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Autore: Lila May    10/07/2015    3 recensioni
[MarkxEsther, altrimenti non sono più io] [Fluff, Slice of Life] [con la preziosissima presenza della madre di Suzette, che ha collaborato alla riuscita di questo amore (?)] [e boh, godetevi la storia u.u]
***
L'aragosta dell'amore.
Temuta dai maschi, amata dalle femmine, che da secoli le fanno mangiare all'ignaro, povero, tenero, ingenuo ragazzo dei loro sogni.
Una buffa tradizione di Osaka che obbliga chi si pappa almeno un quinto del piatto a legarsi in amore fino al matrimonio.
E se capitasse al Capitano degli Stati Uniti?
Cosa potrebbe potenzialmente accadere?
***
Signori, io ci ho provato!
Buona lettura ^^
Lila
Genere: Fluff, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Mark Kruger
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L' ARAGOSTA dell' AMORE

Suzette l'avrebbe picchiata a sangue. Anzi, no, frustata. Anzi, no, direttamente uccisa, niente vie di mezzo.
Senza contare le altre compagne di squadra, che le avrebbero dato una mano a tirarle via i capelli.
Quella era l'unica, terribile cosa a cui Esther riusciva a pensare in quel momento, mentre i piedi si preoccupavano di spostarle il corpo ora un po' a destra ora un po' a sinistra, sperando di scrollarsi di dosso un po' di quell'atteggiamento nervoso che aveva preso a farsi strada in lei, scavandole in profondità.
Aveva permesso a Mark di accedere al loro centro di allenamento segreto, quello nascosto nei sotterrai della casa stregata, un tempo attrazione principale di Naniwaland.
Il problema era che il giovane Kruger, per le sue amiche, era solamente il Capitano della Unicorno. Basta, finita lì. Insomma, un perfetto sconosciuto.
Sospirò, sbuffò, scalciò e fece persino a guerra con il suo labbro inferiore, mordicchiandolo a sangue fino a quando non cominciò a bruciargli, e allora si sfogò sui capelli, inanellandoseli alle dita e stropicciandoseli come una bambina viziata. Il giorno che entrò a far parte delle ragazze più chic di Osaka aveva giurato di mantenere segreto il centro di allenamento, e di farlo scoprire solo a chi meritava davvero.
E beh, Kruger per le altre non rientrava nella lista dei "sì, prego, accomodati".
E nonostante la promessa, lo aveva fatto ugualmente entrare, mostrandogli ogni corridoio, ogni stanza, ogni tutto.
Ma perché? Ma chi glielo aveva mandato a fare?
Stanca di fare su e giù davanti alla piccola entrata della casa, decise che sedersi sul suo pianerottolo scosceso poteva anche essere una cosa intelligente, così lo fece senza troppi preamboli, stando comunque attenta a non sfondarlo con la sua mole da orsa in calore - o almeno, così le piaceva pensare di essere -, poi si adagiò i gomiti sulle ginocchia e cominciò a fischiettare un bel motivetto allegro, in attesa che Mark si decidesse ad uscire da lì.
Per fortuna che le ragazze erano in giro a fare compere. Di solito si era sempre aggregata anche lei, al gruppo.
Immediatamente si stupì di come una sfrenata passione come lo shopping era stata messa a tacere dalla sola, luminosa presenza di Mark.
Arrossì e si posò il mento sulle palme, storcendo appena le morbide labbra color pesca.
Strano, davvero strano. Amava la compagnia dei ragazzi, davvero, anzi, la adorava, ma non era mai stato da lei abbandonare un pomeriggio di shopping con le amiche per anche solo uno di loro.
Forse Mark era magico. O forse, semplicemente se ne era innamorata.
Ma come non accorgersene, del resto. Il modo in cui lo guardava, aggrottando i sopraccigli e battendo le ciglia, il modo in cui arricciava il naso nel sentirne l'odore, tingendosi di rosso, il modo in cui gli parlava, con voce sempre meno incalzante e sicura, quasi tutte le volte che doveva dirgli qualcosa lui le risucchiasse la chiacchiera con la sola forza dello sguardo, ipnotizzandola.
Il modo in cui riusciva a farla sentire bene solo piegando la bocca in un sorriso, e allo stesso tempo distruggerla dandole semplicemente di spalle o prendendola in giro senza farsi troppi problemi.
Diamine, non era mai riuscita a dirgli di 'no'.
Stava perdendo colpi.
Forse sì, forse le piaceva davvero.
All'improvviso lo spigolo della porta le si schiantò contro la schiena, obbligandola a gemere di dolore e a scansarsi dal pianerottolo.
<< Oh, shit, sorry! >> ridacchiò Mark, raggiugendola con un grosso asciugamano sulle spalle e un enorme borsone a tracolla, che forse pesava più di lui.
Esther si massaggiò la zona colpita, ma ne approfittò della posizione strategica per soffermarsi un momento sull'amico. Fisico atletico, capelli biondi, occhi celesti, spalle larghe e mento fiero. Un po' spettinato e iper stanco, ma comunque affascinante.
Cavoli, mai niente era riuscito a deturpare quella sua dolce bellezza. Provò ad immaginarselo adulto, e se le sue previsioni risultavano corrette, Mark Kruger sarebbe diventato un bel pezzo di carne.
L'unico problema era che attaccata al suo braccio non ci sarebbe stata lei, su questo niente da ridire. Peccato. Il destino aveva voluto che lui fosse americano, e lei di Osaka. Troppo distanti. Mark infatti era lì solo perché sua mamma, per lavoro, si era dovuta un attimo spostare, e lui l'aveva pregata di farlo viaggiare al suo fianco per venirla a trovare. E passare del tempo insieme, ovviamente, ma questo era esplicito.
<< Non volevo colpirti. >>
La voce debole e un po' fiacca di Kruger la riportò al presente, facendola scuotere. << No, tranquillo, sono io quella sempre in mezzo. >>
Mark rise, divertito, poi le avvinghiò dolcemente la vita e insieme cominciarono ad avviarsi verso l'uscita del parco, superando con grande maestria la soffocante calca di turisti che la bloccava testarda, incapace di, chessò, fare qualche passo avanti e magari spostarsi, come ogni comune essere umano che capisce di essere d'impiccio.
Una volta fuori dal caos più totale, Esther abbassò lo squillante tono di voce e gli fece la domanda fatidica, allontanandosi un po' da lui per liberarsi dalla piacevole morsa del suo braccio ancora umido. Troppo bello per essere vero, si era vista costretta a mettere fine a quel sogno. Se Mark avesse continuato a tenerla così sarebbe sprofondata in un'orgia di pensieri che, cavoli, solo Dio poteva sapere su cosa si sarebbero incentrati. << Manterrai il segreto? >>
Mark la guardò come si fissano i condannati a morte, trattenendo una risata. Esther si era fissata, con quel 'problema'. Quante altre volte ancora le avrebbe dovuto giurare il silenzio assoluto su quel fatto? Sospirò, senza smettere di studiarla, e lei in compenso distolse lo sguardo, incapace di reggere quegli occhi tanto cristallini quanto curiosi che, lo sapeva, molte volte si erano soffermati più del dovuto sul suo seno.
Arrossì, ma lui non se ne accorse.
<< Sì. >>
<< Non sono più sicura di aver fatto la cosa giusta... >>
<< Damn, Esther... >> Mark alzò gli occhi al cielo, emettendo un suono simile a un borbottio scocciato. Perché lei non riponeva un po' di bene amata fiducia in lui? Insomma, tenere la bocca chiusa non doveva poi essere così difficile. Mica era Dylan, che appresa una notizia la andava a sbandierare ai quattro venti. Ad ogni modo non riuscì a fare nulla se non risponderle con un tranquillo "te lo prometto", perché quel tratto di lei gli piaceva da impazzire, e nemmeno una litigata - che adesso ci stava davvero - sarebbe riuscita a farglielo odiare.
Perché Esther Greenland non era solo una maledetta stronza, con un fisico da paura - lei si considerava cicciona, ma era solo sexy -, una personalità più che grintosa e un viso che ogni maschio sognerebbe di divorare a furia di baci, ma anche una ragazza in un modo o nell'altro sensibile, che sotto una maschera di pietra sapeva farsi tantissimi problemi.
Era fiero di averla come amica, nonostante ogni due per tre tendevano a dirsene di tutti i colori, perdendosi in una di quelle tremende, infinite, schifose sfuriate dove lui, poverino, era quello che sbagliava sempre, e di conseguenza doveva anche affannarsi ad abbassare la cresta e chiedere perdono.
Però amava anche sentirla strepitare con un pezzo di legno fra le mani, perché lei furiosa fino al midollo era uno spettacolo meraviglioso. Storse le labbra. E poi, da un po' di tempo sembrava farsi scivolare tutti i problemi addosso, quasi sembrasse essersi innamorato di lei, dei suoi capelli morati, dei suoi occhi neri, del suo bel fisico un po' troppo generoso, del suo carattere a metà fra una dolcezza senza limiti e una cattiveria da vera vipera.
<< Sei uno stupido, dannazione! >>
<< Sì, forse. >>
<< Non dovevo farti entrare! >>
<< Allora la stupida sarai te. >>
<< Io non sono stupida, maledetto infame! >>
Sorrise, valutando l'idea di non rispondere per non peggiorare la situazione e farla precipitare in crisi. Per lei avrebbe incassato tutti gli insulti del mondo, da un semplice 'cretino' a un grave 'coglione'. Davvero. E avrebbe messo da parte la permalosità, la voglia di strozzarla, l'impellente bisogno di sbatterle la porta in faccia, cosa che invece tendeva a fare con il resto del mondo, a partire da sua sorella.
E le avrebbe chiesto scusa anche quando la colpa era solo ed esclusivamente di lei, solo per far tornare il loro rapporto a un livello meno... meno vacillante, ecco.
<< I'm hungry >> disse, voglioso di cambiar discorso.
Lei parve rasserenarsi, ma all'improvviso si cinse con forza l'addome, sollevando appena le spalle come per scacciare un moto di freddo. Mark si chiese se farla stendere, sembrava sul procinto di vomitare. << No, no, no! >> esclamò invece, fendendo l'aria con le braccia. << Senti... >>
Il ragazzo la osservò avvicinarglisi e afferrargli con malcelata rabbia il colletto della maglia, e arrossendo appena lottò con tutto se stesso per non abbassare lo sguardo, seguire la sinuosa linea del suo collo e fissargli gli occhi sul seno abbondante, che una graziosa camicetta si era degnata di lasciar trasparire appena dalla scollatura.
Maledetto lui, stava diventando come Dylan.
<< s- se parli, Kruger, ti giuro che... >>
<< Non parlerò, te lo prometto. >>
<< No, invece parlerai...! >> Esther lo mollò con uno spintone, nervosa, e Mark, cedendo alle emozioni, le risalì con dolcezza il profilo del busto, fermando le mani solo una volta che le si andarono a posare sulle sue gote paffute.
<< Ascoltami >> disse, stringendo la presa per evitare di spacciare il suo tocco per dolci carezze. Che poi in fondo un po' lo erano. << devi fidarti di me. >>
La mora si addentò il labbro inferiore e gli posò spasmodicamente i gomiti sul petto, rossissima in volto. Non voleva le si avvicinasse troppo, o avrebbe rischiato di perdere il controllo e buttarsi sulle sue labbra, giocandosi la loro amicizia in un pazzo gesto che, con un po' di precauzioni in più, avrebbe potuto benissimo evitare.
Ma era difficile. Molto difficile. Così si limitò a perdersi nell'azzurro dei suoi occhi, badandosi però dal non sprofondare nei suoi abissi più profondi, o non sarebbe pià stata in grado di uscirne.
<< Non dirò niente a nessuno. Te lo giuro su chi vuoi. Su Dio. >>
<< Non si giura su Dio. >>
<< Non mi interessa niente. Stai tranquilla >> Mark le lasciò andare il volto e lei si concesse qualche secondo per incamerare aria dalle narici cinque, sei volte.
<< Ti spacco il... >>
<< Non ce ne sarà bisogno. La mia bocca rimarrà sigillata fino a quando lo vorrai. >>
Esther finalmente si arrese all'evidenza, abbassando le armi. Ok, Mark sembrava sincero. E lei si fidava di lui, nonostante non le piacesse darglielo a vedere. Sorrise sicura, facendo crollare i muri di difesa, poi si incastrò una ciocca di capelli dietro l'orecchio, sfuggita alla forte tenuta della coda nell'esatto istante in cui lui le si era aggrappato al viso. << Ehm, se non sbaglio prima hai detto di avere fame, dico bene? >>
<< Mh, yes... >> mormorò Mark, grattandosi fra i capelli con fare imbarazzato. << Conosci un qualche ristorante  carino dove... >>
<< Sì, lo conosco, e ti piacerà un mondo! >> esclamò di botto la Greenland, afferrandolo con grinta per un braccio e trascinandolo verso il centro di Osaka, mentre un'affollata e coloratissima Naniwaland diveniva man mano più distante da loro.
 

 
Esther sgranchì le dita delle mani e spalancò la porta scorrevole del ristorante, sorridente, poi entrò senza minimamente degnarsi di aspettare il povero Mark, che intanto aveva alzato il capo per leggere l'insegna.
<< Dalle signore Heartland. Mh >> lesse, curioso. Da quello che gli aveva raccontato l'amica, era venuto a conoscenza che il capitano della sua squadra, una certa Suzette, portava esattamente quel cognome. Che fosse il ristorante di uno dei suoi familiari?
Ad ogni modo alla fine entrò anche lui, affamato, quindi ne approfittò per guardarsi inorno. Non era male. A sinistra, in un angolo, c'era un grande bancone in legno che fungeva da cassa - e non riuscì a vedere altro, perché Esther si era messa in mezzo, e di certo non si sarebbe spostata per lui -, e tutt'intorno, dei tavoli decorati con una miriade di posate colorate - piatti verdi, bicchieri rosa, forchette azzurre  e fazzoletti arcobaleno - abbellivano l'ambiente, rendendolo caldo e accogliente.  Uno in particolare catturò la sua attenzione, a forma di cuore, e curioso si ritrovò a chiedere se non fosse riservato ai fidanzati.
<< Buongiorno, signora Heartland! >>
La voce arzilla di Esther lo riscosse appena, ma non fu sufficiente a risvegliarlo dal contempare il ristorante, perché subito dopo si perse nell'odorare con voglia l'intenso profumo di crepes, marmellata e cappuccino che ne impregnava l'aria.
<< Ciao, Esther! A cosa devo la tua presenza? >>
<< Io e un mio amico... >>
La signora Heartland fu lesta nel portare i grandi occhi color dell'argento sul ragazzo dietro le spalle di Esther, impegnato nello scrutarsi intorno. Poi sorrise, sorriso che innervosì la ragazza.
<< Non è come pensa... >>
<< Oh, invece sì. >>
<< No, no, glielo assicuro, lui è solo... >>
<< Il tuo fidanzato. >>
<< Cosa succede qui? >>
<< Oh, finalmente mi degni della tua presenza, caro signorino! >> la donna scese dal bancone e, scansata di torno Esther, che cominciò a borbottare a bassa voce, si permise di analizzare Mark, prendendo a girargli intorno con fare curioso.
Il biondo cercò lo sguardo dell'amica, ma quando lo trovò gli parve piuttosto ferito nell'orgoglio, così non si disturbò di trasmetterle tutto quello che gli stava balenando in testa e si lasciò studiare, da bravo ragazzo sottomesso all'autorità femminile.
<< Mh. Bel fisico, gambe toste, un ottimo colore di capelli... ah, aspetta, aspetta! >> la signora Heartland si piegò quel poco che bastava a fissare gli occhi in quelli confusi di lui, poi schioccò le dita smaltate di rosso, facendolo stranire ancora di più. << cosa vedo qui... che occhi! Esther, hai scelto bene! >>
<< Non ho scelto niente, io... >>
Mark arrossì, capendo cosa stava succedendo, e prese le parti dell'amica. << No, signora, noi due non stiamo insieme. >>
<< Esatto, noi... >>
<< noi siamo solo amici. >>
La donna li scrutò attentamente, manco avessero ucciso una persona e tenessero le mani insanguinate dietro la schiena, poi li lasciò perdere, senza però cambiare idea. << Cosa vi posso offrire? >>
<< Tutto quello che ha! >>
Kruger venne fulminato da un paio di languidi occhi neri, ma non vi prestò attenzione. Aveva troppa fame per soffermarsi sullo sguardo nervoso di Esther. Quello lo avrebbe divorato più tardi, con calma, per goderselo fino all'ultimo.
<< Intendeva dire che... >>
<< Accidenti, il ragazzo ha fame, Esther, che mi combini? Gli prosciughi l'energia così? Ma quanto vi baciate al giorno? Dovete andarci piano, avete solo diciassette anni. >>
<< Cosa?! Noi... non... ah, ma per favore! >>
<< Allora? Va bene un' aragosta a testa? >>
<< Yeah, yeah! E anche due bicchieri di Coca, please. >>
<< A questo punto... >> Esther rise divertita, sbarrando un braccio per impedire all'amico di montare sul bancone e divorarsi di tutto, inclusa anche la madre di Suzette, poi si fece vicino a quest'ultima, che aggrottò le grosse sopracciglia color cobalto. << Ehm... >>
<< Sììììììììì...? >>
<< Non... non l'aragosta dell'amore. Una normale. Per favore. >>
La donna sorrise malefica, poi serrò le palpebre, sventolò una mano in aria e la rispedì indietro, imitando alla perfezione i modi annoiati e spocchiosi della figlia. << Sì, va bene, come vuoi. Intanto fammi un favore, vatti a scegliere un posto. >>
<< Mi devo fidare...? >> domandò Esther, posando un braccio sul bancone.
<< Sì! Sì, ma adesso va, coraggio, mi state intoppando il cammino. >>
La mora annuì, ancora un po' diffida delle parole della signora, poi si fece forza e trascinò Mark in un tavolo libero, appena più distaccato dagli altri per permetterle di parlare liberamente senza doversi preoccupare di ritrovarsi la conversazione su tutte le radio. Quando si sedette, l'americano attese che una giovane cameriera posasse sulla tovaglia due grandi bicchieroni di Coca, poi la osservò andarsene e infine rivolse uno sguardo perplesso a Esther, impegnata nel giocare con la cannuccia.
<< Che c'è? Non la conosco. Se ti interessa devi chiederle tu il numero. Non mi usare. >>
Il ragazzo rise, ma lei continuò a torturare la cannuccia, sorridendo appena.
<< No, non è per quello. Volevo chiederti... cos'è l'aragosta dell'amore? >>
<< Ah, dannato tu, mai una volta che le tue orecchie sfuggono a qualcosa... >>
<< Sono formidabile, lo so. >>
Esther sorseggiò un sorso di Coca, poi riprese con quella dannata cannuccia, incapace di smettere e tenere le mani al loro posto. Mark sorrise, trovandola una bella fissazione. << Qui a Osaka c'è una tradizione. >>
<< Continua. >>
<< Praticamente se vai in un ristorante con la persona che ami e ordini - all'insaputa dell'altro - un'aragosta dell'amore, dopo averla mangiata con lui dovrai starci per tutta la vita, e sposartelo addirittura. >>
L'americano si affogò con la Coca, mezzo ridendo mezzo tossendo, e la ragazza si affrettò a tirargli una potente pacca sulla schiena, facendolo gemere di dolore.
<< Ehi, piano! >>
<< Oh, scusa, mi sembravi in difficoltà. >>
<< Sii sincera con me, Esther. Davvero a Osaka c'è questa tradizione? >> domandò Mark, riprendendosi.
Esther ritornò alla cannuccia. << Sì... almeno sembra. >>
<< Okay... >>
<< Ehm... ma io alla madre di Suzette le ho detto di non farcela, chiaro. >>
L'americano nascose una nota di dispiacere nello sguardo. Da una parte gli sarebbe piaciuto finire con Esther, baciarla, abbracciarla, poterla stringere con forza e provare un immenso piacere nel sentirla ricambiare con ancora più amore e decisione. E sposarla, anche. Si conosceva a sufficienza, da bravo ragazzo fedele qual'era con un po' di impegno sarebbe stato capace di rimanerle attaccato tutta la vita, come un povero cane bastonato.
Che poi, con quale forza lasciarla. Lei non smetteva ancora di stupirlo. << Ma tu non ti fidi, dico bene...? >>
<< No, esatto >> borbottò Esther, che fino a quel momento non aveva smesso di immaginare una vita unita a quella dell' amico in tutto e per tutto. Ricevere il primo, vero, effettivo bacio da lui, la prima carezza fra i capelli, sul corpo, lasciarsi cullare dal calore dei loro corpi abbracciati... perdere la verginità per lui, con lui. Scacciò l'ultimo pensiero, imbarazzata. Perché continuava a sognare? Tanto sarebbe stato inutile per entrambi provare in una relazione amorosa. Sarebbe crollata ancor prima di iniziare, esattamente nell'esatto momento in cui lui se ne sarebbe ritornato negli Stati Uniti, lasciandola sola a farsi tanti film mentali su un possibile futuro insieme mentre magari lui, dopo un paio di mesetti passati a spedirle lettere d'amore, già andava con un'altra, spacciandosi ancora per suo fidanzato giusto per non darle dispiacere.
Non le andava di finire così. Meglio mantenerlo buono al suo posto. Una volta adulta si sarebbe trasferita negli Stati Uniti e, con un po' di fortuna, si sarebbe di nuovo messa in contatto con lui.
E allora sì che ci avrebbe provato. Senza alcuna pietà, proprio come sapeva fare.
<< Già, ecco qual'è il tuo problema. >>
Si risosse con un battito di ciglia, sorprendendosi non poco nel sentire quanto il tono dell'amico fosse diventato scocciato. Che aveva detto di sbagliato? << Cosa? >>
<< Che non ti fidi delle persone. >>
<< Anche io ti voglio bene, Mark. >>
<< Sono serio >> precisò l'americano, senza rispondere all'ironia della ragazza.
<< Non iniziare... >>
<< Non inizio, solo che penso che dovresti lasciarti più andare, tutto qui. Stai diventando paranoica. >>
<< Guarda che io mi fido delle persone! Solo che... >>
<< Prima con me, adesso con lei. Certo. >>
Esther rimase in silenzio, riflettendo sulle parole decise di Kruger, poi, l'inconfondibile, inebriante, delizioso odore di un paio di rosse aragoste appena sfornate, e il malumore cedette il posto ad una fame senza pari.
<< Oh, finalmente! >> esclamò Mark, afferrando la sua e quella di lei, che le poggiò davanti agli occhi. La cameriera arrossì e mormorò un flebile grazie, prima di sparire a prendere ordinazioni ad un altro tavolo.
<< Temo che quella si sia interessata a te >> dedusse Esther, fiondandosi sul piatto con voracità.
Mark scosse le larghe spalle con un gesto di menefreghismo. << Mi corrono dietro in tante... >>
<< E te ne vanti? >>
<< No... io... con le ragazze non so farci. Le ho sempre lasciate a Dylan... >> l'americano rise imbarazzato, lievemente in agitazione. Non gli era mai andato di dichiarare quel suo segreto a Esther, eppure glielo aveva detto, come un perfetto idiota. << dovrei prendere lezioni da lui... di sicuro è molto più esperto di me. >>
<< E tu dovresti dargli lezioni di algebra, allora, così compensate. >>
<< Già... forse dovrei. >>
Esther si prese qualche attimo per guardare il paesaggio fuori dalla finestra, poi estrasse la cannuccia dal bicchiere e vi affondò le labbra, mentre una stupida domanda le si faceva strada  nella testa. << Per te Dylan è ancora vergine? >>
Kruger rise ancora. << Ma che cazz...! E io che ne so! >>
<< No, chiedevo. Tu cosa pensi? >>
<< Penso che... beh... veramente... per me è uguale... sai, non gli ho mai chiesto i suoi cavoli. Può fare quello che vuole. >>
<< Credi l'abbia fatto? >> domandò Esther, decisa a non cambiare argomento.
<< Mah... >>
<< Dai, sii sincero! >>
<< Non lo so! >> ridacchiò Mark, sollevando le mani in aria a mo' di arresa. Quando voleva l'amica sapeva asfissiarlo di inutilissime domande, anche se mai nessuna avrebbe battuto il solito "mi dona questo, mi dona quello?". Troppo buffa. Che gliene importava a lei di come le stava addosso un vestito? L'importante era che non andasse in giro nuda, amen.
Solo Dio sapeva che razza di rabbia gli saliva tutte le volte che lei si faceva attendere quando dovevano uscire da qualche parte. Per non sfondarle la porta della camera si era sempre tenuto a bada pensando che da lì sarebbe uscita di sicuro bellissima.
Se fosse stata un'altra, non avrebbe mantenuto tutta quella calma apparente.
<< Sì che lo sai! >>
<< Okay, forse... forse sì, io credo... insomma, ha diciotto anni... >>
<< Ahah, visto...? >>
<< Adesso te la faccio io una domanda cretina. >>
<< Sono a tutte orecchie >> sentenziò Esther, concentrata nell'estrarre la bianca carne da fuori la dura corazza color fiamma del crostaceo. E fu lì, che lo scorse.
Disegnato sul piatto.
Un enorme, anzi, gigantesco cuore rosa confetto.
Cominciò a respirare affannosamente, incapace di distogliere lo sguardo dal piatto.
<< Tu quando pensi di perderla, la verginità? >>
<< Oddio... Mark... >>
<< Cosa! Scusami, a domanda cretina, un'altra ci sta benissimo. Se vuoi non dirmelo, era solo per... no, non c'è un motivo preciso... >>
<< No, no, no! Dannazione! >>
Il biondo si diede mentalmente dello stupido, preparandosi ad incassare una serie di terribili insulti. << Okay... va tutto bene, calmati. >>
<< No, no, non puoi capire, non...! >> Esther si portò ambe le mani davanti alle labbra e scattò in piedi, in preda al panico, e quando si sentì pizzicare gli occhi da un lieve strato di lacrime gemette, arrossendo tutta. << Mi dispiace, io...! >>
<< Cosa... cosa ti dispiace... rilassati... >> Mark si alzò e la fece risedere, divertito dal suo comportamento. << ... sono io che ti chiedo scusa. >>
<< Oddio, che cogliona che sono... >>
Il ragazzo si fece improvvisamente serio, autorizzandosi anche di farle una stupida carezza sulla testa. << Ehi. It's okay, babe, don't worry, non sei affatto cogliona. Scusami. >>
<< Mark, non capisci! >> Esther scosse violentemente il capo, allontanandolo, poi scattò nuovamente in piedi, deglutendo nove litri di saliva alla volta. Come dirglielo, adesso? Come trovare le parole adatte a dichiarargli che da oggi in poi tutta Osaka li avrebbe riconosciuti come fidanzati? Che erano destinati a sposarsi per forza? Prese un respiro, poi due, poi tre, quindi agguantò la forchetta e spostò appena l'aragosta dal suo piatto, mostrando il cuore a Mark.
Il ragazzo smise di respirare, e Esther ripose la posata, super in imbarazzo.
Intanto, tutte le persone presenti dentro il ristorante si erano voltati a guardarli, sorridenti.
<< Ehi! Quei due hanno appena mangiato l'aragosta dell'amore! >> strillò un ragazzo, sbalzando in piedi e buttando a terra la sedia con un'energia quasi irreale.
<< Piccioncini! >> esclamò invece una ragazza, applaudendo.
Nel giro di un millesimo di secondo tutte le persone si unirono al suo sonoro 'clap clap', strillando e fischiando come pazzi, e i due divennero lividi per l'imbarazzo.
<< Io l'ammazzo, io l'ammazzo... >> ringhiò Esther fra i denti, cominciando a cercare la signora Heartland con sguardo feroce. Mark inizialmente acconsentì, arrabbiato come mai lo era stato, ma la tensione gli si sciolse poco dopo, lasciando posto a un lieve divertimento.
Sì, la situazione da disperata era diventata quasi graziosa.
Per tutta Osaka adesso erano fidanzati. Meglio di così non avrebbe potuto davvero chiedere! Lanciò una rapida occhiata alla ragazza e le passò un braccio intorno alle spalle, sperando di calmarla, ma lei non ne voleva proprio sapere, e continuava a scuotere meccanicamente la testa, borbottando frasi senza nessi fra loro.
Esther non era furiosa, di più. E agitata, anche. Sembrava dovessero impiccarla di lì a breve.
<< Dai, calmati. E' solo una stronzata. >>
<< No, non è una stronzata, Mark! >>
<< Oh, che carini, stanno già stabilendo il giorno in cui si sposeranno! >> obbiettò una donna di passaggio, iniettando nella frase appena pronunciata tanta di quella dolcezza che avrebbe dato il voltastomaco anche ad un'amante di telenovelas.
<< Dobbiamo uscire di qui! O non vedremo più il sole per le prossime sei ore! >> riprese Esther, ignorando i gridolini eccitati delle persone intorno a loro.
<< Va bene, va bene, usciamo... rilassati, però, non ti agitare... >> sussurrò Mark, stringendole con forza un gomito e spintonandola fuori da lì.
La ragazza avrebbe tanto voluto liberarsi dalla sua mano ferrea, rientrare nel ristorante e inseguire la mamma di Suzette, ma per evitare di finire sui telegiornali preferì lasciarsi trasportare dalla sua giovane forza ormai pari a quella di un uomo, e quando i raggi del sole le baciarono la pelle cominciò a boccheggiare come un'asmatica.
Che situazione imbarazzante. Sperò con tutto il cuore che Mark se ne andasse, così non l'avrebbe vista piangere.
Perché sì, stava per esplodere in lacrime, ma non di tristezza. Di vergogna, e rabbia.
E tanta confusione.
<< Wow... mi sa che avevi ragione tu... >> osservò Mark, sorridendole dispiaciuto. La prossima volta, prima di fidarsi, avrebbe chiesto consiglio a Esther. Su questo non ci poteva proprio piovere. << ...della mamma di Suzette... cavoli... non scherzava, eh... >>
<< No, lei non scherza mai >> mugugnò Esther, sparando la frase tutto d'un fiato per evitare che i tremolii della voce insospettissero l'amico.
E poi, Kruger fece una cosa talmente ridicola che in un primo momento la lasciò davvero allibita.
Scoppiò a ridere, una di quelle risate contagiose che vorresti sentire ogni giorno, e che sanno scacciare il malumore praticamente subito.
Esther dapprima lo guardò stralunata, tamponandosi il profilo degli occhi per evitare di guastare il mascara, poi curvò le labbra in un nervoso sorrisino da volpe, abbracciandosi. << Lo trovi divertente...? >>
<< No! Assurdo! >>
La ragazza si aspettò che Mark la finisse, invece il ragazzo si appoggiò persino a un'auto lì parcheggiata, e finalmente riuscì a contagiarla.
Così i due continuarono a ridere per minuti che parvero interminabili, asciugandosi le lacrime, mentre intanto la notizia del loro stupidissimo fidanzamento faceva il giro per tutta Osaka, passandolo sulla bocca di tutti. 

 
 
 
 
Angolo Autrice
Io amo la madre di quell'oca, davvero, ha tutta la mia stima.
 
Massalve, inazumiani e non (?)! Come andiamo? Io rimandata più che bene, quindi non posso proprio lamentarmi. Cristo, è già 'na grazia se sono riuscita a scrivere una storia senza mollarla nel dimenticatoio. Amami, Dio.
Comunque... parliamo della fic, che i miei cavoli interessano solo a me - ma neanche -.
Alluora. All'inizio il finale doveva essere diverso; infatti avevo pensato a una cosa del genere "Mark e Esther si vendicano contro la madre di Suzette", ma non avevo voglia di scriverlo, perché sarebbe venuta fuori una roba obslunga (?), alloooooora ho accorciato con un super banale "ridi che ti passa", ecco.
Chiedo venia se la descrizione del ristorante è pessima, mi rendo perfettamente conto di non essere nemmeno capace di fare una benedetta analisi di un luogo, ma mi volevo più incentrare su loro due, non dello scenario che avrebbe ospitato la vicenda, e così...
prego, siete liberissimi di immaginare com'è fatto il tutto.
Che poi tanto non c'è niente da immaginare, il ristorante esiste davvero, punto e basta.
Comunque l'interno non è quello dell'anime, ma quello del gioco, che trovo più grazioso e accogliente.
Eeeee... vbb, le solite cose che vi ripeto solo perché mi piace essere noiosa, poi giuro che me ne vado, perché non avrei nient'altro da dire.
1) Esther (o Kushida Katsuyo, come preferite) non è un OC, ma una giocatrice della Tripla C. Se non la conoscete andatevela a cercare e blablabla, yes? In quanto a Kruger, boh, lui è sempre un cazzutissimo perfetto della Madonna, niente da dire.
Shawn cercava la perfezione? Beh, l'ha presa prima lui, AH, per questo tutti dicono che non esiste (?).
2) non ho usato i nomi giapponesi perché mi creano difficoltà e non mi piacciono, quindi amen.
3) se c'è un qualcosa di orribile (errori, trama pessima, schifosi dialoghi, uso scorretto dei verbi, di tutto) nella fic ditemelo pure, raga, che non mi farò problemi a correggere, ma siate cauti, perché non le digerisco molto bene le critiche se mi si tratta come un verme asociale (?).
Con questo ho concluso il mio angolino. Ringrazio a tutti di aver letto, e già che ci sono ringrazio in anticipo anche chi recensirà - pffff - e chi metterà la storia in una qualsiasi cartellina *^*.
 
Ora vado, ancora grazie,
Lila
 
PS: chiedo scusa se la fic è lunga, ma boh, loro due mi fanno scrivere tantissimo! I miei patatoppoli stellati (?).
   
 
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