Serie TV > Sherlock (BBC)
Segui la storia  |       
Autore: Koa__    13/07/2015    1 recensioni
L'animo umano è di difficile comprensione, John, quello di Sherlock Holmes lo è ancora di più. La verità, però, è che nessuno ha mai compreso per davvero mio fratello, né lei, né io, né nessun altro. Rassegnamoci al destino che ci è toccato, dottore e proviamo a vivere degnamente la vita che ci spetta. Questo è il solo modo affinché Sherlock sia sereno. Sacrificarsi per lui non è nulla se non un dovere.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, Crack Pairing | Personaggi: John Watson, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Incest, Triangolo
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Prigione di seta'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Parte seconda
 

Se per tuo fratello, John è sempre stato un mistero da risolvere, un criptico rebus da svelare, per te è relativamente chiaro interpretare le emozioni di quel detestabile dottore. Naturalmente, la tua particolare abilità non cambia il fatto che tu lo abbia trovato fin dal primo giorno piuttosto curioso. Al contrario, il sapere con precisione quali emozioni passano con odiosa lentezza per quella mente semplice, accentua di molto il tuo interesse, tanto da renderlo vivo. Da quel primo incontro hai creduto che fosse insolito il suo sentirsi affascinato da Sherlock. Del tutto atipico il suo riuscire a vederlo al pari di un eroe e non come lo strambo dal pessimo carattere, che è. Nessuno ha mai pensato bene di Sherlock Holmes, a parte te ovviamente. John è stata la prima persona che non facesse parte della vostra famiglia, a trovare piacevole la compagnia di uno di voi. Probabilmente non avresti dovuto lasciarti trascinare così tanto dentro le faccende di tuo fratello e del suo blogger, tuttavia hai sempre sentito come se quell’innamoramento riguardasse anche te. Nessuno ti ha mai considerato piacevole, a parte la regina, la quale però ti vede  come una sorta di maggiordomo. Un tuttofare a cui può affidare l’onore dei suoi cari. Ma per quanto riguarda le altre persone, al di fuori del lavoro non hai contatti con nessuno. Ciò non significa che tu non conosca l’animo umano, tutt’altro, probabilmente sei tra i più grandi conoscitori (o magari è quello che ti racconti, illudendo te stesso). Fatto sta che con John Watson non sbagli mai. Cerchi sempre di essere il più logico e razionale possibile quando hai a che vedere con lui e non essendo tu coinvolto sentimentalmente, non hai mai avuto mai alcun problema ad interpretare i sentimenti e le intenzioni, che scaturivano da quel volto squadrato e severo, specchio dello spirito del soldato. Seppur sia in grado di stupirti di tanto in tanto, il che è ammirevole, il più delle volte John non è nulla se non l’ordinario dottore che vive fuori città e si anima grazie allo spirito d’avventura. Per queste ragioni riesci ad intuire che cosa divori i suoi pensieri da che ha fatto irruzione nel tuo ufficio, in questo caso non esiste nemmeno margine di errore. Sei infatti sicuro che Watson sia tormentato. Che cosa offuschi i suoi pensieri, per il momento, lo puoi soltanto immaginare e per ora la tua mente è ottenebrata da illazioni e ipotesi, più o meno improbabili. Di certo, qualsiasi cosa sia, gli offusca lo sguardo. A te pare sia ansia. In ogni caso si tratta di un dolore che stona con l’idea che ti eri fatto di lui, perché per quanto l’animo umano sia complesso e sfaccettato, questo individuo che ora ti sta di fronte non avrebbe ragione di sentirsi così. Un uomo che è da poco divenuto padre e che è felicemente coniugato con una donna, non dovrebbe provare ansia. A meno che non sia affetto da disturbi paranoici, ma se così fosse, saresti stato di certo informato. Hai degli uomini su di lui, e nel rapporto settimanale che ricevi non erano menzionate cure psichiatriche. Ciononostante lo è, turbato. È profondamente agitato e la sua sofferenza non lascia spazio a fraintendimenti. E più lo fissi, più te ne convinci e senti d’avere ragione. Per quanto tu abbia tentennato in un primo momento, devi pur sempre ricordarti che sei Mycroft Holmes e che non sbagli mai.  
Lui, in ogni caso, perseguita a guardarti e a farlo in quel modo che hai imparato essere come unicamente suo: straordinario e al tempo irritante. Non ti meraviglia il fatto che abbia resuscitato gli intorpiditi sentimenti di tuo fratello, chissà, magari, al posto suo te ne saresti innamorato tu per primo!
Seppur tormentato, John resta sempre identico a sé stesso e in questo lo ritrovi, lo vedi nel cipiglio tipico dello stoico militare. Pare pronto a scattare al minimo rumore ed infatti se ne sta teso, innaturalmente ritto e con i pugni stretti come se si trovasse di fronte ad un generale. Lo sguardo gli trema al tuo cospetto, tanto che evita di fronteggiare il tuo, che al solito ha un’apparenza gelida. Non è arrabbiato, no. Inizialmente credevi che lo fosse, adesso però intuisci esserci incertezza in lui. Probabilmente è un tentennamento lieve, nato da una vergogna che torna ad ingarbugliare quell’intricata matassa di sentimenti che domina un uomo così sorprendentemente fuori dal comune. Non sei bravo a gestire le emozioni degli altri, a fatica riesci a sopprimere le tue. In questo caso, ti rendi conto di non aver mai riflettuto riguardo John Watson e pertanto, di non avere idea di come fare per approcciarti a lui. Ed è questo, principalmente, a cui pensi nei minuti successivi. Sei sempre stato un uomo macchinoso e strategico. Parli e agisci in nome di quelle che potrebbero essere le possibili reazioni dei tuoi interlocutori, cambi modo di fare in base a ciò che desideri ottenere. Già e questo è il nodo di tutto, a questo groviglio resti avvinghiato senza riuscire a trovare una soluzione.

Cosa vuoi da John Watson?

Lo trovavi sorprendente, certo, ma non credevi che potesse rivelarsi tanto complesso o che potesse essere in grado di mostrare così troppe emozioni. Non pensavi, poi, che il suo arrivo ti turbasse al punto da renderti indeciso. Le buone maniere, o ciò che vi lega, ti impongono di farlo accomodare ed ascoltarlo. Ma l’istinto… oh, quello ti implora di cacciarlo via e di tenerlo lontano il più possibile da Sherlock ed è lo stesso impulso che ti fa provare gelosia e paura. Sollevi lo sguardo e ti sorprendi quasi, appena ti rendi conto che ti sta fissando. Probabilmente non lo sai, ma è adesso inizia la tua fine ovvero nell’esatto istante in cui ti rilasci contro lo schienale della sedia e lo guardi negli occhi. John è appena un poco sudato e ha il respiro affannato. Tiene premuta sulle labbra l’intenzione di riversare quel fiume di parole che ripete a sé stesso da giorni, ma ancora si frena e teme quel che potrebbe lasciarsi sfuggire. Già crede d’aver parlato troppo, di averti rivelato quello che mai avrebbe dovuto anche solo azzardarsi a pensare. Perché John è sposato e felice. Perché John ha scelto e lo ha fatto tempo fa. E la sua decisione di sposarsi e costruire una famiglia ha automaticamente escluso Sherlock. Tu, in effetti, seppur ti sia ritrovato avvantaggiato dall’intera situazione, provi un forte risentimento nei suoi confronti. È come se avesse tradito te, come se avesse abbandonato te invece che tuo fratello. Sì, è trascorso molto tempo da allora, è vero, però la vedi ancora. La sofferenza che Sherlock alimenta, la noti ogni giorno. Esiste, e ancora non vi ha lasciato. C’è e ti torce lo stomaco. C’è e fa traballare la mano che regge una lente d’ingrandimento o che esamina un piastra di petri. Il dolore traspare spesso dallo sguardo del giovane Holmes, fuoriesce come la piena di un fiume e lo fa dalla musica del violino che di tanto in tanto torna ad essere malinconica. Viene fuori da piccoli gesti dall’apparenza insignificante, ma che ti colpiscono l’anima come una scudisciata.

E ora, ritrovarti a fronteggiare ciò che tu consideri come la causa di tutto, è sconvolgente. Se non fosse stato per John, ora tu e Sherlock non sareste ciò che siete (no, non due fratelli), il che dovrebbe renderti felice. Eppure sei arrabbiato. Non pensavi che potesse essere così difficile, eppure mantenere il controllo è difficoltoso ed ora la voglia di afferrarlo per il bavero della camicia e buttarlo fuori senza neanche starlo a sentire, è quasi soffocante. E per poco non prende il sopravvento.

Non lo fai.

Perché sei Mycroft Holmes e sei prima di tutto un uomo logico e sensato. E sai che se John è al Diogenes club un motivo deve pur esserci, e di sicuro riguarda Sherlock. E se ha a che fare con lui, tu non puoi tirarti indietro.

Lo so, è spaventosamente complicato. Perché John ha ferito il tuo Sherly e ricomporne i cocci è ancora oggi l’impresa più ardua nella quale tu ti sia imbarcato. È quell’uomo che ti sta davanti l’origine di tutto quanto. John. John nel quale ti rispecchi in una maniera che non ti piace e che ti fa tornare alla memoria antiche sofferenze, quelle originate dalle tue assurde idee. Già, perché tu per primo hai dilaniato il cuore di Sherlock. Se Watson è colpevole, tu lo sei tanto altrettanto. Non mentire a te stesso, Mycroft, non farlo e sii onesto. Fronteggiare i suoi occhi blu stracolmi di risentimento e parole non dette, di sentimenti inespressi ed emozioni represse, è addirittura impossibile. Per questo, vigliaccamente, distogli il volto e porti lo sguardo alle tue stesse mani tentando inutilmente di placare il tremore. Dove riesci a trovare il coraggio di parlargli, davvero non lo sai. Ma d’altra parte non dovresti stupirtene, in fondo sei molto più articolato e difficile da capire di chiunque altro. E dove c’è paura, esiste anche rabbia. In te i sentimenti sono uno il rovescio della medaglia dell’altro. Il dramma è che non sfiori le emozioni, tu le vivi in modo viscerale e profondo. Temi e fremi allo stesso tempo. Purtroppo però, dimentichi di essere un umano, Mycroft. Cadi sempre nel medesimo tranello e scordi che anche tu hai dei limiti. Limiti che una paura troppo grande ti sta forzando a superare.

E quando ti decidi a rispondergli, già è troppo tardi.

«John» esordisci, poco più tardi. La tua voce falsamente dolciastra nei toni di fondo, coglie impreparato il silenzio che circonda entrambi, facendo sussultare colui che ti sta davanti e che ora solleva il volto fino ad incrociare i lineamenti aquilini del tuo.
«Si sente bene?» chiedi, in un moto che dovrebbe suonare di preoccupazione. Probabilmente lo sei per davvero. Ma sì, si può dire che tu lo sia: non sei tanto meschino in fondo. Il dottore annuisce e di nuovo le tue attenzioni sono catalizzate tutte su di lui, perché è di nuovo atipico il suo atteggiamento. John è infatti carico di una timidezza quasi sfrontata, e che nasconde malamente dietro i contorni evanescenti di un pudore che sembra ben intenzionato a mantenere. Poco dopo è il suo sospirare che ti distrae, un alito leggero seguito da un più marcato agitarsi del capo; questa volta annuisce e lo fa con un cenno vistoso che per nulla ti convince riguardo il suo stato mentale.
«Per me non è stato facile decidere di venire qui.»
«Me ne rendo conto» affermi, intrecciando le dita sotto al mento ed assumendo una posa che ti fa assomigliare in modo straordinario a Sherlock. Ed infatti lui sussulta quando ci fa caso. Non lo hai fatto apposta per turbarlo, ma è che il passare tanto tempo a Baker Street, ti ha portato inconsciamente ad assumere certe pose tipiche di quel certo consulente investigativo a te tanto caro.
«Sono qui perché ho capito d’aver commesso uno sbaglio. Io… da quando Sherlock mi ha allontanato, e per motivi che ancora non sono riuscito a capire, io ecco…»
«John, cosa sta cercando di dirmi?» insisti, adesso appena un poco più irritato. Perché se c’è una cosa che non tolleri, sono i tentennamenti. È venuto fin nel tuo ufficio ed ancora stenta a dirti quale stramberia gli stia passando per la testa. Perché? Ciò è inconcepibile e hai quasi il sentore che ti stia prendendo in giro. Se così fosse avresti una scusa per poterlo picchiare. Nah, non lo faresti mai. In primo luogo perché il sinistro del dottor Watson è notevole, e poi perché non sei mai stato un tipo fisico. Sarebbe più da te chiamare la sicurezza e farlo portare via di forza.
«Sherlock» ti risponde, facendoti sussultare. Mormora con voce strozzata e rotta, prima di deglutire rumorosamente e, nervoso, continuare a torcersi le mani. «Voglio sapere perché mesi fa mi ha allontanato e voglio la verità. Da allora non ho più lavorato ad un caso e a stento l’ho incontrato: non risponde a telefonate o messaggi, e quando vado a Baker Street mi liquida dopo una tazza di tè e poche parole di circostanza. Questo non è da Sherlock, lui… Ascolti, posso capire che voglia lavorare da solo, ma che mi escluda totalmente dalla sua vita, è incomprensibile. Sherlock non è una persona che porta rancore, quindi non è per qualcosa che ho fatto. Ma magari può anche essere che sia così e io non ho capito niente. Sì, sarà così! D’altra parte ho passato mesi a domandarmi il motivo e ancora non ho capito che diavolo ho fatto!» Il suo discorso termina in un sussurro e con un fare sconfitto che ti suscita un moto di nervosismo. La tua è una preoccupazione che non ti è familiare, che è inusuale provare nei confronti di un uomo che hai sempre sostenuto di detestare. A capo chino, ora John guarda a terra e di nuovo si morde le labbra. Il suo agitarsi è forse più palese in questo momento, il che ti fa capire che non ha detto tutto. Lo intuisci grazie ad un’occhiata che va a spegnersi sulle punte delle sue dita, torte in una malforme matassa dal groviglio incomprensibile.
«C’è dell’altro» affermi, con fare mellifluo. Stai sfoderando il fare pacato che usi nelle situazioni più critiche, quello che di rado funziona anche su tuo fratello. Infatti, a John è sufficiente intuire l’imperiosità del tuo ordine, da un’impercettibile inflessione che ha assunto il tuo tono di voce, per cedere. Di sicuro crede alla tua buona fede e tu, al pari di un diavolo, inizi a nutrirtene.
«Io…» Al suo ennesimo indugiare però, decidi di agire.
«John» insisti, alzandoti ora dalla scrivania e raggiungendolo dall’altro lato della stanza. In risposta lui si ritrae. Abbassa il viso e prende a guardare a terra. Evita di farti vedere quella punta di timore che ora gli domina i pensieri e tu quasi sorridi, divertito dallo scarso contegno di cui dà prova. E che forse è patetico quanto il tuo.
«Non pensi che non sia semplice per me leggere quali sentimenti la agitano in questo preciso momento, lei è tormentato e nervoso. Tuttavia sono le motivazioni che mi sfuggono.»
«Io…»
«Oh, per l’amor del cielo» sospiri, sconfitto dalla sua cocciutaggine, invitandolo a sedersi ad una delle due poltrone situate di fronte al camino, naturalmente spento data la stagione calda, prima di affondare con tutto il peso dell’enorme incoscienza che ti trascini dietro, in quella che sei solito occupare.
«Faccio portare del tè. Mia madre diceva che una tazza di tè aiuta sempre a rinfrancare lo spirito.»
«Tè? Con questo caldo non credo mi vada di berlo.»
«La prego» lo implori «io ne ho bisogno. Se dovremo affrontare l’argomento “Sherlock Holmes” (perché è per questo che è qui; non è vero?), se è così temo che ad entrambi sia necessaria una tazza di Earl Grey.» E dopo che lui annuisce, sconfitto, tu sorridi generoso, incredibilmente privo di quell’odio che non riesci quasi più a provare. E non sarebbe strano se non fosse che hai nutrito forti sentimenti negativi per John Watson, per anni. Ora però di fronte all’immagine di quell’uomo distrutto, proprio non riesci a detestarlo. La compassione e la pietà non sono affari da riguardarti, adesso però ti serpeggiano dentro scavando nel tuo animo contorto e facendoti sentire a disagio. Il che non ti è mai piaciuto.

Per tua fortuna, mamma aveva sempre ragione. E se a dieci anni era sgradevole il fatto di non riuscire mai a rivoltare la faccenda a tuo favore, oggi ti ritrovi a sorridere al ricordo di lei che ti diceva che con una tazza di buon tè, puoi far cambiare idea persino alla regina. John ha reagito in maniera positiva, se ne sta infatti rilassato tra morbidi cuscini e pare essersi riavuto. È tempo di mettere le carte in tavola quindi. È tempo di bluffare.
«Ho commesso un errore» esordisce, con parole che hai già sentito. Al contrario di poco fa però, ora tiene gli occhi fermi sulla tazza di porcellana sporcata appena di latte e zucchero, e sospira rumorosamente. La mano gli trema in maniera vistosa mentre lo sguardo si fa un poco più vacuo, forse si annebbia di quelle lacrime che per troppo tempo ha trattenuto. «Non avrei dovuto sposare Mary» singhiozza.
«Capisco.»
«No» esclama, stoico, posando la tazza sul tavolino e al tempo stesso sollevando gli occhi su di te ed impedendo a quel silenzio opprimente, di calare su di voi al pari di una mannaia. «So già quello a cui sta pensando, bisogna accettare le conseguenze delle proprie azioni ed ha ragione. Io lo sto facendo e intendo perseguire su questa strada occupandomi di mia moglie e di mia figlia, ma ciò non cambia i miei sentimenti. Amo Mary e amo la bambina, ma per Sherlock… quello che sento per lui è opprimente ed enorme, è incontrollabile e, Mycroft, mi schiacciano i sensi di colpa. Non so, credo sia stata la separazione a svegliarmi. Lo stare lontano da lui e con il pensiero che non mi volesse più attorno, in un primo momento è stato difficile da accettare, poi però l’idea ha iniziato a dilaniarmi. La realtà è che mi ha messo alla porta, che ha preso la sua vita e ha chiuso a chiave lasciandomi fuori. E io non lo posso sopportare perché… perché lo amo, Mycroft, io amo suo fratello e solo ora che è troppo tardi me ne rendo conto. Soltanto oggi che lui ha smesso di sopportarmi, lo capisco. Chissà forse i padri di famiglia sono noiosi» conclude, parlando quasi fra sé e sorridendo di un divertimento amaro. Un lieve umorismo che si spegne subito perché ottenebrato dal tormento di un volto tirato. Sorride, John Watson, sorride e subito s’incupisce. E tu, nel frattempo, stupisci te stesso perché sei tanto sereno, da spaventare persino il tuo velocissimo cervello. Non dovrebbe essere così, non è naturale che tu sia tranquillo con dietro l’angolo la certezza dell’amore finalmente ricambiato di Sherlock. Un amore dirompente e passionale che sovrasta il vostro legame incestuoso, riducendolo in niente. Eppure non ti tendi, non sussulti, né ti lasci sopraffare. Forse è perché in cuor tuo sai che non perderai Sherlock. Sì, è così. Deve essere così. Già. Quindi perché ora una macchia di dubbio, che fino a poco fa era soltanto un’ombra lontana, ti oscura il cuore riempiendolo di paura? Meglio non pensarci; giusto? È più saggio proseguire a torturare John Watson, il che è esattamente ciò che ti appresti a fare dopo che hai elegantemente posato tazzina e piattino su di un vassoio d’argento, che impreziosisce un tavolino di lavorato legno vittoriano. Sì, è molto più semplice attaccare l’uomo morente piuttosto che ammettere d’avere paura, di confessare a te stesso di essere terrorizzato all’idea di perdere l’unica e sola tua ragione di vita. Scappa, Mr Holmes, è quello che hai sempre fatto ed quello che, evidentemente, ancora sai fare meglio.
«L’animo umano è di difficile comprensione, John» esordisci, ben consapevole del fatto che questo è l’ultimo atto. Stai mettendo in scena l’inizio di una fine che non ti vedrà vincitore. E per quanto l’ipotesi sia terribile, non ce la fai davvero a tenere a freno la lingua. E dominato dal puro istinto, parli. «Quello di Sherlock Holmes lo è ancora di più. Sa, nel corso di questi quasi quarant’anni hanno definito mio fratello in modi bizzarri e differenti. Qualcuno direbbe che il suo comportamento deriva da una personalità intuitiva, introversa, razionale e in cui il giudizio domina sulla percezione.* Magari un giornalista, scrivendo un articolo del Times, si riferirebbe a lui come: il detective col cappello, l’investigatore scienziato o il fenomeno del web. Uno sconosciuto, offeso dalle sue deduzioni e dal modo di fare brutale, gli darebbe dello strambo o lo offenderebbe con epiteti poco consoni ad un gentiluomo. Ma queste cose, lei già le sa. Concentriamoci quindi su di lei e su ciò di cui è all’oscuro. Lei, John, direbbe che Sherlock è geniale. Che è fantastico e fenomenale. Direbbe che non ha sentimenti e che magari è anche vero che è sociopatico. Lo hanno definito in così tanti modi, che è triste il pensiero che nessuno abbia mai capito chi per davvero è Sherlock Holmes. John, dovrei evitare di dirglielo, eppure lo confesso ugualmente: neppure io ho capito chi fosse e ho trascorso anni della mia vita a crederlo qualcosa che non era mai stato. E me ne pento amaramente. No, dottore, per me e per lei non c’è speranza di redenzione. Perché se gli sconosciuti li giustifichiamo grazie al fatto che sono idioti senza cervello, noi due siamo imperdonabili. Io ho le mie colpe, ne sono ben conscio. Ma lei… lei, dottor Watson, è il più cieco, ottuso ed ignorante essere umano che io abbia mai avuto la sfortuna d’incontrare.» No, Mycroft, fermati. Non farlo. Sei ancora in tempo per riparare. Lo potresti ancora fare, potresti rimediare. Potresti scusarti e mandarlo via. Magari dicendogli che sei ubriaco; lui ti crederà. Ma se prosegui non ci sarà modo di tornare indietro. No, non assottigliare lo sguardo in quel modo e non indurire la piega delle labbra. Non protenderti e non bearti dell’espressione sconvolta e offesa che hai scatenato in lui. Sentimenti che ora mutano in rabbia, ma che ti appresti a sedare con qualcosa di ancor più sconcertante.
«Lei, John, viene a dirmi che lo ama dopo averlo lasciato per una donna? Dopo aver sposato e messo incinta una spia freelance? Una incontrata mentre Sherlock girava l’Europa sfidando le mafie e col solo scopo di salvarla? Lei ha accettato di vivere con una bugiarda dal grilletto facile, con una persona che ha sparato all’uomo che… riducendolo in fin di vita. E dopo che Sherlock si è fatto assassino a causa sua e di quella puttana di sua moglie, lei l’ha addirittura perdonata. No, John, lei non ha mai visto Sherlock Holmes per quello che è davvero. Non ha visto l’amore profondo e distruttivo che nutriva, e che nutre, per lei. Ma d’altra parte, come avrebbe potuto? Come? Quando nemmeno del suo stesso sentimento si è mai reso conto? Il che è ridicolo perché il mondo intero aveva capito Holmes e Watson, tutti vedevano: tranne lei. E più negava, John, più Sherlock si spegneva. Moriva ogni giorno. Cieco. Lei è cieco e ottuso. Neanche le sarebbe bastato uno specchio per comprendere sé stesso, soltanto il buon senso sarebbe servito, piuttosto che un minimo di onestà intellettuale. Lei ha amato Sherlock Holmes fin dal primo momento. Lo guardava come fosse l’unico uomo sulla faccia della terra, ma al tempo stesso non lo vedeva. Amare non vuol dire soltanto non volere nient’altro che la sua felicità, significa anche avere la decenza di rispettare il sentimento dell’altro o quantomeno avere il buon gusto di accorgersene. Lei chi ama, John? Di quale Sherlock Holmes si è invaghito? Dell’eroe? Del genio? O magari dell’uomo disordinato e caotico? Di chi? Dello stronzo insensibile? Del violinista eccelso? Sì, Sherlock è tutto questo ed è niente al tempo stesso. Come può sapere chi è mio fratello? Come, John? Come? Se mai lo ha visto per ciò che è realmente. No, lei non ha idea di chi sia. Se non lo ha mai guardato negli occhi, non lo può amare. E ormai è tardi. Sherlock le ha dato tutto e lei lo ha rifiutato. Lo ha tradito. E non esiste perdono, né redenzione» concludi, lasciandoti cadere nella poltrona e portando lo sguardo a qualcosa di sciocco come il pavimento o il soffitto. La violenza delle tue parole riecheggia nello sguardo ferito di John, è evidente il tuo averlo colpito in modo brutale. Ciò di cui soltanto tu ti rendi conto però, è che il tuo sfogo è il frutto di un rancore profondo. Un male che colpisce colui il quale ti siede di fronte, ma che lascia sconvolto persino te. Probabilmente è per questo che eviti d’incrociare i suoi occhi e non perché ti vergogni di te stesso, ma perché vuoi concedergli almeno un barlume di decenza. O meglio, è ciò di cui ami convincerti. Per tua fortuna, è lo stesso John ad evitarti l’imbarazzo del parlare di nuovo, perché si alza e s’allontana a passo spedito verso la porta. Tuttavia non se ne va e non fugge. Si limita a spalancarla e poi ad aggrapparsi allo stipite, con tremante e salda presa. Lì si lascia cadere e quindi prende a boccheggiare in modo vistoso. Lo hai distrutto e sconfitto ed ora osservi la tua vittoria di Pirro, con quella soddisfazione dai contorni malvagi, che chiunque definirebbe come il risultato del pensiero di un diavolo. Sì, probabilmente lo sei. Certo ti definisci come tale. Anche se, in verità, non ci hai mai creduto. Se sei sempre stato convinto del fatto che sia decisamente troppo comodo incolpare un male superiore, preferisci definirti come l’emblema dell’abisso umano. Infatti è questo ciò che sei, un uomo spaventato e che graffia e morde invece che scappare. Sei un individuo che reagisce sempre e comunque nel peggiore dei modi. Perché la verità è che volevi liberarti di questi sentimenti, e che le parole che hai appena pronunciato con fredda cattiveria, ti giravano in testa da troppo tempo. Ora che le hai dette sei quasi contento d’averlo fatto. Lo hai vendicato, hai sedato la tua gelosia e tanto ti basta.

 Però.

 C’è qualcosa che non va in te in questo momento. È un sentimento fastidioso che ti fa alzare dalla poltrona nella quale eri accomodato e che non ti rende più tanto tranquillo. È il dolore di John che ti sta catturando in maniera insolita, sono le lacrime che gli rigano il viso e che scendono copiose. Il suo dolore esce in modo dirompente, solleticando quell’umanità che di recente hai scoperto di possedere. Eccola, l’altra faccia della medaglia. Dove c’è rabbia, provi compassione. Dove alberga il dolore, esiste la paura.
«Mio fratello le è stato vicino nei momenti cruciali della sua vita, dottore. Quando si è sposato ha scelto lui di starle accanto e lo stesso vale per la nascita di sua figlia. Tuttavia, quando l’ha vista con quella creatura tra le braccia, il pensiero di non fare parte più della sua vita lo ha portato ad allontanarla. Starle accanto è una sofferenza per Sherlock e io non posso lasciare che stia male di nuovo o che corra il rischio di cadere nella trappola dell’eroina. Tuttavia, ritengo lui debba conoscere i suoi sentimenti. C’è ancora una possibilità per voi due e per questo farò in modo che la ascolti e che possiate parlarne» annuisci, con fare rassicurante. «Ma la devo avvertire: se a causa sua, mio fratello verserà una sola lacrima, mi preoccuperò personalmente di tenerlo lontano da lei. Se così fosse può star certo che non avrà più notizie di Sherlock Holmes.»

Renderti conto di ciò che hai appena fatto, è un tutt’uno con il rumore dei passi di John che si allontanano. Le sensazioni che il restare solo ti suscita, sono impossibili da trattenere. Non avresti mai creduto che avresti finito con lo spingerli uno fra le braccia dell’altro (di nuovo). Oggi però hai una consapevolezza diversa di quella che avevi anni fa, ora sei certo che questa volta sarebbe per sempre e che niente potrebbe dividere John e Sherlock. Non ci sarebbe più posto nella vita di tuo fratello, per te. No, Mycroft, non è giusto. Non è per niente giusto. Tutto è sbagliato. E fa male. Fa un male del diavolo. Fa male al cuore, al petto, all’anima. Fa male alla testa che ora pulsa, fa male agli occhi che si pungono di lacrime. L’ultimo tuo pensiero cosciente prima di cadere a terra e rintanarti in un angolo di quella grande stanza dai contorni antiquati, è che la tua disperazione è senza fondo. Non stai piangendo soltanto perché lo perderai, stai piangendo per te stesso e per il tuo esser stato incapace di vivere una vita normale. E quindi disperati. Bevi le tue lacrime e saziati con esse: non ti restano che quelle.
 


Continua


*Mycroft si riferisce alla personalità INTJ: https://it.wikipedia.org/wiki/INTJ alla quale Sherlock Holmes viene associato.

Vi ringrazio per aver letto fino a qui e ringrazio chi ha letto e recensito, chi ha inserito la storia tra le seguite, preferite e ricordate. Detto questo volevo sottolineare un dettaglio, che mi sa è andato sfuggito. C'è l'avvertimento Johnlock nell'introduzione, perché in effetti questa storia è anche Johnlock e non solo incest, tuttavia al momento (e non avendo ancora preso una decisione riguardo "la scelta" di Sherlock) non posso garantire che il finale andrà in quel senso e che il Johnlock avrà un happy ending. Lo dico perché mi pare doveroso avvisare chi non se la sentisse di proseguire, il che sarebbe perfettamente lecito.
Koa
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Sherlock (BBC) / Vai alla pagina dell'autore: Koa__