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Autore: mudblood88    11/07/2015    3 recensioni
Seguito di "I cattivi non hanno mai un lieto fine, ma Regina ha Emma."
TRATTO DAL TESTO:
«Vuole il tuo cuore, Emma».
«Non mi importa» rispose la bionda, con fermezza. «Non ti lascerò andare da sola».
Regina fece un passo verso di lei, trovandosi a pochi centimetri dal suo viso.
«Emma, ascolta...»
«No» la interruppe, alzando le mani in un gesto deciso. «Non mi importa, qualsiasi cosa dirai ho preso la mia decisione. Avevo promesso a Henry che mi sarei presa cura di te. Che ti avrei protetta. Ed è quello che ho intenzione di fare. Io sono la Salvatrice!»
«Emma» disse Regina, in tono grave. «A volte... anche la Salvatrice deve essere salvata».
Genere: Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Emma Swan, Henry Mills, Regina Mills, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 9

Quindici giorni prima del solstizio d'estate

 
 

«Sono tornato a Storybrooke un mese dopo che me ne sono andato» spiegò Robin, davanti a una tazza fumante di caffé.

Regina era seduta di fronte a lui, con i gomiti poggiati sul tavolo e la mani posate l'una sopra all'altra. Lei aveva ordinato un thé e una fetta di cheese cake ai frutti di bosco.

«Ero tornato a cercarti» continuò l'uomo. «Volevo sapere come stavi, non riuscivo ad avere tue notizie. E mi sono ritrovato in questa... strana Storybrooke».

Regina prese un sorso di thé; guardò la sua fetta di torta, ma improvvisamente la fame era sparita. Si guardò un attimo intorno, con l'ansia di vedere sbucare Neal da un momento all'altro.

«E dove sono Roland e Marian?» chiese, dopo un momento di silenzio.

Robin sospirò. «Sono rimasti a New York».

«Come mai sei rimasto qui e non sei tornato da loro?»

Robin esitò. Prese un sorso di caffé, guardando la sua tazza, poi rialzò lo sguardo su Regina che nel frattempo aveva preso una forchettata di dolce.

«Non potevo andare via. Non prima di aver capito cosa fosse successo. Ma tutti quanti, qui, sono...»

Regina annuì. «Pensiamo siano sotto un sortilegio».

Si guardò di nuovo intorno, freneticamente.

«Avete idea di come fare per spezzarlo?»

Regina prese un sorso di thé. «Ci stiamo lavorando».

Robin allungò una mano sul tavolo e prese quella di Regina. La donna si irrigidì.

«Se posso dare una mano, non avete che da chiedere».

«Grazie» rispose Regina, poi afferrò la forchetta per prendere un'altra porzione di dolce. Non le andava più di tanto, ma doveva interrompere quel contatto con Robin.

«Ma voi dove siete state? Perché siete partite? Henry sta bene?»

Regina inspirò a fondo.

Robin era così. Premuroso, attento, e voleva bene a Henry. Avrebbero potuto essere una famiglia felice, insieme al bambino che stava crescendo nel suo grembo.

Si portò una mano sul ventre, domandandosi se fosse il caso di dire a Robin della gravidanza. Ma come poteva dirglielo? Se avesse saputo del bambino si sarebbe sentito obbligato a restare. E lei non voleva questo, non voleva costringerlo a fare una scelta, non voleva allontanarlo dalla sua famiglia.

«Robin, forse dovresti tornare da tuo figlio e tua moglie» suggerì Regina, ignorando la sua domanda. «Sicuramente ti staranno aspettando e sono preoccupati per te».

«Fammi almeno aiutare a rimettere le cose a posto» insistette Robin. «Adesso che ti ho ritrovata, non posso lasciarti».

Robin, ancora una volta, allungò una mano per cercare un contatto con lei, contatto che stavolta Regina non rifiutò. Prese un sorso di thé e cercò di mantenere la calma.

Robin le sembrava sincero. Sembrava davvero che volesse aiutarla, ma qualcosa le impediva di aprirsi con lui, di farsi aiutare, e non sapeva cosa. O forse lo sapeva fin troppo bene.

«Devo confessarti una cosa» continuò Robin, spezzando il silenzio. «Vivo a casa tua, per ora. Scusa se mi sono permesso. Ma l'ho trovata vuota, e ho pensato...»

Regina alzò una mano per fermarlo. «Non preoccuparti».

Robin contnuò. «Tu ed Emma dove dormite?»

«Per il momento, nella cripta» rispose Regina. «Non possiamo farci vedere troppo in giro. Lo Sceriffo ci sta addosso».

Si guardò intorno per la terza volta, con sguardo preoccupato, febbrile. Robin lo notò.

«Posso parlare con lo Sceriffo» propose. «Ho imparato a conoscerlo. E' un bravo ragazzo. Se gli provo a parlare...»

Regina sorrise. «Sarebbe molto gentile da parte tua, ma sono settimane che scappiamo e ci nascondiamo, penso che in ogni caso lo Sceriffo non ci prenderà in simpatia solo perché glielo dici tu».

Robin rise.

«Sei sempre la solita».

Anche Regina rise.

«Comunque lascerò la tua casa, così tu ed Emma potrete venire a stare lì. Sarà un posto più comodo della cripta, e io l'ho occupato senza permesso».

Regina ci pensò su per qualche minuto. Certo, sarebbe stata una soluzione migliore, ma dopo la reazione che Emma aveva avuto alla proposta di sedersi a prendere un caffè con Robin, dubitava che avrebbe accolto meglio l'idea di accettare l'aiuto di Robin.

«Gliene parlerò. Ma credo che io ed Emma lavoreremo meglio stando nascoste» disse, cauta. «Almeno finché non abbiamo capito cosa fare».

Robin annuì. «Vorrei potervi essere d'aiuto» ripeté. «Mi raccomando, se posso, in un qualche modo...»

«Lo terrò a mente, grazie» lo interruppe Regina. Lanciò uno sguardo all'entrata. «Ora è meglio che vada».

Non aveva finito né la torta né il thè, ma si alzò comunque. Robin la imitò. Uscirono dal locale, immettendosi nella strada deserta e silenziosa.

«Posso accompagnarti? Almeno mi assicurerò che arriverai sana e salva».

«Grazie, ma... Ho i miei metodi per muovermi senza essere vista».

Robin sorrise, capendo che si trattava di magia. Fece un passo verso di lei, prendendole la mano.

«Possiamo rivederci?»

Il cuore di Regina accellerò.

«Si, sicuramente» tolse la mano da quella dell'uomo. «Ma prima io ed Emma dobbiamo capire cosa fare, quindi non so... non so quando».

«Sai dove trovarmi, quando vuoi» disse Robin.

Regina fece un passo indietro. «Anche tu» disse soltanto, e scomparì.

 

**

 

Emma aveva raggiunto la cripta correndo, con l'aria che le sferzava il viso, sperando di smaltire la rabbia. Ma non aveva funzionato. Continuava a camminare freneticamente avanti e indietro, nella cripta, con quel groppo in gola che la opprimeva e le mozzava il respiro.

Cercò di darsi una calmata e di ritrovare la lucidità. Robin era una brava persona; era un amico, era uno di loro, li aveva sempre aiutati in passato. Ma era anche il padre del bambino che Regina portava in grembo. E amava Regina, così come Regina amava lui.

Impulsivamente, tirò un pugno sulla parete di pietra della cripta, sentendo subito un dolore invaderle la mano e il polso. Lanciò un grido sommesso, massaggiandosi la mano dolorante con l'altra.

Possibile che fosse così irrazionale da lasciare che i suoi sentimenti oscurassero il suo istinto? Si accovacciò, posando le proprie mani sulle ginocchia, inspirando a fondo.

Il suo super potere non era perfetto, ma si era rivelato sempre affidabile in passato. Socchiuse gli occhi, cercando di guardarsi dentro, per capire cosa provava realmente. Trovava davvero sospetta la presenza di Robin a Storybrooke, oppure c'era qualcos'altro, dietro?

Non fece in tempo a trovare una risposta che sentì Regina riapparire nella cripta. Con un sospiro, aprì gli occhi.

Per un breve e imbarazzante momento le due donne si guardarono. Gli occhi di Emma erano gelidi, quelli di Regina erano due buchi neri in cui sprofondare. Non c'era più calore, nè comprensione, o affetto. In quel momento, c'era soltanto rabbia, incomprensione.

Fu Emma la prima a parlare.

«Perché non mi hai detto che Robin era in città?»

Aveva continuato a farsi questa domanda per tutta la strada di ritorno, incessantemente, senza trovare una risposta sensata.

Regina le fu subito ostile. «Proprio per evitare sceneggiate come questa, Swan».

Emma si irrigidì, sentendo Regina chiamarla per cognome. Si rialzò, facendo qualche passo verso l'altra.

«Sceneggiate?» sbraitò. «Avresti dovuto dirmelo. Avevo il diritto di saperlo!»

«E sentiamo, perché?» domandò Regina, immobile dov'era. «Perché avrei dovuto dirtelo?»

Emma ignorò la domanda. Portò il peso da un piede all'altro, sospirando. «Non possiamo fidarci di lui».

Questa volta non c'era incertezza nelle sue parole. La sua era un'affermazione, un'accusa vera e propria.

Regina rise. «Emma, è di Robin che stiamo parlando. Lo stesso Robin che ci ha aiutato con la Regina delle Nevi, lo stesso Robin che ci proteggeva da Zelena e dalle sue scimmie volanti».

«Non trovi sospetto il fatto che sia l'unico che ci riconosce?»

«Mi ha dato una spiegazione» negli occhi di Regina guizzò un lampo di soddisfazione.

Emma non ci badò. «E quale sarebbe?»

«E' arrivato che la maledizione era già stata lanciata, come avevo presupposto».

Emma sbuffò. «E dov'è la sua famiglia?»

Regina si aspettava quella domanda, ma nonostante questo si prese qualche secondo prima di rispondere. «Sono rimasti a New York».

Emma lanciò un grido simile a una risata, gelida. «E tu ti fideresti di un uomo che abbandona la sua famiglia?»

«Non ha abbandonato la sua famiglia!» la ammonì Regina. «E' rimasto perché vuole aiutare. Mi ha anche detto che possiamo tornare a casa mia, se vogliamo».

«Io non voglio il suo aiuto» Emma si rese conto che poteva risultare infantile, con quel modo di fare. Ma non riusciva a fare altrimenti.

Regina si lasciò scappare un sorrisetto soddisfatto, aspettandosi quella reazione da parte di Emma, ma non aveva intenzione di lasciar perdere.

«Tu sei gelosa» disse Regina, puntandole un dito contro, il sorrisetto sempre presente sul suo volto. «Sei gelosa, e non riesci a vedere le cose con obiettività».

Emma fece un passo indietro, spalancando la bocca in una smorfia di diniego. «Non sono affatto gelosa!» esclamò. «Sono semplicemente razionale, cosa che tu, evidentemente, non riesci ad essere quando si tratta di Robin».

Emma stava gridando. Non si era nemmeno resa conto di star stringendo i pugni, fino a farsi del male.

Regina la guardò con occhi spalancati, rimanendo in silenzio.

Passò un lungo momento prima che una delle due si decidesse a parlare di nuovo. I loro occhi si muovevano nella cripta, fissandosi su dettagli inutili, pur di non incontrarsi.

Ancora una volta, fu Emma a spezzare il silenzio.

«Gli hai detto del bambino?»

La voce di Emma arrivò come un sussurro alle orecchie di Regina.

«No».

Regina non la guardò, mentre rispondeva.

Nemmeno Emma la guardava, continuava a guardare il pavimento della cripta con vivo interesse. Ma udendo quel "no", fu come se una nuova scarica di adrenalina le percorresse tutto il corpo.

«Ecco, lo vedi?» alzò di nuovo la voce. «Non gliene hai parlato perché sai che non puoi fidarti di lui!»

«Non gliene ho parlato perché non è il momento nè la situazione giusta» replicò Regina. «Abbiamo altre cose a cui pensare, adesso».

«Cosa farai se, un giorno, decidesse di abbandonare anche te e il bambino, come ha fatto con Roland e Marian?»

Regina digrignò i denti. Una luce folle le si accese negli occhi. «Farò quello che ho sempre fatto, Emma. Alleverò questo bambino da sola, come ho fatto con il figlio che TU hai abbandonato!»

Regina si portò una mano sulla bocca, come a voler bloccare quel flusso di parole che, lo sapeva, avevano ferito Emma.

La bionda si immobilizzò, lo sguardo perso nel vuoto.

Il pavimento della cripta tremò.

Regina capì subito che Emma era fuori controllo, che la sua magia stava agendo al posto suo. Anche Emma parve capirlo, quindi si incamminò verso l'uscita, passando accanto a Regina.

La luce folle che Regina aveva negli occhi, quella rabbia che l'aveva spinta a dire quelle cose, si era spenta. «Emma, aspetta...» disse, afferrandole un braccio.

Emma si liberò dalla presa con un gesto talmente improvviso che quasi andò a sbattere contro gli oggetti sugli scaffali accanto a lei.

«Ho bisogno d'aria» disse soltanto, senza voltarsi.

Fece un altro paio di passi verso l'uscita, ma Regina la fermò di nuovo, sfiorandole delicatamente il braccio, come a non volerla turbare ulteriormente.

«Emma...»

«No!» sbraitò la bionda. «Smettila, adesso».

Emma si ritrovò a ricacciare indietro le lacrime. Regina la guardò, mordendosi l'interno della guancia, tesa.

«Emma, non volevo dire...»

«Oh, lo so benissimo cosa volevi dire!» la interruppe la bionda. «Volevi dire esattamente questo, volevi rinfacciarmi di aver abbandonato Henry. Hai ragione, forse non sono stata una madre esemplare nella mia vita, ma le scelte che ho fatto, tutte le scelte che ho dovuto fare nella mia vita, sono state...»

Emma si prese la testa tra le mani, cercando di mettere ordine in quei pensieri furibondi che la stavano sopraffando.

Regina la guardò, improvvisamente consapevole di cosa Emma stesse per dire. «Dillo» la incitò.

Emma piantò gli occhi nei suoi. «E' colpa tua, Regina! Tutto quello che mi è capitato, è stata colpa tua e del tuo sortilegio! Se non fosse stato per la tua stupida vendetta non sarei stata costretta a crescere come un'orfana e avrei avuto la possibilità di crescere Henry!»

Regina non rispose, ammutolita dalle parole violente che Emma le stava vomitando addosso. Si rese conto subito che la Salvatrice aveva tenuto dentro questi pensieri per troppo tempo, forse senza neanche rendersene conto. Ma sentirsi dire quelle cose fu per Regina un vero e proprio dolore; principalmente perchè sapeva che era la verità, la nuda e cruda verità.

Emma distolse lo sguardo, avviandosi di nuovo verso l'uscita. Stavolta Regina non provò a fermarla. Lei aveva tirato fuori tutto il rancore e la rabbia che aveva accumulato nelle ultime ore, mentre Emma aveva fatto lo stesso ma con la differenza che quegli stessi sentimenti erano covati da molto più tempo. Sapeva che non sarebbe servito a niente, trattenerla. Sapeva che non sarebbe servito a niente scusarsi. Non in quel momento, almeno.

Emma uscì dalla cripta, fece qualche passo in mezzo al parco finché le gambe, dalla tensione, non le cedettero. Si lasciò cadere sull'erba, scossa dai singhiozzi che per troppo tempo aveva trattenuto.

Il respiro le si fece affannoso e irregolare, si portò una mano al petto per cercare di calmarsi, ma le lacrime continuavano a scenderle sulle guance, veloci e decise. Alzò lo sguardo verso il cielo, un cielo stellato, sereno, pacifico. Poi guardò dritto davanti a sé, fissando delle luci in lontananza, che illuminavano appena il parco antecendente la cripta. E la vide.

Un'ombra.

La stessa ombra che avevano visto nel bosco.

Forse l'ombra che Regina aveva visto anche al confine.

Si alzò di scatto, e per un attimo ebbe la tentazione di chiamare Regina. Ma l'ombra si mosse, allontanandosi, confondendosi col buio.

Lanciò un ultimo sguardo verso la cripta prima di correre nella direzione dell'ombra, sperando di ritrovarla.


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Rieccomi qui, team! Con un giorno di anticipo anche stavolta. Ma non abituatevi troppo bene :P
Non ho niente da dire su questo capitolo se non che mi è piaciuto molto scriverlo, nonostante l'angst. E mi scuso per tutto questo angst che vi sto propinando, mi farò perdonare presto xD
...almeno credo. 
Buon week end a tutti! :)

 

  
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