Ora che Robin era ritornata alla realtà, rimanere lì era perfettamente inutile, così si accinse a tornare indietro. La strada fu più corta di quello che ricordava, forse perché aveva fretta di arrivare. Si stupì di non avere rincontrato Ace nella via del ritorno. Chissà dov’era finito? Quando finalmente uscì dallo stretto cunicolo, venne illuminata dalla prima luce del mattino. Era da poco iniziata l’alba e in cielo le stelle cominciavano a scomparire dolcemente lasciando il posto alle candide nuvolette nello sfondo turchese. Si guardò intorno, respirando la fresca brezza mattutina, poi ripercorse tutta la strada fino a tornare all’approdo nascosto da dove era partita la sua ricerca. E là lo vide. Disteso supino sulla roccia, sembrava dormire profondamente. Sorrise. Quante volte si era svegliata e lo aveva visto dormire tranquillo di fianco a lei? Troppe per poterle contare. Si chinò verso di lui, scuotendolo leggermente. Illuminato dal giovane sole le sembrava ancora più bello.
“Ace, sveglia!” Lui non si mosse e lei si accorse del
respiro leggermente irregolare. Lo girò a pancia in su, premendogli il petto e
chiamandolo ancora. “Acekun!” Una leggera preoccupazione incrinava la sua voce.
Finalmente lui aprì lentamente gli occhi, tossendo e
sputando saliva e sangue. Si alzò, leggermente frastornato, e la guardò.
“Che è successo?”
Lui indicò la nave ancorata alle sue spalle. Poi sferrò
un pugno al suolo. “Maledizione!”
“Hai combattuto contro…?”
Lui annuì. “Hai trovato l’ha mappa? No, vero?” Alla
risposta negativa di lei, lui imprecò. “Dannazione, è tutta colpa sua!” Si alzò
in piede. “Ah, ma adesso ti trovo, eccome se ti trovo! Aspettami!” Poi si
rivolse nuovamente a Robin, che, alzandosi, si risistemò il cappello bianco
alla cowboy – o alla cowgirl, nel suo caso. “Sbaglio o mi hai chiamato con il
kun?” Sorrideva.
L’aveva fatto, anche se non se ne era resa conto sul
momento. “Può darsi…” tergiversò, girandosi verso la nave.
Lui le pizzicò il body. “Robinchan… Credi che… Potrebbe
tornare tutto come una volta?”
Ma lei aveva già deciso di cambiare argomento. “Come ha
fatto a batterti? La sua taglia è più bassa della tua. Che potere ha?”
Ace borbottò risentito. “Non lo so… Ma la prossima volta
non mi batterà più!”
“Sembri Rufy…” Il paragone non gli fece piacere.
* * *
Zoro e Tashigi avevano camminato fianco a fianco per
tutta la strada indicatagli dal misterioso ragazzo. Non che non avessero nulla
da dirsi, tutt’altro, ma non erano certo cose facili, specialmente per loro e
in quel momento. Finalmente comparve il sentiero che riportava in città e i due
si sarebbero dovuti separare. Lei, marine, poteva benissimo seguire la via
principale, mentre lui, pirata, avrebbe fatto meglio a continuare lungo il
fiume fino alla costa e da lì tornare alla sua nave.
Tashiji alzò lo sguardo, osservandolo di sottecchi. Si
staccò da lui, lentamente. “Senti… A me non piacciono le relazioni stile una
notte e via, però…”
“Neanche a me” Per Zoro costava molto dire questo. “Io…
Io non sono ancora pronto per una relazione seria… Ci sono ancora molte cose
che devo fare… E poi, non sono nemmeno sicuro di quello che provo perché…”
Sperò che le parole uscissero da sole come l’ultima volta. “…perché non voglio
che tu sia solo la sostituta di Kuina”. Avrebbe voluto aggiungere che teneva
troppo a lei per farla soffrire ancora e che non aveva scuse per ciò che era
successo quella notte.
Lei sembrò leggergli nel pensiero. “Anch’io ho molte cose
da fare e poi… Per quello che è successo… Io ero d’accordo…” Alzò lo sguardo
che aveva costantemente tenuto a terra. “Però… potremo riparlarne quando saremo
sicuri di noi!” Era un tono speranzoso.
Lui annuì perché aveva un groppo alla gola, sebbene si
vergognasse fino alla morte di essersi dimostrato così emotivo. Alcune lacrime
sembrarono affluire agli occhi scuri di Tashigi, ma le ricacciò immediatamente
indietro. “Allora… Allora questo è un arrivederci?” Si allontanò di qualche
passo, sguainando la sua Shigure davanti a lui. Allora Zoro estrasse la WadoIchimoji
e unì la sua lama a quella di lei. Una sorta di patto di sangue, quello, per
due spadaccini. Si dovevano separare, ma non perché non fossero sicuri dei loro
sentimenti, ma per ragioni di vita, più che altro.
Tashigi si allontanò sorridendo lungo lo stretto
sentiero, mentre gli uccellini cinguettavano e l’odore di rugiada al suo
passaggio si spargeva intorno a lei. Il mondo sembrava in armonia con il suo
stato d’animo. Era felice. Perchè? Perché Zoro le aveva detto che non voleva
confonderla con Kuina. E questa, per lei, era quello di meglio che poteva
aspettarsi. Quello che le dimostrava che avrebbe potuto essere sé stessa anche
con lui, nonostante la somiglianza.
Dal canto suo Zoro, mentre la vedeva allontanarsi,
pensava a tutto ciò che era successo e trasse le conclusioni. La amava, ma
aveva bisogno di tempo, perché il ricordo di Kuina era ancora troppo vivo
dentro di lui. Finché non avesse mantenuto quella promessa, non sarebbe potuto
avvicinarsi a qualunque altra donna e non avrebbe potuto vedere in Tashigi
nient’altro che la sua reincarnazioni – una sostituta. Ma quando l’immagine di
Kuina fosse sbiadita lasciando l’alone del bellissimo ricordo del suo primo
amore, allora, e solo allora, lui avrebbe potuto vedere in Tashigi
semplicemente Tashigi. Così avrebbe potuto nuovamente amarla come aveva fatto
quella notte, stringere ancora il suo corpo e sentire il suo calore. Ma non
prima. Aveva già fatto fin troppo a violarla prima che fosse il tempo. Ma il
sui sguardo contento mentre aveva rinfoderato la spada lo aveva convinto che
quel peccato, perché di altro non si trattava, aveva avuto una sua qualche
funzione. Il classico male che non viene per
nuocere.
* * *
Chopper uscì dalla cabina quando gli altri ancora
dormivano e a ragione dato che non era ancora l’alba. Non era suo solito
alzarsi così presto, ma quella mattina era accaduto così. Non sapendo cosa fare
ma non volendo disturbare gli altri, decise di fare un passeggiata lungo la
costa. Così, da solo, si trovò a pensare a tutto quello che gli era capitato e
il tempo passò più velocemente del previsto, tant’è che era da poco passata
l’alba quando raggiunse la parte opposta dell’isola. Lì era ancorata una nave
stranissima e colorata e una specie di surf che credeva di aver già visto. Una
ragazza dai capelli neri, alta e bella, stava in compagnia di un ragazzo
muscoloso. Chopper si avvicinò, riconoscendo nelle due figure due sue
conoscenze.
“Robin ciao!” e poi “ma tu non sei Ace?” I due si
voltarono verso di lui.
“Chopper”
“Tu sei… Quello
strano animale che c’è sulla ciurma di mio fratello, vero…?”
L’alce non si offese per l’appellativo di ‘strano
animale’ perché non era detto con cattiveria. “Che fate qui voi due… insieme?”
“Noi-” dissero contemporaneamente, ma si interruppero non
appena sentirono che l’altro stava dicendo la stessa cosa. Di sicuro si
dovevano conoscere prima di quell’incontro e anche bene, a giudicare dal loro
comportamento.
Solo allora Chopper notò il teschio che svettava
sull’albero maestro. Si domandò se fosse quella la nave dov’era imbarcata la
pecora Yuki.
“La nave di un membro della flotta dei sette” commentò
schifato Ace.
Poi il ragazzo dai capelli neri col codino già incontrato
da Zoro e Tashigi atterrò dall’alto di una prominenza scogliosa accanto a loro.
Non li degnò nemmeno di uno sguardo, avviandosi verso la nave colorata, mentre
dalla porta della casetta uscirono la figura incappucciata e la pecora.
Chopper era deciso a scoprire di più su quel fantomatico
membro della flotta dei sette, ma fu interrotto da alcune voci che provenivano
non poco lontano da loro.
“Però la nave del ragazzo dal cappello di paglia non
l’abbiamo vista… Sarà già ripartita?”
“Zhe Aha aha aha… Anche se fosse, non importa… Lo
cercheremo ancora…”
“Si, però non perderemo il nostro tempo qui perché
potremo sempre incontrare uno dei membri della flotta dei sette che non era
presente alla riunione a Mally Joe…”
Poi cinque figure spuntarono. Ed erano le cinque persone
che Robin avrebbe pagato per non incontrare.
“Ehi…” iniziò Chopper. “Ma quelli non sono i pirati che
ci hanno attaccato prima della nostra partenza per Skipiea?”
“Si” rispose Robin. “Anche se ce n’è uno di più…”
“Barbanera!” esclamò Ace rivolgendosi alla figura al
centro, un uomo robusto e in carne, sdentato e con i capelli neri e ricci.
“Finalmente ti ho trovato!”
Quello sembrò sorpreso di vederlo, naturalmente. Invece
il ragazzo alla sua sinistra, ancora più grosso di lui, ma dai capelli biondi e
ricci, esultò. “Capitano, quelli sono due membri della ciurma di cappello di
paglia! E poi lui” indicò Ace “è il comandante della seconda flotta di
Barbabianca ed ha una taglia di 270 milioni di berry! Sicuramente non si
potranno rifiutare di ammetterti della flotta dei sette se lo sconfiggeremo!”
“Inoltre” aggiunse l’uomo alto e allampanato che portava
un fucile sulle spalle, “quella donna è Niko Robin. Taglia di 79 milioni di
Berry…”
Lei sorrise. “Ma davvero?” disse, fingendo una
dimenticanza.
L’uomo accanto all’ultimo che aveva parlato scosse il
capo. Sembrava un po’ alternativo vestito di tutto attillato nero, con il
cappello a cilindro e le labbra nere. “79 a 270, meglio la seconda” I quattro
assentirono tranne Barbanera, che sembrava un po’ preoccupato.
“Fatevi pure sotto” disse Ace per niente spaventato. Era
già abbastanza arrabbiato per via della sconfitta.
“Non mi sembra leale cinque contro uno!” esclamò Chopper
comparendo al fianco del fratello di Rufy.
Il tizio con fucile osservo il ragazzo e la figura che
osservavano la situazione da un po’ più in là. “Ma vedo che anche voi siete in
cinque… Quindi possiamo fare uno scontro alla pari!”
“Benissimo”
Ace avrebbe pensato che quei due si sarebbero rifiutati
di combattere, invece si avvicinarono e si misero al suo fianco. “Non mi
sembrate granchè…E poi, non vi siete nemmeno presentati…” disse il ragazzo
afferrando il suo arco.
“Hai ragione!” confermò il più grosso di quelli. “Bene,
io sono Champion e sarò ben contento di affrontarti e dimostrarti il
contrario!”
“Perfetto!”
Il tizio alternativo squadrò Robin da capo a piedi.
“Davvero un bel bocconcino, 79 milioni di Berry… Be, non mi dispiacere affatto
combattere con te…”
“Con prudenza, Lafitte” disse l’unico dei cinque che non
avesse ancora parlato, l’uomo biondo a cavallo di un asino.
“Tu affronta me, dato che hai un animale!” fece la figura
incappucciata mentre Yuki le compariva davanti.
Il tizio alto osservò Chopper con superiorità dal suo
occhiale a mirino. “Be, pare che sia rimasto solo tu…” Imbroccò il fucile.
L’alce dal naso blu si ricordava come quel tizio sapesse sparare bene e avesse
una mira infallibile anche da grande distanza, ma per fortuna lui poteva
contare sulla grande velocità delle sue gambe.
“Walk point” Trasformandosi in un vero alce, saltellò da
una parte all’altra, riuscendo a schivare tutti i proiettili nonostante fossero
sparati ad altissima velocità. Quando la scarica finì, Chopper era atterrato
incolume su uno scoglio a pochi passi dal suo avversario.
“Una mutazione animalesca…” Prese di nuovo il fucile, ma
stavolta mirò da tutt’altra parte.
“Ma che fa?” si chiese. “Non potrà mai colpirmi così!” Ma
i proiettili sembrano rimbalzare dalla roccia che avevano colpito e andare
nella sua direzione. Saltò in verticale giusto in tempo per schivarli.
“Complimenti, ottimi riflessi” sorrise quello,
sistemandosi il mantello dietro le spalle. “Il mio nome in codice è Supersonic
a causa della mia velocità, ma non è il mio unico punto di forza. Il mio fucile
è in grado di sparare quattro tipi diversi di pallottole”
“E allora? Io posso mutare in sette livelli!” rispose
Chopper risentito estraendo una della sue Rumbe Ball.
“Allora schiva queste!” Un’altra scarica, che l’alce
evitò spostandosi lateralmente. Ma questa volta le pallottole non arrivarono
nemmeno a rimbalzare lungo la parete opposta, ma cambiarono direzione
precipitandosi verso di lui. Schivò ancora, ma quelle non gli davano tregua.
“E ora l’ultimo…” Dal fucile di Supersonic si generò una
specie di raggio infuocato rosso come il sangue, ma molto più distruttivo del
fuoco, come un laser, che non colpì Chopper solo perché lui all’ultimo saltò di
qualche metro con il jumping point. Poi riprese a correre finchè non riuscì a
fermare le pallottole che lo inseguivano contro una roccia. Si alzò assumendo
la forma di un alce umano. “Scope” Bastava togliergli quel fucile, senza di quello
non sarebbe stato più in grado di fare niente. Si precipitò verso di lui, ma
quello aveva già ripreso la mira contro di lui.
“Le tue mutazioni sono belle, ma non possono niente
contro i miei proiettili… perché io sono in grado di incorporare due tipi in
uno solo!” Di nuovo il raggio rosso, che Chopper evitò riducendosi alla sua
solita forma, ma stavolta, come avevano fatto le pallottole prima, il raggio
tornò indietro puntando sempre verso di lui. L’unica soluzione possibile gli
parve quella di cercare di far colpire Supersonic dalla sua stessa arma, ma non
aveva calcolato che la sua velocità non consisteva solo nello sparare. Infatti,
appena vide l’alce precipitarsi verso di lui, appoggiò il fucile a terra e
usandolo come spinta saltò, atterrando sulle spalle dell’avversario. Quindi
saltò ancora sulla roccia più vicina, mentre Chopper era ancora inseguito da
quel raggio rosso che puntava dritto al suo cuore.
“Se solo riuscissi a colpirlo una volta…” Il laser non
fece in tempo a sfracellarsi contro la parete della scogliera che Supersonic ne
aveva già sparato un altro. “Jumping point” Mentre saltava gli venne in mente
che, come le pallottole, forse anche lui avrebbe potuto unire più mutazioni
insieme. “Walk-Horn point” disse, sperando di riuscirci. Gli spuntarono le
grandi corna, ma le zampe rimasero quelle solite di un alce normale. In questo
modo riuscì a precipitarsi a velocità elevata verso l’avversario, che stavolta
non ebbe il tempo di saltare, ma venne bloccato con forza contro la roccia
della corna, sputando sangue. Chopper afferrò il fucile immediatamente e lo
mise davanti a sé, facendolo colpire e distruggere dallo stesso raggio.
Supersonic era accora a terra, strofinandosi la bocca sporca di saliva rossa.
Doveva avere sicuramente alcune costole rotte dato che l’impatto era stato
piuttosto violento. L’alce decise di non infierire, dato che non avrebbe potuto
attaccarlo senza fucile.
Quello tossì nuovamente, mettendosi in una posizione dove
sentisse meno il dolore delle costole. Più di così non riusciva ad alzarsi.
* * *
Zoro, dopo molto scarpinare, era finalmente tornato
all’approdo della Going Merry. Salì a bordo. Rufy stava parlando con una
ragazza sconosciuta dai capelli blu, mentre Usop, da una parte, stava
sperimentando qualche nuova arma per la sua fionda. Entrambi i ragazzi lo
salutarono, quindi la ragazza si presentò.
“C’è anche la sorella di Sanji” aggiunse Usop in tono
allegro.
“La sorella di Sanji?” ripetè Zoro incredulo.
L’interessata uscì in quello stesso momento.
Immaginazione di Zoro: una ragazza bassa e grassa, con i
capelli biondi corti e unti che le coprivano l’occhio destro, bocca enorme e
sopraciglia a ricciolo.
Immagine reale di Sakura: alta e magra, con i capelli
lunghi, puliti e leggermente mossi nelle punte. Gli occhi erano ben visibili e
niente sopraciglia a ricciolo. La bocca era piccola ma carnosa.
Zoro fece una faccia stupita nel vederla così diversa
dalla sua immaginazione, tanto che lei gli chiese “qualcosa non va?”
“No” rispose lui. Decisamente la giornata, anche se era
appena mattina, era stata troppo pensante per lui. Andò nella poppa della nave
e si addormentò.
Intanto Nara sbirciava la sua amica Sakura di sottecchi.
Era il momento di farle *quel favore*.
* * *
Robin era alle prese con Lafitte, ma aveva già trovato il
modo per sconfiggerlo. Le bastava stare ferma. Quello cercava di distrarla
spostandosi in continuazione a ritmo di tip tap.
“Allora?” commentò annoiata. “Non sia fare di meglio?” Si
mise una mano davanti alla bocca per coprire lo sbadiglio.
“Stai solo bluffando. Come pensi di attaccarmi stando
ferma?”
Lei sorrise amabilmente. “Sai qual è la strategia di
caccia delle piante carnivore? Stanno ferme, ma appena la preda è nelle
vicinanze scattano. Come ora”
Lafitte sentì qualcosa afferragli la gamba. Abbassò lo
sguardo notando il braccio che sembrava uscire dalla roccia che lo teneva
stretto. Girà lo sguardo altrove e vide che era attorniato da mani che
spuntavano fino al polso. Tirò la gamba libera indietro, ma l’arto che era
dietro di lui scattò, immobilizzandolo definitivamente.
“Accidenti” Fece spuntare un coltellino dal bastoncino
nero che teneva in mano e si accinse a colpire quelle braccia.
“Game over. Trois Fleur” Spuntarono altre tre braccia che
gli immobilizzarono le mani e la testa. Quindi una di quelle che gli teneva le
gambe scomparve, mentre quell’altra cominciò a farlo roteare in aria, poi lo
lasciò e quello partì velocemente verso una roccia lì vicino, dove lo stava
aspettando una gamba, che con un calcio gli premetta la faccia lungo la roccia.
Mentre tutti i ‘fiori’ di Robin sparivano, Lafitte crollava a terra privo di
sensi.
Ace, mentre fronteggiava Barbanera, aveva osservato tutto
lo scontro, anche se avrebbe dovuto sapere che non c’era da preoccuparsi per
lei. In quel momento di distrazione si sentì improvvisamente toccare la schiena
lungo tutta la spina dorsale. Si girò e vide che si trattava di quel ragazzo
dai capelli neri.
“Ma che fai?!”
Quello non rispose, ma tornò a fronteggiare il suo
avversario che si trovava lontano un centinaio di metri. “Che fai, scappi?”
“Affatto” disse Champion. “Stavo solo pensando che neanche
tu ti sei presentato e poi hai accusato noi di essere maleducati!”
“Allora io sono Rei, tanto piacere. Ma a che ti serve
saperlo dato che fra poco morirai?” rispose quello afferrando il suo arco e una
freccia.
“Io? Ah ah” Si ingrandì, diventando alto almeno una
decina di metri e cercò di colpire con il suo enorme pugno il ragazzo, che,
sorpreso, riuscì a schivare all’ultimo. “Vediamo come te la cavi contro il
frutto di Big Big”
“Allora ho fatto bene a prendere l’abilità del fuoco”
pensò rialzandosi e balzando sul pugno del suo avversario, usandolo come
spinta, finchè non saltò in modo da raggiungere un’altezza considerevole,
quindi lanciò la freccia che aveva precedentemente presa e gli colpì l’occhio,
ma venne scaraventato a terra violentemente dal pugno che Champion gli aveva
dato nonostante il dolore. Mentre si rimetteva in piedi tra i detriti di
roccia, si sentì afferrare e sollevare. Il suo avversario stava cercando di
stritolarlo. Notò il sangue che gli colava copiosamente lungo la guancia. “E’
proprio come un gigante delle fiabe” pensò sorridendo. Dopodiché fece
illuminare il suo corpo di rosso fuoco, costringendo l’altro a mollarlo.
Atterrò dolcemente sentendo solo un po’ di dolore alle braccia.
L’avversario si soffiò entrambe le mani nel tentativo si
calmare il bruciore. “Allora anche tu hai il potere del Foco Foco!”
*
* *
”E questo che
frutto è?” chiese Rufy indicandolo sul blocco che Nara gli stava mostrando.
“Oh, questo è il frutto Copy Copy. Chi lo mangia è in
grado di acquisire le abilità del diavolo del propri avversari”
“Davvero?”
“Si, ma è molo più complicato di quanto non sembri in
realtà!”
“Perchè? Con un frutto come questo potresti combattere ad
armi pari con chiunque!” esclamò Usop.
“In realtà l’effetto dura solo quindici minuti e inoltre,
per prendere l’abilità, bisogna toccare tutta la spina dorsale, dalla punta
alla coda. Se non si fa questo, non ci si riesce, quindi niente acquisizione”
“Che fregatura!”
* * *
“Devo finire questo incontro in fretta” pensò Rei,
accendendo il suo pugno col fuoco, mentre con l’altra mano teneva fermo l’arco
e una freccia. Saltò e colpì violentemente l’avversario alla pancia, spandendo
fiamme lungo tutto il suo corpo. Il calore era tanto che Champion dovette ritornare
alle dimensioni originali per gettarsi a terra e tentare di spegnere le fiamme.
Il suo corpo era pieno di ustioni, compresa la più grave, quella sullo stomaco,
che sanguinava. Tentò di mettersi in piedi, ma invano, perché una freccia gli
trapassò il braccio e lo bloccò sulla roccia che c’era dietro di lui. Rei
atterrò, l’arco in mano pronto a scoccare la freccia letale, ma poi, vedendo in
che condizioni era il suo avversario, lasciò perdere.
Ace lo notò e pensò che mai si sarebbe aspettato che uno così
risparmiasse qualcuno. Lui stesso forse non l’avrebbe fatto.
* * *
Nami uscì dalla cucina per godersi un po’ del sole caldo
che risplendeva quella mattina e spandeva i suoi dolci raggi caldi lungo tutta
la costa, facendo brillare il mare come tanti diamanti. Nello stesso momento
Usop, che aveva finito il suo lavoro, rientrò in camera per fare il bucato,
visto le condizioni in cui era ridotto il suo vestito, tra la vernice di quella
misteriosa figura e le sue stelle esplosive.
Ora sul ponte c’erano solo Nara e Rufy, che stava
osservando intento tutti i disegni di frutti del diavolo che la ragazza dai
capelli oceano aveva raccolto in tutto questo tempo. Ad un certo momento si
sentì come gelare. Alzò lo sguardo verso Nara che lo guardava incuriosita,
quindi si avvicinò e premette la bocca contro la sua guancia in un piccolo
bacio. Nara finse di arrossire.
Nami, che si era avvicinata, restò impietrita davanti a
quello che aveva appena visto. Non sapeva perché ma le lacrime cominciarono a
scorrerle, mentre Rufy continuava a guardala assente. Corse immediatamente via,
giù dalla nave, in qualunque posto fosse possibile, lontano da tutti e
soprattutto da lui, anche se non capiva bene. Cos’era quel dolore tremendo che
stava provando?
Rufy scattò in piedi, osservando la sua compagna correre
via in lacrime. “Ma che le prende?” fece preoccupato.
Nara si alzò spolverando i pantaloni. “Cosa aspetti a
seguirla?” Non c’era bisogno di dirlo perché lui era già sceso e la stava
rincorrendo. Non capiva bene cosa fosse successo, in realtà, ma l’unica cosa
che sapeva era che la sua Nami stava piangendo e che lui non poteva stare
fermo. L’aveva promesso, no? Ma non era di certo solo quello il motivo per cui
ora stava correndo lungo la spiaggia, schizzando l’acqua delle onde che lambivano
la costa qua e là.
Sakura comparve accanto alla sua amica osservando i due
che si allontanavano.
“Prima li fai litigare e poi… Mi spieghi che hai?”
“Niente” rispose Nara tranquilla. “Fa tutto parte di un piano,
non capisci?”
“Cosa posso capire della tua mente malata! Ora vado e gli
spiego tutto!” Senza aspettare una risposta scese dalla nave con un piccolo
tonfo e uno schizzo, quindi seguì le impronte sulla sabbia lambite dal mare che
le stava già cancellando. La ragazza dai capelli oceano sorrise osservando le
scarpe di vernice che Sakura si era tolta prima di scendere per non rovinarle.