'ultima volta ho supposto che ti avrebbe fatto piacere saperlo”
“Non avevo dubbi, lei ti ama e tu sei un uomo fortunato”
“Lo so”
Erik stava per aggiungere qualcosa, ma fu interrotto dall'arrivo del secondino che venne ad aprirgli la cella e a riconsegnargli la sua giacca e la maschera, per poi sparire dopo un ossequioso saluto al visconte.
Erik osservò la giacca di cotone e la maschera, era rimasto chiuso in quella prigione per più di tre settimane e per un attimo pensò che uscire sarebbe stato più difficile del previsto,
“Non ho mai avuto molte occasioni di ringraziare qualcuno, e mai avrei creduto che una simile rarità si sarebbe verificata con te” disse guardando Raoul negli occhi,
il ragazzo rimase colpito dall'intensità dello sguardo dell'uomo che rifletteva un furore inesprimibile, una voglia di vivere quasi bruciante. Era questo forse che lo aveva conservato in vita durante i suoi anni più bui, e in quel momento il visconte fu convinto di aver fatto la cosa giusta,
“Nemmeno io avrei mai creduto che avrei fatto scarcerare un uomo, soprattutto considerando che quell'uomo sei tu” rispose
“Come hai fatto?”
“A convincere il Capitano che eri innocente?”
“A diventare di colpo così intelligente”
“Ti piace proprio avere sempre l'ultima parola” borbottò il ragazzo
“Una volta era il mio passatempo preferito” rispose l'uomo
“C'è qualcos'altro che posso fare per te?” chiese Raoul in tono mellifluo, quasi irritato
“Si, salutare Christine da parte mie e farle i miei migliori auguri per il matrimonio. Ah... e farmi portare un rasoio e un pezzo di sapone”
“Come vuoi. Addio... Erik”.
Il visconte pronunciò quel nome quasi a fatica, non lo aveva mai usato, neanche quando aveva parlato di lui con Christine, quasi come se fino a quel momento non lo avesse mai considerato una persona.
“Addio Raoul” concluse Erik seguendolo con lo sguardo mentre su allontanava lungo il corridoio di pietra.  

*

Le strade di Parigi non erano mai troppo affollate a quell'ora del pomeriggio. Erik si sentì fortunato: non voleva che qualcuno lo vedesse uscire dal Palazzo di Giustizia, la sua maschera avrebbe dato sicuramente nell'occhio e lui non voleva che la gente cominciasse a domandarsi come mai stava uscendo di prigione invece di essere condotto al patibolo.
Aveva pensato a lungo a cosa avrebbe fatto se fosse riuscito a tornare in libertà, ma in quel momento si rese conto che non aveva molte possibilità di scelta, camminò per qualche metro osservando gli incroci delle strade nel tentativo di orientarsi e all'improvviso si ricordò che in città c'era un solo posto che conosceva, oltre la casa di Diane.
Fece sprofondare le mani nelle tasche e si incamminò lentamente lungo il labirinto di strade del centro parigino, raggiungendo quella che sembrava essere la zona più ricca della città, con i suoi ampi boulevard e gli sfarzosi caffè agli angoli delle vie.
Alcune di quelle strade confluivano in un ampio piazzale decorato con una fontana circolare. Il teatro era ancora lì, come un bellissimo gigante assopito e privo di anima. Erik percorse con lo sguardo la linea dell'edificio, guardò le statue di bronzo che decoravano il cornicione del tetto, quelle statue a cui da bambino aveva dato un nome, quelle mura che lo avevano nascosto regalandogli la piacevole sensazione di essere al sicuro, di possedere qualcosa di prezioso e di totalmente suo. Chiuse gli occhi per qualche secondo quando si accorse che i segni dell'incendio erano ben visibili anche dall'esterno.
Si infilò furtivamente in Rue Scribe dove sapeva esserci una via d'accesso che portava direttamente ai sotterranei, era il passaggio che usava per tornare nel teatro dopo le sue rare uscite nel cuore della notte. Una volta entrato decise che voleva vedere cosa ne era rimasto dell'Opera Populaire, se l'incendio aveva risparmiato qualcosa della sfarzosa bellezza di quel luogo.
I marmi e gli stucchi del foyer erano coperti di fuliggine ma sembravano intatti, non c'erano segni di bruciature, evidentemente l'incendio era stato placato prima che raggiungesse quella parte dell'edificio, ciò che invece appariva spaventoso, quasi spettrale, era l'interno del teatro: non c'era più traccia della porpora dei velluti e del dorato delle decorazioni, era tutto annerito e consumato dal fuoco a testimoniare la furia con cui il Fantasma dell'Opera si era rivoltato contro il mondo, il suo stesso piccolo mondo dei balocchi. Nella platea non c'erano più le poltrone, rimanevano solo strisce di legno carbonizzate, le assi del palco erano spezzate e cadute verso il basso, l'incendio aveva distrutto anche il fondale di scena, arrivando fino alle impalcature dove lavoravano i macchinisti e da lì si era esteso fino alle logge laterali. Il lampadario crollato era riverso all'interno della buca dell'orchestra, coperto di polvere.
Erik si poggiò con le spalle al muro sporcandosi la giacca e le mani di cenere,
“Il mio teatro...” sussurrò scuotendo il capo.
Gli ci volle qualche minuto per decidere di andare via, aveva visto ciò che voleva vedere... anzi, no, non aveva visto ancora tutto: pensò che doveva ancora visitare la sua casa, la Dimora sul Lago.
Scese nei sotterranei notando quanto quei cunicoli e quelle scale di pietra gli fossero familiari, malgrado il buio pesto riusciva a muoversi con disinvoltura, ricordava ancora dove le mattonelle erano rotte e c'era pericolo di inciampare, o quale gradino fosse più scivoloso di un altro.
Quando raggiunse la sponda del lago sotterraneo accese con un fiammifero che aveva in tasca una lampada ad olio che aveva trovato ancora intatta dietro le quinte. Nella grotta non c'era più niente che gli ricordasse l'unico luogo in cui si era mai davvero sentito a casa. Gran parte delle sue cose erano sparite, e quelle rimaste erano state distrutte. Il bellissimo letto a forma di cigno, che lui stesso aveva intagliato nell'ebano, era stato ribaltato e rotto a colpi d'ascia, il materasso squarciato era stato buttato sul pavimento di pietra, del suo organo non rimaneva altro che un mucchio di frammenti di legno e meccanismi metallici. A terra c'erano ancora i fogli dei suoi disegni strappati e calpestati, i suoi libri erano stati gettati nel lago, qualche pagina galleggiava ancora sulla superficie dell'acqua.
Erik corrugò la fronte,
“Quanto devono avermi odiato, quanto sono riuscito a farmi detestare” si disse rimanendo impietrito davanti a quel penoso spettacolo.
Vide l'angolo di una custodia di pelle spuntare da un mucchio di tende strappate e gettate a terra, si chinò a raccoglierla e si concesse un sorriso quando scoprì che si trattava della partitura del suo “Don Juan”.
Aveva sempre pensato che la musica fosse l'unica cosa davvero buona che lo caratterizzava, e il fatto che quegli spartiti fossero l'unica cosa rimasta intatta del suo vecchio mondo era quasi una conferma.

Basta stare qui, non è più il tuo posto, non è più la tua vita...

“Basta così...” mormorò Erik prendendo la partitura della sua opera e avviandosi di nuovo verso la superficie.  
Quando uscì dal teatro dallo stesso ingresso nascosto da cui era entrato ebbe la sensazione di essersi congedato definitivamente da un vecchio amico, o più semplicemente credette di aver detto addio a una parte di se stesso che era giusto che rimanesse sepolta in quei sotterranei insieme al suo passato e alle macerie che ne rimanevano.
Lasciatosi alle spalle il teatro, Erik si diresse verso la casa di madame Giry, del resto lei era l'unica persona che gli fosse rimasta. Era ancora dell'idea che sarebbe stato troppo penoso rivedere Diane e che era del tutto insensato rincontrare Christine, dopotutto si erano già detti addio.

La donna non sembrò nemmeno troppo stupita quando vide il suo vecchio amico comparire sulla porta, gli rivolse un sorriso colmo di sollievo e lo fece entrare,
“Ti aspettavo, sai. Raoul mi ha informato che eri stato rilasciato” gli disse
“Si, presto lo saprà tutta Parigi e temo che non saranno contenti” rispose lui con un'alzata di spalle,
Eloise notò le mani e i vestiti sporchi di cenere e la custodia di pelle che l'uomo teneva sotto al braccio,
“Sei stato all'Opera” indovinò guardandolo negli occhi
lui scrollò le spalle
“A quanto pare sembra che ultimamente la mia sola occupazione sia quella di dire addio a qualcuno o a qualcosa”.
Madame Giry si soffermò a guardarlo, era dimesso ma non sembrava particolarmente spossato,
“Erik...” mormorò commossa e si concesse di abbracciarlo, come non aveva mai fatto. In passato non aveva mai osato stabilire un contatto così intimo. Malgrado il grande affetto che provava per lui aveva sempre avuto paura delle sue reazioni, del suo carattere scontroso, ma in quel momento non riuscì a trattenersi e lo strinse a sé, ora che lui era vivo e soprattutto ora che era libero.
Inizialmente l'uomo rimase perplesso da quel gesto, gli ci volle qualche secondo per ricambiare goffamente la stretta della sua vecchia amica. Quando si staccarono Eloise si affrettò ad asciugare una lacrima che minacciava di capitolare oltre le ciglia,
“Vieni, vieni a sederti- gli disse dirigendosi verso la cucina- ti preparo qualcosa da mangiare”
“Non ho fame” rispose Erik sistemandosi su una sedia
“Si che ne hai, sei solo troppo scosso per accorgertene!”.
Lui roteò gli occhi chiedendosi se fosse insito nella natura di ogni donna quell'eccesso di premure materne o se fosse Eloise ad essere particolarmente incline a prendersi cura degli altri.
“Immagino che il visconte ti abbia raccontato delle ultime vicissitudini tra lui e Christine” disse all'improvviso madame Giry
“Si”
“Ti ha detto perché lei ha deciso di tornare sui suoi passi?”
l'uomo scosse il capo
“Immagino che sia rimasta colpita dal fatto che il visconte si sia prodigato per salvarmi il collo, ah poi lui mi ha detto qualcosa a proposito di una lettera che ha ricevuto Christine, ma è stato vago”
Eloise sospirò
“Una lettera di Diane De Valois, per la precisione”
Erik capì che la donna non aveva tirato in ballo quel nome per puro caso e per un attimo ebbe un sussulto,
“E così Diane le ha detto tutto” disse cercando di tenere a bada le emozioni che gli suscitava anche il solo parlare di lei
“Si, e quella storia ha aiutato Christine a rivalutare il senso dell'amore. Ho conosciuto la marchesa, sai, una persona brillante, e direi anche una bella donna...”
“Eloise, perché mi stai parlando di lei?”
“Oh Cielo! Dovresti essere tu a parlarmi di lei! Erik, hai... tu... insomma, sei innamorato di una donna che ti ama!”
“Chi l'avrebbe mai detto” borbottò l'uomo con amaro sarcasmo
madame Giry scosse il capo
“C'è una donna che ti ama, che è in pena per te e tu sei qui in casa mia invece che da lei” protestò
“Mi permetti di ricordarti che quella donna è sposata, o ti era sfuggito questo particolare?”
“Lo so, ma...”
“Niente ma! È meglio che mi creda morto, sarà più facile per lei farsene una ragione”
“Crederti morto?! Ma quanto tempo pensi che ci metteranno i giornali a far circolare la notizia che sei stato rilasciato? Se lo venisse a sapere da qualcun altro e non da te potrebbe non perdonartelo”
Erik sbuffò spazientito, non voleva che Eloise gli offrisse dei motivi per correre da Diane, già gli era abbastanza difficile resistere alla tentazione di andare da lei in quel preciso istante,
“E cosa dovrei fare? Andare lì e dirle: sono vivo: ora invece di piangermi puoi rimpiangermi” esclamò irritato
“Non essere sciocco! Puoi andare lì e dirle che vivrai pensando a lei, e che non ha nessun motivo di piangere la tua scomparsa” ribatté la donna corrugando la fronte
“Già, molto sensato! Vedi, qualunque cosa faccio finisco per fare del male, anche quando non voglio...”
Eloise batté le mani sul tavolo in un gesto stizzito
“Smettila, in nome di Dio, di piangerti addosso! Smettila di lamentarti di quello che sei o di quello che avresti potuto essere! Sei un uomo, hai trovato una donna che ti ama, persino colui che un tempo era il tuo peggior nemico ti ha salvato la vita perché ha capito che c'è del buono in te, perché tu non riesci a trovarlo?! E comunque sei libero di continuare a fuggire dal mondo quanto vuoi, ma ogni cosa ormai dimostra che non sei più il bambino spaventato che ha bisogno di nascondersi, abbi la dignità di prendere in mano la tua vita, maledizione!”
la donna pronunciò queste parole ad alta voce, senza interrompersi, al punto che quando ebbe finito si ritrovò con il fiato corto e il viso arrossato, Erik la osservò sgranando gli occhi,
“Madame, non avevi mai osato alzare la voce con me, sono decisamente un uomo finito” commentò  in tono canzonatorio
“Ah, il tuo raro ma pungente senso dell'umorismo, a parte la musica credo sia sempre stato uno dei tuoi migliori talenti”
Erik dondolò il capo e restò qualche momento in silenzio, poi si scosse
“Bene, dammi un po' d'acqua Eloise, voglio sciacquarmi le mani- disse- anche se le mani sono l'ultimo dei miei problemi, direi che mi occorrerebbero dei vestiti puliti”
“A questo possiamo rimediare” rispose la donna facendogli cenno di seguirlo.
Eloise condusse Erik in camera da letto, si chinò ed estrasse un baule di cuoio borchiato da sotto al materasso, lo posò faticosamente sul comò e gli disse di aprirlo. Lui sollevò il coperchio del baule con aria incuriosita e non riuscì a trattenere un sorriso soddisfatto quando vide cosa c'era all'interno,
“Sono le uniche cose che sono riuscita a salvare” spiegò madame Giry,
dentro c'erano dei vestiti, alcuni quaderni e un sacchetto di stoffa con del denaro.
Erik fece scorrere le dita lungo l'orlo di una delle sue candide camice di batista, aveva sempre avuto gusto per le cose belle e di qualità, grazie al compenso mensile accordatogli dal vecchio direttore del teatro era riuscito a garantirsi una certa agiatezza e a poter soddisfare ogni tipo di capriccio riguardo l'abbigliamento e agli oggetti costosi.
“Cerca di darti una ripulita altrimenti sporcherai i vestiti” gli fece notare Eloise, poi si offrì di preparargli un bagno caldo, lo avrebbe aiutato a distendersi e a togliersi di dosso tutto quello sporco.
Un'ora dopo Erik fu pronto, si osservò nello specchio approvando la sua immagine che con quei vestiti e con le giuste cure era tornata molto più simile a quella dell'uomo che era stato in passato. Salutò Eloise dicendole di aspettarlo, che sarebbe tornato e avrebbero discusso insieme di cosa avrebbe dovuto fare in futuro.
Ancora una volta Erik si accorse che camminare tra la gente gli pesava meno di quanto credesse, sopportava con tranquilla rassegnazione le occhiate curiose o perplesse che i passanti rivolgevano al suo volto mascherato, e quando vide comparire infondo alla strada la casa di Diane si concesse un sorriso rilassato e affrettò il passo. Si rese conto che non sapeva cosa dirle, ma con quella visita avrebbe potuto regalare a entrambi un'altra manciata di momenti felici, e chissà, forse avrebbe rivisto Vivianne, avrebbe potuto salutarla.
Erik bussò alla porta pensando unicamente al momento in cui avrebbe rivisto Diane e non al momento in cui l'avrebbe lasciata di nuovo. Dopo una manciata di secondi un maggiordomo dall'aria austera gli aprì la porta. Il domestico scrutò lo strano visitatore con un'occhiata arcigna, che fece quasi rimpiangere a Erik gli sguardi severi ma riservati di Colette,
“Cosa posso fare per voi, monsieur?” domandò il maggiordomo accompagnando quelle parole gentili con un tono quasi infastidito
“Potete dire alla marchesa che vorrei vederla, sono il maestro di musica di sua figlia” rispose Erik tranquillo
il domestico arricciò appena le labbra
“Temo che sia impossibile” concluse
“Come?!” esclamò il suo interlocutore in una specie di ringhio
“Madame non è qui”
“Sapete dirmi a che ora rientra?”
“Intendevo dire- puntualizzò il maggiordomo- che madame non è più in città”
“Come sarebbe a dire?”
“E' partita quattro giorni fa per Marsiglia, credo che si tratterrà a lungo”
il domestico si congedò con un vago cenno del capo e rientrò chiudendo la porta, lasciando Erik incredulo sulla soglia.
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Lieta di essere riuscita a sconvolgervi XD
Nemmeno io pensavo che ci fosse un modo per riabilitare il carciof... ehm, il Visconte.

Grazie per le letture e per le recensioni.
In quanto alla conclusione, mancano ancora due capitoli e l'epilogo.
Ci leggiamo tra una settimana ^^

I remain, gentleman, your obedient servant.
   
 
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