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Autore: KomadoriZ71    12/07/2015    2 recensioni
{ Ivan & Max ─ Hardenshipping } "Erano passati due anni dal giorno in cui Max si era arruolato nel Team Rocket, la vita nel campo di addestramento non era stata come se l'era immaginata, gioiosa e ricca di sorprese sempre più intriganti. Il giovane dai morbidi capelli rossi lasciava a malincuore la postazione attuale, adorava stare in un ambiente in cui si sentiva a casa e, la regione di Johto, si era dimostrata più volte come una zona dai paesaggi mozzafiato, caratterizzata da città dalle tradizioni piuttosto interessanti. Max aveva già deciso di tornarci per finire di esplorarla, magari durante la pensione.
Mancava poco allo scoccare della mezzanotte e il rosso era seduto sulla sedia della scrivania, la luce tenue della lampada illuminava un album stracolmo di fotografie e ricordi, il quale raccontava la sua esperienza all'interno del campo Rocket. [...] Le pagine scorrevano velocemente sotto le dita snelle, la sua mente tornava indietro nel tempo, un sorriso nostalgico comparve sul volto e ciò lo trascinò a sospirare. Aveva fatto un cambiamento radicale dal primo giorno, secondo i suoi amici era sbocciato come un bocciolo di rosa, adesso si poteva considerare un vero uomo.
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Ivan, Max (Team Magma), Nuovo personaggio, Team Rocket
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Videogioco
Capitoli:
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Gioventù bruciata

Capitolo Due.

- Gioventù bruciata.





«Dopo quella volta imparò che la solitudine fa meno male se non cerchi di scacciarla via.
Che ci si può andare d'accordo se la sai prendere per il verso giusto.
La conquisti e in cambio ti regala il vantaggio di non dipendere da nessuno per la tua felicità.
Uno stato di primordiale libertà.
Anche quel senso di vuoto, di distanza, pian piano ti abbandona.
Con il tempo si finisce per bastare a se stessi,
Del resto la solitudine è ovunque.
Dietro le porte chiuse delle case, nascosta dal suono dei televisori accesi.
Nelle auto dal parabrezza bagnato che riflettono le luci della città.
Affogata nell'alcol sui banconi dei bar alla sera.
Nei vagoni dei treni che riportano a casa sogni delusi, aspettative infrante e qualche sprazzo di felicità.
Non importa quante siano le persone che vivono in quelle case,
che sono sedute in quelle auto, che bevono quei bicchieri
o che viaggiono su quei treni.
La solitudine più soffocante è proprio quella di quando non sei da solo.
Non c'è via di fuga perché ognuno diventa il carceriere dell'altro.
In una gabbia di pudore che salva le apparenze.
È bene saperci fare i conti con la solitudine
».

»La pietà dell'acqua, Antonio Fusco.



reclute





La sveglia suonò nel buio della stanza, Max mugugnò qualcosa di incomprensibile e staccò l'allarme, poi si rifugiò nel tepore della coperta. Era abituato a stare sveglio fino a tardi, il vero problema era abbandonare il letto per dedicarsi agli impegni quotidiani. Ma stavolta era diverso, una settimana era passata e la partenza per Kanto era imminente. Max era pieno di emozioni, la sua vita stava per cambiare di nuovo.
Cinque minuti dopo bussarono alla porta, era una Recluta Rocket in veste da ufficiale. Max si preoccupò di rispondere e abbandonò il morbido giaciglio, un giro veloce alla toilette per dedicarsi all'igiene personale e si coprì con le calze di lana rossa, poi toccò alla divisa Rocket nuova di zecca. Profumava di pulito, per un po' si lasciò avvolgere dal tessuto pungente degli abiti neri e si guardò ripetutamente allo specchio, gli stava benissimo.
Afferrò l'elastico per i capelli che custodiva nel solito posto, si aggiustò la chioma cremisi con la spazzola e li legò in un codino posteriore. In quel momento pensava al padre e rifletteva a un suo possibile commento, magari sarebbe stato fiero dell'unico figlio maschio e, se non fosse stato per il Team Rocket, Max avrebbe scritto una lettera per avvertire il genitore del successo ottenuto. Era certo di non ricevere alcuna risposta, per cui non si sforzava di trovare le parole giuste, il rapporto con suo padre si era dissolto il giorno in cui aveva messo piede al liceo, una lite li aveva divisi e da allora si parlavano per cordialità quando si incontravano durante le feste, ma dal reclutamento non aveva più modo di mettere piede nella casa a Cuordilava. Almeno la mamma lo aspettava con entusiasmo, non vedeva l'ora di ottenere delle notizie dal figlio, Max era la sua unica gemma.
Al rosso mancava passare del tempo insieme a lei, però gli esami nel laboratorio erano talmente soffocanti che gli impedivano di percepire nostalgia, oppure di dedicare qualche minuto per comunicare con la madre. Si era promesso che l'avrebbe contattata appena si fosse presentata l'occasione, doveva inventarsi una frottola plausibile. L'ultima volta le aveva raccontato di essere a Johto per un'iniziativa dell'Università di Hoenn, aveva nascosto la verità e il motivo che l'aveva spinto in una regione così lontana. Doveva giustificare il nuovo spostamento, pensò di informare la famiglia sul termine degli studi.
Le riflessioni terminarono presto, qualcuno bussò alla porta. Era Leila.
Lei era la seconda ragazza che si era unita al gruppo degli scienziati, era l'esatto opposto di Dana eppure le due andavano d'accordo. Sembravano sorelle.
Se Dana aveva un fisico snello e piatto, lei esplodeva con le curve e il suo seno era prosperoso; i suoi occhi erano verdognoli e si adattavano alla sua carnagione olivastra, quasi abbronzata, infine il volto rotondo restava nascosto dietro a una morbida cascata di capelli dorati e leggermente mossi.
Era perfetta e impeccabile in qualsiasi momento della giornata, i suoi atteggiamenti la rendevano simile a una modella, ma non si trattava della solita fanciulla che si faceva mettere i piedi in testa degli uomini. Se qualcuno la infastidiva poteva perire sotto a una furia quasi omicida.

«Passerotto, quella divisa ti sta una favola!».
Leila aveva l'abitudine di dare soprannomi alle persone con cui entrava in confidenza. Max era abituato al suo modo di fare ed era sul punto di dire qualcosa, ma era stato preso alla sprovvista da un abbraccio dolce e gentile. Sussultò in silenzio per non rovinare l'attimo di tenerezza, Leila era una sua amica quindi aveva risposto all'effusione.
«Ti ringrazio Leila, anche tu sei bellissima. Non vedo l'ora di arrivare a Kanto, nemmeno il giorno in cui mi sono laureato sorridevo così» commentò Max appena la lasciò andare, poi afferrò il cinturone con le due Pokéball.
Lo legò all'altezza dei fianchi mentre guardava l'amica, sorridendole:
«Sei pronto Passerotto? Tra poco la nave salperà, Kanto ci aspetta».
«
Penso di sì» esclamò Max, entusiasta «Ti sei procurata il libro che ti ho chiesto?».
«Certo Passerotto, è già nella mia valigia».
«Sei eccezionale, Leila».
«
Lo so Passerotto, non c'è bisogno di ricordarmelo».



* * *


"Ivan, ho un compito molto speciale per te".

Giovanni aveva pronunciato quelle parole la settimana prima, Ivan ancora non riusciva a togliersele dalla testa.
Non si era scordato neanche del sorriso malvagio presente sul volto del Capo, del fetore del sigaro pregiato che impregnava l'aria della stanza e, per finire, delle fusa assordanti del Persian che Giovanni teneva vicino alle gambe.

"Tutti noi siamo emozionati per l'arrivo delle nuove reclute, come ben sai ogni due anni il Rifugio si riempie con nuovi volti.
Però in questo periodo mi manca qualcosa o, meglio, la presenza di una Recluta esperta nel regolamento, devota al proprio Capo e che durante il suo servizio non ha mai commesso errori.
Ho bisogno di te Ivan. Della tua esperienza, della tua maestria con i Pokémon di tipo Acqua...Sei l'unico che li addestra, qui dentro.
Diventerai il tutore dei nuovi ragazzi, per un po' di tempo potrai riposarti dal tuo incarico di cacciatore, quello che basta per far ambientare gli scienziati.
Non dovrai mai perderli d'occhio.
Sai cosa significa, vero? Te la senti di accettare il nuovo incarico, eh Ivan?"

Quando Giovanni cominciava a lusingare una recluta, a parlare con quest'ultima come se fosse sulla strada per promuoverla, significava che aveva in mente un incarico importante e delicato.
E ciò era successo anche con Ivan, purtroppo. La parola “tutore” in realtà era una formalità, il vero compito era quello di seguire gli scienziati durante tutto l'arco della giornata, spiarli, origliare le loro discussioni e riferire al Capo ciò che avevano combinato. Grazie a quel metodo Giovanni aveva scoperto un sacco di traditori, punito le reclute più svogliate, altre volte aveva messo le mani su poliziotti sotto copertura.
Ivan ci aveva pensato per bene, non se la sentiva di abbandonare il proprio ruolo ma non poteva dire di no a Giovanni, la sua reazione poteva essere negativa. Per cui aveva deciso di gettarsi la zappa sui piedi, aveva accettato e si era congedato dall'ufficio.
I giorni passarono velocemente da allora, l'arrivo del plutone era previsto per le cinque del pomeriggio ma il Rifugio Rocket era ancora avvolto dal caos. I colleghi erano più interessati al party di benvenuto, quindi erano pochi i soggetti che si interessavano ad allestire l'aula maestra.
Per fortuna Gerardo era andato di sua iniziativa ad aiutarli, sapeva come comandare.
E Ivan...
Non stava facendo niente di particolare, era seduto su un divanetto e lucidava con un panno la Pokéball del proprio Carvanha: era un Pokémon che aveva accompagnato Ivan durante le missioni dei Rocket, anche quelle più difficoltose, quel piccoletto era un osso duro ma ancora non si era evoluto, eppure aveva un ottimo rapporto con il padrone. Si volevano un gran bene, Ivan l'aveva catturato quando andò a visitare l'istituto meteo insieme ai suoi amici del cuore. Allora era un adolescente spensierato che lavorava duramente nel porto di Alghepoli, sua madre era morta per colpa di un incidente causato da un gruppo di Gyarados infuriati, perciò era cresciuto a stretto contatto con le idee folli del padre. Era un uomo che aveva esorcizzato il dolore della perdita gettandosi a braccia aperte nel mare, quando si era avvicinato il sesto compleanno di Ivan aveva messo in piedi un'organizzazione composta da soli Ranger, con i quali aiutava le persone che si trovavano in difficoltà durante le tempeste, cercavano gli sperduti tra le onde marine, davano una mano ai Pokémon selvatici, offrivano il servizio allo stato anche per il commercio.
Tutti a Hoenn adoravano quella squadra di paladini.
Ma la fama aveva il suo tasto dolente, il padre di Ivan non era mai a casa e quel ragazzino se ne stava da solo, giorno e notte. Non era andato a scuola come il resto dei bambini, ma nessuno si era preoccupato di istruirlo come meritava. Ivan non soffriva della sua mancanza, sognava di diventare come lui mentre si divertiva a riempire il vicinato di dispetti non molto allegri, faceva il proprio dovere in mezzo alle navi del porto, oppure la domenica mattina andava a raccogliere le bacche sul percorso adiacente. Per fortuna c'era sempre un occhio vigile sulla testa di quel minuscolo birbante, una coppia sposata da molti anni che possedevano una figlia e un nipote che aveva perso i genitori dopo la nascita. Quelle persone conoscevano Ivan, la triste storia che portava sulle spalle e suo padre, perciò l'avevano accolto con il sorriso sulle labbra.
Le visite lì erano sempre più frequenti con il passare degli anni, Ivan trascorreva pomeriggi interi con la nuova famiglia e, ben presto, l'amicizia con la bambina e il ragazzo fu inevitabile. Erano inseparabili.
E poi un giorno tutto era andato in mille pezzi, di nuovo: il padre di Ivan non era più tornato dall'ultimo viaggio, aveva sacrificato la propria vita per soccorrere una donna in gravidanza, era disperso in mare. Il suo corpo non fu più ritrovato.
Il dolore si rivelò lancinante e insopportabile, Ivan amava suo padre più di qualsiasi altra cosa.
Non se la sentì di restare a contatto con i ricordi, partì verso nuovi orizzonti quando il sole tramontava con un'ora di ritardo, pochi spiccioli nella mano sinistra, un fagottino carico di speranze e la Pokéball di Carvanha incastrata nella fibbia cintura.
Anni dopo era a Kanto e si allenava per diventare parte integrante del Team Rocket, ciò era stato possibile grazie a Madame Boss. Nessuno era in grado di trovare una spiegazione plausibile, la donna aveva incontrato Ivan nella parte più decadente di Azzurropoli, allora era sporco di fango dalla testa ai piedi e si esprimeva con grugniti. La madre di Giovanni si era innamorata di quel quindicenne muscoloso e ribelle, perciò l'aveva raccolto dalla spazzatura e si era preoccupata di nutrirlo, curarlo da ogni ferita e vestirlo. Infine l'aveva costretto a collaborare con il Team.
E così era stato, Ivan non si era mai lamentato.
Un tonfo sordo di passi si propagò nel salotto, improvvisamente.
Solamente allora Ivan sobbalzò e tornò alla realtà, distaccandosi dai ricordi che provenivano dal passato. La sua era stata una gioventù bruciata.

«Eccoti finalmente, è tutto il giorno che ti cerco» Gerardo aveva fatto irruzione nella sala, era talmente arrabbiato che lasciò sbattere la porta.
«Non vieni a darmi una mano, pelandrone che non sei altro? Abbiamo bisogno del tuo sostegno nell'aula, a momenti mandano a monte il tavolo per il buffet con una scazzottata. Sono degli animali qui dentro».
«
Non sono dell'umore adatto, mi dispiace Gerardo» aveva ammesso Ivan scuro in volto, tenendo lo sguardo sulla Pokéball.
Aveva voglia di liberare il Pokémon di tipo Acqua/Buio per riempirlo di coccole, ma il piccolo piraña non apprezzava la presenza delle altre reclute Rocket, quindi era da stupidi mettere in pericolo l'incolumità di Gerardo. Aveva dei denti assai affilati, Ivan lo sapeva fin troppo bene.
«C'è qualcosa che devo sapere, Ivan?».
«
Con tutti i personaggi che si sono proposti, Giovanni ha scelto me come tutore».
«
Ah...» bisbigliò Gerardo, poi andò a sedersi sul divano con l'amico. Era fiero dell'ennesimo successo raggiunto da Ivan, gli occhi scuri comunicavano ogni sentimento, ma la situazione era talmente delicata che i complimenti non bastavano. «E non ti senti all'altezza, dico bene?».
«
A te non ti si può nascondere niente».
«
Sei grande grosso, ma alcune volte sembri un bamboccione».
«
Non sono un bamboccione».
«
Sì, lo sei se la pensi così. Se riesci a tenere testa a un Tentacruel selvatico e pescare cinquanta Dratini in una sola notte, allora puoi anche prenderti responsabilità ben maggiori. Meriti di essere un tutore».
«
Io non merito un bel niente Gerardo, per una volta volevo godermi un periodo di riposo, poi ripartire con la caccia al termine dei festeggiamenti. Da oggi mi posso considerare come un recluso, non posso allontanarmi dal Rifugio con gli scienziati sulle spalle» sbuffò Ivan e si levò il cappello, lo buttò in un angolo della stanza e guardò il proprio riflesso che compariva sulla parete lucida lì davanti. Sopra alla sua testa c'era una bandana azzurra, quest'ultima era decorata con un ricamo dalla forma circolare, nella parte superiore si perdeva in un triangolo ben affilato in quella inferiore spuntavano due ossa.
Si trattava di un cimelio da cui Ivan non poteva separarsene, ogni giorno nascondeva l'indumento colorato sotto il cappello della divisa dei Rocket. Era un rischio che se la sentiva di correre, il regolamento proibiva indumenti diversi.
Un sogno, una promessa da mantenere. Due persone importanti che l'aspettavano dall'altro capo del mondo, da ciò era vincolato Ivan, non poteva tradire i suoi migliori amici.
Alan e Ada, questi erano i nomi dei due bambini con cui era cresciuto. Solo Gerardo era a conoscenza di quell'innocente segreto, era un tipo affidabile.
«Con i permessi di uscita si può fare di tutto, questa non è una prigione. Vedrai che una soluzione al problema la troveremo. Fidati di me, sono molto simpatico ad Ariana».
«Alla fine verrai giudicato come il cocco di Ariana, presta attenzione».
«Non è colpa mia, le piace solo il modo con cui lavoro».
«Devo forse pensare con più malizia?» ridacchiò Ivan, poi tirò una pacca ben messa sulla spalla di Gerardo. «C'è forse del tenero tra voi? Non resterei impressionato dalla notizia, di me ti puoi fidare».
«Non dirlo nemmeno per scherzo».
«Perché mai? Siete una bella coppia».
«Ariana non frequenta le reclute» si lamentò Gerardo, massaggiandosi le tempie. «E poi non fà al caso mio e, detto tra noi, se devo sistemarmi lo farò solo con la persona giusta. Non sono il ragazzo che corre dietro alle femmine, dovresti saperlo meglio di me».
«Quanto la fai lunga, se continui di questo passo invecchierai da solo».
«Fottiti Ivan!». 

   
 
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