Libri > Il Signore degli Anelli e altri
Segui la storia  |       
Autore: Tielyannawen    11/07/2015    4 recensioni
Sotto il cielo di Arda accade a volte che alcuni cammini si incontrino, legando indissolubilmente destini altrimenti separati.
Dal testo:
«Tu non dovresti essere qui... perché sei tornato indietro?», chiese con un filo di voce, lottando per non lasciarsi avvolgere dalle ombre.
«Perché non potevo abbandonarti. Tu ci hai mostrato la via quando la credevamo perduta e hai lasciato la tua casa, rischiando la vita per salvarci. È ora di pagare il nostro debito».

Dicono che la storia sia fatta da eventi straordinari, ma a volte sono proprio le piccole cose quelle di cui dobbiamo serbare ricordo.
Queste pagine ne sono memoria... perché in fondo tutti cerchiamo la nostra strada nel mondo.
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bilbo, Elfi, Gandalf, Nani, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Una protezione contro l’oscurità

Non era stato per niente facile. A partire dal tentativo di convincere Alagos a riposare all’interno delle scuderie; il cavallo non amava gli spazi chiusi e non faceva nulla per nasconderlo. Non aveva distrutto tutto una seconda volta per riguardo nei confronti di Helan, ma i suoi nitriti avevano tenuto sveglia l’intera Imladris per diverse notti. E vedendo gli sguardi che alcuni abitanti della vallata le riservavano, l’elfa temeva di poter causare una migrazione di massa verso contrade più tranquille.
Alla fine era stato Glorfindel a risolvere la situazione, proponendo la costruzione di un recinto nei giardini laterali, dove nulla avrebbe disturbato lo stallone. Helan accolse con sollievo l’idea e lo ringraziò con calore, perché nessun’altra voce si era levata in suo aiuto.
«È un piacere contribuire al sonno dei miei amici», le rispose Glorfindel sorridendo. Il guizzo di allegria che percorse quegli occhi scintillanti non passò inosservato per l’elfa e le fece supporre che, in realtà, quel momento di scompiglio lo stesse divertendo parecchio.
Mastro Elrond venne prontamente informato della proposta, alla quale acconsentì con un cenno del capo, senza aggiungere altro. Helan sospirò, mentre si ritirava chiudendo con attenzione la porta alle sue spalle. Non le aveva impedito di tenere Alagos con sé, ma si era allontanato, ed ora ella sentiva la mancanza di suo padre. Era certa che fosse in collera con lei, dato che non le rivolgeva quasi più la parola. Dal suo ritorno, quella sera durante la bufera, si era limitato a guardarla con sconforto.

 

Il sole era sempre più basso all’orizzonte. Presto sarebbe stata ora di tornare. Alagos scalpitava, nella speranza di un’ultima corsa nella luce dorata che riempiva la pianura, ma Helan lo trattenne, sussurrando le sue scuse all’orecchio dell’amico. Elrond era stato categorico: doveva rientrare prima dell’imbrunire, o le avrebbe tolto il permesso di uscire dalla valle.
Un movimento in lontananza catturò il suo sguardo. Due cavalieri grigi si avvicinavano da settentrione. Dopo un momento di stupore Helan sorrise, alzando il braccio in segno di saluto. Li avrebbe riconosciuti ovunque. Finalmente erano tornati e lei non vedeva l’ora di riabbracciarli. Spronò Alagos nella loro direzione e quello partì al galoppo, esultante, sollevando piccole zolle di terra al suo passaggio.
«Ae [1]! Ecco colei che ha domato la tempesta!», la salutò allegro Elladan, sporgendosi dalla sella per stringerla in un abbraccio affettuoso quando giunse accanto a lui.
«Non avevate avvisato del vostro ritorno! Non che di solito lo facciate, iniziate ad assomigliare sempre di più a un certo stregone, che compare e scompare a suo piacimento», li rimproverò scherzosamente Helan. «Gwannas lû and [2]. Le ultime notizie di voi risalgono all’arrivo dei vostri ospiti».
Il secondo cavaliere si fece avanti, avvicinandosi al fianco lasciato libero da Elladan. «Siamo stati impegnati a Nord. Molti uomini valorosi sono caduti a causa degli Orchi. Si fanno sempre più audaci e io temo che qualcosa sia in movimento…», disse con tristezza Elrohir. Ed Helan si dispiacque al vedere rughe di preoccupazione segnare il suo volto.
«Ma le voci corrono in fretta e dovevamo vedere di persona la nostra Helan in groppa a uno dei Mearas», aggiunse Elladan.
All’udire quelle parole lo stallone sbuffò, agitando la criniera e battendo con forza uno zoccolo sul terreno. Pareva voler affermare che per lui non c’era proprio nulla di straordinario. Poi all’improvviso si impennò, sollevando le zampe anteriori verso il cielo, maestoso e indomabile, come la tempesta da cui prendeva il nome. I due cavalieri e i loro destrieri arretrarono, colti di sorpresa. Helan strinse la presa, ma sapeva bene che Alagos non l’avrebbe lasciata cadere. Desiderava solo ricordare a tutti la sua libertà, non spaventare chi gli stava di fronte. Si riappoggiò elegantemente a terra, rivolgendo un nitrito sommesso ad Elladan ed Elrohir, che si riavvicinarono con cautela.
«Non ti lascia ancora uscire da sola?», chiese Elrohir, accennando alla scorta che li stava raggiungendo.
Helan scosse il capo, sentendo gli occhi velarsi di lacrime. Il silenzio del padre la feriva, ma mai quanto sapere che aveva meritato la sua disapprovazione, quando invece il suo unico desiderio era renderlo orgoglioso di lei.
I due fratelli si guardarono seri, impegnati in una muta conversazione.
«Forse in questo possiamo aiutarti», disse infine Elrohir.
«Fidati di noi», concluse Elladan.

 

I figli del Signore di Imladris furono accolti con gioia ed Helan fu felice di vedere il viso di Elrond così disteso. Da troppo tempo non sorrideva. Dopo i festeggiamenti si ritirarono nei loro alloggi e restarono a discutere col padre fino a notte fonda.
La mattina successiva Helan scoprì un messaggio arrotolato con cura e infilato sotto la porta della sua stanza. In un attimo tornò bambina, quando correva con gioia seguendo le tracce lasciate per lei da Elladan ed Elrohir, in un gioco che si concludeva sempre con il racconto di una delle loro avventure. Molti anni erano trascorsi da allora, eppure, mentre si affrettava per raggiungere i due fratelli, si ritrovò a chiedersi quando la vita le avrebbe mostrato il cammino che aveva in serbo per lei.
Li trovò nel Patio delle Lame [3], ma non ebbe tempo di proferire una sola parola, perché con la coda dell’occhio notò un’ombra roteare veloce verso di lei. Senza pensarci, ruotò su se stessa uscendo dalla traiettoria del lancio e allungò la mano per afferrare l’oggetto, che si rivelò essere una pesante spada di legno, di quelle usate per gli allenamenti delle guardie.
«Bella presa», si congratulò Elladan. «Anche se sembravi più adatta una festa danzante che a un combattimento. Suvvia, non guardarmi così», aggiunse vedendo l’espressione sconcertata dell’elfa, «c’è molto da fare se vogliamo trasformarti in una guerriera degna di rappresentare la casa di Elrond».
Helan era confusa. Come la maggior parte degli abitanti di Imladris sapeva tirare con l’arco e la vista acuta del suo popolo le consentiva una buona mira, ma questo non la rendeva una guerriera. Non aveva mai portato un’arma e tra gli Eldar era raro che le donne combattessero. Guardò la spada che teneva in mano e si voltò verso Elrohir in cerca di spiegazioni.
«Come al solito mio fratello esagera. Tuttavia c’è del vero in ciò che ha detto. Abbiamo parlato con nostro padre e siamo giunti ad un accordo: ti addestreremo, così che tu sia in grado di difenderti da sola in caso di necessità. Elladan ti insegnerà l’arte della spada; a me invece il compito di istruirti nel tiro con l’arco e nel combattimento a cavallo. Credo infatti che Alagos e la sua velocità siano la tua migliore difesa», disse Elrohir portandosi accanto al fratello.
Mentre rifletteva sulle loro parole, Helan osservò con attenzione i due mezzelfi. Erano alti e forti, temprati dalle molte battaglie che avevano affrontato; come il padre avevano capelli corvini e occhi grigi, dalla madre avevano invece ereditato la grazia e il nobile portamento che li rendeva così simili agli antichi Signori degli Elfi. Si somigliavano talmente tanto che pochi, al di fuori dei confini di Imladris, riuscivano a distinguerli. Al contrario per chi li conosceva erano come il giorno e la notte: due opposti, che tuttavia non potevano esistere l’uno senza l’altro. L’elfa li ammirava e da quando aveva imparato a camminare sognava di accompagnarli nei loro viaggi attraverso la Terra di Mezzo. Strinse la spada, sentendosi impacciata ma risoluta allo stesso tempo. Sapeva quanto doveva essere stato difficile per loro convincere il padre e quanto doveva essere stato doloroso per Elrond dare infine il suo consenso. Li avrebbe resi fieri di lei.
«Gûr nîn glassui [4]», sussurrò Helan gettando le braccia al collo dei due fratelli. Quelli sorrisero e la strinsero, in un abbraccio che significava più di molte parole e valeva più di un giuramento. Erano una famiglia e questo nulla poteva cambiarlo.
Elrohir le accarezzò i capelli con delicatezza. Non possedeva il dono della preveggenza come suo padre, ma si augurò che Helan non dovesse mai mettere in pratica ciò che le avrebbero insegnato. Aveva visto troppo dolore e troppe morti, che ora pesavano sul suo cuore come macigni. Né lui né Elladan volevano questo per lei.
«Aspetta a ringraziarci», rispose Elladan allegramente, togliendole di mano la spada, «perché una volta che avremo iniziato non vorrai più farlo».

 

E così da quel giorno la vita di Helan intraprese un corso del tutto inaspettato, di cui l’incontro con Alagos non era stato che l’inizio.
Per tre anni Elladan ed Elrohir rimasero nella valle per addestrarla. L’elfa scoprì subito che non sarebbe stata la loro unica allieva, ma avrebbe diviso tale privilegio con il giovane Estel [5]. Lui e sua madre Gilraen erano i misteriosi ospiti inviati ad Imladris alcuni anni prima dai due fratelli. Venivano dai territori settentrionali dell’Eriador [6], ma ben poco si sapeva di loro. Mastro Elrond li aveva accolti nella sua casa e aveva cresciuto Estel come un figlio adottivo, verso il quale nutriva un profondo affetto.
«Estel? Non ha che sette anni!», esclamò Helan vedendo il bambino attraversare il cortile e correre verso di loro, i capelli neri scompigliati che gli ricadevano sulla fronte nascondendone i vivaci occhi azzurri. Si fermò trafelato accanto a lei, fece un profondo respiro e si sforzò di assumere l’espressione più seria e compunta possibile.
Elrohir si voltò verso il punto da cui era venuto Estel. Sotto il porticato stava una donna dai capelli color del grano maturo; ritta e severa, teneva le mani giunte davanti a sé e nonostante la distanza egli notò le nocche sbiancate per la forza con cui le stringeva, cercando di celare la sua apprensione. Accortasi di essere osservata, Gilraen si riscosse dalla sua immobilità e fissò il mezzelfo. Angoscia e rassegnazione oscuravano il volto di una madre che sapeva di non poter difendere il proprio figlio dal destino che lo attendeva. Turbato dal tormento che lesse in lei, Elrohir abbassò lo sguardo ed ella si allontanò, sola. L’erede di Elrond si sentì un codardo per essere fuggito a quella silenziosa richiesta di aiuto. Ricordò il sorriso luminoso di Gilraen il giorno in cui l’aveva conosciuta, quando non era che una ragazza spensierata. Avrebbe desiderato vedere quella luce ancora una volta. Un tocco leggero lo distolse dai suoi pensieri. «Ci prenderemo cura di lei», gli sussurrò Helan stringendogli la mano.

 

Tempo. Raramente Helan si era soffermata a riflettere sull’importanza del tempo, ma la sua esistenza stava cambiando più rapidamente di quanto lei stessa si rendesse conto e con essa anche i suoi pensieri. Ogni mattina al sorgere del sole si recava al Patio delle Lame, sceglieva un’arma di legno tra quelle allineate con ordine sulla rastrelliera e si preparava alla lezione di spada.
Elladan si dimostrò un maestro incalzante e molto esigente. Riteneva non esistessero limiti per il corpo, fintanto che mente e spirito si mantenevano saldi. Per questo li spronava. Perché prima o poi la vita li avrebbe messi di fronte a un ostacolo che avrebbero creduto di non poter affrontare; solo allora avrebbero compreso che l’impossibile può divenire possibile, se si crede in se stessi.
Helan non sapeva se fosse vero. E in fondo forse non desiderava scoprirlo. L’unica certezza era che i lividi sulle sue braccia divenivano sempre più numerosi.
Estel al contrario possedeva un innegabile talento naturale per il combattimento. Imparava in fretta ed era in grado di capire al volo l’avversario che si trovava di fronte, sfruttandone abilmente difetti e debolezze a suo vantaggio. L’elfa lo osservava ammirata. Era solo un bambino, ma sarebbe diventato un guerriero straordinario.
«Imparate da ciò che vi circonda e ricordate che tutto quello che vedete ha qualcosa da insegnare. Siate veloci come il vento e pazienti come la foresta. Devastanti come il fuoco e incrollabili come la montagna. Silenziosi come l’ombra e imprevedibili come il lampo [7]», ripeteva spesso Elladan e in quei momenti il suo sguardo vagava lontano, perso in ricordi di vecchie battaglie.
Quando il sole raggiungeva il punto più alto nel cielo, le spade venivano riposte. Estel riacquistava l’allegra spensieratezza della sua giovane età e correva verso gli alloggi che condivideva con la madre, raccontando a gran voce le sue imprese a chiunque incontrasse. Helan invece si dirigeva verso il recinto di Alagos, fermandosi a cogliere un frutto da dividere con l’amico prima di affrontare la seconda e ultima lezione della giornata.
Elrohir si dimostrò un maestro taciturno e, di nuovo, molto esigente. Le poche parole che diceva erano come frecce, dritte al bersaglio.
«Ho osservato che cavalchi lo stallone a pelo, senza nessun tipo di finimenti», esordì la prima volta che si incontrarono, senza nascondere una lieve nota di rimprovero.
«Non ho mai pensato di averne bisogno» gli rispose cauta Helan, cercando le parole per spiegarsi e dissipare i dubbi del mezzelfo. «Alagos sa sempre in quale direzione desidero andare, a volte persino meglio di me. Tu stesso hai affermato che potrebbe essere un’ottima risorsa. So che è difficile, ma credimi, non costituisce un pericolo per me, né ora né in futuro». “Inoltre dopo che ha distrutto le scuderie nessuno degli stallieri gli si è voluto avvicinare per tentare di sellarlo” pensò, ma decise di non esprimere a voce alta questa considerazione.
Senza una parola, Elrohir tornò ad osservare il cavallo, che trottava pacifico seguendo il percorso della staccionata. Dunque era deciso. Avrebbero cavalcato insieme verso il loro destino, con o senza il suo aiuto. E se quello era il cammino tracciato per Helan, lui non aveva alcun diritto di ostacolarlo. L’unica cosa che poteva fare era insegnarle ciò che sapeva e prepararla ad affrontare il mondo.

 

«Sei lenta», disse Elladan.
Helan sbuffò, spostando una ciocca di capelli che le copriva gli occhi. Era sudata e aveva il fiato corto. Il ciondolo che portava al collo sembrava bruciare al contatto con la sua pelle e l’elfa percepiva una strana sensazione, come se una piccola fiamma ardesse dentro di lei, ogni giorno sempre più grande. Scosse la testa e si concentrò sul combattimento.
«Forse hai passato troppo tempo a raccogliere fiori e piante medicinali», la punzecchiò Elladan.
«Eppure ricordo bene che la mia conoscenza ti è stata utile diverse volte», gli rispose Helan, tentando un colpo laterale che venne immediatamente parato. L’abilità di Elladan era ineguagliabile. Le aveva insegnato a combattere e a difendersi, ma soprattutto le aveva insegnato a cadere e a rialzarsi. «Cadere e rialzarsi», sussurrò l’elfa quasi senza accorgersene.
«Desideri forse che ti conceda un po’ di riposo?», chiese Elladan con tono canzonatorio, cercando di richiamare l’attenzione dell’allieva.
Cadere non era sempre sintomo di debolezza. Helan prese un lungo respiro e calmò i battiti del suo cuore. Vide il mezzelfo caricare un nuovo colpo, mentre si avvicinava a lunghe falcate roteando la spada. Poteva pararlo, ma non sarebbe riuscita a contrattaccare. Era più forte di lei. Ma forse… Con un movimento repentino gli andò incontro, tenendo l’arma di fronte a sé, ma un attimo prima di essere alla sua portata si abbassò, gettandosi in scivolata accanto a lui. Sollevò la spada sulla testa per proteggersi dal fendente, poi lo colpì con forza dietro al ginocchio, sbilanciandolo in avanti. Si alzò rapidamente e ruotando su se stessa portò la lama di legno alla gola di Elladan.
Per un momento ci fu il silenzio più assoluto. Mai prima di allora era riuscita a sorprenderlo. In tre anni di allenamento Elladan non aveva perso un solo incontro. Helan vide passare nel suo sguardo l’orgoglio ferito del grande guerriero, lentamente sostituito dall’orgoglio del maestro di fronte ai progressi dell’allievo. Gli porse una mano per aiutarlo a rialzarsi, sforzandosi di rimanere seria, prima di sciogliersi in un sorriso all’udire gli applausi entusiasti di Estel. Persino Elrohir, che aveva assistito alla lezione seduto sotto il porticato, le rivolse un silenzioso ma sincero cenno di approvazione.
«Ebbene, sembra che tu non abbia più bisogno di noi», borbottò infine Elladan mentre si rimetteva in piedi.
«Avrò sempre bisogno di voi», rispose Helan sfiorando affettuosamente il braccio del mezzelfo.
«Lo sappiamo. Perciò è meglio che tu abbia questa», disse Elrohir facendosi avanti e porgendole una spada avvolta da un drappo purpureo. «Il suo nome è Tirdir [8]. Vigilerà su di te quando noi non potremo farlo».
«Scoprirai tu stessa che è un’arma di una certa utilità. Oltre a te, solo qualcuno che sarebbe disposto a morire per salvare la tua vita potrà estrarla dal fodero. Una caratteristica decisamente non comune. Sospetto che ne possegga altre, ma noi non le conosciamo», le spiegò Elladan.
Helan fece scorrere le dita sul fodero di legno bianco, finemente decorato con un motivo di foglie dorate. Quasi senza respirare sollevò la spada e si accorse che l’impugnatura si adattava perfettamente alla sua presa; spinta dalla curiosità la sguainò, rivelando una lama curva a taglio singolo lunga circa tre spanne. Semplice eppure bellissima. Ed era stata fatta per lei.
«C’è un’iscrizione! Cosa dice?», domandò Estel con voce eccitata. Con i suoi dieci anni arrivava quasi alla spalla di Helan e si sporgeva per cercare di osservare meglio l’arma.
«Tirdir aen estar nín, beriad dan i môr», recitò l’elfa. «Nel linguaggio comune significa “Io sono Tirdir, una protezione contro l’oscurità”».

 

Dall’alto di una terrazza, Mastro Elrond scrutava il Patio delle Lame, celato allo sguardo dei suoi figli. Le stelle che di solito scintillavano nei suoi occhi parevano spente, offuscate dalla tristezza.
«Credi che non sappia che hai lavorato personalmente a quella spada? Dovresti dirle la verità».
Quelle parole erano state pronunciate da una voce che Elrond conosceva bene, eppure fu con riluttanza che il Signore di Imladris si voltò verso lo stregone e diede voce all’unica risposta che il suo cuore poteva accettare: «No».
«Helan merita di sapere. Abbiamo taciuto troppo a lungo», continuò lo stregone.
«È una decisione che abbiamo preso molti anni fa e tutti eravamo d’accordo. Non credere che per me sia stato facile. Vedo la sua forza crescere giorno dopo giorno, conscio di cosa questo significhi. Sì mellon nín, ho guardato nel suo futuro e ho visto dolore e disperazione. Soffrirà molto e potrebbe non resistere. Io l’ho cresciuta come una figlia e farò quanto è in mio potere per proteggerla. Non voglio vederla spezzata. O peggio… Per fortuna abbiamo ancora tempo».
Gandalf fece un profondo sospiro. Mastro Elrond era uno dei suoi più vecchi e cari amici, perciò non lo contraddisse, nonostante sentisse che il tempo era vicino.
«Raccontami di te piuttosto. Ero convinto che fossi ancora con Saruman. L’incontro non ha avuto l’esito che speravi?», chiese il Mezzelfo, grato di poter cambiare argomento.
«Si è rivelato inconcludente e ammetto che inizio a trovare tutta questa situazione assai frustrante. Penso che farò un viaggio. Se riesco a togliermi dalla mente questi problemi, forse riuscirò a venirne a capo. Sì, è deciso. Partirò domattina all’alba», disse lo stregone raddrizzando la sua grigia figura.
«Potrai fare ritorno quando vorrai. Sei sempre il benvenuto nella mia casa», lo salutò Elrond.
«Ti ringrazio, mio Signore. Ma ricorda ciò che ti ho detto riguardo ad Helan. Se è il suo destino non potrai evitarlo. Non puoi tenerla qui per sempre». Detto questo, Gandalf si inchinò e si diresse verso le scale.
«Avrei potuto se non fosse stato per quel cavallo», sussurrò Elrond.
«Potrebbe essere stato un incontro casuale» suggerì Gandalf, alzando le spalle con studiata noncuranza.
«E da quando gli stregoni credono negli incontri casuali?».




 

NOTE:
[1] Saluto Sindarin.
[2] In Sindarin significa È passato molto tempo (letteralmente A long time has passed).
[3] Uno dei cortili interni di Imladris, il nome l’ho scelto pensandolo come un luogo di allenamento.
[4] In Sindarin significa Vi ringrazio di cuore (letteralmente My heart is glad).
[5] Nome elfico di Aragorn, in Sindarin significa Speranza.
[6] Regione occidentale della Terra di Mezzo, compresa tra le Montagne Blu e le Montagne Nebbiose.
[7] Concetto tratto da “L’arte della guerra” di Sun Tzu.
[8] In Sindarin significa Guardiano.

DATE:
2931 T.E. 1 marzo: nascita di Estel.
2933 T.E. : Estel e Gilraen giungono a Imladris. Solo Elrond e i suoi due figli conoscono la loro identità.
2937 T.E. 24 marzo: Helan incontra Alagos durante la tempesta.
2938 T.E. : ritorno di Elladan e Elrohir a Imladris.

   
 
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Il Signore degli Anelli e altri / Vai alla pagina dell'autore: Tielyannawen