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Autore: Calliope49    11/07/2015    2 recensioni
*COMPLETA*
«Avete anche un nome, monsieur?»
«D’Artagnan».
Lei strinse appena le labbra. «Ah, siete quel d’Artagnan».
«Prego?»
«D’Artagnan, Athos, Porthos e Aramis. Treville vi nomina spesso - quando parla dei rischi per la sua salute, ad esempio».

Una calma insolita è piovuta su Parigi, ma la situazione non è destinata a durare. Strani incidenti, un omicidio e la comparsa di un misterioso bandito daranno filo da torcere agli uomini del re. Nel mezzo, una ragazza e troppe cose che non sono quello che sembrano…
[AthosXNuovoPersonaggio; Accenni Constagnan e Annamis]
[N.B. La storia non tiene conto degli sviluppi della seconda stagione perché è stata ideata prima che ne cominciassero gli episodi]
Genere: Avventura, Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Athos, Captain Treville, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'On the side of the angels '
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XXIII
Il processo
 
 
«Sei sicura di volerlo fare?». Porthos appoggiò la mano sulla chiave, senza farla girare nella serratura.
Le prigioni sotterranee del Louvre erano viscere di pietra spoglia illuminate a stento da fiaccole appese alle pareti.
Diane deglutì. «Non siamo arrivati fin qui per farci fregare dalla mia emotività, no?».
Il moschettiere annuì e girò la chiave.
Erano stati tutti convocati a palazzo, quella mattina. Porthos si era offerto di accompagnare la nipote del capitano alle prigioni mentre gli altri raggiungevano la sala dove si sarebbe tenuto il processo a Legrand.
Il cardinale era stato di parola: aveva fatto incriminare il conte, aveva portato la questione all’attenzione di sua maestà e c’era voluta appena una manciata di giorni perché si arrivasse a un processo davanti a tutta la corte.
L’increscioso episodio dell’ospedale non era abbastanza per incastrare Legrand come capo della rete di traffici, macchinazioni e omicidi, ma Richelieu sembrava assai deciso a farlo condannare. Sua Eminenza non aveva apprezzato l’essere stato ingannato dal conte, né l’essere finito coinvolto in quella mattinata così piena di confusione e ne aveva fatto una questione personale. Più di ogni altra cosa, il cardinale aveva bisogno di un’azione che provasse la sua capacità di poter rendere ancora servizi al Paese. Incastrare un lupo travestito da agnello sarebbe stato un ottimo colpo.
La grata si aprì con uno scricchiolio graffiante che fece eco nel vuoto del corridoio.
Diane prese un grande respiro, alzò lo sguardo con la fermezza di chi sa di essere nel giusto e si incamminò fino all’unica cella occupata.
«Vi hanno già mandato un prete?» domandò calma la ragazza, appoggiandosi con le mani alle sbarre. Le trovò fredde e sentì un brivido passarle lungo la schiena.
«Non mi serve un prete».
Jean-Pierre, il fedelissimo di Legrand, avanzò verso un ritaglio di luce grigia che filtrava dalla minuscola finestra.
«Perché siete qui, mademoiselle?».
La consapevolezza della sconfitta lo aveva già raggiunto, e da uomo rassegnato evidentemente pensava di non avere motivo per essere astioso.
«Oggi il conte Legrand verrà processato, e voi con lui»
«Lo so»
«Sapete anche che non ci sono possibilità di uscirne bene?»
«Questo lo dite voi».
Diane sospirò. Non aveva intenzione di infierire su un avversario già sconfitto.
«Il cardinale ha preso molto a cuore la questione, sono a Parigi da abbastanza tempo per sapere che non è un uomo da sottovalutare» si limitò a dire.
«Il cardinale non ha prove per dimostrare che il conte sapesse di quelle armi. Credete che la fama di un uomo come Legrand possa essere distrutta in una sola mattina? Il cardinale non ha prove, e nemmeno i vostri moschettieri»
«Noi abbiamo voi».
Jean-Pierre si lasciò scappare una risata graffiante, voltò le spalle a Diane, fece il giro della cella con passi lenti.
Porthos, in piedi dietro la ragazza, cominciava a spazientirsi.
«Fate troppo affidamento su di me, mademoiselle. L’onore e la lealtà non sono cose che possono venir cancellate da qualche giorno al fresco» 
«Di quale onore parlate? Di quello di un assassino? E di quale lealtà? Avete visto a cosa ha portato la vostra lealtà».
Jean-Pierre mosse qualche passo e si avvicinò alle sbarre. «Non mi aspetto che una ragazzina viziata capisca».
Diane strinse i pugni attorno alla grata, le nocche che sbiancavano.
Non voleva essere subdola, girando il dito nella piaga di un uomo ferito, ma se Jean-Pierre faceva fatica a ricordare di avere una coscienza allora era bene che qualcuno glielo rammentasse: quella poteva essere la sua ultima occasione di usarla.
«All’ospedale mi diceste che avreste voluto parlarmi di Marie» mormorò. 
«Che cosa credete di ottenere?» 
«Lo sapete che sono stata io a trovarla?».
Nello sguardo dell’uomo qualcosa vacillò e tremò. «No, non lo sapevo».
«Il conte non ve lo ha detto. Era innamorata di voi, è morta perché voi siete stato un uomo onesto e leale»
«Questo non potete saperlo!»
«Avete ucciso Morice, per il conte! La sua banda non poteva toccare Legrand o voi personalmente, così si è vendicata su di lei. Marie era innocente!»
«Sono solo supposizioni le vostre… non è stato trovato un colpevole. Non lo avete nemmeno cercato…»
«Non conosciamo gli scagnozzi di Morice, voi sì. Dateci i loro nomi e cercheremo l’assassino di Marie».
Jean-Pierre balzò in avanti e picchiò le mani contro le sbarre della cella, quasi ringhiando.
Porthos si parò accanto a Diane ma la ragazza gli fece cenno di stare calmo.
«Perché vorreste farmi questo favore? Se sperate che testimoni contro Legrand, vi sbagliate» concluse il prigioniero.
Diane si chiese in che razza di mondo orribile fosse vissuto quell’uomo per pensare che quella visita avesse come scopo uno scambio del genere.
«Voglio trovare l’assassino di Marie perché è giusto, perché penso che qualcuno capace di fare una cosa simile a una ragazza non debba potersene andare in giro da uomo libero. Spero che testimonierete contro Legrand per la stessa ragione. Non vi sto proponendo un patto».
Jean-Pierre restò a fissarla muto, con le labbra strette e contorte come una crepa. Diane pensò di averne avuto abbastanza, si voltò senza aggiungere altro e lasciò le prigioni.
L’aspettava una giornata tremenda.
 
***
 
Il capitano Treville allungò il collo per spiare oltre la selva di gente radunata nella sala delle udienze.
«Quanto tempo ci mettono a tornare?»
«Diane non si perderebbe questo momento per niente al mondo» lo rassicurò Aramis.
La folla di cortigiani si aprì quando il re e la regina fecero il loro ingresso nel salone, seguiti da Richelieu che quella mattina sembrava improvvisamente aver riacquistato un po’ del passato vigore.
«Spero che il cardinale sia davvero agguerrito come sembra» mormorò Athos.
«È riuscito a condannare te per delle false accuse, non ho idea di cosa potrebbe fare ora che le accuse sono vere» rispose Aramis battendogli una mano sulla spalla.
«Il conte è un personaggio assai più amato e influente di quanto non lo sia un comune moschettiere»
«Suvvia, un po’ di ottimismo, amico mio…» intervenne d’Artagnan.
Il duca de Leroux comparve facendosi strada a fatica in mezzo alla sala affollata, seguito da Corsini con l’aria annoiata di chi avrebbe voluto volentieri trovarsi altrove.
«Se non fosse stato per il delirio all’ospedale, avrei preferito evitarmi tutto questo spettacolo» disse il duca, fermandosi accanto a Treville.
«Credetemi, è meglio che non ve lo perdiate» rispose il capitano.
Finalmente arrivarono anche Porthos e Diane. 
I moschettieri spiarono l’espressione della ragazza per tentare di capire quale esito avesse avuto il suo colloquio con Jean-Pierre.
«Allora?» mormorò d’Artagnan in un soffio.
La ragazza scosse la testa, Porthos scrollò le spalle.
Aramis si fece aria col cappello. «È un no o un non lo sappiamo?».
«Non ne sono sicura» sospirò lei.
L’aria sembrò cambiare all’improvviso, il sottile chiacchiericcio dei presenti si trasformò in un brusio sempre più forte.
Il conte Legrand entrò scortato da due guardie rosse. Non sembrava aver patito troppo la prigionia, indossava abiti puliti, aveva il viso perfettamente rasato e non una sola ombra di preoccupazione velava lo sguardo da furetto di quei suoi occhi sprofondati nel viso grassoccio.
Non era incatenato: evidentemente, per quanto impegno ci avesse messo, il cardinale non era riuscito ad assicurarsi una completa umiliazione per un uomo tanto importante. Non era un buon segno.
Diane lo fissò come se avesse un moto di nausea.
«Forse è stato un bene che abbia lasciato la Francia» mormorò de Leroux. «La nobiltà in questo paese è bizzarra»
«Non sapete quanto…» borbottò Porthos.
«Quell’uomo merita di sicuro una punizione esemplare per la mattina infernale che abbiamo passato e per quello che quei criminali hanno fatto a Diane» interloquì Corsini, poi prese la mano della giovane. Il ragazzo ancora non sembrava essersi ripreso dallo spavento di aver visto la sua fidanzata ostaggio di briganti comparsi dal nulla.
«Non siamo sicuri che c’entri qualcosa» osservò il duca, convinto. «Andiamo, è un conte».
I moschettieri si scambiarono un’occhiata di paziente sopportazione. Treville evitò di guardare il cognato di sua sorella per non dover rifilargli qualche battuta pungente che avrebbe guastato l’umore di tutti più di quanto già non fosse.
«Conte Legrand» esclamò il re. La folla si zittì, gli sguardi di tutti si rivolsero al sovrano. «Mi sono giunte voci davvero inquietanti su di voi. Quello che mi ha riferito il cardinale è talmente grave che stenterei a crederlo, ma dato che sua Eminenza è la persona di cui mi fido di più non posso esimermi dal chiedervi spiegazioni»
«Sarò ben lieto di darvene, vostra maestà» disse il conte con il più amabile dei sorrisi.
Athos fu grato che tra lui e quell’uomo ci fosse una fila di persone e gli sguardi di mezza corte, altrimenti si sarebbe occupato personalmente di fargli saltare tutti i denti da bocca, così che nessuno dovesse più vedere quel ghigno da maschera greca. 
«Naturalmente le parole di sua Eminenza hanno un valore inestimabile per noi tutti e l’onestà e la saggezza del cardinale sono al di sopra di ogni sospetto». Sembrava che dalla bocca del conte filasse zucchero. «Tuttavia credo che, seppure in buona fede, il cardinale Richelieu abbia commesso un errore nello giungere alle conclusioni sbagliate. Non so niente di quello che è successo nel mio ospedale e dei crimini che mi si attribuiscono».
«Vostra maestà, permettetemi» intervenne il cardinale. «Quest’uomo afferma di non saperne niente, ma a me riesce davvero troppo difficile credere che non fosse a conoscenza del fatto che il suo ospedale venisse usato come deposito per armi di contrabbando»
«Questa è una vostra supposizione, Eminenza» ribatté Legrand, calmissimo.
«Il conte ha ragione, Armand. Che prove avete? Perché voi ne avete, giusto?» chiese il re.
Un’immobilità innaturale sembrava aver colto tutti i presenti. La folla fissava silenziosa il cardinale, pendeva dalle sue labbra preoccupata e curiosa.
«Oh, andiamo…» bisbigliò d’Artagnan nervoso. «Era il suo dannato ospedale!»
«Il conte ha ragione, non ci sono prove effettive che dimostrino il suo coinvolgimento» osservò de Leroux. «Il conte ha fatto costruire l’ospedale, di certo non ci viveva dentro»
«Volete tacere?» sbottò Diane, guardando il fratello di suo padre come se avesse potuto incenerirlo.
Quella doveva essere la prima volta in dieci anni che il duca riceveva un tale trattamento dalla sua devota nipote. Ammutolì con aria scandalizzata.
Treville sorrise gongolante.
«Avete interrogato i criminali che hanno messo le mani addosso alla povera mademoiselle Leroux?» chiese il conte, serafico.
Sentendosi nominare da quell’uomo, Diane alzò la testa di scatto. I moschettieri trattennero il fiato chiedendosi se non fosse il caso di afferrarla e chiuderle la bocca prima che potesse fare o dire qualcosa, ma la ragazza rimase immobile e serrò le labbra.
«Li abbiamo interrogati, Eminenza?» fece eco il re.
«Lo abbiamo fatto, maestà, e non ci hanno saputo fornire alcuna indicazione. Ma questo non prova che il conte sia innocente»
«Né che sia colpevole».
Diane strinse i pugni e si voltò verso i moschettieri. «Cos’è questa storia? Perché quegli uomini non hanno parlato? Credevo che il cardinale avesse tutto sotto controllo» disse. Un moto di panico le passò negli occhi chiari: adesso sembrava che dopo tutti quegli sforzi, dopo aver fiutato la vittoria, ogni cosa fosse sul punto di vanificarsi, il conte l’avrebbe fatta franca ancora una volta.
«Quei tre mentecatti non hanno parlato» spiegò Aramis.
«Probabilmente sono spaventati. Lo sappiamo come vanno a finire quelli che tradiscono il conte» aggiunse Porthos.
«Il cardinale non poteva aspettare di estorcergli una confessione» sospirò Treville. «Non avrebbe potuto trattenere a lungo il conte in prigione senza un’accusa fondata…».
Diane si coprì la bocca con la mano. Dentro di lei doveva star urlando disperata.
Athos provò l’impulso di cingerle le spalle, dirle che sarebbe andato tutto bene. Non potevano perdere quella battaglia, non di nuovo, non lo avrebbe permesso, qualsiasi cosa questo implicasse.
«Quindi, la vostra versione, conte Legrand, è che dei criminali hanno usato il vostro ospedale a vostra insaputa per nascondere delle armi e che nessuno se ne sia mai accorto?» sbuffò Richelieu.
«Mi prendo senz’altro la responsabilità di non essere stato abbastanza avveduto, vostra Eminenza»
«Ho condotto delle indagini» insistette il cardinale. «A partire dal giorno dell’inaugurazione e dalla morte di quel pover’uomo trovato vicino al palco. Ci sono gravi indizi che fanno credere che il conte sia coinvolto in una rete di traffici e di speculazioni sulla vendita di proprietà e case. Ho motivo di ritenere che fosse in affari con Luc Morice, noto speculatore dalla condotta poco raccomandabile, che è stato anche lui assassinato poco dopo il ritrovamento di armi uguali a quelle trovate in ospedale all’interno di una delle sue proprietà» 
«Sì, certo, le ha condotte lui le indagini…» borbottò Porthos strabuzzando gli occhi. 
Il conte non disse niente. Tutta quella valanga di informazioni non provava nulla.
«Questo dimostra che in città c’è una rete per il traffico d’armi assai estesa. Non è la prima volta che riscontriamo crimini del genere e Dio solo sa quanto la cosa mi preoccupi» disse il re, massaggiandosi una tempia. «Ma il coinvolgimento del conte in tutto questo non è ancora stato provato».
Mentre sua maestà parlava e intavolava un lungo soliloquio sulla necessità di combattere tutti i sovversivi che si nascondevano a Parigi e che operavano contro il bene della Francia, il cardinale si voltò verso Diane. Sembrò che il suo sguardo fendesse l’aria come una pietra per arrivare a colpire la ragazza al petto.
La nipote del capitano e Richelieu restarono a fissarsi come se si stessero parlando con la sola forza del pensiero. Ma Diane era coraggiosa e non le occorreva alcuno sprone per decidersi a fare la sua parte. Fare la sua parte era il motivo stesso che l’aveva portata a Parigi, che le aveva fatto rischiare la vita, la reputazione e ogni cosa.
Prima che qualcuno fosse in grado di rendersene conto, Diane scansò le persone che aveva davanti e si portò nello spazio vuoto dinnanzi al trono.
«Vostra maestà, vi prego, permettetemi di parlare» esclamò.
Il re arricciò il naso, guardando la ragazza irritato per essere stato interrotto in quella che doveva sembrargli una grande orazione da sovrano.
«Mademoiselle Leroux, ho saputo del vostro rocambolesco coinvolgimento l’altra mattina all’ospedale ma sono sicuro che non abbiate niente di interessante da dirci» borbottò Luigi, imbronciato. «Siete certo una giovane molto apprezzabile ma dubito che possiate saperne qualcosa di armi e traffici e sicurezza a Parigi!».
Diane rimase zitta ad ascoltare il re rimproverarla come fosse una bambina. Poi chinò il capo in umile segno di scusa e riprese a parlare.
«Vostra maestà, vi prego…»
«Diane…» sospirò Corsini, turbato.
«Cosa diamine sta facendo?» disse de Leroux con voce strozzata, aggrappandosi alla manica di Treville.
«Di sicuro qualcosa che dovrebbe renderci entrambi fieri di lei, duca» ribatté il capitano dei moschettieri. 
«Vostra maestà, vi prego…» sussurrò Diane.
«Mademoiselle, vi invito a tornare al vostro posto».
La regina, che fino a quel momento era rimasta zitta, ad ascoltare e ad osservare cercando di capire da che parte schierarsi, allungò una mano e la posò con dolcezza su quella del marito.
L’aria piccata di Luigi si trasformò in una smorfia.
«Lasciatela parlare, maestà» chiese la regina. «Sono certa che mademoiselle Leroux non sia persona da parlare a sproposito in una simile circostanza. E credo che a questo punto siano tutti curiosi di ascoltarla».
Il re finse di prendersi qualche secondo per pensarci, alla fine sospirò e fece un cenno con la mano a Diane perché parlasse.
«Ringrazio il cardinale per aver portato all’attenzione della corona questo caso» esordì Diane. «Sua Eminenza forse riteneva saggio e generoso non espormi per evitarmi una prova troppo grande, ma non c’è niente che sia troppo grande a confronto della giustizia»
«Di cosa state parlando, Diane?» chiese il re.
Il cardinale, per suo conto, sorrideva sornione per il favore resogli dalle parole della ragazza - con quell’uscita gli aveva forse salvato la faccia che stava miseramente rischiando di perdere in quel processo che non sembrava arrivare a un dunque.
«Il cardinale ha accettato di intervenire dopo che i moschettieri di sua maestà gli hanno esposto il caso sul quale hanno indagato per settimane con assoluta diligenza» spiegò Diane.
«Cara ragazza, sta salvando capra e cavoli» trillò Aramis, deliziato.
«Alla fine, se va tutto bene, ci prenderemo anche noi la nostra fetta di gloria» intervenne d’Artagnan.
«Se va tutto bene» precisò Athos che in quel momento sentiva l’orrida sensazione di un masso nello stomaco e l’impellente desiderio di bere un’intera botte di qualcosa abbastanza forte da stordirlo per un mese.
Il re ridacchiò e scosse il capo. «Ah, be’, se è qualcosa che ha messo d’accordo il cardinale e i moschettieri allora vale propio la pena di starvi a sentire».
Diane fece un cenno di ringraziamento. Si voltò un istante a guardare Legrand senza alcuna espressione, poi infilò la mano tra le pieghe dell’abito e ne estrasse un voluminoso quaderno rilegato in cuoio. Si schiarì la voce e riprese a parlare.
«I miei genitori sono morti assassinati dieci anni fa, all’epoca fu ritenuta opera di criminali di strada, ma nel suo diario mio padre aveva annotato ogni cosa: le scoperte che aveva fatto sui traffici del conte, le sue paure per la propria incolumità e per quella della sua famiglia. Se non ci sono prove effettive oggi per dire che Legrand sia coinvolto in questi traffici e persino in casi di omicidio, non si può nemmeno escludere che in tanti anni non abbia lavorato in tal senso».
Ora tutti fissavano la ragazza, stupiti. Il re si voltò lentamente verso il cardinale, muovendo la testa quasi a scatti.
«È stata mademoiselle Diane a far partire le indagini?» chiese.
«Pare sia tornata a Parigi con questo preciso intento, maestà» rispose Richelieu, senza staccare gli occhi dalla giovane.
Il re allungò la mano perché Diane gli consegnasse il diario di suo padre, la ragazza lo sfogliò e mostrò al sovrano le pagine che contenevano gli appunti di cui aveva parlato.
In silenzio, il cardinale e il re cominciarono a leggere.
«Questa è una follia!» strillò Legrand «Non potete accusarmi per delle fandonie scritte dieci anni fa e mai provate!».
Cominciava a perdere la calma e questo forse sarebbe bastato a tradirlo.
«State zitto, conte, mi distraete» sbuffò il re, alzando una mano ma senza guardarlo, continuando a leggere.
Diane restò al centro della stanza, resistendo all’impulso di guardarsi attorno e affrontare la selva di occhi che la stavano puntando.
Accanto ai moschettieri, il duca era ammutolito. Si era appoggiato con una mano alla spalla di Treville come se temesse che le gambe non potessero reggerlo. Scoprire che suo fratello era stato assassinato in un complotto criminale doveva essere stato un duro colpo, persino per lui.
Quando Diane si costrinse ad alzare lo sguardo, incontrò gli occhi della regina che la guardavano senza la feroce curiosità del resto dei presenti. Sua maestà sembrava turbata per tutto quello che la ragazza si era tenuta dentro da quando l’aveva conosciuta, per il fatto che lo avesse tenuto segreto anche a lei.
Il re chiuse il quaderno.
«Quello che ho letto è molto grave, molto» disse sua maestà. «Francamente, mademoiselle, mi chiedo perché mi abbiate mostrato questo diario solo oggi»
«Per lo stesso motivo per cui solo oggi il conte Legrand è qui per un processo: non si era mai riusciti a coglierlo in flagrante o a trovare abbastanza elementi per sottoporre il caso alla vostra attenzione, maestà».
Il re si lasciò cadere contro lo schienale del suo scranno, pensieroso. Dopo lunghi secondi di silenzio, si sporse verso il cardinale. «Sono assai incline a credere a voi e a mademoiselle Leroux, Armand» bisbigliò. «Ma se solo avessimo una prova in più…».
Richelieu dondolò la testa come un avvoltoio, mosse qualche passo e restituì a Diane il diario del padre.
Prima di lasciarla andare le afferrò il polso e glielo strinse con le sue lunghe dita ossute. «Devo far chiamare Jean-Pierre. Se mente sarà tutto perduto…» le sussurrò in un soffio così leggero che i moschettieri udirono a stento.
La ragazza annuì e restò in piedi sul bordo del cerchio disegnato dalla folla, a solo un metro dal conte. L’uomo la guardava come se avesse voluto ucciderla con uno sguardo, lei lo fissò con freddezza, strinse al petto il diario di suo padre e attese.
Il cardinale fece un cenno alle guardie e dopo qualche minuto Jean-Pierre fece il suo ingresso con le catene ai polsi che tintinnavano cupamente nel silenzio della sala.
«E costui chi sarebbe?» chiese il re.
«Jean-Pierre, il braccio destro del conte. Speriamo possa aiutarci a fare chiarezza su un paio di cose» spiegò il cardinale.
Il sovrano raddrizzò la schiena e mise su la sua espressione da uomo saggio. «Venite avanti» ordinò. «Conoscete le accuse che sono state rivolte al vostro padrone e, di conseguenza, a voi?»
«Sì, maestà»
«Cosa avete da dire al riguardo?».
Jean-Pierre si voltò verso il conte. Legrand gli sorrise come il più caro degli amici.
L’uomo restò in silenzio per secondi che sembrarono un’eternità.
Aramis si strinse tra le dita la croce del rosario. Porthos tormentava le falde del cappello che si rigirava tra le mani. d’Artagnan aveva assottigliato lo sguardo e sembrava trattenere il respiro. Treville guardava il vuoto, forse augurandosi semplicemente che tutto finisse il prima possibile per portare Diane via da lì.
Athos continuava a sentire un macigno dentro, l’esigenza di essere altrove a bere e la voglia di gridare che era tutto così superfluo e sciocco, che il conte era colpevole e mai e poi mai avrebbe dovuto farla franca ancora una volta.
«Ho servito il conte per tanti anni» disse Jean-Pierre. «Un uomo importante che si occupa di tante cose di riguardo ha bisogno di qualcuno di cui fidarsi. La fiducia è sempre stata tutto per lui»
«Venite al dunque» sbottò Richelieu.
«Se quell’uomo mente, il cardinale lo farà uscire di prigione un pezzo alla volta» disse Treville.
«Sì, e saranno tutti pezzi molto piccoli» convenne d’Artagnan.
«Ci sono due modi per ottenere la lealtà di qualcuno» continuò Jean-Pierre. Era il suo momento di gloria, in un modo o nell’altro, e sembrava deciso a goderselo fino in fondo. Comunque fossero andate le cose, era di certo l’ultima azione che avrebbe fatto da vivo.
«Guadagnandosela con una condotta appropriata, oppure comprandola in qualche modo»
«E il conte come si è assicurato la vostra lealtà per tutti questi anni?» chiese il cardinale ostentando una pazienza che si andava sempre più esaurendo.
«L’ha comprata. A ventidue anni ero un giovane desideroso di fare strada, entrai al suo servizio con un’idea molto chiara di cosa significasse il dovere. Quando scegli quella strada, sai che il tuo destino è l’obbedienza… come un monaco, no?»
«Sì, sì, il concetto è assai chiaro. Andate avanti»
«Il primo ordine, uno dei primi ordini, che ricevetti riguardava una prova: se l’avessi superata avrei ottenuto la fiducia del conte e lui avrebbe saputo che poteva fidarsi di me perché sarei stato compromesso»
«Che tipo di prova?».
«L’omicidio del proprietario di una ditta di costruzioni e di sua moglie» disse Jean-Pierre, con calma. Si voltò verso Diane con gli occhi vitrei. «Ho ucciso io i vostri genitori dieci anni fa».
Un boato si alzò dai presenti.
Il duca de Leroux e Treville scattarono nello stesso momento. Porthos e Aramis li afferrarono e li trascinarono non senza difficoltà via dalla folla, nell’angolo più lontano della sala, gettandoli contro il muro e invitandoli a prendere un grosso respiro.
Treville si chinò in avanti con i palmi appoggiati alle ginocchia, boccheggiando sopraffatto dallo sconcerto. Il duca si allentò il nodo del foulard di seta che aveva al collo, Corsini gli andò incontro per aiutarlo a riaversi.
Athos era vagamente consapevole di tutto questo. Non riusciva a fare altro che guardare Diane, in piedi come una statua tra il mandante e l’esecutore dell’assassinio dei suoi genitori. La ragazza era diventata bianca come il marmo delle colonne, non sembrava neppure capace di respirare o muoversi, rimase lì con le mani strette attorno al diario di suo padre come un naufrago che si aggrappa a un relitto senza possibilità di salvarsi dall’annegamento.
Il cardinale mosse qualche passo al centro della stanza. «Confermate tutto quindi?» disse a Jean-Pierre. «Non solo l’assassinio di Leroux e sua moglie dieci anni fa, ma anche il resto? Il traffico d’armi? L’omicidio di Luc Morice e dell’uomo il giorno dell’inaugurazione dell’ospedale e, Dio mi aiuti, chissà che altro»
«Traditore!» esclamò il conte, liberandosi con uno strattone dalla presa delle guardie e scagliandosi contro Jean-Pierre.
Athos e d’Artagnan si precipitarono ad afferrarlo prima che potesse raggiungere il suo servitore e lo trascinarono a terra.
Quando il conte si mise a urlare come impazzito, Athos pensò che tutti ne avevano avuto abbastanza. Con un pugno ben assestato lo stordì e lo lasciò a rovinare sul marmo del pavimento.
Il re aveva sgranato gli occhi, ora fissava la scena davanti a sé con le dita conficcate nel velluto che rivestiva i braccioli del suo scranno. La regina respirava affannosamente, turbata, facendo appello a tutto il suo autocontrollo per non avere nessun tipo di reazione inconsulta.
La gente attorno parlava strillando.
Per un attimo la sala delle udienze fu una bolla di caos sul punto di esplodere.
«Arrestateli!» strillò il re, coprendo con la sua voce quella di tutti. «Fateli sparire nella più buia delle celle!».
Le guardie rosse del cardinale si fecero strada a fatica in mezzo a quel putiferio. Ce ne vollero quattro per trascinare via il conte svenuto.
Jean-Pierre si voltò verso Diane, prima che arrivassero per portarlo via, mosse un passo verso di lei e la guardò. Athos provò il desidero bruciante di sparargli in mezzo alle spalle, lì, seduta stante.
«Avrò il vostro perdono un giorno, mademoiselle?» domandò. Le fece scivolare un pezzo di carta tra le dita.
Lei lo fissò atterrita senza rispondere. Le guardie lo afferrarono per le braccia e lui si lasciò portare via senza battere ciglio.
Mentre il caos di voci e strilli scemava pian piano, Diane riprese lentamente a respirare, guardò il cardinale, poi il re e la regina, ma forse non stava guardando nessuno per davvero. Strinse le labbra per soffocare qualcosa di troppo grande da dire, qualcosa che non poteva essere detto e si voltò, scappando via aprendosi la strada a forza tra la folla e sparendo dietro una porta.
«Va’ a vedere se il capitano e gli altri hanno bisogno di un medico. O di un esorcista» bisbigliò Athos a d’Artagnan. Anche lui si sentiva frastornato, mosse qualche passo come se fosse ubriaco poi si riscosse e lasciò la sala, allontanandosi con sollievo da tutte quelle facce stropicciate dall’indignazione.
Impiegò molto tempo a trovare Diane. La ragazza era in una delle gallerie che portavano agli alloggi della servitù. Teneva la fronte appoggiata al vetro freddo della finestra, come se fosse febbricitante, le spalle si sollevavano violentemente per i singhiozzi.
Quando Athos le si avvicinò, lei lo vide riflesso contro un vetro e si voltò di colpo. Il moschettiere pensò di non aver mai visto tanto pianto sul viso di una persona, le lacrime le erano scese lungo la gola e le bagnavano il pizzo scuro della scollatura.
Diane si gettò tra le sue braccia e nascose il viso nel suo petto, continuando a piangere.
Athos sentiva la disperazione della ragazza scorrere via, passare da quelle lacrime alla sua pelle. Sentiva il veleno lavato da quella pioggia di acqua salata e pensò che era tutto ciò che la ragazza meritasse: una vita pulita, lontana da quei fantasmi, da quello che il destino le aveva riservato.
Mentre le lacrime di Diane gli inzuppavano la camicia, trovò che quegli istanti fossero la cosa più giusta del mondo. E anche per lui qualcosa simile al pianto salì dalla gola agli occhi, velandogli lo sguardo per qualche secondo. 
A poco a poco la ragazza si calmò. Passate le lacrime, le restò un sottile affanno, il viso arrossato, lo sguardo perso di qualcuno che si risveglia da un incubo troppo lungo e difficile da raccontare.
«Respira» le disse Athos. «È tutto finito. È tutto finito, ce l’hai fatta».
Diane annuì, non disse niente gli prese la mano e abbassò lo sguardo, aspettando che gli ultimi strascichi della crisi passassero del tutto.
«Diane!» esclamò una voce preoccupata.
La ragazza e il moschettiere si voltarono per vedere Cesare Corsini sulla porta all’estremità del corridoio.
Diane spostò lo sguardo smarrita tra lui e Athos. Il moschettiere le prese il braccio con delicatezza e la pilotò verso il giovane italiano.
«L’avete trovata…» mormorò Corsini, sollevato. «Non sapevo dove cercarla, pensavo mi sarei perso in questo labirinto di palazzo. Stai bene, Diane?».
La ragazza fece un vago cenno affermativo.    
«L’ho trovata» disse Athos, accennando un sorriso. Era stato giusto abbracciarla e raccogliere le sue lacrime come un fardello da portare, era stato giusto essere lì per lei, ma ora c’era qualcosa di più giusto da fare. Posò una mano sulla spalla di Diane, la spinse piano verso Cesare.
«Ve la lascio» disse. Le implicazioni di quella frase non potevano essere chiare al giovanotto, ma erano chiare abbastanza per lui e non occorreva altro. «Abbiatene la massima cura».
Corsini cinse le spalle della ragazza e sospirò, contento di poter stare con lei, di potersene prendere cura in quella giornata assurda e per tutta la vita.
Il moschettiere li sorpassò e si diresse verso l’uscita.
«Athos…». La voce di Diane tremava. «Grazie».
Lui le sorrise un istante, poi imboccò la porta e sparì. 
 
 




  
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