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Autore: Tomi Dark angel    11/07/2015    10 recensioni
STEREK.
Tratto dalla storia: "-Pronto?-
-Scott…?-
-Sceriffo, che succede? Mi sembra un po’ tardi per chiamare…-
-La... la camera di Stiles è… un bagno di sangue. E lui non… non c’è più. Mio figlio, Scott. Mio figlio…-"
Stiles Stilinski sparisce per tre anni. Per tre anni tutti lo credono morto, per tre anni di lui non si hanno notizie. Quando però riappare, non è più lo stesso. Di lui non resta che una creatura nuova, un incubo talmente orrendo che anche Beacon Hills teme di accogliere.
Genere: Mistero, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Hale, Stiles Stilinski, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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“Il sacrificio d’un demone
Che si vede spezzar le ali per amore
Costringerà in ginocchio lo stesso Dio
Che nella sua purezza
Nulla ha saputo apprendere da un amore
Professato e mai provato.”
 
Derek Hale è sempre stato un tipo mattutino. È abituato a dormire poche ore a notte, ammesso che dorma, e solitamente si avvale di un sonno leggero che lo ha sempre protetto e aiutato nelle situazioni critiche. È come se il suo lupo fosse sempre vigile, vivo, in allerta, e lui lo lascia fare perché è l’unico modo per difendersi e sopravvivere.
Quella mattina però, qualcosa cambia e Derek apre gli occhi su un sole già alto nel cielo, svegliato da un senso di vuoto che lo stordisce più del sonno, risvegliandolo e spaventandolo al contempo: al suo fianco, non c’è nessuno. Solo coperte sfatte, solo un odore piacevole ma decisamente troppo debole per dargli la certezza che Stiles non si sia alzato da molto.
È andato via? L’ha lasciato lì, pentendosi dell’accaduto? Non che abbiano fatto molto, certo: la loro notte, che per Derek è stata la più bella della sua vita, anche se non lo ammetterebbe mai ad alta voce, è trascorsa tra baci e carezze, sussurri e sfregare di pelle contro pelle. Stiles è rimasto con lui, l’ha abbracciato e a sua volta si è fatto stringere, donandogli ad ogni tocco un regalo nuovo di vita e rinascita, di aria pulita e speranza nel domani.
E adesso, quello stesso angelo notturno, non c’è più.
Derek scatta in piedi con un balzo e si guarda intorno, colto dal panico. Si catapulta dall’altra parte della casa senza pensare, ma non c’è niente di cui preoccuparsi: trova Stiles in cucina, con addosso solo i pantaloni della tuta. La coda guizza dappertutto, riordinando oggetti come un’entità a sé stante mentre il demone prepara il caffè, dando le spalle alla porta. È per questo che non si accorge di Derek ed è per questo che il licantropo ha tempo per scorrere lo sguardo sui muscoli della schiena, sulle cicatrici martoriate, sui capelli scompigliati e sulla coda che elegantemente sguscia dappertutto, senza fare danni né graffiare gli oggetti.
Come in un deja-vu, quella scena ricorda a Derek la prima volta che ha visto la coda di Stiles. Allora era tutto diverso, allora non erano… cosa? Cosa sono ora? Derek non lo sa, ma dopotutto gli interessa poco. Tutto ciò che sa è che vorrebbe vedere scene del genere tutti i giorni: svegliarsi la mattina e trovare Stiles in cucina, appoggiarsi allo stipite della porta e guardarlo sgusciare inconsapevole da una stanza all’altra con l’eleganza di un felino, addormentarsi con quel piccolo corpo martoriato e bellissimo stretto tra le braccia. Quella è la vita che Derek vuole, il suo più caro desiderio che almeno adesso osa affacciarsi dal cassetto delle meraviglie rimasto sigillato troppo a lungo nel suo animo.
-Se non ti fossi alzato, ti avrei portato la colazione a letto.- dice Stiles, innescando in Derek un piccolo sorriso. Chissà da quanto sa che è lì, chissà per quanto ha atteso che il suo animo si ambientasse e che gli occhi si abituassero a quella nuova routine. Come al solito, Stiles ha atteso e rispettato i suoi tempi, paziente in ogni istante, quieto come compagno fedele e stranamente silenzioso.
Derek attraversa la cucina, afferra Stiles per la coda e dolcemente lo strattona, attento a non fargli male. Gli circonda i fianchi con le braccia muscolose, aderisce il torace alla sua schiena e in un gesto puramente animalesco strofina il naso contro la sua guancia. Stiles odora di vita, di rinascita. Il suo corpo adesso, emana mille e mille odori diversi. Derek lo sente ridacchiare senza vergogna prima che Stiles accosti un biscotto ancora caldo alle sue labbra. Derek lo afferra senza spezzarlo e subito dopo Stiles addenta l’altro capo, vicinissimo al viso del licantropo, con gli occhi che brillano dorati e la pupilla che si allunga. Automaticamente, anche le iridi di Derek cambiano colore in quel gelido blu zaffiro che Stiles fissa estasiato, senza azzardarsi a spezzare il biscotto che ancora li tiene così vicini, eppure così lontani. La sua coda si avvolge aggraziata intorno ai loro fianchi, legandoli in una stretta inscindibile e quasi impossibile da spezzare. Non si tratta più di qualcosa dovuto all’Inferno, al Paradiso o a tutte quelle stupidaggini lì, no: Derek sente che tra loro, anche se ancora acerbo e fragile più di ali di farfalla, è sbocciato qualcosa di diverso, di naturale e per nulla artefatto, come il respiro di un bambino appena nato o il sorriso di una sposa il giorno delle nozze.
-Dovremmo andare ad allenarci, lo sai?- sorride Stiles, spezzando il biscotto e tornando ad armeggiare ai fornelli. È così strano vederlo sorridere di nuovo, quasi quanto lo è vedere un fiore che sboccia in ritardo. –Siediti, o qui non faremo mai colazione.-
-A me sta bene.- soffia Derek sul suo collo. Gli deposita un piccolo bacio innamorato dietro l’orecchio, struscia il naso contro lo zigomo alto, stuzzica con piccoli sbuffi le sue labbra già schiuse che quasi avidamente inspirano l’aria di Derek.
-Non ci provare!- sbotta Stiles, fingendosi arrabbiato. –Non ci provare, o la prossima volta vai a dormire sul divano.-
-Guarda che il letto sarebbe il mio, ragazzino.-
-Non più: non mi separerai da quell’ammasso di coperte troppo morbidissime, sappilo.-
-Ah, quindi sarebbero le coperte ad interessarti?-
-Cosa ti aspettavi, Sourwolf dei miei stivali?-
Improvvisamente, Derek si irrigidisce. Col viso ancora accostato a quello di Stiles, lo guarda fisso negli occhi, pieno di meraviglia e di una speranza che prepotentemente annienta ogni altra cosa, ogni altra sensazione.
-Che c’è?- si preoccupa il demone, senza tuttavia avere il tempo per rispondere. Derek lo volta di scatto e con l’ausilio di un solo braccio lo solleva, costringendolo a sedersi sul mobiletto. Lascia che Stiles allacci le gambe intorno ai suoi fianchi e si getta sulle sue labbra in un bacio famelico, nel quale trasmette ogni barlume di felicità, ogni sorriso trattenuto che adesso sboccia spontaneo negli occhi di Derek, rasserenandoli come quelli di un bambino. Se possibile, il sapore di Stiles gli appare ancora più dolce e buono delle volte precedenti. Sa di Paradiso, di quella beatitudine che molti cercano e che pochi trovano. È un luogo esotico e bellissimo che Derek esplora a pezzi ogni volta che Stiles gli accarezza la schiena con le mani, ogni volta che la coda gli sfiora le gambe, ogni volta che la lingua del ragazzino gioca con la sua.
Quella è la sua vita, racchiusa nei piccoli gesti e nei giovani occhi dorati di un demone innamorato.
-E questo per cosa era?- sorride Stiles quando si staccano. Derek lo abbraccia con forza, rifiutandosi di separarsi da lui. Ancora fatica a crederci e nemmeno gli sembra vero che Stiles lo abbia chiamato in quel modo, con lo stesso tono di voce che avrebbe usato il suo vecchio io.
-Niente.- risponde lui, scuotendo il capo. Poi torna a guardarlo e gli accarezza una guancia con due dita.
–Hai degli occhi bellissimi.- sorride Stiles.
Derek si accorge di avere ancora le iridi blu, ma va bene. Se piacciono a Stiles, allora vanno bene.
-VOI DUE!!!-
L’urlo è così improvviso che Derek si volta di scatto, lasciando cadere Stiles dal mobiletto con un tonfo sordo. Il demone mugugna addolorato mentre Scott li fissa traumatizzato, indicando prima Derek e poi Stiles, accasciato ai suoi piedi. Alle sue spalle c’è il resto del branco.
Allison e Lydia si danno il cinque, Isaac boccheggia a corto di parole, Valefar tossicchia imbarazzato e Dumah tende una mano aperta verso Peter.
-Sgancia.-
Peter sbuffa. –Vi odio.- sibila mentre schiaffa cinquanta dollari sul palmo di Dumah.
-Voi… noi… oddio.-
Scott balbetta e si copre il volto con le mani, colto dal panico.
-Ehm… dovrei intervenire?- si intromette Stiles, rialzandosi.
-Oh, vedo che hai imparato a muovere la coda. Per cosa l’hai usata, furbacchione?- ammicca Dumah, e Stiles arrossisce mentre Derek si copre gli occhi a sua volta. Scott barcolla, a un passo dallo svenimento.
-Ma… voi due vi odiavate! Vi odiate!-
-Ti sembra odio quello?- interviene Valefar. –Credo allora che all’Inferno abbiano sbagliato più di quanto pensassi…-
-Ma… ma…-
-Amplia il tuo vocabolario.-
-Ma voi…-
-Se sento ancora la parola “ma”, ti ammazzo al posto loro.-
Derek si intromette, cercando di stabilizzare la situazione. –Che ci fate qui?-
Domanda sbagliata. Tutti ammutoliscono improvvisamente e un innaturale silenzio di tomba cala sul loft. Dumah si fa avanti, seguita da Valefar.
-Dobbiamo parlare, pasticcino.- dice lei, fissando Stiles.
-Non da soli.- ringhia Derek, frapponendosi tra loro, ma Stiles gli appoggia una mano sul braccio.
-No, va bene.-
-Non sei costretto.-
-Lo so.-
Stiles sorride tristemente e, sollevandosi in punta di piedi, gli sfiora le labbra con le proprie. La coda accarezza la guancia di Derek mentre il licantropo gli cinge i fianchi con le braccia, rifiutandosi per qualche istante di lasciarlo andare. Separarsi da Stiles fa male e fa paura perché l’ultima volta che Derek lo ha lasciato solo, sono successe delle cose brutte e Stiles si è fatto male.
-Andrà bene.- gli sussurra Stiles sulle labbra prima di allontanarsi. Annuisce in direzione degli altri due demoni e quelli si dirigono nella camera da letto, chiudendosi la porta alle spalle.
Il branco si zittisce di botto, nessuno fiata, e da questo Derek capisce che ognuno sta aguzzando le orecchie.
-Stiles.- esordisce la voce di Valefar, stanca ma decisa. –Dobbiamo sapere qualcosa da te?-
Il letto cigola, come se qualcuno vi si fosse accucciato sopra. Derek scommette che si tratta di Stiles.
-Sì… credo di sì.- risponde lui con voce tremante. Derek deve lottare contro l’istinto di catapultarsi dal suo demone per difenderlo da Dumah e Valefar. Vorrebbe evitargli quella conversazione, la stessa che loro due si sono rifiutati di avere perché troppo dolorosa, troppo pericolosa per il suo ego instabile.
-Io… Alastor è…-
-Morto.- conclude Valefar lentamente. –Me lo ha detto Dumah e sa che tu lo hai saputo prima di tutti.-
Silenzio. Dalla sua parte, Derek vede Lydia chiudere gli occhi e premersi una mano sulla bocca, Scott distogliere lo sguardo, Allison intristirsi. Nessuno di loro lo conosceva e tutti lo hanno sempre visto come un nemico, ma ognuno lo ricorda comunque come il demone che nonostante tutto, l’ultima volta che li ha visti ha scelto di risparmiarsi lo scontro. Non era così cattivo, dopotutto.
-Non è questo che vogliamo sapere, tuttavia.- interviene Dumah, riaccendendo l’interesse del branco.
Derek sente un rumore di tacchi a spillo e un altro cigolio, come se Dumah si fosse sporta sul letto, verso Stiles.
-Cosa abbiamo avvertito stanotte, zuccherino?-
-C… cosa?-
-Ti sto chiedendo cosa hai fatto per fare incazzare tanto Lucifero. Non so perché, ma qualcosa mi dice che la colpa è tua.-
Derek stringe i pugni, maledicendosi per non aver fatto a Stiles le domande che doveva. Ha pensato ingenuamente che non potesse essere accaduto qualcosa di peggiore in quel frangente, ma forse si sbagliava. Stiles ha fatto infuriare Lucifero? Come può un ragazzino essere tanto importante da attirare l’attenzione e le ire del Diavolo in persona?
-Io…-
-Stiles.- interviene Valefar, pericolosamente calmo. –Ti prego, dimmi che non hai…-
La sua voce cala nel vuoto di un silenzio troppo pesante e carico di minacciosa aspettativa. Derek vede le ombre del loft addensarsi e tremare, come se qualcosa le stesse tenendo faticosamente a bada. Quale dei tre demoni sia abbastanza nervoso da fare questo, Derek non sa dirlo.
-Sì.- dice improvvisamente Stiles, e stavolta la sua voce è ferma, implacabile, come se non fosse più lui a parlare. Quella è la voce di un Alpha, la voce di un leader. Derek non ha mai sentito un suono più accattivante e minaccioso allo stesso tempo. –Ho sfidato Lucifero. E Dio.-
Il branco reagisce con stordimento, chi ondeggiando sul posto, chi coprendosi la bocca con le mani per trattenere un grido. Da parte sua, Derek non sa cosa pensare perché Stiles Stilinski, quel piccolo ragazzino iperattivo dal corpo sottile coperto di cicatrici ha appena sfidato le più potenti entità dell’universo.
Lo faranno a pezzi, Derek ne è certo. Per quanto possa essere forte, Stiles è comunque un demone e può morire. Quel pensiero soffoca Derek in una morsa aggressiva che gli svuota i polmoni e gli sottrae energie perché una vita senza Stiles… non avrà niente di diverso dalla morte ad occhi aperti. Derek può proteggerlo dai licantropi, dai kanima, dai mostri e dal mondo intero. Ma da Dio e Satana?
-Non… non puoi averlo… fatto.- boccheggia Valefar.
-Invece sì, Valefar.-
Il cigolio del letto, dei passi. Derek capisce che Stiles si è alzato dal letto.
-La gente continua a morire inutilmente, Valefar. Angeli, demoni, persone comuni. Tutti posti contro la loro stessa volontà su una gigantesca bilancia che puntualmente finisce col farli cadere, uccidendoli. È giustizia, questa? Abbiamo perso un amico, l’ennesimo bravo ragazzo costretto a diventare un assassino contro la sua volontà. Non posso lasciarglielo fare.-
-Ti ammazzeranno, idiota! Non sei abbastanza forte; nessuno lo è!-
-Allora morirò, ma come dico io.- dice Stiles serenamente, come se stesse parlando del tempo. –Non me ne andrò a testa bassa, Valefar. Non ricordo molto di come ero prima, ma… voglio essere diverso. Voglio essere libero, vivo, esente da ogni preoccupazione. Pensate che Lucifero mi lascerà vivere con Derek, come se niente fosse? Alastor è stato soltanto l’inizio, perciò chi di noi sarà il prossimo? Non mi importa di morire, ma non posso permettere che Lucifero metta le mani su Derek e il branco. Lo trascinerò con me all’Inferno, ma non toccherà l’unico motivo della mia felicità. Ho fatto una promessa a me stesso e ad Alastor e intendo mantenerla. Non vi sto chiedendo di aiutarmi, ma almeno lasciatemi andare.-
Silenzio. Il cuore di Derek salta un battito, il resto del branco trattiene il respiro. Una piccola lacrima scivola sul volto di Scott, i cui occhi sbarrati sono ancora fissi sul pavimento. Stiles ha sfidato Dio e Lucifero per loro, per il branco. Intende difenderli fino all’ultimo respiro, lottando senza riserve semplicemente per sapere che alla fine, almeno loro staranno bene.
Derek non si è mai sentito in quel modo. Ogni istante che passa lo porta ad amare Stiles sempre di più, sempre più intensamente. È qualcosa di talmente potente da stordirlo, sovrastandolo con dolcezza infinita e bellissima, la stessa dolcezza che Derek immagina adesso riflessa in quegli occhi dorati.
-Ci stai chiedendo molto, Stiles. Abbiamo fatto tanto per riportarti indietro.- dice Valefar.
-E tanto farete per lasciarmi andare: qualsiasi cosa abbia ammazzato Alastor è ancora in circolazione e va fermata.-
-E vuoi fermarla tu?-
-Sento di poterlo fare. Sento che in nome di Derek potrei fare qualsiasi cosa.-
Derek stringe i denti. Ancora una volta, si sente schiacciato dal peso di quell’affetto dedito e incondizionato che lui sente di non aver mai ricambiato a dovere. Stiles si comporta come se dire e fare quelle cose fosse la cosa più naturale del mondo, ma loro… si sono baciati da poco meno di dodici ore dopo aver trascorso anni interi a battibeccare. Derek merita davvero così tanto?
-Stiles, stiamo parlando di…-
-Di cosa, Dumah? Dimmelo, o dovrò scoprirlo da solo. Le alternative sono due e molto ridotte, perciò dimmi con chi devo prendermela: chi ha ucciso Alastor?-
Silenzio, il battito impazzito di un cuore ansioso e di un demone che non sa cosa rispondere. Derek si stupisce nel constatare che quel cuore non appartiene a Stiles… ma a Dumah. Dumah ha paura. Di Stiles.
-Io…-
-Dumah, o me lo dici, o lo scoprirò comunque nel peggiore dei modi. Anzi, sai cosa? Credo che mi dobbiate delle spiegazioni, tutti e due: conoscete la mia storia, la mia vita, ogni schifosissima risposta alle domande che vi pongo continuamente. Voi pretendete verità pur rifiutandovi di essere sinceri con me e questo non posso accettarlo. So di essere fragile al momento, ma non sono fatto di vetro. Ho bisogno di sapere, di capire. Per me queste ultime settimane sono state come un immenso buco nero dove non potevo fidarmi nemmeno di me stesso perché questo corpo… io non lo riconosco. Mi dovete delle spiegazioni, o non andremo da nessuna parte. Chi sono? Cosa è stato a ridurmi così?-
Derek si irrigidisce, improvvisamente conscio della situazione. Se Stiles venisse a sapere la verità, sarebbe un disastro. Sentirsi dire che è stato proprio Derek Hale a far scattare in lui la molla della follia, sentire che Stiles ha perso i ricordi a causa sua… sarebbe peggio di una pugnalata. Si trasformerebbe definitivamente? Perderebbe quel po’ di lucidità che gli rimane?
Derek non vuole pensare che tutto potrebbe andare in pezzi in questo modo, frantumato dalla sua stessa stupidità. Al solo pensiero che Stiles possa odiarlo il suo lupo interiore si contorce ferito, sofferente, in preda a un’agonia mai provata.
Derek non si accorge di essersi chiuso nel suo mutismo meditabondo per troppo tempo. Si è estraniato dal mondo, non ha fatto attenzione ai discorsi dei tre demoni nella stanza accanto. È solo quando la porta si apre lentamente che il licantropo può rendersi conto dei suoi errori, gli stessi che vede riflessi negli occhi lucidi e sbarrati di Stiles.
-Sei stato tu.- mormora con voce tremante. Nel suo sguardo si specchia un terrore cieco e soffocante talmente instabile che Derek ne ha paura e se ne sente sopraffatto. –Tu mi hai fatto questo.-
Derek non sa cosa rispondere perciò si limita a tendere una mano verso di lui in una muta richiesta di… pietà? Calma? Tempo per spiegare?
Stiles però, manda definitivamente in frantumi ogni cosa. Indietreggia di un passo, sottraendosi al suo tocco ed è quello il momento in cui il mondo di Derek va in pezzi più di quando ha perso i suoi genitori, più di quando è morta Laura. È come se un pezzo d’anima gli fosse stato strappato via dalle carni e fa un male cane.
-Io mi fidavo di te.- sussurra Stiles mentre una lacrima sanguigna gli sgorga dall’occhio. Una lacrima demoniaca, una parte di se stesso che si spacca. –Mi fidavo di te e tu… tu sapevi. Sapevi e mi hai nascosto tutto. Mi hai spezzato e adesso speri di potermi ricostruire per far fronte a un mero senso di colpa. Perché, Derek?-
-Stiles…-
-PERCHÉ?!-
Il ruggito di Stiles è talmente spiazzante che tutti trasalgono. Le ombre si contorcono, le finestre esplodono verso l’esterno e il sole vibra come ferito da una potenza gigantesca e inarrestabile che lascia lo stesso Derek senza parole. Gli occhi di Stiles sono dorati, dalla pupilla verticale… ma adesso la cornea è nera come l’abisso. I denti si modellano lentamente, affilandosi come quelli di un predatore, con canini appuntiti che quasi superano il mento. Il naso si arriccia in un ringhio, altre sanguigne lacrime di frustrazione gli sgorgano dagli occhi.
Mai come in quel momento, Stiles sembra una bestia. Bellissimo e potente, inarrestabile più di qualsiasi supernova, ma anche terribilmente spaventoso. Il suo sguardo ferito e rabbioso non gli appartiene più, non ha nulla degli occhi dolci del ragazzino innamorato che era fino a pochi minuti prima. Quelli sono gli occhi di chi è stanco di lottare, gli occhi di chi si sente tradito da quanto di più importante aveva nella vita.
Derek lo ha tradito.
Derek gli ha mentito per tutto il tempo.
Fa male, un male atroce. Ha subito tanti dolori, tante torture, ma niente brucia come questo. Le voci nella testa di Stiles si affievoliscono perché stavolta ad essere arrabbiato non è il demone, ma Stiles stesso. O almeno, la parte di Stiles che ancora sopravvive, trascinandosi miserabile come miserabile ombra di qualcosa che non tornerà più.
Qualcosa si spezza nei suoi occhi e nel suo animo, una crepa che manda in frantumi tutto il resto semplicemente perché il suo punto fermo, la sua più grande ancora era quella che adesso è venuta a mancare.
-Stiles, non è come pensi.- dice Derek, cercando di avvicinarsi. Fa un passo avanti, ma qualcosa gli sfiora fulmineamente la faccia, aprendogli sulla guancia un taglio sottile ma che brucia come fuoco un istante prima di rimarginarsi.
La coda di Stiles oscilla nervosamente alle sue spalle, due metri di micidiale fil d’acciaio al cui culmine s’aggancia un’arma a tre punte il cui bordo affilato adesso è sporco di sangue, lo stesso sangue che Stiles aveva promesso di proteggere e preservare. Lo stesso sangue che come l’ennesimo peccato mortale gli insozza l’anima e lo sguardo, trascinandolo giù, sempre più giù, verso una natura animale che non gli appartiene.
-Lucifero aveva ragione.- mormora, chinando il capo sconfitto. –Ci sono cose peggiori dell’Inferno.-
Solleva gli occhi un’ultima volta, lo sguardo perso di chi non ha neanche più la forza di chiedere aiuto. Guarda Derek, accusandolo un’ultima volta, chiedendogli silenziosamente perché lo ha fatto, perché gli ha voltato le spalle. La sua ancora, il suo centro, il suo più efficace metodo di guarigione. Il suo unico e sincero amore.
Stiles lo amava. Lo ama. Nonostante tutto, non riesce a odiare davvero quegli occhi di smeraldo, occhi che da soli racchiudono le profondità più oscure di qualsiasi foresta. Eppure, adesso sa. Sa che Michael aveva ragione, sa che per colpa sua l’anima di Derek si sta sporcando. Deve lasciarlo andare, deve intraprendere la sua strada da solo perché quel giovane licantropo è una rosa in fiore che non merita di essere strappata dalle radici. Stiles si è avvicinato una volta di troppo per ammirare quel fiore e le sue spine hanno iniziato a crescere, a soffocarne i petali e il profumo. Per colpa sua.
-Mi dispiace.- sussurra esausto, cadendo in ginocchio. –Mi dispiace…-
Singhiozza forte, il corpo fragile scosso da un dolore che non riesce più a sopportare. Qualcosa si spezza in lui e neanche le mani che gentili scendono a incorniciargli il viso riescono a strapparlo a quell’abisso.
Stiles alza gli occhi, incrocia quelli sofferenti di Derek. Per l’ultima volta annega in quei colori maledetti, per l’ultima volta prega che quel verde adesso così scuro possa infine schiarire e tornare come un tempo. Per l’ultima volta, Stiles si lascia baciare. Un bacio disperato di mani che si aggrappano, lingue che lottano furiosamente, lacrime di demone e lacrime di licantropo che si intrecciano.
Stiles ricorderà per sempre il sapore di Derek. Sa di foresta e menta, di luna e libertà. In quel bacio, Stiles potrebbe viverci. In quel bacio, Stiles abbandona gli ultimi residui di vita che lo rendono umano e felice di esserlo. In quel bacio, Stiles abbandona l’unico uomo che si sia mai concesso di amare davvero, senza riserve e senza barriere.
Quando si separano, Stiles riapre gli occhi e vede che il viso di Derek è umido, bagnato da quelle lacrime pulite che il demone non potrà più versare. Lacrime umane, lacrime salate. Derek piange per lui.
-Non te l’ho mai detto, vero?- mormora Stiles, accarezzandogli il viso con dolcezza innamorata. Sorride appena, l’ultimo gesto di umanità che un condannato si rifiuta di risparmiarsi. –Avevo paura. Paura di perderti, paura che ti accadesse qualcosa. Non te l’ho detto prima per purissima codardia e soltanto adesso mi rendo conto che tutto il tempo perso, tutti gli attimi trascorsi e mai vissuti veramente… non torneranno più. Avremmo potuto vivere davvero, scoprirci molto prima, ridere insieme e capire che alla fine, non siamo poi così diversi. Non te l’ho mai detto, e adesso me ne pento. Perdonami, Derek. Perdonami se ho mantenuto il silenzio tanto a lungo e invece parlo adesso che è troppo tardi.-
Derek lo fissa in attesa, gli occhi ancora lucidi, una mano poggiata sulla sua guancia. Stiles si aggrappa a quel contatto caldo che lo rende ancora umano, ancora vivo. Dio, quanto ama quelle mani. Sempre così tiepide, sempre così belle e gentili nonostante la presenza dei troppi calli dovuti alle numerose battaglie affrontate. Derek, il suo angelo, il suo appiglio più solido. Colui al quale Stiles sente di dover dire qualcosa, qualcosa di importante ma che paradossalmente non sarà mai abbastanza per descrivere il sentimento che prova. Le parole non bastano mai. A volte sono potenti come bombe nucleari, ma altre sono inutili e troppo misere.
Stiles vorrebbe parlare, ma poi ci ripensa. Lascia che gli occhi parlino al posto suo, lascia che le mani vaghino su quel volto, accarezzandogli le guance coi pollici, sfiorando le labbra, le tempie, i capelli. Alla fine, semplicemente lo abbraccia con forza. Si aggrappa a lui, alla sua luce, alla sua anima ancora umana che subito ricambia l’abbraccio come se avesse capito che questo è l’ultimo tocco reciproco che Stiles concederà a entrambi.
-Ti amo.-
E alla fine, due semplici parole sfuggono come acqua limpida dalle labbra di Stiles, ritraendo le zanne, ripulendo i suoi occhi, trasformandolo in quel ragazzino umano che dal primo istante si è infatuato di un licantropo e che col tempo ha invece imparato ad amarlo con tutto se stesso nel silenzio di un animo sincero che ha saputo osservare, aspettare e proteggere i propri cari. Per quanto poco riescano a esprimere quelle semplici parole, Stiles sente che Derek ha capito. Non si aspetta una risposta da lui, non aspetta che Derek reagisca.
Ciò che lo stupisce invece è che Derek intensifica l’abbraccio, affonda il naso contro il suo collo… e singhiozza. Forte, senza curarsi di chi guarda, esternando per la prima volta in pubblico quell’umanità che ha sempre ignorato di possedere. Trema contro il suo corpo, lo stringe come se non volesse mai lasciarlo andare e semplicemente Stiles capisce e sorride serenamente, felice di un amore che non proverà mai più.
Sente il cuore di Derek battere con forza esagerata contro il suo petto e questa per Stiles è la risposta più bella che possa ricevere.
Va bene così.
Quando le ombre abbracciano il corpo di Stiles, Derek quasi non se ne accorge. Ha gli occhi chiusi, le lacrime che dolcemente gli accarezzano le guance e il calore di Stiles sulle mani, sui vestiti, nel cuore stesso. Qualcosa si spezza in lui quando tuttavia quel calore viene a mancare e Stiles sparisce, lasciandolo solo, stordito e con un dolore sordo al petto. Laddove prima batteva forte il cuore, adesso sembra esserci soltanto un enorme buco nero, vuoto e senza vita.
Derek semplicemente urla, e il suo grido è talmente forte da essere udito oltre il cielo, oltre gli abissi della terra, da Dio e Lucifero stessi che mai prima d’ora hanno sentito un lamento tanto straziante.
 
“Dio esiste, ma a volte dorme:
I suoi incubi sono la nostra esistenza
E i suoi sogni la speranza della vita.”
 
Gli incubi rappresentano molto spesso una realtà viva e mai scomparsa, l’ansito di una belva che ti respira sulla spalla, la presenza di un male che ti entra negli occhi e nel cervello come una malattia che poco a poco si espande. Paure intime, sporche, intrise di grida e pianti disperati.
Stiles Stilinski. Ricordi bene come sia fatto il luogo di origine di tutti gli incubi, vero? Puzza di sangue e sudore, di carne bruciata e corpi in decomposizione. È un odore talmente nauseabondo che anche un demone ci mette un po’ ad abituarcisi. Tu non sei diverso da loro, ma sai che dopotutto, quella è casa tua ormai. La tua piccola, enorme casa infernale.
Ti siedi su un masso sporgente e troppo appuntito che subito ti graffia la pelle, incidendola di piccoli marchi sanguinolenti che non si rimarginano. Intorno a te, solo fiamme e pietra, sabbia e carbone. Ti trovi sull’orlo di un dirupo scosceso sul quale crescono alberi bruciati e raggrinziti, dai tronchi neri e i rami gracili. Stillano sangue da ogni crepa, da ogni rametto spezzato, come se un’entità umana abitasse quelle piante.
 
“Come l’altre verrem per nostre spoglie,
Ma non però ch’alcuna sen rivesta,
ché non è giusto aver ciò ch’om si toglie.”
 
Tu sai che è così.
Suicidi. Tanti, troppi, abbastanza da affollare un girone intero. Costretti a giacere in aride foreste e montagne appuntite, intrappolati in piante incapaci di difendersi mentre uccelli dai deformi volti di donna spezzano i rami, graffiano le cortecce, incidono le radici. Puoi sentire i loro lamenti, il puzzo della putrefazione che avvolge ogni ferita mai rimarginata.
Quello è l’Inferno così come lo ha descritto l’unico uomo che, toccato una sola volta da un demone, fu in grado di sognare e raccontare senza impazzire: Dante Alighieri è forse una delle persone più forti mai esistite, una roccia capace di surclassare psicologicamente qualsiasi avversità, qualsiasi macabra visione. Attraversò l’Inferno, lo studiò, lo visitò e non impazzì. Era forte, era umano. Quando è morto, non sai cosa sia stato di lui. Dove è finito? All’Inferno o in Paradiso?
Abbassi lo sguardo sullo strapiombo, dove una forma vagamente umanoide fatta di corteccia bruciacchiata giace impiccata a un ramo troppo fragile per poter reggere ancora a lungo quel peso. Oscilla al vento, macabra e abbandonata come pietosa marionetta. Annoiato, ti domandi quanto ancora durerà quel misero ramo d’albero prima di spezzarsi definitivamente e precipitare il fragile corpo appeso su un letto di pietre appuntite e spuntoni sporchi di sangue. Sarebbe uno spettacolo guardare quegli arti che si spezzano, sarebbe uno spettacolo ridere delle grida e del sangue che stillerà da ogni ferita.
Non sai cosa ci fai lì, non lo ricordi. Sai solo di esserci arrivato spontaneamente, stordito per qualcosa che forse non era tanto importante da essere tenuto a mente. Un problema, una rottura, un litigio. Con qualcuno o con qualcosa. Non è importante.
Quel posto ti piace. Nonostante i lamenti costanti, le urla in lontananza e il puzzo nell’aria, senti che è qui che devi essere, sotto quel cielo nero e senza luce, lontano dai colori accesi e dai bagliori che ti impediscono di vedere. Lì ti senti bene, a casa, come se fossi nato tra quelle rocce.
-Ragazzo…- mormora una voce di donna tanto strascicata e lamentosa che pare impersonare il timbro stesso di un funerale.
Ti volti lentamente, l’espressione incolore, la schiena curva e posi lo sguardo sull’ennesima figura impiccata che giace su un albero a poca distanza da te. La donna è minuta, dalla pelle coperta di corteccia e sangue. Le manca un braccio, ha i polsi tagliati e gli occhi neri privi di cornea e iride. Pare una scultura, ma tu sai che non è così. Come ogni dannato, respira aria mefitica, e ogni ansito brucia i polmoni e li ricostruisce. Una, due, dieci volte. Un circolo vizioso, un percorso sempre uguale che spinge gli uomini a trasformarsi in bestie, un passo dopo l’altro, così come padroni malvagi insegnano al proprio pitbull come massacrare un suo stesso simile se chiuso in gabbia con esso.
-Ti prego…- mugola lei, miserabile. –Non hai alcuna pietà?-
Inclini il capo, per nulla impressionato dai lamenti della donna. La sua voce ti dà fastidio. Tutto ciò che vorresti è strapparle le corde vocali a colpi d’artigli solo per farla tacere e tornare ad assaporare la tua beata quiete.
-Acqua.- mormora lei. –Abbi pietà, forniscimi dell’acqua.-
-Non c’è acqua qui.- rispondi con freddezza, piccato dall’atteggiamento miserabile di lei. Non ha alcuno orgoglio? Che se ne fa di un’esistenza tanto deplorevole? –E anche se ce l’avessi, non te la fornirei.-
-Acqua… abbi pietà.-
-Zitta.-
-Acqua…-
Ma quella donna ti ha stancato. È fastidiosa, fa rumore e puzza. Finanche il ticchettio del suo sangue che cola sulla roccia ti risulta insopportabile, perciò ti alzi con calma, la raggiungi. Sali sull’albero con un balzo e lo fai scricchiolare ferito, il fragile tronco che quasi si piega sotto il tuo peso. Lei geme, implora pietà con maggior vigore ed è allora che ti chiedi se sia realmente stupida oppure no. Deve stare zitta e ancora non lo ha capito. Deve smetterla di respirare la tua aria e invece continua ad ansare. La odi, la odi con tutto te stesso.
-Mi hai stancato.-
Afferri il cappio e tiri, strappandolo dal ramo. Sollevi il corpo senza peso della donna, le cui orbite vuote brillano di oscurità e dolore, le labbra schiuse in un lamento, la testa calva coperta di tagli sanguinolenti. È così fragile, così piccola… la detesti per questo. Odi le cose fragili, le faresti a pezzi una dopo l’altra.
-Sei inutile.- dici, fissandola disgustato. Speri che possa vederti, speri che possa distinguere riflesso nei tuoi occhi la sua stessa miserabilità.
Senza ripensamenti, la lasci andare e lei precipita nel vuoto con un grido strozzato. Il corpo si infrange contro la parete di roccia, rotola insanguinato lungo il bordo frastagliato della montagna finché con uno slancio esagerato non resta impalato su uno spuntone più grande degli altri. È un’immagine macabra, quella del corpo che ancora si dimena, scosso da singulti e convulsioni che continueranno in eterno finché qualcuno non sceglierà di rimuovere quel corpo per farci qualcosa di peggio.
-Stiles.-
Qualcuno avanza con passo felpato, siede al tuo fianco con grazia e con grazia intreccia le mani in grembo. Una creatura alta e magra, avvolta in nere vesti di seta che lasciano scoperte solo le mani totalmente ossee. Non un brano di pelle e muscoli ricopre quelle dita scheletriche, non una stilla di sangue o il guizzare di carne viva. Quelle, sono mani morte. A dispetto di questo però, sotto il cappuccio respira qualcosa, un’entità che di respirare non ne ha affatto bisogno ma tu sai che lo fa per pura inerzia, bisognosa di muoversi, di sentire il suo stesso corpo.
Conosci quella creatura, adesso lo ricordi. È una cara amica, l’unica che abbia mai avuto pietà di te sin dall’inizio, l’unica in grado di ascoltarti e di risponderti ogni volta, seppur spesso con enigmi praticamente incomprensibili. È di buona compagnia, è una creatura pacata e non aggressiva o patetica come la maggior parte delle tue conoscenze.
-Che fine avevi fatto?- chiedi, e la voce ti esce come un ansito dalla bocca, sintomo di un’odiosa debolezza che poco a poco ti si attacca addosso, soffocandoti e sottraendoti energie. È un peso conosciuto, lo stesso che opprimerebbe chiunque sia tanto coraggioso da sedersi a chiacchierare con la creatura che hai accanto.
-Ho molto da fare, figlio mio. Sono vecchia, ma purtroppo non mi sarà mai concessa alcuna vacanza.- esala la creatura con voce flebile, doppia, come se più entità sussurrassero contemporaneamente.
Ti passi una mano sul viso, esausto. Poco a poco i ricordi cominciano a tornare e improvvisamente, grazie alla vicinanza della creatura, sai chi sei e perché sei lì. Per un momento odi l’incappucciata, ma poi pensi che dopotutto, i ricordi non sono mai andati via per davvero. Prima o poi sarebbero tornati comunque, urlanti e violenti come incubi a occhi aperti.
-Perché provi tanta rabbia, figlio mio?-
Sorridi amaramente. –Sai perché. Tu sai sempre tutto.-
L’incappucciata annuisce, facendo oscillare il cappuccio. –Sono vecchia, figlio mio, vecchia più del mondo e di qualsiasi era passata. Io e mia sorella abbiamo visto e accudito in egual maniera molte creature, ma esse continuano a temere me senza sapere che tra le due, io sono quella più caritatevole. Conosco la pietà, conosco l’uguaglianza e, per quanto possa apparire bizzarro, conosco anche mia sorella e so che può essere spietata più di chiunque altro. Si diverte ad anteporre all’uomo prove che non può superare, prove che nemmeno un dio riuscirebbe a vincere. Mia sorella è viziata, crudele, gelida come il ghiaccio stesso. Pensa di conoscere tutto, di essere tutto, pur consapevole che un giorno anche lei dovrà abbandonarsi al mio abbraccio.-
-E alla fine resterai sola.-
Da sotto il cappuccio, la creatura pare sorridere. –Sì, figlio mio, resterò sola. Sola sono nata, e sola rimarrò fino alla fine.-
-Quindi esiste davvero? Una fine, intendo.-
-La parola fine ha tanti significati diversi per ognuno di noi. Di quale fine parli, tu?-
Sorridi a tua volta, tristemente. Hai il viso sporco di sangue essiccato, la pelle arida e il respiro pesante. L’aria lì è rarefatta e sa di sozzura. –Parlo della fine vera, quella… quella che culminerà nel tuo abbraccio. La fine di mia madre, la fine che attende tutti noi.-
Con dolcezza, la creatura allunga una delle sue candide mani d’osso e stringe la tua. È il tocco gelido di una madre gentile, amorevole, che accarezza il figlio mentre questi si addormenta. È così che ci si sente quando si muore?
-Lucifero non mi lascerà in vita.-
-Questa è una faccenda che riguarda solo e soltanto mia sorella, figlio mio. Neanche Lucifero ha il potere di sovrastare le nostre decisioni poiché esse giungono dall’alto di un’entità della quale neanche Dio conosce il nome.-
Stringi forte la mano della creatura, aggrappandoti a quel contatto con tutta la disperazione di cui disponi. Disperazione è tutto ciò che resta, disperazione è tutto ciò che ti è concesso avere.
-Forse sarebbe meglio così.- mormori, esausto. –Lasciarsi andare, venire via con te.-
-Hai ancora diversi compiti da assolvere, figlio mio.-
-E quali? Lasciarsi massacrare da Dio e Lucifero in nome di un amore ingannevole? No, grazie. Come ho già detto, preferisco andarmene a modo mio.-
L’incappucciata ti fissa da sotto il cappuccio, il capo inclinato, la mano ancora stretta alla tua. –Non credi invece che sia ora di scegliere a modo tuo come vivere?-
Guardi il vuoto, stanco come un vecchio che ha vissuto troppo a lungo. –Non sarò anziano come te, ma a volte sento di aver vissuto troppo. Se prima avevo qualcosa capace di tenermi aggrappato alla vita, adesso… adesso non c’è più.-
-E perché non c’è più?-
-Perché mi ha tradito, mentito, voltato le spalle. Non gliene faccio una colpa, sento che potrei perdonargli qualsiasi cosa, ma… ma non voglio continuare così. Derek deve essere libero e al sicuro e con me non sarà né l’uno, né l’altro.-
L’incappucciata sospira. –È dunque questa una delle prove che mia sorella antepone ai suoi figli. A volte non capisco come faccia ad andare avanti con uno strascico tanto lungo di pianti e grida alle spalle. Una semplice lacrima di bambino è in grado di appesantirci, mentre quella di un innamorato sincero e disperato sa trarre in ginocchio tutti noi, Dio e Lucifero compresi.-
Non ci credi. Non ritieni possibile che qualcosa di così piccolo possa piegare la creatura che hai accanto poiché, nella sua pacata dolcezza, essa è l’autorità massima dell’universo, oltre Dio e Lucifero, oltre l’uomo e le sue creature sovrannaturali.
-Hai intenzione di prendermi in giro ancora per molto?- sorridi stancamente.
-Non mi credi?- dice dolcemente la creatura. –Figlio mio, hai idea del potere che detieni? Io e mia sorella possiamo insegnare al mondo molte cose, cose che nessuno sano di mente vorrebbe imparare, mentre tu... tu, il mondo sei capace di piegarlo con la sola forza dello sguardo. L’innocenza è quanto di più intoccabile esista nell’universo e se c’è una cosa che accomuna me e mia sorella a Dio e Lucifero, è la totale mancanza di essa. In nome di un mortale sei riuscito a restare in piedi, in nome di un mortale hai sconfitto tutti noi e ci hai costretti a retrocedere.-
-C… cosa?- balbetti, stupito.
-Figlio mio, svegliati. Si dice che mia sorella nasca per aprir gli occhi ai ciechi quando è necessario, ma in realtà è nella pura e semplice morte che si impara a guardare davvero.-
La creatura solleva l’altra mano, gli accarezza lo zigomo con un'unica falange ossea. Mani spaventose, mani scheletriche che, nonostante tutto, sanno ancora accarezzare.
-Non lasciare che il mondo uccida la tua innocenza, figlio mio: essa è la tua più grande arma, il tuo scudo che costantemente saprà difenderti da Dio e Lucifero, da me e mia sorella. Non lottare per la vita, ma per la giustizia, così come hai promesso di fare davanti al cadavere di un giovane innocente. Non essere schiavo di nessuno di noi ma rivolgiti a quell’amore che ha saputo condurti lontano e tenerti in vita. Combatti, ma sii nel giusto. Rialzati, ma non pretendere di poter proseguire da solo. Lotta, consapevole che quando chiamerai a raccolta i tuoi alleati, essi risponderanno più numerosi di quanto immagini.-
Quando una lacrima ti attraversa il viso, calda e sporca di sangue, ti accorgi di star piangendo.
-Posso provarci davvero?-
-Tu vuoi provarci, figlio mio?-
-Non ne sono sicuro. Non penso di poter… battere Dio e Lucifero. Sfidandoli, ho fatto il passo più lungo della gamba.-
Il cappuccio freme, segno che la creatura sta sorridendo. –Davvero?-
-Sì, davvero!- ti spazientisci. –Non dovevo ribellarmi. Sono troppo forti, sono le autorità massime dell’universo.-
-Non esattamente.-
-Lo so, lo so. Le autorità massime siete tu e tua sorella.-
-Non esattamente.-
Ti affondi le mani nei capelli, allucinato. Non ne puoi più dei sotterfugi dell’incappucciata. Le vuoi bene, è una tua cara amica, ma a volta sa stressarti davvero.
-Io e mia sorella non siamo autorità più di quanto non lo siano Dio e Lucifero. Essere immortali ci rende volubili, figlio mio. Nonostante le nostre stesse esistenze rientrino nel sempiterno circolo di vita e morte, noi non sapremo mai davvero cosa siano l’una o l’altra. Non siamo nati, non moriamo, eppure professiamo vita e la sottraiamo. Tu hai qualcosa in più, figlio mio: tu sai. Sei nato, hai vissuto, sei morto e sei tornato indietro per raccontarlo. Sia tua adesso la scelta di andare avanti o di tornare indietro, ma sappi che mia sorella sa essere tanto crudele quanto gentile: al traguardo finale potresti trovare una delusione, oppure un grandissimo premio. Corri il rischio di sfidarla, oppure vieni via con me e trascorri l’eternità a domandarti cosa avresti trovato alla fine se solo avessi scelto di proseguire.-
Interdetto, fissi la creatura. –Mi… mi stai dicendo di tornare indietro?-
-Io? Non sto dicendo proprio niente, figlio mio. Non mi è concesso aiutare i mortali.-
Da sotto il cappuccio però, la creatura ridacchia di un suono gutturale, raschiante, come se avesse la tosse. Tu la conosci da tre anni, quindi sai che quello è un suono divertito, per quanto sconcertante e forse spaventoso.
Poi, capisci: ti sta aiutando. L’incappucciata vuole spingerti a rivoltare Inferno e Paradiso come un guanto, lottando per quell’amore che credi di aver perso. Per Derek. Il tuo Derek.
Chiudi gli occhi, cercando di ricordare quel po’ di lui che l’Inferno non ti ha sottratto, ma ormai è come guardare un’immagine sfuocata, qualcosa che non riesci ad afferrare e continuamente ti sfugge. Di che colore erano i suoi occhi? E i suoi capelli? La pelle era chiara o scura? Non ricordi nemmeno la sua voce.
-Non so per cosa combatterei, amica mia. Io… credo di averlo dimenticato. E questa cosa l’ho scelta io.-
-Capisco.-
L’incappucciata ti lascia la mano, si alza in piedi.
-Non ti consiglierò di combattere, figlio mio, ma ricorda una cosa: mia sorella è potente, ma anche ignorante. Non ha mai compreso la reale natura dei suoi stessi figli e mai le è interessato provarci. Dà per scontato tante cose, e tante cose scontate non sono. L’uomo riesce ancora a sorprendermi perché, nella mia altrettanta ignoranza, riesco tuttavia a riconoscere la debolezza della mia capacità di comprendonio di sentimenti che non ho mai provato ma che sono costretta ad osservare e basta. L’umanità è un bene maledetto, che tuttavia sa dimostrarsi positivo quando anche un solo individuo sceglie di suo libero arbitrio che forse, non è troppo tardi per cambiare le cose. Questi, figlio mio, sono casi nei quali mia sorella non può nulla semplicemente perché innanzi alla potenza dei sentimenti, sia io che lei siamo disarmate.-
Lentamente ti volta le spalle e sparisce nell’oscurità, senza proferir parola, senza salutare. Ha sempre fatto così e a te va bene, ci sei abituato. Qualcun altro si comportava allo stesso modo, ma non lo ricordi.
-Guarda chi si vede.-
Il ringhio che ti giunge alle orecchie non ti spaventa affatto. Lo riconosci e forse un tempo ne avevi paura, ma adesso sei così stanco e interiormente anziano che nemmeno Lucifero in persona ti inquieta più.
Il puzzo di sangue e carne putrefatta aumenta con l’avvicinarsi del nuovo arrivato, i cui zoccoli caprini urtano il suolo con un insolito rumore metallico.
-Abbadon, non  dovresti essere nella città di Dite?-
La creatura alle tue spalle ridacchia roca, un suono gracchiante e strascicato che, al contrario della bassa risata dell’incappucciata, appare più inquietante che mai. L’aria rarefatta intorno a te vibra di potere, si contorce, ti avvelena i polmoni come acido.
-Sono stato mandato qui per te.-
 
Derek Hale ha sempre pensato che il dolore emotivo sia un incentivo, l’ennesimo scudo da assorbire e usare contro il mondo quando tutto crolla e ogni cosa si rivolta per il verso sbagliato. Fa male, ma quantomeno fortifica e non uccide. Non sempre. Non ancora.
Errore.
Derek non avrebbe mai pensato che potesse fare così male. Di dolore fisico e psicologico, lui se ne intende. È stato male quando hanno massacrato la sua famiglia, è stato male quando ha perso sua sorella e lo hanno accusato del delitto. Di momenti come questi, ne ha vissuti a migliaia. Eppure, niente è anche solo lontanamente paragonabile al dolore che prova adesso.
Qualcosa si è spezzato in lui con tanta forza che ormai Derek non ha più l’energia per piangere o ribellarsi. Si sente spaccato, come uno specchio mandato in frantumi da una martellata troppo violenta.
Arriva prima o poi un momento in cui non si ha neanche più la forza per piangere.
Arriva prima o poi un momento in cui il nostro stesso essere si spacca, annientato da qualcosa che non può essere sconfitto.
Derek sa adesso cosa significhi soffrire per davvero e in confronto a questo, qualsiasi altro dolore pare insulso e privo di significato. Gli manca l’aria, ogni battito cardiaco è un’agonia al punto che Derek prega interiormente che il cuore si fermi una volta per tutte perché ormai quell’arto non gli serve più.
A cosa serve un cuore frantumato?
A cosa serve un respiro affannoso, inutile, che riempie la gabbia toracica per pura abitudine?
A cosa servono gli occhi quando tutto ciò che vedono è privo di colori e significato?
Derek affila lo sguardo, fisso sul panorama oltre la finestra del loft. Non si muove da lì da due giorni e da due giorni non dorme, non mangia e a stento beve.
Il resto del branco gli fa visita di continuo, con discrezione, e Derek non li caccia mai. Lascia che parlino, ignora il cibo che gli portano e i consigli che gli propinano. Finanche Valefar e Dumah si fanno vivi, di tanto in tanto, ma Derek ignora anche loro.
Le ore scorrono, la vita continua, ma per Derek ogni cosa si è cristallizzata lì, in quel bacio che sapeva di addio, di perdono, di paura. Stiles non è riuscito a odiarlo nonostante tutto, e questo fa più male di qualsiasi altra cosa. Nel loro ultimo bacio, Derek ha capito che niente si sarebbe aggiustato e che Stiles sarebbe andato per la sua strada. Per questo si rifiuta di cercarlo, nonostante le continue richieste del branco, per questo sceglie di aspettare e basta perché questo lui sa farlo bene. Derek vuole morire lì, in attesa di quella parte di lui che non tornerà mai più indietro. Va bene, è giusto. Il pensiero della morte è l’unica cosa che lo fa sentire meglio perché sa che forse allora andrà all’Inferno e potrà rivedere Stiles, il suo Stiles.
Quel ragazzo dal sorriso colorato, capace di illuminare anche l’oscurità più profonda.
Quel ragazzo che con la sua umana dolcezza ha saputo guardare oltre le apparenze di un burbero licantropo, laddove il suo vero animo ancora respirava.
Quel ragazzo che con un semplice tocco ha saputo riportarlo in vita come araba fenice che rinasce dalle ceneri.
Senza Stiles, Derek si sente in procinto di incenerirsi di nuovo in quel processo invertito che lo manda in pezzi, gli stessi pezzi che Stiles aveva riassemblato con calma e pazienza.
-Adesso basta!-
Qualcosa lo afferra con violenza, strattonandolo. Derek si lascia voltare, non reagisce quando incontra gli occhi rossi di Scott e il suo sguardo disperato, lucido di troppe lacrime versate. Alle sue spalle c’è tutto il branco, un accozzaglia di gente che Derek a stento riconosce perché troppo stordito e stanco per ragionare razionalmente.
Nessuno di loro ha gli occhi dorati. Nessuno di loro sorride come un bambino. Non sono importanti, allora.
-Devi reagire, Derek! Fa male a tutti, e tutti stiamo soffrendo da morire, ma se non ci muoviamo adesso non andremo da nessuna parte! Non ti sei mai fermato davanti a niente e tu stesso ci hai insegnato che rialzarsi ogni volta è importante per sopravvivere! Stiles non vorrebbe vederti così!-
All’udire il nome di Stiles, Derek solleva gli occhi e lo guarda con un macabro barlume di interesse.
-Reagisci, dannazione!-
Derek socchiude gli occhi, stanco.
-DEREK!!!-
Chi è quel ragazzo? Perché ce l’ha con lui? Derek pensa che per convincerlo, Scott dovrebbe avere caldi occhi dorati e la pelle coperta di nei.
Sta per voltarsi nuovamente verso la finestra quando qualcosa oltrepassa Scott di corsa, prendendo lo slancio e affibbiandogli un violento cazzotto sulla guancia. Il colpo non fa male, ma è talmente ben assestato che lo sbilancia contro il davanzale e gli fa schizzare la testa di lato. Qualcosa di freddo e duro è entrato in contatto con la sua pelle, facendo più male del previsto. Nonostante tutto però, quel leggero dolore non è niente in confronto a quello che opprime il petto di Derek, spingendolo a sollevare gli occhi senza tuttavia reagire veramente.
-Che diamine fai?!- esplode Scott, fissando una Lydia ansimante armata di tirapugni che adesso sta ferma laddove un attimo prima c’era Derek. Alle sue spalle, il branco la fissa sbigottito e spaventato, in attesa della reazione di Derek. Tutti, tranne Dumah e Valefar.
-Che donna, ragazzi.- commenta il demone.
-Ecco perché l’ho morsa.- afferma Peter.
-Ahia. Fa davvero così male tirare un cazzotto?-
Lydia indietreggia di un passo, scuotendo energicamente la mano. Alle sue spalle, Valefar ridacchia.
-La adoro.-
Lydia sorride inconsciamente a quel commento, ma poi torna a concentrarsi su Derek.
-Da dove lo hai preso un tirapugni?!- esclama Isaac, sconvolto.
-Mea culpa.- si intromette Dumah.
-Ah, ragazza pericolosa…- sorride Peter.
Lydia li ignora, tutti quanti. Adesso i suoi occhi e i suoi pensieri sono tutti per il licantropo che lentamente si alza senza neanche massaggiarsi la guancia sfondata che troppo velocemente sta guarendo. Lydia è pronta a colpirlo di nuovo, più e più volte pur di farlo reagire. È pronta a spaccarsi le nocche, a spezzarsi entrambi i polsi, a prenderlo a calci finché delle sue stesse gambe non resterà niente.
Tutto questo, perché Derek è l’unico in grado di ritrovare Stiles, l’unico capace di aggiustare tutto. Nonostante i trascorsi passati, Derek fa parte del branco e Lydia il branco lo protegge perché dopotutto, è la sua famiglia. La sua vera famiglia, per la quale ha lottato duramente e sacrificato ogni cosa.
-Stiles è mio amico.- sibila, fissando lo sguardo in quello vuoto di Derek. Le tremano le labbra, la voce, le mani. Ha paura di perdere tutto, teme che la sua famiglia si sgretoli di nuovo. –L’ho perso tre anni fa e per tre anni non ho smesso di cercarlo. Se fosse ancora disperso, lo cercherei ancora, fino ad esaurire le energie perché lui… è Stiles. Glielo devo, glielo dobbiamo tutti. Specialmente tu, Derek Hale. Quel ragazzo ti ha amato dal primo momento che ti ha visto e tu sei stato così… coglione da non accorgertene. Ti ha ceduto tutto, anche la sua stessa vita e tu continuavi a guardare dalla parte sbagliata. Credo però che sia ora di posare gli occhi sulla via esatta, quella che hai sempre percepito ma che hai sempre scelto di ignorare.-
Un singhiozzo sfugge dalle sue labbra e Lydia stringe forte gli occhi.
-Ti prego, Derek. Non tradirlo anche tu. Non lasciarlo andare. Se lo ami anche solo la metà di quanto ti abbia amato lui… ti prego. Provaci. Proviamoci insieme, come il branco che siamo.-
-Per Stiles.-
Scott avanza di un passo, affianca Lydia. Nei suoi occhi, si riflette il sole morente del tramonto.
 -Per Stiles.- ripete Isaac, avanzando per raggiungere il suo Alpha. Lo seguono a ruota Allison, Valefar, Dumah e  con una certa riluttanza, anche Peter.
Si appellano adesso a quella parte importante del branco che, nella sua umana debolezza, ha saputo dimostrarsi più forte di tutti loro. Sono pronti a lottare, lo giurano davanti a Dio e a Satana, davanti al sole e alla luna, davanti alla morte e alla vita.
-Devi crederci, dolcezza.- sorride Dumah. –Lui in te ci credeva, e il miracolo è accaduto. Prova a fare lo stesso, per questa volta. Provaci, e vinci la tua battaglia più grande.-
Derek li fissa uno alla volta, lo sguardo che poco a poco si schiarisce assorbendo il verde degli occhi di Lydia e Dumah, quello azzurro di Peter, Isaac e Valefar, quello scuro di Allison e Scott. Parti integranti di un insieme, occhi che nonostante gli orrori sporchi ai quali hanno assistito, hanno saputo restare chiari e puliti.
-Proviamoci, amico.- sussurra Scott. –Aiutami a trovare mio fratello e aiutati a trovare quell’amore che ti ha reso ciò che sei sempre stato negli ultimi anni.-
Derek sbatte le palpebre.
-Rialzati.- sorride Allison, dolce come un angelo, fiera come un demone. Al suo fianco, il resto del branco respira, vive, stringe i pugni con rabbia al pensiero di quel troppo che è stato sottratto loro. Non hanno mai avuto modo di reagire prima, ma adesso qualcosa è cambiato perché ancora una volta, Stiles è riuscito a riunirli, a renderli umani e vivi nonostante gli orrori trascorsi.
Derek chiude gli occhi, ripensa al tocco gentile di Stiles, al suo sorriso, al suo sguardo che da solo era capace di far sbocciare la speranza anche nel più disperato degli uomini. Lui non credeva nella vita, lui era la vita. E forse, può esserlo ancora.
Lentamente, il peso che opprime il petto di Derek si alleggerisce. Vuole crederci. Vuole fare qualcosa di buono, almeno per una volta. Vuole dimostrare a Stiles che grazie a lui ha capito che ogni cosa è possibile se solo si crede nelle proprie forze.
-Sì.- mormora alla fine, e quella parola appare più potente di qualsiasi altra cosa, più distruttiva di un uragano, più decisiva della condanna irrevocabile di un incorruttibile giudice.
-E non sarai solo, figlio mio.-
Tutti si voltano di scatto verso la porta, il branco si spalanca istintivamente in due ali perfette che lasciano finalmente intravedere una figura ammantata di nero col cappuccio calato sul capo. Avanza dolcemente, senza sfiorare nessuno, con le vesti che danzano come acqua intorno al corpo magro e allampanato.
Qualcosa si muove nell’aria intorno alla figura, un’aura di potere che ammanta gentilmente la stanza, spingendo i presenti a restare immobili, troppo prostrati per reagire.
-Non ci posso credere…- mormora Dumah prima di cadere in ginocchio, subito imitata da Valefar. Entrambi chinano il capo, entrambi sottomettono alla nuova arrivata finanche la loro stessa dignità.
L’incappucciata raggiunge Derek, lo fissa da sotto il cappuccio di oscurità. Derek non avverte alcun battito cardiaco in quel petto, nessun odore che confermi l’effettiva esistenza di quella creatura. Eppure, non riesce ad avere paura di lei, né questo lo mette in allarme. È strano.
-Figlio mio. La battaglia che pretendi di affrontare è molto più grande di quanto immagini. Potresti non uscirne vivo e molto presto rischierai d’essere il prossimo innocente che mia sorella ripudierà come la più snaturata delle madri.-
-Sono pronto a correre il rischio.-
-Lo siamo tutti.- si intromette Scott, fiero ma rispettoso. L’incappucciata non lo guarda, ma annuisce.
-Ne sono consapevole. Tuttavia, questa battaglia riguarderà strettamente te, Derek Hale. Ti sarà chiesto di rinunciare ad ogni cosa, finanche alla tua stessa vita e assisterai ad eventi che potrebbero condurti sul baratro della follia. È un grosso rischio.-
-Se così dovrà essere, andrà bene. L’unica cosa che chiedo è di rivederlo un’ultima volta, fosse anche solo per tirargli il collo e rinfacciargli quanto è stupidamente imbecille, testardo e fuori di testa.-
Da sotto il cappuccio, la creatura pare sorridere. Derek non sa perché pensa questo, ma in qualche modo riesce a percepire le sue espressioni, come un sorriso o uno sguardo particolarmente emotivo.
-Non mi è concesso aiutare i vivi, figlio mio. Mi dispiace.-
-Non importa.-
La creatura lo oltrepassa, sfiorandolo con le nere vesti fluttuanti. –Non posso liberare i defunti dalle mie stesse catene. È proibito e rema contro ogni mio principio personale.-
-Non importa nemmeno questo. Troverò il mo…-
-Tuttavia.- lo interrompe l’incappucciata senza voltarsi. –Ogni tanto riesco ad essere davvero sbadata, come lo sarei se di tanto in tanto evitassi di accorgermi che i defunti mi vengono sottratti o se vi dicessi che il ragazzo demone è stato portato adesso nel girone più basso dell’Inferno.-
Alle spalle di Derek, Dumah e Valefar trattengono il fiato, gli occhi sbarrati e i corpi in tensione. Derek avverte un forte odore di stupore emanare da loro, tanto potente da stordirlo per qualche istante.
L’incappucciata li sta… aiutando? Perché?
-Entrare all’Inferno è quasi impossibile, specie per dei traditori.- continua l’incappucciata, che ormai ha raggiunto il davanzale e fissa l’esterno, laddove il sole muore e il cielo comincia a tingersi del nero della notte. –Eppure, non tutte le strade sono precluse. Alcune si basano sulla via dei segreti, dei ricordi e di ciò che soltanto l’amore fraterno sa dettare. Tu, che per tali motivi hai mosso i tuoi passi, sai di cosa parlo.-
Detto questo e senza guardare nessuno in viso, la creatura sparisce, avviluppata dalle stesse ombre che compongono il suo mantello. Alle sue spalle resta il silenzio attonito dei presenti e del mondo intero che assiste per la prima volta a un cambiamento di regole, uno squilibrio nella bilancia universale che giudica vita e morte.
Da parte sua, Derek capisce che c’è davvero speranza e, alzando gli occhi al cielo, può finalmente pensare di essere a un passo dal riabbracciare Stiles.
Alla fine, dopo quelle che sembrano ere di oscurità, un barlume di luce guizza dal cielo e Derek finalmente sorride.
 
Abbadon: Nell’Apocalisse, Abaddon (di cui viene fornito anche il nome in greco, Apollyon), è descritto come "angelo dell'abisso" e re di un'armata di locuste, le quali tormentano atrocemente per cinque mesi tutti coloro che non portano il "sigillo di Dio" sulla fronte. Spesso e volentieri, a tale nome è associato un luogo di distruzione o il regno dei morti. Rientra nella gerarchia demoniaca dell’Inferno.
 
 Angolo dell’autrice:
Sì, sono due capitoli. E sì, sto sudando freddo a furia di correggere, scrivere e pubblicare in tempo. Considerato che non vorrei sforare nelle vacanze estive, farò il possibile per velocizzare gli aggiornamenti! Tra poco ho un altro esame, ma ce la pooosso fare! (Seh, seh… non è vero, morirò prima) Dunque, ci tengo a rispondere a una domanda che molti di voi mi hanno posto: quanti sono i capitoli? Dovrebbero essere in tutto trentanove circa, ma cercherò di accorparli a coppie per far sì che il proseguimento della storia non sfori nelle benedette vacanze estive. Ci tengo ad annunciare tuttavia che sì, ho un’altra storia simile e ugualmente Sterek in cantiere e no, per vostro sommo rammarico non vi libererete tanto facilmente da un guaio come me! Comunque, passiamo ai ringraziamenti dei miei splendidi demonietti recensori, coloro senza i quali la storia non esisterebbe, né continuerebbe. Grazie di cuore a voi, che mi aiutate a credere in me stessa, a voi che mi spingete a scrivere ancora, a voi ai quali dedico ogni mio sforzo, per quanto poco possa essere! Grazie.
Stardustbrising
Elenuar Black
Justin_Onedirection_Smile
Giada_ASR
_Sara92_
Barbara78

 
Anticipazioni:
“-Lo faresti davvero? Affrontare l’Inferno per un ragazzino?-
-Stiles ci serve. Conosco la situazione e odio dover sottostare agli ordini di Dio e Lucifero. Se quel moccioso è l’unico in grado di tenergli testa, allora lo tirerò fuori di lì e lo costringerò a combattere.-
Dumah continua a fissare davanti a sé, lo sguardo offuscato da ricordi che non avrebbe mai pensato potessero appartenerle. Affila lo sguardo, sospira. Poi, alla fine, prende la sua decisione.
L’incappucciata aveva ragione: c’è una strada, ma è pericolosa. Qualcuno la conosce, qualcuno che per aprire quella stessa via ha scelto di appellarsi ai ricordi, ai segreti e a un amore sconfinato che non pensava di conoscere. Ogni cosa è iniziata da lì, dopotutto.
-Chiama gli altri.- sussurra debolmente Dumah. –Abbiamo una pista da seguire.-“

 
Tomi Dark Angel
 
 
  
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