Capitolo Due.
Che ci si può andare d'accordo se la sai prendere per il verso giusto.
La conquisti e in cambio ti regala il vantaggio di non dipendere da nessuno per la tua felicità.
Uno stato di primordiale libertà.
Anche quel senso di vuoto, di distanza, pian piano ti abbandona.
Con il tempo si finisce per bastare a se stessi,
Del resto la solitudine è ovunque.
Dietro le porte chiuse delle case, nascosta dal suono dei televisori accesi.
Nelle auto dal parabrezza bagnato che riflettono le luci della città.
Affogata nell'alcol sui banconi dei bar alla sera.
Nei vagoni dei treni che riportano a casa sogni delusi, aspettative infrante e qualche sprazzo di felicità.
Non importa quante siano le persone che vivono in quelle case,
che sono sedute in quelle auto, che bevono quei bicchieri
o che viaggiono su quei treni.
La solitudine più soffocante è proprio quella di quando non sei da solo.
Non c'è via di fuga perché ognuno diventa il carceriere dell'altro.
In una gabbia di pudore che salva le apparenze.
È bene saperci fare i conti con la solitudine».
»La pietà dell'acqua, Antonio Fusco.
La
sveglia suonò nel buio della stanza, Max mugugnò
qualcosa di
incomprensibile e staccò l'allarme, poi si
rifugiò nel tepore della
coperta. Era abituato a stare sveglio fino a tardi, il vero problema
era abbandonare il letto per dedicarsi agli impegni quotidiani. Ma
stavolta era diverso, una settimana era passata e la partenza per
Kanto era imminente. Max era pieno di emozioni, la sua vita stava per
cambiare di nuovo.
Cinque
minuti dopo bussarono alla porta, era una Recluta Rocket in veste da
ufficiale. Max
si preoccupò di rispondere e abbandonò il morbido
giaciglio, un
giro veloce alla toilette per dedicarsi all'igiene personale e si
coprì con le calze di lana rossa, poi toccò alla
divisa
Rocket nuova di
zecca. Profumava di pulito, per un po' si lasciò
avvolgere dal tessuto pungente degli abiti neri e si guardò
ripetutamente allo specchio, gli stava benissimo.
Afferrò
l'elastico per i capelli che custodiva nel solito posto, si
aggiustò
la chioma cremisi con la spazzola e li legò in un codino
posteriore.
In quel momento pensava al padre e rifletteva a un suo possibile
commento, magari sarebbe stato fiero dell'unico figlio maschio e, se
non fosse stato per il Team Rocket, Max avrebbe scritto una lettera per
avvertire il genitore del successo ottenuto. Era certo di non ricevere
alcuna risposta, per cui non
si sforzava di trovare le parole giuste, il rapporto con suo padre si
era dissolto il giorno in cui aveva messo piede al liceo, una lite
li aveva divisi e da allora si parlavano per cordialità
quando
si
incontravano durante le feste, ma dal reclutamento non aveva
più
modo di mettere piede nella casa a Cuordilava. Almeno la mamma lo
aspettava con entusiasmo, non vedeva l'ora di ottenere delle notizie
dal figlio, Max era la sua unica gemma.
Al
rosso mancava passare del tempo insieme a lei, però gli
esami
nel
laboratorio erano talmente soffocanti che gli impedivano di percepire
nostalgia, oppure di dedicare qualche minuto per comunicare con la
madre. Si era promesso che l'avrebbe contattata appena si fosse
presentata l'occasione, doveva inventarsi una frottola plausibile.
L'ultima volta le aveva raccontato di essere a Johto per un'iniziativa
dell'Università di Hoenn, aveva nascosto la
verità e il
motivo che l'aveva spinto in una regione così lontana.
Doveva
giustificare il
nuovo spostamento, pensò di informare la famiglia sul
termine
degli
studi.
Le
riflessioni terminarono presto, qualcuno bussò alla porta.
Era
Leila.
Lei
era la seconda ragazza che si era unita al gruppo degli scienziati,
era l'esatto opposto di Dana eppure le due andavano d'accordo.
Sembravano sorelle.
Se
Dana aveva un fisico snello e piatto, lei esplodeva con le curve e il
suo seno era prosperoso; i suoi occhi erano verdognoli e si
adattavano alla sua carnagione olivastra, quasi abbronzata, infine il
volto rotondo restava nascosto dietro a una morbida cascata di
capelli dorati e leggermente mossi.
Era perfetta e impeccabile in
qualsiasi momento della giornata, i suoi atteggiamenti la rendevano
simile a una modella, ma non si trattava della solita fanciulla che
si faceva mettere i piedi in testa degli uomini. Se qualcuno la
infastidiva poteva perire sotto a una furia quasi omicida.
«Passerotto,
quella divisa ti sta una favola!».
Leila
aveva l'abitudine di dare soprannomi alle persone con cui entrava in
confidenza. Max
era abituato al suo modo di fare ed era sul punto di dire qualcosa,
ma era stato preso alla sprovvista da un abbraccio dolce e gentile.
Sussultò in silenzio per non rovinare l'attimo di tenerezza,
Leila
era una sua amica quindi aveva risposto all'effusione.
«Ti
ringrazio Leila, anche tu sei bellissima. Non vedo l'ora di arrivare
a Kanto, nemmeno il giorno in cui mi sono laureato sorridevo
così»
commentò Max appena la lasciò andare, poi
afferrò il cinturone con
le due Pokéball.
Lo legò all'altezza dei fianchi mentre
guardava l'amica, sorridendole:
«Sei
pronto Passerotto? Tra poco la nave salperà, Kanto ci aspetta».
«Penso
di sì»
esclamò Max, entusiasta «Ti
sei procurata il libro che ti ho chiesto?».
«Certo
Passerotto, è già nella mia valigia».
«Sei
eccezionale, Leila».
«Lo
so Passerotto, non c'è bisogno di ricordarmelo».
* * *
"Ivan, ho un compito molto speciale per te".
Giovanni
aveva pronunciato quelle parole la settimana prima, Ivan ancora non
riusciva a togliersele dalla testa.
Non
si era scordato neanche del sorriso malvagio presente sul volto del
Capo, del fetore del sigaro pregiato che impregnava l'aria della
stanza e, per finire, delle fusa assordanti del Persian che Giovanni
teneva vicino alle gambe.
"Tutti
noi siamo emozionati per l'arrivo delle nuove reclute, come ben sai
ogni due anni il Rifugio si riempie con nuovi volti.
Però
in questo periodo mi manca qualcosa o, meglio, la presenza di una
Recluta esperta nel regolamento, devota al proprio Capo e che durante
il suo servizio non ha mai commesso errori.
Ho
bisogno di te Ivan. Della tua esperienza, della tua maestria con i
Pokémon di tipo Acqua...Sei l'unico che li addestra, qui
dentro.
Diventerai
il tutore dei nuovi ragazzi, per un po' di tempo potrai riposarti dal
tuo incarico di cacciatore, quello che basta per far ambientare gli
scienziati.
Non dovrai mai perderli d'occhio.
Sai
cosa significa, vero? Te la senti di accettare il nuovo incarico, eh
Ivan?"
Quando
Giovanni cominciava a lusingare una recluta, a parlare con
quest'ultima come se fosse sulla strada per promuoverla, significava
che aveva in mente un incarico importante e delicato.
E
ciò era successo anche con Ivan, purtroppo. La
parola “tutore” in realtà era una
formalità, il vero compito
era quello di seguire gli scienziati durante tutto l'arco della
giornata, spiarli, origliare le loro discussioni e riferire al Capo
ciò che avevano combinato. Grazie
a quel metodo Giovanni aveva scoperto un sacco di traditori, punito
le reclute più svogliate, altre volte aveva messo le mani su
poliziotti sotto copertura.
Ivan
ci aveva pensato per bene, non se la sentiva di abbandonare il
proprio ruolo ma non poteva dire di no a Giovanni, la sua reazione
poteva essere negativa. Per
cui aveva deciso di gettarsi la zappa sui piedi, aveva accettato e si
era congedato dall'ufficio.
I
giorni passarono velocemente da allora, l'arrivo del plutone era
previsto per le cinque del pomeriggio ma il Rifugio Rocket era ancora
avvolto dal caos. I colleghi erano più interessati al party
di benvenuto, quindi erano pochi i soggetti che si interessavano ad
allestire l'aula maestra.
Per
fortuna Gerardo era andato di sua iniziativa ad aiutarli, sapeva come
comandare.
E
Ivan...
Non
stava facendo niente di particolare, era seduto su un
divanetto e lucidava con un panno la Pokéball del proprio
Carvanha:
era un Pokémon che aveva accompagnato Ivan durante le
missioni
dei
Rocket, anche quelle più difficoltose, quel piccoletto era
un
osso
duro ma ancora non si era evoluto, eppure aveva un ottimo rapporto
con il padrone. Si volevano un gran bene, Ivan l'aveva catturato
quando andò a visitare l'istituto meteo insieme ai suoi
amici
del
cuore. Allora era un adolescente spensierato che lavorava duramente
nel porto di Alghepoli, sua madre era morta per colpa di un
incidente causato da un gruppo di Gyarados infuriati, perciò
era
cresciuto a stretto contatto con le idee folli del padre. Era un uomo
che aveva esorcizzato il dolore della perdita
gettandosi a braccia aperte nel mare, quando si era avvicinato il
sesto compleanno di Ivan aveva messo in piedi
un'organizzazione composta da soli Ranger, con i quali aiutava le
persone che si trovavano in difficoltà durante le tempeste,
cercavano gli sperduti tra le onde marine, davano una mano ai
Pokémon
selvatici, offrivano il servizio allo stato anche per il commercio.
Tutti
a Hoenn adoravano quella squadra di paladini.
Ma
la fama aveva il suo tasto dolente, il padre di Ivan non era mai a
casa e quel ragazzino se ne stava da solo, giorno e notte. Non era
andato a scuola come il resto dei bambini, ma nessuno si era
preoccupato di istruirlo come meritava. Ivan
non soffriva della sua mancanza, sognava di diventare come lui mentre
si divertiva a riempire il vicinato di dispetti non molto allegri,
faceva il proprio dovere in mezzo alle navi del porto, oppure la
domenica mattina andava a raccogliere le bacche sul percorso
adiacente. Per fortuna c'era sempre un occhio vigile sulla testa di
quel minuscolo birbante, una coppia sposata da molti anni che
possedevano una figlia e un
nipote che aveva perso i genitori dopo la nascita. Quelle persone
conoscevano Ivan, la triste storia che portava sulle spalle e suo
padre, perciò l'avevano accolto con il sorriso sulle labbra.
Le
visite lì erano sempre più frequenti con il
passare degli anni,
Ivan trascorreva pomeriggi interi con la nuova famiglia e, ben
presto, l'amicizia con la bambina e il ragazzo fu inevitabile. Erano
inseparabili.
E
poi un giorno tutto era andato in mille pezzi, di nuovo: il padre di
Ivan non era più tornato dall'ultimo viaggio, aveva
sacrificato la
propria vita per soccorrere una donna in gravidanza, era disperso in
mare. Il suo corpo non fu più ritrovato.
Il
dolore si rivelò lancinante e insopportabile, Ivan amava suo
padre
più di qualsiasi altra cosa.
Non se la sentì di restare a
contatto con i ricordi, partì verso nuovi orizzonti quando
il
sole tramontava con un'ora di ritardo, pochi spiccioli nella mano
sinistra, un fagottino carico di speranze e la Pokéball di
Carvanha
incastrata nella fibbia cintura.
Anni
dopo era a Kanto e si allenava per diventare parte integrante del Team
Rocket,
ciò era stato possibile grazie a Madame Boss. Nessuno era in
grado
di trovare una spiegazione plausibile, la donna aveva incontrato Ivan
nella parte più decadente di
Azzurropoli, allora era sporco di fango dalla testa ai piedi e si
esprimeva con grugniti. La madre di Giovanni si era innamorata di
quel quindicenne muscoloso e ribelle, perciò l'aveva
raccolto dalla
spazzatura e si era preoccupata di nutrirlo, curarlo da ogni ferita e
vestirlo. Infine l'aveva costretto a collaborare con il Team.
E
così era stato, Ivan non si era mai lamentato.
Un
tonfo sordo di passi si propagò nel salotto, improvvisamente.
Solamente
allora Ivan sobbalzò e tornò alla
realtà, distaccandosi dai
ricordi che provenivano dal passato. La sua era stata una
gioventù
bruciata.
«Eccoti
finalmente, è tutto il giorno che ti cerco»
Gerardo aveva fatto irruzione nella sala, era talmente arrabbiato che
lasciò sbattere la porta.
«Non
vieni a darmi una mano, pelandrone che non sei altro? Abbiamo bisogno
del tuo sostegno nell'aula, a momenti mandano a monte il tavolo per
il buffet con una scazzottata. Sono degli animali qui dentro».
«Non
sono dell'umore adatto, mi dispiace Gerardo»
aveva ammesso Ivan scuro in volto, tenendo lo sguardo sulla
Pokéball.
Aveva
voglia di liberare il Pokémon di tipo Acqua/Buio per
riempirlo di
coccole, ma il piccolo piraña non apprezzava la presenza
delle altre
reclute Rocket, quindi era da stupidi mettere in pericolo
l'incolumità di Gerardo. Aveva dei denti assai affilati,
Ivan lo
sapeva fin troppo bene.
«C'è
qualcosa che devo sapere, Ivan?».
«Con
tutti i personaggi che si sono proposti, Giovanni ha scelto me come
tutore».
«Ah...»
bisbigliò Gerardo, poi andò a sedersi sul divano
con l'amico. Era
fiero dell'ennesimo successo raggiunto da Ivan, gli occhi scuri
comunicavano ogni sentimento, ma la situazione era talmente delicata
che i complimenti non bastavano. «E
non ti senti all'altezza, dico bene?».
«A
te non ti si può nascondere niente».
«Sei
grande grosso, ma alcune volte sembri un bamboccione».
«Non
sono un bamboccione».
«Sì,
lo sei se la pensi così. Se riesci a tenere testa a un
Tentacruel
selvatico e pescare cinquanta Dratini in una sola notte, allora puoi
anche prenderti responsabilità ben maggiori. Meriti di
essere un
tutore».
«Io
non merito un bel niente Gerardo, per una volta volevo godermi un
periodo di riposo, poi ripartire con la caccia al termine dei
festeggiamenti. Da oggi mi posso considerare come un recluso, non
posso allontanarmi dal Rifugio con gli scienziati sulle spalle»
sbuffò Ivan e si levò il cappello, lo
buttò in un angolo della
stanza e guardò il proprio riflesso che compariva sulla
parete
lucida lì davanti. Sopra alla sua testa c'era una bandana
azzurra, quest'ultima era decorata con un ricamo dalla forma
circolare, nella parte
superiore si perdeva in un triangolo ben affilato in quella inferiore
spuntavano due ossa.
Si
trattava di un cimelio da cui Ivan non poteva separarsene, ogni
giorno nascondeva l'indumento colorato sotto il cappello della divisa
dei Rocket. Era un rischio che se la sentiva di correre, il
regolamento proibiva indumenti diversi.
Un
sogno, una promessa da mantenere. Due
persone importanti che l'aspettavano dall'altro capo del mondo, da
ciò era vincolato Ivan, non poteva tradire i suoi migliori
amici.
Alan
e Ada, questi erano i nomi dei due bambini con cui era cresciuto. Solo
Gerardo era a conoscenza di quell'innocente segreto, era un tipo
affidabile.
«Con
i permessi di uscita si può fare di tutto, questa non
è una
prigione. Vedrai che una soluzione al problema la troveremo. Fidati di
me,
sono molto simpatico ad Ariana».
«Alla
fine verrai giudicato come il cocco di Ariana, presta attenzione».
«Non
è colpa mia, le piace solo il modo con cui lavoro».
«Devo
forse pensare con più malizia?»
ridacchiò Ivan, poi tirò una pacca ben messa
sulla spalla di
Gerardo. «C'è
forse del
tenero tra voi? Non resterei impressionato dalla notizia, di me ti
puoi fidare».
«Non
dirlo nemmeno per scherzo».
«Perché
mai? Siete una bella coppia».
«Ariana
non frequenta le reclute»
si lamentò Gerardo,
massaggiandosi le tempie. «E
poi non
fà al caso mio e, detto tra noi, se devo sistemarmi lo
farò solo
con la persona giusta. Non sono il ragazzo che corre dietro alle
femmine, dovresti saperlo meglio di me».
«Quanto
la fai lunga, se continui di questo passo invecchierai da solo».
«Fottiti
Ivan!».