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Autore: Dolce Naufragar    11/07/2015    1 recensioni
"Cara coscienza, ti scrivo perché non so più a chi rivolgermi per esternare quello che provo.
Una certa agitazione m’impedisce di dormire, perfino di leggere, quindi non mi resta che scrivere. Eh già, scrivere... questa nobile arte che mi tiene in vita, alla quale mi aggrappo costantemente nei momenti di bisogno."
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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03/07/15
tre del mattino
Cara coscienza,
ti scrivo perché non so più a chi rivolgermi per esternare quello che provo.
Una certa agitazione m’impedisce di dormire, perfino di leggere, quindi non mi resta che scrivere. Eh già, scrivere... questa nobile arte che mi tiene in vita, alla quale mi aggrappo costantemente nei momenti di bisogno.
Un tempo pregavo per acquietarmi, ma ora mi risulta impossibile: come faccio a pregare un Dio che probabilmente non mi accetta per quello che sono? Come posso professare una religione il cui testo sacro afferma che sono sbagliato, che sono contro i principi morali della fede di cui è il fulcro attorno a cui ruota?
Insomma, cara coscienza, non saprei a chi rivolgermi; resti solo tu. Resti solo tu a sorbirti il mio disperato vaniloquio. Eh già, perché io, al pari del pastore asiatico leopardiano, sono consapevole che quelle che scriverò saranno parole al vento, che probabilmente un giorno verranno da me ripudiate, se non direttamente cancellate al momento della chiusura della pagina Word.
È che mi è impossibile tenere ancora tutto dentro, evitare di far uscire quello che sento nel profondo. Resta sempre il dubbio su come possa far affiorare le mie recondite riflessioni, tuttavia sono dell’opinione che, quando scrivo, magicamente tutto riesce a divenire semplice e a delinearsi sul foglio in maniera chiara ed ordinata; o sicuramente più ordinata di come i pensieri si affastellano nella mia mente, stanca di doverne concepire tanti. Certo, sono grato di pensare, in fondo quest’attività mi distingue dagli altri animali, tra cui alcuni esseri umani di mia conoscenza, che pensano con organi non atti all’adempimento del compito di farli ragionare. Ecco, come al solito sto divagando, sto andando a sconfinare in argomenti frivoli ed accessori, favorendo l’allungamento di questo già corposo preambolo. È arrivato il momento di vuotare il sacco; in fondo nessuno mi ha costretto a scrivere, perciò pretendo da me stesso di riempire questa pagina con tutte le mie sensazioni. O meglio, con quelle che mi hanno interessato nelle ultime ore, ecco. Be’, diciamo che sono parecchio confuso. Il che è normale, come spero sia per la maggior parte degli adolescenti della mia età. Tuttavia trovo che il mio sia un caso pressoché singolare, nettamente distinto dagli altri.
Sono sempre stata una persona estremamente precisa, puntigliosa e talvolta pignola. Insomma, non dico di aver sempre preteso da me la perfezione, ma quasi. Ovviamente sono consapevole dei miei limiti, ma questo è un altro discorso, perché la questione è ben diversa, ora. In riferimento alla mia precisione posso dire che, data questa sfumatura del mio essere, ho sempre fatto il possibile per apparire il più delle volte sicuro nelle scelte e deciso nel perseguire i miei obiettivi. Obiettivi che, immancabilmente, ho raggiunto con risultati variabili.
Questo per dire che ho sempre avuto il desiderio di essere per gli altri un punto di riferimento, una roccia alla quale aggrapparsi saldamente nei momenti di bisogno.
Eppure, come per effetto di un’erosione devastante soggiunta all’improvviso, la roccia adesso non è più tanto forte da riuscire a reggere senza vacillare.
È normale, okay, ma penso che questa mia temporanea insicurezza possa essermi fonte di problemi. Ho già messo in dubbio la mia sessualità una volta, scoprendo un mio lato omosessuale, non so se ho il coraggio di dubitare una seconda.
Essendo per mia naturale inclinazione una persona molto aperta e desiderosa di auto-accettazione, ho inizialmente preso la decisione di assecondare con gaudio questo mio lato “diverso”, stabilendo la mia omosessualità.
Le mie amiche hanno sviluppato ben presto un’identità estremamente accogliente ed accondiscendente nei miei confronti, ragion per cui non ho avuto problema alcuno a rendere nota questa mia preferenza omosessuale.
Poi, però, ho approfondito la conoscenza di una persona che già frequentavo, ma non assiduamente quanto durante la mia fase di “approfondimento”, che perdura tuttora. Lei, a conoscenza del mio parziale coming out – “parziale” perché i miei familiari, a differenza degli amici, non sono al corrente di questa mia tendenza – ha  sempre incentivato il mio lato gay, spronandomi ad aprirmi con maggiore naturalezza. Il succo del discorso è che credo proprio che questa persona mi piaccia, e non poco. Il problema è che ho creato una situazione decisamente poco favorevole all’instaurazione di un rapporto con lei.
Mi posso già dare della testa di cazzo o devo prima fare ordine nella mia mente ed aspettare che il tempo mi dica cosa realmente sono, per quanto concerne la sessualità? In realtà credo di sapere quale sia il problema, sebbene preferisca tacerlo perché non conosco termini adatti a definirlo correttamente.
Come ci siamo ironicamente detti la ragazza in questione ed io, il nostro è un amore platonico: c’è attrattiva sensibile, perché in fondo dal punto di vista intellettivo ed empatico saremmo realmente fatti l’uno per l’altra; però non basta valutare questi aspetti: l’amore per essere completo deve essere fecondo e, al di là dell’oblatività, della premura, del rispetto di cui può esser fatto il nostro rapporto, un domani posso veramente esser per lei fonte di scoperta della propria sensualità? Potremo mai condividere un’esperienza amorosa intima e completa?
Con queste domande, di fronte alle quali per il momento preferisco sospendere il mio giudizio, concludo, cara coscienza… ti ho tediata abbastanza.
Con affetto,
Uno che non ha altro da fare se non esprimersi scrivendo
   
 
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