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Autore: Sophie_moore    10/07/2015    2 recensioni
Storia partecipante al contest "Breve, ma intenso" indetto da Donnie sul forum di EFP
Edyth crede di essere una persona normale, crede di aver chiuso col passato, ma dopo una scenata in ufficio, questo torna prepotentemente nella sua vita.
Tratto dal capitolo 1. Che poi, onestamente parlando, neanche sapevo perché ero finita in quel covo di serpi velenose: non ero fatta per portare tailleur, tacchi alti o crocchie ˗ per l'amor del cielo, dovevo assolutamente togliermi quella pinza dai capelli, mi stava uccidendo -, io ero più per canottiere slargate e pantaloncini di jeans.
Tratto dal capitolo 3. Lei si passò le mani tra i capelli, si fece una coda, poi la disfò, poi si stropicciò gli occhi ed infine impugnò di nuovo la forchetta, su cui stava ancora infilzata una foglia di insalata.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Raccolta partecipante al contest "Breve, ma intenso" indetto da Donnie sul forum di EFP

 

Edyth - 1

 Mentre ascoltavo, mentre guardavo quelle persone e i loro rituali sociali, sentivo solo il desiderio di ribaltare il tavolo e scappare urlando.

 

Mi guardavano tutti, in quell'ufficio. Appena ero entrata, appena avevo varcato la soglia, ecco che tutti gli occhi si erano puntati su di me. Strinsi forte le mascelle e mi diedi un contegno.

˗ Cosa ti serve, Edyth?

Il signor Lark mi fissava facendomi sentire a disagio, come se fossi stata una ladra colta in flagrante. Cosa che ovviamente non era, visto che stavo solo facendo il mio lavoro, fortunatamente provvisorio, di stagista segretaria. Mi maledissi cento e più volte per aver accettato di fare la stagista in quell'azienda, ma i soldi servivano e volevo diventare indipendente a tutti i costi.

˗ Ecco i documenti che aveva richiesto, signore.

Mi chinai sulla tavolata a goccia e lasciai davanti al suo muso da topo il plico di fogli e cartelle, per poi tirarmi su e salutare.

˗ Aspetta! Puoi sentire anche tu, magari ti serviranno…

Fece un sorriso agghiacciante, uno di quelli che stanno sulla bocca di chi non pensa assolutamente quello che sta dicendo, per cui mi limitai ad annuire e nascondermi in un angolino dell'ufficio, sperando ardentemente di non essere più interpellata. Quelle persone non mi piacevano, avevano delle espressioni talmente tese e false che avevo la sensazione che stessero per tirare fuori delle pistole ed iniziare una sparatoria.

˗ Stavamo dicendo, signori miei, che il progetto che stiamo per presentare alle grandi industrie sarà qualcosa di estremamente innovativo! La nostra azienda ha lavorato molti mesi per realizzare questa piccola opera d'arte, che…

Davvero quegli imbecilli stavano ascoltando? Non riuscivo a seguire il suo discorso, mi pareva che parlasse dell'aria, di qualcosa di terribilmente inconsistente, e tutti quanti lo guardavano, lo veneravano come un Dio sceso in terra ˗ o fingevano? ˗, facevano domande come se davvero interessasse ricevere una risposta… erano nauseanti. Per quanto sarei dovuta stare in quell'angolino ad ascoltare scemenze, una dietro l'altra? Che poi, onestamente parlando, neanche sapevo perché ero finita in quel covo di serpi velenose: non ero fatta per portare tailleur, tacchi alti o crocchie ˗ per l'amor del cielo, dovevo assolutamente togliermi quella pinza dai capelli, mi stava uccidendo ˗, io ero più per canottiere slargate e pantaloncini di jeans. Stavo soffocando, l'etichetta del reggiseno mi pizzicava la schiena e mi sembrava quantomeno maleducato iniziare a grattarmi davanti a tutti, anche perché sospettavo che aspettassero solo una mia mossa falsa per sbranarmi. Mi sentivo una giovane antilope circondata da un branco di leonesse affamate, e non mi piaceva affatto.

˗ Edyth vi spiegherebbe molto volentieri di cosa si tratta, dunque, ma la vedo un po' indaffarata…

Quando mi sentii chiamare era già tardi, purtroppo. Rientrai nel mio corpo con un tonfo sordo, tanto che ebbi paura che l'avessero percepito tutti quanti, e sgranai gli occhi impaurita. Sentivo l'ansia che mi cresceva nel petto costretto in quella maledetta camicia pruriginosa e le lacrime di frustrazione che mi punzecchiavano gli occhi. No, non sarebbe successo.

˗ Sa una cosa, signor Lark?

Mi sciolsi i capelli, sbottonai la giacca grigia e mi tolsi i tacchi, sbattendoli con forza sul tavolo, esattamente dov'erano prima i suoi preziosissimi documenti.

˗ Che si fotta lei, questo gruppo di imbecilli e il suo inutile progetto! Fottetevi tutti: io mi licenzio.

Ed uscii dalla stanza, lasciandoli tutti pietrificati sulle loro sedie girevoli. Potevo sempre tornare a scuola, quel lavoro non mi serviva.

Quando balzai fuori dall'ascensore mi sentivo libera. E leggermente nel panico, per la scenata che avevo piantato al piano di sopra, ma soprattutto libera. Avrei potuto ricominciare ad avere una vita ˗ avevo a malapena ventidue anni, per la miseria! ˗, magari sposare qualcuno, magari anche no, magari comprare una decina di gatti e coccolarli tutto il giorno tutti i giorni per tutta la mia inutile esistenza.

Ma, ora che ero abbastanza lontana dall'ufficio potevo ammetterlo, almeno a me stessa: avevo fatto una cazzata a licenziarmi ed ero anche scalza… che giornata di merda.

Mi infilai nel primo negozio di scarpe che trovai sulla via, cercando di non dare nell'occhio. Sembravo una pazza, con tutta probabilità.

˗ Salve, posso esserle utile?

La commessa con un sorriso da copertina mi si avvicinò, ma appena notò i piedi nudi con lo smalto ormai quasi del tutto sbiadito fece di tutto per non far trasparire quella sensazione di disgusto che solo una donna in carriera poteva provare. Mi fece sentire un verme.

˗ Kilie, è un lavoro per te! ˗ gridò.

Kilie… mi era particolarmente familiare, ricordavo di qualcuno con quel nome, anche perché non era il classico “Mary” o “Jane”.

˗ Non credevo ti avrei rincontrata in queste condizioni, sai?

Una ragazza circa della mia età mi si presentò di fronte, grandi occhi celesti e i capelli dello stesso colore, legati in una coda alta.

˗ Pensavo avresti almeno avuto le scarpe.

˗ Kilie!!! ˗ esultai, quando il viso di una marmocchia bionda e paffuta si sovrappose a quello della elegante commessa dai capelli azzurri. ˗ Sei tornata, che bello! ˗

Le saltai al collo, abbracciandola stretta.

˗ Da qualche settimana. Volevo chiamarti ma non ho più il tuo numero…

Scossi la testa non appena mi staccai da lei. Il cuore mi batteva all'impazzata: Kilie era stata una delle mie più care amiche delle scuole medie, ma alla fine del terzo anno si era dovuta trasferire con i suoi genitori, e non eravamo più riuscite a sentirci. Strano che fosse tornata dopo quasi dieci anni.

˗ Ti lascio il mio biglietto.

Le misi tra le mani il biglietto da visita che avevo fatto stampare per possibili occasioni di lavoro, ma non ero mai stata così contenta di darlo via.

Lei fece un sorriso raggiante, luminoso, il suo volto brillava ed io ero davvero, davvero, felice di poterlo vedere di nuovo. Mi era sempre piaciuta in modo particolare, probabilmente per questo suo modo di luccicare.

˗ Cerchiamo delle scarpe adatte, che dici?

Mi fece l'occhiolino ed io arrossii come una bambina. Dopotutto la giornata non era stata così terribile come avevo immaginato.




Sophie's space_____
Che dire? Mi sono venute in mente grazie ad un videogioco, "Life is strange", del quale mi sono profondamente innamorata.
Ma comunque! Per queste mini shots ringrazio tantissimo dal più profondo del mio cuoricino malandato Slappola, la mia moglie fedele e beta formidabile. Ti adoro tanto tanto tanto!!!
Bien, etto questo, vi lascio agli altri capitoli =) un abacione,
Sophie 

  
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