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Autore: Lyen_san    10/07/2015    0 recensioni
"Finito di sistemare. Ogni coccio raccolto, un pezzo di memoria persa, un passato spezzato, un futuro inventato. A quei tempi mormoravo e basta, tentavo invano di parlare, non avevo già più emozioni ed ero freddo, come i poli, ma senza un briciolo di attrazione. Tutto mi si allontanava, proprio come mia madre, andò via e mi lasciò, abbandonato ad un felino e meschino. Mio padre. Da un angolo lo fissavo, ronfava e si dimenava, per il caldo forse.".
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era un mattino.

Uno come tanti, né speciale né memorabile, semplice come tanti altri, senza nuove vicende significative. Dico così poiché, in questo crudo mondo, ciò che ad altri pare ambiguo, per me era routine.

Mi svegliai, di fretta e in silenzio, come i topi zitto zitto mi preparai e sistemai l'alloggio. In casa, solo io e mio padre.

Il gatto col suo cibo.

Sono tragico? Chissà, non sono io a dirlo, ma nemmeno gli altri, chi altro potrà mai sapere di me? Chi sono io per esempio, cosa capitò a me o chi ero in realtà? Troppe domande ma nemmeno una risposta, viene spontaneo porre un'altra domanda chiedendone il perché, senza comunque ricevere mezzo fiato.

Agivo, sistemavo il casino rimasto dal giorno prima, dico casino ma il giusto sinonimo era tragedia. Come ogni secondo che passavo lì, all'interno di quella "casa".

"Casa: la famiglia a cui si appartiene."

Magari sono io a farne un dramma ma, a rivedere le cicatrici, fa male anche solo il pensiero.

Parlo come un adulto sì, un uomo vissuto, ma avevo solo 9 anni, un bambino come lo eri anche te.

Mangiavi oro, io mangiavo polvere, non metaforicamente parlando.

Non avevo nulla né ricevevo nulla in cambio, offrivo ma il compenso era vuoto e freddo; il cibo, la casa e i giorni.

Cibo privo di nutrienti, peggio di quanto si vedeva nelle mense di quei vecchi film in stile americano, oserei dire che avrei dato via il mio futuro restante per un pezzo di quel mondo.

Ragazzi che lamentano la vita ed i loro genitori, la scuola ed i loro giorni.

Io? Niente scuola, solo una casa, tetra e glaciale, accogliente solo per gli insetti. D'altronde, col marcio che ogni giorno vivevano quelle quattro mura, c'erano mosche in sole due ore e mosconi in pochi secondi.

Parlo molto, sì, troppo forse, ma ti stupiresti se in realtà ti dicessi che i miei sono solo pensieri? La lingua, quella l'ho ormai da tempo persa, solo i gesti mi sono rimasti, velati dal tremolio dato un po' dal freddo, dato un po' dalle mani.

Finito di sistemare. Ogni coccio raccolto, un pezzo di memoria persa, un passato spezzato, un futuro inventato. A quei tempi mormoravo e basta, tentavo invano di parlare, non avevo già più emozioni ed ero freddo, come i poli, ma senza un briciolo di attrazione. Tutto mi si allontanava, proprio come mia madre, andò via e mi lasciò, abbandonato ad un felino e meschino. Mio padre. Da un angolo lo fissavo, ronfava e si dimenava, per il caldo forse.

Era già estate e fuori ormai i 31ºC erano superati, si sudava e ci si lamentava di ciò, eppure io ero li, a tremare. Gelo e nient'altro. Un occhio si aprì, l'altro di conseguenza, si alzò e studiò l'ambiente, come un grosso predatore cercava la preda ed io indifeso giacevo a terra.

Prima domanda, nessuna risposta, seconda neppure e, alla terza, s'avvicinò infastidito. Mi guardava.

Non sapevo parlare, come si parla? Come gli parlavo, come gli rispondevo? Mi fissava e tremavo, una foglia d'autunno e lui il vento, prese la mano e come un soffio, mi accarezzò la vita.

In quell'istante l'inverno, che ne fu di me?

Bianco, tepore ed infinito. Ciò che provai allora.

Vedevo bianco, sentivo caldo e percepivo l'infinito in cui ero. In cui sono.

Sono passati 15 anni, ma lui, ancora lì, ronfa e si dimena. Ma la scena? Quella è diversa. Lo fisso, ma non da un angolo. Io sono al caldo, mentre lo guardo ghiacciare tra le sbarre della sua gelida prigionia.

"La tua libertà finisce nel momento in cui inizia quella d'un altro."

Era libero di giocar con me, ed ora, io sono libero di poter vedere i suoi giorni, grigi e cupi, volgere lentamente ad un fine.

Il mio? Bianco, come la neve che vidi che quel giorno cadere.

Il suo? Nero, come il cuore che ancora oggi si ritrova.

   
 
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