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Autore: St Jimmy    11/07/2015    1 recensioni
"Todd intonò qualche parola, una rima qua e là. Stava improvvisando, il marchingegno creativo nella sua testa si stava dando da fare ed io continuai a fissargli la nuca di capelli ramati e ribelli, affascinata. La sua voce era soffice e graffiante al tempo stesso. Come poteva nascere qualcosa di così splendido da qualcuno così sbagliato?".
Una ragazza dai capelli rossi. Il fratello. L'armonia del pianoforte, composta dalle sue dita veloci.
Un amore fraterno spezzato.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il ritorno di Todd


Mentre ripassavo con audaci pennellate blu le onde del mare in tempesta nel mio quadro, udii qualcuno parlare. La voce era attutita e non riuscivo a distinguere le parole. Mi fermai ad ascoltare attentamente e capii che era Todd che parlava nella stanza accanto.
Aveva un tono di voce piuttosto aspro, e sembrava stesse discutendo tra sé e sé, cosa che non mi stupì. Aveva rimesso piede in quella casa da due settimane e le uniche parole uscite dalla sua bocca erano stati insulti coloriti e battute sprezzanti verso chiunque cercasse di avere un contatto con lui.
Ci avevo provato anch’io: mi ci ero messa d’impegno e avevo disegnato un breve fumetto di quattro pagine in cui io e lui eravamo i protagonisti. Sulle prime lo aveva accettato con un bel sorriso. Poi, il giorno seguente, lo trovai tutto stracciato nel cestino della carta, in cucina.
Per l’ennesima volta mio fratello era riuscito a spezzarmi il cuore. Il mio gesto doveva essergli sembrato troppo infantile, ma per farmi avanti non avevo trovato altro modo che disegnare per lui.
Con le parole non ci sapevo fare, così non gli parlai. Non gli chiesi spiegazioni di alcun tipo e non feci altri tentativi per avvicinarlo. Preferii starmene muta e indifferente, come sembravano voler fare tutti quelli che venivano a sapere della difficile situazione di mio fratello, del resto. Persino i miei genitori, i quali, però, tradivano spesso la loro apparente impassibilità: non erano bravi a nascondere le loro emozioni e nemmeno i litigi che, ogni sera, prendevano fuoco oltre la porta dello studio di mamma al piano di sotto.
A quel punto, neanche il fatto che Todd fosse ormai capace di litigare persino con se stesso riusciva a impressionarmi più di tanto.
Ma sentirlo che si sgolava a quel modo m’innervosiva e non mi permetteva di lavorare al meglio, così cercai di distaccarmi dal suo malumore. Ciò di cui avevo bisogno per dipingere era calma piatta, una pace assoluta, come se il tempo si fosse fermato.
Todd gridò qualcosa che non capii, poi la sua voce si spense.
Pace.
Sospirai e ripresi il mio lavoro, senza lasciarmi distrarre più. Ero in ritardo con il quadro, che avevo pensato come regalo di compleanno per mio padre. Sarebbe stato il giorno dopo, ma ero ancora in alto mare (letteralmente, pensai guardando le onde azzurre che avevo appena abbozzato sulla tela). Se avessi accelerato un po' avrei potuto farglielo vedere finito alla festa che mamma voleva organizzare con i parenti e gli amici. Ma dovevo darmi da fare.
D'un tratto, partì la melodia dolce di un pianoforte che pian piano cresceva e riecheggiava in tutta la casa. Todd aveva smesso di parlare da solo e aveva cominciato a suonare. Era come qualcosa di magico. Col suo incantesimo, la musica mi tirò su in piedi e mi spinse a dirigermi verso la stanza di mio fratello.
Non so cosa alimentasse la mia curiosità. Forse volevo semplicemente vederlo suonare, avere una prova visiva che fosse proprio lui a creare quella malinconica armonia. Era da molto tempo che non suonava in quella casa.
Quando mi trovai davanti alla soglia della sua stanza, vidi che la porta era semichiusa e lasciava intravedere le spalle di mio fratello seduto al piano. Todd non si accorse di me e continuò a suonare.
Entrai senza far rumore. Mi lasciai trasportare dalla musica e, con la schiena poggiata alla parete della sua stanza, scivolai fino a sedermi a terra, come se le gambe avessero ceduto al suono perfetto di quelle note.
Todd intonò qualche parola, una rima qua e là. Stava improvvisando, il marchingegno creativo nella sua testa si stava dando da fare ed io continuai a fissargli la nuca di capelli ramati e ribelli, affascinata. La sua voce era soffice e graffiante al tempo stesso. Come poteva nascere qualcosa di così splendido da qualcuno così sbagliato?
Poi, tutto mutò in un batter d'ali. Il suo canto si trasformò in un grido, un grido di terrore e disperazione. Lo stesso ragazzo che fino a un attimo prima stava suonando in pace con se stesso, ora era in preda al panico e gridava sofferente.
Svanito l'incantesimo della melodia, Todd ora schiacciava con forza tasti a caso, creando un'incoerente massa di suoni senza senso. Sembrava aver perso coscienza di sé. Si circondò con le sue stesse braccia e si buttò a terra con un tonfo. Iniziò a piangere e singhiozzare.
Corsi da lui. Aprii in fretta un cassetto dopo l'altro e vi frugai dentro in cerca delle pillole che lo avrebbero calmato, ma non feci in tempo a rovistare nel secondo che lo sentii inveire contro di me. Mi voltai e lui stava già provando ad alzarsi in piedi. Mi fulminò con i suoi occhi sprezzanti.
“Esci subito!” tuonò.
“Devi prendere le medicine, Todd!”
Gli diedi le spalle per continuare a cercare il barattolo, ma quando lo trovai e provai ad aprirlo, Todd mi colpì con violenza il braccio e le pillole si rovesciarono e si sparsero per tutto il pavimento.
Ero senza parole. Il braccio mi pulsava dal dolore. Alzai lo sguardo su di lui, che ora si trovava a pochi centimetri da me, e mi fissava furente attraverso le ciocche di capelli rossicci che gli oscuravano il viso.
“Vattene via! Via!” sbraitò con tutto il fiato che aveva, e iniziò a spintonarmi. Scivolai sulle pillole e finii a terra con un tonfo, sbattendo di nuovo il braccio. Il dolore per la botta mi fece lanciare un grido che irritò Todd, e lo vidi tenersi sofferente la testa tra le mani.
Scappai fuori dalla stanza e mi precipitai giù dalle scale.
Corsi tutto il quartiere senza fermarmi un attimo. La melodia del pianoforte e gli insulti che mio fratello mi aveva scagliato contro rimbombavano in contemporanea nella mia testa e mi esortavano a correre più veloce, ad arrivare più lontano, senza badare a dove mi trovassi, né al braccio che bruciava di dolore. A un certo punto mi sarei guardata intorno e avrei realizzato di trovarmi in un luogo sconosciuto, felice di aver smarrito la strada di casa, lontana da quel folle senza cuore.
Percorsi la via più breve per arrivare in spiaggia, sperando che sentire il rumore delle onde infrangersi sugli scogli potesse rinfrancarmi lo spirito. Aveva funzionato durante i sei mesi in cui Todd era scappato da casa. Mi buttavo, anche solo con l'immaginazione, in quell'acqua blu, spesso mossa da onde furiose come quelle del mio dipinto incompiuto. Solo che, allora, piangevo perché mio fratello stesse bene e si rifacesse vivo.
Volevo che tutto tornasse come prima, quando la mia vita era tranquilla. Quando mio fratello si limitava a gesti di ribellione come fumare di nascosto dai miei genitori, marinare la scuola per andare a fare surf in spiaggia, o tornare la mattina alle 8 di domenica, dopo una gran serata con gli amici. Quando mio fratello ancora sognava di diventare un famoso musicista. Non chiedevo molto, solo pace. Per lui e per me.
Avevamo entrambi bisogno di aiuto. Todd si era disintossicato, ma per quanto ne parlavano i suoi strambi dottori, avremmo potuto perderlo di nuovo. Io, invece, avevo bisogno di capire mio fratello. Qualcuno doveva spiegarmi come potessi concretamente aiutarlo.
Il sole stava per tramontare e il cielo era striato di rosa e arancione. La sabbia fu come un balsamo per la mia angoscia. Mi sfilai le scarpe e le calze per affondarci i piedi, mi distesi sulla fresca sabbia della sera e chiusi gli occhi. Era esattamente quello di cui avevo bisogno. Mi addormentai e sognai di cantare assieme a Todd la sua canzone, seduti allo sgabello del piano, felici.

“Rossa.”
Una voce mi colse alla sprovvista e mi svegliò da quello stato di sollievo che ti regala il sonno; come se la tua barchetta dei sogni stesse navigando indisturbata e d’un tratto s’incagliasse.
Qualcuno mi scosse e finalmente trovai la forza di aprire gli occhi. Inspirai l’odore della sabbia e del mare e mi resi conto di essere ancora sulla spiaggia.
“Rossa” mi chiamò ancora la voce. Solo a una persona permettevo di chiamarmi così. Infatti, quando alzai frastornata lo sguardo, vidi Gabriel in ginocchio di fianco a me. Non era ancora buio, eppure mi sembrava di aver dormito per ore.
“Che ci fai qui?” gli chiesi, con la voce impastata dal sonno.
Ridacchiò. “No, la domanda è: perché stavi dormendo in spiaggia?”
Sorrisi. Mi sfregai gli occhi che si abituarono alla tenue luce del tramonto e ai suoi colori caldi. “Che ne so.”
Si sedette a fianco a me e tirò fuori il pacchetto di sigarette. Ne accese una. “Raccontami.”
Mi conosceva da una vita, Gabe. Sapeva quando qualcosa andava storto e in quel momento, probabilmente, immaginava che fosse colpa di mio fratello.
Gli parlai del mio ultimo scontro con Todd. Lui era l’unica persona a cui raccontavo tutto. Nei momenti in cui accendeva la sigaretta, mi ricordava tanto un vecchio saggio con la pipa che sapeva dare ottimi consigli. “È colpa mia, mi sono avvicinata troppo a lui e si è arrabbiato.” Tesi il braccio che Todd mi aveva colpito e sgranai gli occhi alla vista di un enorme livido poco sotto il gomito.
Gabe si accigliò non appena posò lo sguardo sulla macchia viola. “Ti ha picchiato?”
“No, sono scivolata sulle pillole e sono caduta.”
“E’ una battuta?”
“No” risposi, con voce tremante.
Non indagò più a fondo. Diede un tiro. “Non puoi mentirmi, me ne accorgo subito” disse. Gettò fuori il fumo. Guardò di nuovo il livido. “Tu hai paura di lui e questo lo fa sentire ancora più potente; non fai che alimentare il suo problema e il tuo dolore.”
Aveva perfettamente ragione: avevo davvero tanta paura dell’imprevedibilità di Todd e spegnerla di punto in bianco non sarebbe stato possibile.
Volsi lo sguardo all’orizzonte, dove la distesa infinita di acqua si confondeva con il cielo. L’odore del fumo mischiato a quello del mare m’invadeva le narici.
Non sapevo cosa dire e Gabe non aveva idea di come aiutarmi. Ero in trappola.
L’unico modo per stare meglio era scivolare silenziosamente fuori da quella situazione. Avrei finito il quadro di papà, cercando di evitare di scontrarmi ancora con Todd.
Mi voltai verso il mio amico. Fissava un punto indefinito davanti a sé, con la sigaretta che pendeva tra le labbra e la mano che stringeva la visiera del berretto spostato di lato. “Ti va di vedere il quadro?” dissi.
“È già pronto?”
Scossi la testa. “Manca poco, ma mi serve un posto per finirlo.” Mi alzai. “Non posso finirlo a casa mia, con Todd nell’altra stanza.”
Gabe si alzò in piedi e gettò il mozzicone sulla sabbia. “C’è sempre il garage.” Mi diede una leggera pacca sulla spalla e mi fece la linguaccia, che ricambiai con una smorfia altrettanto buffa.

   
 
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