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Autore: Koa__    08/07/2015    3 recensioni
L'animo umano è di difficile comprensione, John, quello di Sherlock Holmes lo è ancora di più. La verità, però, è che nessuno ha mai compreso per davvero mio fratello, né lei, né io, né nessun altro. Rassegnamoci al destino che ci è toccato, dottore e proviamo a vivere degnamente la vita che ci spetta. Questo è il solo modo affinché Sherlock sia sereno. Sacrificarsi per lui non è nulla se non un dovere.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, Crack Pairing | Personaggi: John Watson, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Incest, Triangolo
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Prigione di seta'
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Note iniziali. La storia fa parte della serie: 'Prigione di seta'. Temporalmente è ambientata dopo 'Elisir d’amore'. Vi avviso che è necessario aver letto tutte le storie precedenti (l'ordine preferibile è quello di pubblicazione). E tratta di tematiche incestuose. 


 
 
I due cuori di 
Sherlock Holmes
 
 

 
Parte prima



È nella penombra del Diogenes club che accade, che lo rivedi. E nonostante il tentativo di negazione, lo stupore ha fin da subito preso dominio dei tuoi pensieri. Successivamente, ed in modo prevedibile, la sorpresa si trasforma in disappunto ed infine in una punta di irritazione, la stessa che ti tiene incollato alla comoda sedia nella quale sei affondato, in una postura scomoda e tesa. È l’effetto John Watson, ricordi a te stesso. Dovresti esserci abituato dato che ogni volta che te lo ritrovi di fronte o che sei costretto a parlarci, non sei mai pienamente sereno, non hai il totale controllo dei tuoi pensieri o delle tue espressioni facciali. E non importa che fortuna voglia che il tuo interlocutore non veda al di là del proprio naso, per te non fa differenza perché la compostezza e l’aria annoiata, sono tutto quello che ti rende quel che il mondo conosce. Senza di essi crolleresti, annegando in un marasma malforme di emozioni represse. In quel caso non hai idea di come ti giudicherebbero gli altri. Non che te ne importi, ma quando hai a che vedere con l’uomo di cui Sherlock è innamorato beh, preferisci tenere oscuri taluni lati di te. Il dominio della mente ti permette di tenere sotto controllo i lati ombrosi di quel tuo carattere sfaccettato, articolando frasi e concetti nel modo meno inopportuno possibile. Ora però, e come se non bastasse lo sbigottimento, anche un senso di inquietudine ti coglie, lasciandoti nervoso. Perché che cosa John Watson voglia da te, proprio non ne hai idea.

In tutta sincerità, eri sicuro d’esserti liberato di quel diavolo di un dottore, tanto che non pensavi che lo avresti mai rivisto. D’altra parte eri presente quando Sherlock lo ha allontanato in modo definitivo, dicendogli che era giunto il momento di andare avanti e separarsi. In effetti, quel giorno lo ricordi perfettamente. Rammenti il tremolio che trasudava dalle parole di Sherlock, così come le mani che con poca coscienza stringevano con vigore il violino e ne pizzicavano le corde nervose. Ricordi persino lo sguardo di tuo fratello che bramava d’incontrare il tuo, quasi t’implorasse di aiutarlo a metter fine all’agonia che gli era toccato subire. Ti pregava spezzare quel dolore scaturito dall’esser costretto ad avere di nuovo a che fare con John. La sua sofferenza è stata difficile da gestire, assurdamente troppa da sopportare. Tosta e indigesta al punto che dominare l’ira è divenuta una delle cose più difficili che tu abbia fatto in vita tua. Tutta rabbia che poi ha finito col raggrumarsi formando un fastidioso nodo in fondo alla gola. Terribile è stato il dover a tutti i costi tenere a freno l’istinto di prendere Sherlock e fuggire, di scappare lontano laddove quel dottore non avrebbe mai potuto trovarvi, né ferirvi. Avresti tanto voluto essere un po’ meno codardo e indolente e semplicemente correre via, annullando dolori e preoccupazioni. Se cosi avessi fatto, saresti riuscito anche a fugare una volta per tutte il terrore che già ti serpeggiava dentro e che era formato dalla paura di perderlo per mano di John Watson. Lo stesso drammatico timore che da pochi istanti è tornato a sconvolgerti. Più precisamente dall’esatto momento in cui hai visto quell’uomo apparire sulla soglia del tuo ufficio e senza che avesse una ragione sensata per trovarsi lì. Ciò che ti spaventa è che non era programmata la sua visita, non avete nulla da dirvi. E forse è proprio nel momento in cui intuisci i motivi, che la paura inizia a invaderti. Non vuoi perdere Sherlock e non succederà, lo hai promesso a te stesso proprio quel mattino di troppi mesi fa, là in quella Baker Street satura delle vostre parole, di timide mezze frasi e note di violino, carica di una notte trascorsa a dormire come i più innocenti dei fratelli. No, non riusciresti a reggere il contraccolpo e se Watson te lo portasse via, probabilmente moriresti di dolore. Oppure no. Dannazione odi essere confuso! Detesti avere paura e non tolleri che sia quel sempliciotto di un ex reduce, a provocarti un simile sconvolgimento emotivo. Perché magari queste non sono che le lagne di un uomo adulto che ancora non si è rassegnato all’idea di morire da solo. Potrebbe essere. Già, peccato soltanto che quel giorno di troppi mesi fa, tu non abbia avuto il coraggio di scappare. Ti sei limitato a stringere con ancor maggior forza il manico dell’ombrello che tenevi puntato a terra, increspando le labbra di un semplice e più gestibile disappunto. Come John non si sia accordo del vostro stato d’animo, dell’evidente dolore di Sherlock o della rabbia che provavi nel vederlo sofferente, ancora adesso non l’hai compreso. Sai di essere abile a mentire e di riuscire a celare per bene i tuoi sentimenti alle persone comuni, ma l’idea che John non sia riuscito a notare il male che pervadeva gli occhi sofferenti di Sherlock, è sconcertante. Non è possibile che non abbia visto: chiunque se ne sarebbe reso conto.

Per fortuna l’episodio non si è ripetuto e dopo quel giorno non sei stato più costretto ad incontrare qualcuno di così troppo sgradevole. Fino ad ora la vita è trascorsa in un modo decisamente ottimale. Sei vissuto con il solo scopo di occuparti di Sherlock e di renderlo felice e in parte ammetti, non senza una punta d’orgoglio, d’esserci riuscito. Ora trascorrete molte notti insieme, talvolta a casa tua, altre invece a Baker Street. Di John non avete mai discusso, non ce n’è mai stato bisogno perché tu sai che ne è ancora innamorato. Ma ti va bene e credi sul serio nel fatto che un po’ ami anche a te, ti sei detto più volte che il suo amore per quell’uomo non ostacola la vostra felicità e sei fermamente convinto di questo. Nonostante la gelosia che ti divora e che t’accende lo sguardo di possessione, non hai mai ceduto ai pensieri negativi, Sherlock non ha certo bisogno di dover gestire i tuoi isterismi. Mai una volta, quindi, ti sei lasciato scappare un commento acido o incattivito riguardo il buon dottore. Per questo sai che il vedere John oggi e dopo così tanti mesi, ti sconvolge. Ti senti come se tutti i sentimenti che su di lui avevi represso, ti fossero tornati addosso, travolgendoti al pari di una valanga. Ovviamente però non è tutto. Oltretutto, c’è anche l’atteggiamento di John ad essere insolito. È uno Watson diverso dall’ultima volta che lo hai visto, differente insomma, e lo intuisci dal velo di tristezza che gli dipinge uno sguardo cerchiato da pesanti occhiaie. Rimane sveglio la notte, deduci e non è soltanto per via della piccola neonata, sono i tormenti a non farlo dormire, a non permettergli di prendere sonno. Forse, come accadeva un tempo, i suoi sogni sono agitati e confusi. Drammatici. Probabilmente sogna Sherlock, anzi no, è la lontananza da lui a non renderlo tranquillo e magari è lo stesso sentimento che in questo strano giorno dai contorni normali, ma dal contenuto strano e imprevedibile, lo ha condotto sino a te.

Ci ha pensato a lungo prima di entrare, questo ti pare evidente dalla suola delle sue scarpe insolitamente sporca di fango o dalle unghie rosicchiate. È nervoso, il che è perfettamente intuibile dai pugni chiusi e dalle labbra serrate segno di un’agitazione che maschera dietro rabbia e furia e che cela ben poco abilmente, dietro l’odio che nutre per te. Vorresti tranquillizzarlo riguardo il fatto che il sentimento è reciproco, ma non ti pare il caso e caricato della tua consueta eleganza, sollevi il volto dalle carte che hai raggruppate in una cartelletta e gli sorridi gentilmente. Non ti preoccupa l’essere falso come un giuda, perché non è una novità il dover nascondere ciò che pensi veramente. In questo, nemmeno John fa eccezione.
«Dottore, a cosa devo la sua gradevole visita?» chiedi, incrociando le dita sotto al mento mentre affondi contro lo schienale e lo inviti a sedersi in quella libera di fronte a te. Lui nega, rifiuta e poi si tende di nuovo. Il suo disobbedire ti innervosisce ed ancora di più lo fa quel suo fissarti in maniera insistente, tanto che sei obbligato a sfoderare tutta la falsità che hai a disposizione e soltanto per sperare che vada in svantaggio. Tattica insomma, la medesima che riservi ai reali o agli infimi politici della peggior specie.
«Sa perché sono qui?» sibila lui, con voce bassa e che ad un orecchio distratto appare come severa, a tratti persino cattiva. Prestando attenzione però si può facilmente far caso ad una nota di disperazione, di lacrime trattenute da uno stoico e militaresco modo di fare. Un dramma a cui poco badi e che subito dimentichi. Ora John è solo un problema da risolvere, un fastidio di cui liberarti il prima possibile e nient’altro.
«Posso immaginarlo» affermi, annuendo mentre stiri un sorriso e posi le dita congiunte sulle labbra che vibrano di disappunto nell’attimo in cui ti rendi conto che quel diavolo di un medico, non si siederà come gli hai chiesto di fare. Perché non deve mai fare ciò che gli si dice? Perché deve essere sempre così idiota e ottuso? Perché?
«Credo però che sia più saggio per entrambi se mi espone il suo problema, dopodiché vedremo di risolverlo» concludi, abbozzando un accenno di giovialità che t’infastidisce da tanto è mal fatta. Accidenti, stai diventando incapace persino a fingere scioltezza ed è tutta colpa di John e della sua cocciutaggine. Ti domandi dove andrai a finire se perseguirà a non accomodarsi; forse è venuto per farti impazzire! No. D’accordo, devi riprendere il controllo. Hai soppesato i termini da utilizzare e questo lo fai sempre, anche ora non hai sbagliato le parole. Vago e preciso al tempo stesso. Dici tutto pur non affermando nulla, di modo che nessuno abbia le prove di un qualcosa. Far capire ogni cosa da frasi non concluse e lasciate in sospeso, che però colgono nel segno. Il problema è che con John Watson non esiste mai nulla di già fatto o di facile, lui non è ovvio, ma nel suo essere odiosamente testardo, spesso risulta imprevedibile. E quando gli domandi un favore o gli fai una cortesia, ecco che si impunta e continua a fare di testa propria. Idiota. Tu mal sopporti quando gli altri non fanno come gli viene detto, come tu ordini di fare (per la precisione). Soltanto a Sherlock permetti di agire come preferisce, ma mai a nessun altro. Anima viva si merita le tue concessioni, piuttosto che la tua sottomissione. E quello che ora stai giocando con John Watson è un gioco di potere che dovrai vincere, a tutti i costi.

Forse però c’è un dettaglio che hai sottovalutato. Un particolare che hai notato e poi accantonato, definendolo come non importante. John non sente rabbia, non odio o ira. John sta soffrendo e quello sguardo che tu stesso hai definito come odiosamente insistente, è in realtà il simbolo di un sentimento che avresti dovuto intuire prima. Perché occhi arrossati e guance scavate non sono mai sintomo di felicità. Sciocco, avresti dovuto capire subito, cogliere prima il dolore di John quello che tanto ti ricorda ciò che provò Sherlock nel loro ennesimo giorno d’addio.

«Io ho commesso un errore, Mycroft» esordisce, squarciandoti di sorpresa mentre trattiene invano una lacrima che, mentre parla, riga il volto. «Non avrei mai dovuto sposarmi» confessa, a capo chino. E sì, devi ammettere che ti ha preso in contropiede.



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