La
zuppa
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Il
dolore esplose intenso e caldo nell’addome magro.
Era la prima volta che Neil provava un dolore fisico così forte, e lo
tossì via, graffiante in gola, quasi in conati, più che tosse,
sull’acciottolato del cortile di casa McToupe.
Crowan, il maggiore dei tre figli McToupe,
gli assestò un altro calcio, forte quanto il primo, nel basso ventre, prima di sollevare
l’elfo per i capelli biondicci.
«E così hai di nuovo dimenticato di dar da mangiare ai cani!» Ll suo alito puzzava di alcool così come la mano, che tappava
la bocca all’elfo, puzzava del sesso di qualche prostituta della Perla.
L’accusa era ingiusta perché Neil aveva dato da mangiare ai cani, per
ben tre volte quel giorno. Ma non aveva importanza; i fratelli McToupe erano ubriachi, non ancora abbastanza stanchi da dormire
e in cerca dell’ultimo divertimento della giornata: pestare il piccolo elfo
rachitico.
Mentre Crowan lo teneva fermo, a Neil non restò
che spalancare gli occhi azzurri sopra il naso tumefatto e gonfio alla vista
del coltello cacciato da Carter, il secondo fratello.
«Che te ne fai di orecchie così lunghe, elfo?», disse quest’ultimo
sguaiatamente.
«Già, tagliale via, così la smette di sentire le stronzate che dice!» Crowan gli urlò l’ultima parola nei timpani che sapeva così
sensibili. Nei più bui antri della sua mente invidiava gli elfi per lo loro doti
e inveiva contro il creatore per aver sperperato doni simili su esseri così
insulsi. Per mendicare non c’è bisogno di una vista acuta, né di un udito
sottile.
Una lanterna si accostò alla finestra del secondo piano dell’abitazione, per poi
risparire dietro una coltre d’indifferenza. Forse la signora McToupe svegliata dal baccano, oppure un altro domestico.
«O magari sarebbe meglio cavarti gli occhi?» Riprese Carter,
accarezzandogli la guancia scarna con la punta della lama. Anche il suo alito
sapeva di alcool.
«Se gli cavi gli occhi diventerebbe, fratello, inutile e non mi va di sprecare
i soldi per comprare un altro servo».
«È vero, siete sempre più costosi, voi schifosi porci mangia pane!» intanto
s’inginocchiava, barcollando, per meglio tagliargli quelle inutili orecchie a
punta. Crowan invece abbassava la mano dalla bocca di Neil per
reggergli la testa dal mento.
L’elfo iniziò a respirare convulsamente, l’addome dolorante si gonfiava e
sgonfiava con terribili fitte sui fianchi (probabile ci fosse qualche costola
rotta). Voleva urlare, ma le dita dell’uomo gli premevano le guance ad
accartocciargli la bocca.
Sentì la lama fredda del coltello e la pelle dell’orecchio staccarsi al suo
passaggio tagliente, come una pergamena strappata.
Le risa dei due fratelli parevano lontane, quasi Neil non fosse più
lì con loro, nel cortile. E davvero non era più suo quel pezzo di orecchio
coperto di sangue, che adesso, illuminato di luna, splendeva a terra?
Molto velocemente gli fu tagliato anche l’altro e poi, finalmente, l'elfo fu lasciato
cadere sull’acciottolato, privo di conoscenza, come un sacco vuoto.
I due McToupe gli pisciarono addosso e, soddisfatti della
bravata, se ne andarono a dormire il sonno del giusto.
A questo punto sarebbe opportuno dire che quella dei McToupe
era una famiglia di mercanti ma che mancava di quell’arguzia tipica della categoria.
Così era costretta a guadagnarsi il mercato con altri sotterfugi, come mettere
fuori gioco gli empori altrui. Per far questo, si servivano dell’agile Neil.
Il quale, istruito a dovere, doveva intrufolarsi nei suddetti empori e
rovesciare il vino, o avvelenare le forme di formaggio (così che nessuno,
reduce dalle più terribili coliche, si sarebbe azzardato a comprarle una
seconda volta) o altre cosucce che, se scoperte, avrebbero di certo mandato alla
forca il colpevole.
Neil in quel caso. Il quale erano sicuri non avrebbe parlato, perché
troppo terrorizzato all’idea di dover subire una vendetta, se solo avesse osato
tradire i suoi mandanti. E di certo il suddetto non avrebbe voluto perdere
anche la lingua.
Ma poi, chi darebbe peso alle accuse di elfo?
Era ancora molto giovane ed era cresciuto nella convinzione che non
esistessero altre realtà che quella in cui viveva. Altri umani lo avrebbero
trattato allo stesso identico modo.
Tra la forca e la schiavitù, la seconda gli era sembrata la più vantaggiosa, abbastanza
pavido da preferirla alla morte.
Inoltre, se pur fosse riuscito a scappare, non aveva altro posto in cui stare e
preferiva di gran lunga dividere il sonno con i cani dei McToupe,
in cortile, invece di vagare senza meta, ricercato. E poi… e poi c’era Flora…
Così mandava giù tutti i bocconi amari, le angherie e le percosse che, ad onor del vero, prima di quella notte non erano mai andate oltre
qualche schiaffo o qualche calcio.
Non vedeva altra vita.
Persino il più giovane dei tre fratelli, il piccolo Marten,
non era esattamente uno stinco di Andraste nei confronti
di Neil. Era piccolo sì, ma in corpo aveva tanta cattiveria quanto grande era la
sua stupidità.
Anche quella buona donna di sua madre certe volte si spaventava del suo stesso figlio
ma, troppo sciocca da saperlo educare, lo lasciava fare o peggio lo lasciava
agli insegnamenti dei due più grandi. Né McToupe padre,
dalla tomba, avrebbe potuto intervenire per trasmettere ai figli un po’ di buon
senso. E dire che di intelligenza ne aveva avuta lui, forse tanta che nella
testa bacata dei figli non aveva trovato posto.
Nemmeno per sbaglio.
Una mancanza che gli toglieva ogni misura: nessuno dei tre sapeva porsi un
freno e capire quando il troppo era davvero diventato “troppo”.
Per Crowan e Carter era stato quindi naturale quella sera,
ubriachi come non erano mai stati, picchiare Neil per aver esitato a
rispondere a quel “i cani hanno mangiato?” E c’erano andati giù pesante, soprattutto
per divertimento. Anche troppo, appunto.
Tagliare le orecchie ad un elfo, persino al più servile degli elfi, è forse
l’affronto più grande che si possa fare.
Quando Neil si risvegliò, all’alba di quella nottataccia, piangeva di
dolore, e a stento riusciva a muoversi, mentre il puzzo acido di urina e sangue
rappreso gli era praticamente penetrato nella pelle.
Un odore che gli sarebbe tornato al naso anni dopo, quando avrebbe ucciso il suo
primo Prole Oscura in circostanze misteriose che non narreremo adesso per non
turbare troppo il lettore.
Per il momento, era soltanto un servo. Aveva ancora sedici inverni la mattina in
cui avrebbe dovuto aprire gli occhi ad una nuova consapevolezza; ma nemmeno gli
avvenimenti di quella notte erano riusciti a cambiarlo. Ne aveva prese
tante, per così tanto tempo che ancora una volta il suo servilismo era giunto a
fargli credere di essere stato davvero colpevole.
Sapeva di aver dato davvero da mangiare ai cani, lo ricordava alla perfezione, ma
non avrebbe dovuto esitare a rispondere. Avrebbe dovuto abbandonare il sonno,
essere vigile e prontamente rispondere “Sì, ho dato loro da mangiare tre volte
oggi”.
Invece aveva esitato e i suoi padroni avevano ben pensato di punirlo. Se
i suoi riflessi fossero stati più pronti, non avrebbe perso le sue orecchie.
Ciò lo indusse a ridere, così forte che il dolore allo stomaco, già provato
dalle botte della sera precedente, tornò con prepotenza. Un riso convulso e
disperato il suo, quasi ironico.
Le lacrime gli si seccarono sul volto, lasciando solo due strisce chiare sulle guance
incrostate di sangue.
Quando a stento riuscì a rimettersi in piedi, in un capogiro che quasi gli fece
perdere l’equilibrio, la testa gli martellava e la brezza gli accarezzava i solchi
dove un tempo erano le sue lunghe e belle orecchie.
Neil si concentrò su quella sensazione, azzardò a toccarsi le ferite con la
punte delle dita. Stranamente gli pareva di averle ancora le sue orecchie, quasi
ad avvertire un pizzicore sulla punta di quella destra.
Tutto ciò era impossibile, giacché quei due mozziconi di carne giacevano
sull’acciottolato ai suoi piedi scalzi.
L’elfo raccolse da terra quel che restava delle proprie orecchie e lo mise in tasca.
Più tardi li avrebbe tagliuzzati e aggiunti alla minestra che avrebbe servito ai
suoi padroni, nel piacere sadico di "infettare" le loro pance con una
parte di sé, la sua stessa carne.
Tuttavia, sarebbe stata proprio la sua Flora quel giorno a preparare la cena. La
dolcezza in persona aveva ben pensato di salvare una porzione per suo caro
amico Neil! E di sorridergli nella stoltezza dell’ignoranza per assicurarsi
di vederlo mangiare, lui tanto magrolino.
Cosa non avrebbe fatto Neil per lei? Già, cosa non avrebbe fatto.
«Come mai indossi quel fazzoletto intorno alla testa?» Gli chiese amorevole
come una sorella al fratello.
«Nulla, ho una terribile otite!» Spiegò, ingoiando una generosa cucchiaiata
di zuppa. E chissà che se quel qualcosa tra i denti era un pezzo di carota o un
pezzo del suo orecchio?
Continua…
Ciao a tutti! Manco da molto da questo fandom e di sicuro molto sarà cambiato. Ho trovato questa storiella
in una cartella dimenticata e, così, ho deciso di proporvela. Spero questo
primo capitolo vi sia piaciuto. Non seguirò necessariamente un ordine temporale,
e non ho ancora deciso in quale dei tanti Dragon Age la storia verrà ambientata,
è da considerarsi una storia parallela, che non riprende le vicende della
storia originale se non di “striscio” come si vuol dire.
Grazie a chi ha letto! :)
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