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Autore: Castiga Akirashi    13/07/2015    1 recensioni
{Rating più alto in alcuni capitoli}
Può una bestia redimersi?
Può smettere di uccidere?
Il Demone Rosso ha seminato distruzione, paura e morte per anni.
Ora è sparita.
È morta? È nell’ombra che aspetta una preda?
Nessuno lo sa…
Aurea Aralia è una studiosa Pokémon conosciuta in tutta Isshu.
Stimata e rispettata, passa il suo tempo a esplorare il mondo dei Pokémon ed a aiutare i giovani allenatori che le vengono affidati.
La sua vita cambierà, quando incontrerà una ragazza.
Ragazza o… Demone?
Genere: Avventura, Fantasy, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, N, Nuovo personaggio
Note: OOC | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Videogioco
Capitoli:
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«Ovviamente vinsi io!» concluse Castiga, con un sorriso: «Poi andai alla Lega, per fermare N, come ti ho già raccontato.»
«Sì mi ricordo.» ripose Raphael.
«Sai, ora che ci penso, le parole di Aristide hanno un senso, ora. E anche lo sguardo che mi fece.»
«In che senso?»
Castiga alzò le spalle e rispose: «Lui mi disse che i gemelli capirono che la ragione non sta da una sola parte, che un Drago non può prevalere sull’altro e schiacciarlo. Allora non capii quelle parole, ma quando io e N ci scontrammo, lui ripeté la stessa cosa. Non le esatte parole, ma disse: “Reshiram e Zekrom… hanno entrambi scelto il proprio eroe. Non avevo considerato tale possibilità: uno persegue la Verità, e l’altro gli Ideali. Che abbiano entrambi ragione?”. Mi ricordai della Leggenda e capii finalmente ogni cosa. Niente è assoluto. E poi ho anche ragionato sul mio stesso pensiero... anche Zekrom ha confermato. Ha visto in me una grande speranza. Non solo la mia, ma anche quella che tutti riponevano in me. Questo l'ha convinto, oltre ai miei personali ideali.»
«Hai ragione. E finalmente lo capì anche N!» esclamò Belle.
Castiga annuì e aggiunse: «Già. Credo che invece Reshiram abbia scelto lui perché vedeva un cuore che ambiva alla pace. Lui voleva solo che le creature smettessero di soffrire, che non ci fossero più conflitti. Credo che, a parti invertite, i due Pokémon sarebbero rimasti roccia.»
«Tu per la pace e lui per la speranza?» chiese Cheren, ridacchiando.
«Sì, esatto. Io porto proprio la pace. Quella del riposo eterno!» ribatté lei. Gli altri tre scoppiarono a ridere. Sapevano che non era seria, anche se sapevano pure che quelle parole erano totalmente veritiere.
Dopo una tappa in città e un saluto a Iris e ad Aristide, ripartirono. Prima di uscire dalla città e avviarsi sul percorso 11, Cheren esordì, titubante: «Io vorrei… fare una proposta.»
Belle, al suo fianco, annuiva incoraggiante. Castiga sorrise, intuendo qualcosa visto dove erano, e lo invitò a parlare, dicendo: «Dica, Dottore!»
«Io vorrei… tornare alla Lega Pokémon. Mi sento più forte. Posso farcela!» esclamò, determinato questa volta a vincere. O almeno a vedere Nardo.
Gli altri acconsentirono e così, attraversando Boreduopoli e il percorso 10, arrivarono alla Via Vittoria,  l’impervia grotta che precede il palazzo della Lega di Isshu. Cominciarono la scalata insieme, chiacchierando allegramente, ma circa a metà strada un terremoto li colse alla sprovvista e il soffitto cominciò a franare. Castiga e Raphael si presero per mano d’istinto, Belle e Cheren tentarono di fare lo stesso, ma una frana li divise e formò un muro, separando il ragazzo dal resto del gruppo. Belle cominciò a gridare contro la roccia: «Cheren! Cheren, stai bene?! CHEREN!»
Lui, dall’altra parte del muro, picchiò i pugni contro le rocce e urlò di risposta: «Belle! Sto bene! Ma sono intrappolato!»
Castiga si avvicinò alla parete, si schiarì la voce e gridò: «Dottore, mi senti?»
«Sì, Castì… hai qualche idea?»
«Io ho sempre un’idea, ricordatelo! Scherzi a parte… dietro di te dovrebbe esserci una gradinata che scende, dico bene?» borbottò lei, andando a memoria. Aveva esplorato quella grotta da cima a fondo, per allenarsi e poter sconfiggere Nardo. Non era riuscita nell'obbiettivo, ma conosceva perfettamente la Via Vittoria.
«Sì, sento il primo scalino con il piede.»
«Perfetto. Allora… scendi le scale e prosegui nel tunnel che c’è dopo. Ti ritroverai in una grotta abbastanza larga, nella quale si può accedere da una strada più lunga. Noi prenderemo quella strada e ti raggiungeremo. Chiaro?»
«Sì, tranquilla, ho capito!» rispose lui, per poi cominciare a percorrere il tunnel, al buio, dato che non aveva Pokémon di tipo Fuoco su cui fare affidamento per farsi luce. Ci mise molto tempo, ma finalmente arrivò nella grotta che gli aveva descritto Athena. Si preparò ad aspettare gli amici e sedette su una roccia.
Ma, all’improvviso, sentì un fragoroso rumore alle sue spalle. Si girò di scatto, in tempo per vedere un enorme bisonte di pietra corrergli addosso, alla carica. I suoi occhi rosso fuoco puntavano proprio lui e le grosse zampe non tradivano nessun rallentamento.
«Vai, Serperior! Usa Fendifoglia!» esclamò il ragazzo lanciando una Pokéball.
Il Pokémon Serperba uscì dalla sfera e attaccò. L’avversario non rallentò, anzi, accelerò la carica, le sue corna si illuminarono e il Pokémon colpì Serperior facendolo schiantare contro il muro.
«Serperior!» esclamò Cheren, correndo dall’amico.
Il bisonte lì superò a causa dello slancio, fece una curva per cambiare la direzione e ripartì alla carica, puntando il Pokémon Verde. Cheren si parò davanti all’amico d’erba per proteggerlo, ma lui lo scavalcò e, con un Fendifoglia aereo, riuscì a bloccare la folle carica del bisonte. L’avversario puntò le zampe nel terreno dietro di sé e aumentò la forza. Serperior cercò di resistere, ma cedette e cadde a terra, esausto.
Il bisonte si allontanò di qualche passo e fissò Cheren soccorrere il Pokémon Serperba. Senza emettere un suono, girò sui tacchi e se ne andò. Il ragazzo si avvicinò al suo Pokémon e, preoccupato, chiese: «Come stai?»
«Ser… perior…» mormorò lui affaticato dalla lotta. Cercò di rialzarsi ma rovinò al suolo.
«Stai calmo, Serperior… tra poco arriverà Castì con le sue medicine. Ora rientra, così sentirai meno dolore.»
Serperior scosse il capo; poi, con un cenno del muso, indicò il punto in cui era sparito il bisonte.
«Non vuoi lasciarmi solo?» mormorò il ragazzo: «Grazie amico…»
Sorridendo, gli fece una carezza. Molto tempo dopo arrivarono di corsa gli amici. Belle saltò letteralmente addosso a Cheren e Raphael la seguì, per salvare l’amico dal suo assalto.
«Cheren! Ero così preoccupata! Sei ferito? Stai male?»
Lui la tenne stretta, sorridendo e cercando di calmarla, e rispose: «Tranquilla Belle... sto bene, davvero!»
Nel frattempo Serperior si era rannicchiato in un angolo, aspettando pazientemente che il suo allenatore andasse a curarlo. Purtroppo per lui, ora Cheren aveva occhi solo per Belle.
«Abbiamo una brutta cera, eh Serpentone?» disse una voce vicino a lui.
Serperior girò la testa e vide Castiga inginocchiata a pochi metri da lui. Si chiese come mai non fosse il suo Allenatore a preoccuparsi di lui, ma la ragazza. Lei gli sorrise, intuendo i suoi dubbi; accennando a Cheren con un cenno del capo, disse: «Ora il Dottore ha altro a cui pensare, ma non credere che non ti voglia bene.»
Il Pokémon la guardò e lei prese una medicina spray dallo zaino, dicendo: «Allora, vuoi farti curare o rimani lì a soffrire?»
Serperior guardò Cheren, che in quel momento stava stringendo con affetto Belle; sconsolato e con gli occhi tristi, strisciò fino a Castiga, le mise la testa sulle gambe e la cinse con il corpo affusolato. Lei gli curò le ferite, senza fare cenni di affetto per non turbare il Pokémon, ma lui sembrava quasi ansioso di ricevere qualche carezza. Gli scese una lacrima da un occhio e guardò la ragazza in una muta preghiera. Lei gli sorrise e gli accarezzò dolcemente la testa. Lui si posò a lei. Il povero Pokémon non aveva mai ricevuto molte coccole dal suo Allenatore, non perché lui non gli volesse bene, ma perché non sapeva esprimerlo. E in quel momento Serperior aveva bisogno di affetto.
«Non abbatterti Serperior. Il Dottore ti vuole molto bene, lo sai, solo che non sa dimostrarlo.»
Serperior chiuse gli occhi, godendosi un attimo quel poco di affetto che per la prima volta gli veniva dato. Alzò la testa e fece un cenno alla ragazza, di imbarazzo e ringraziamento insieme; poi si allontanò da lei.
Nel frattempo Cheren si era liberato dall’abbraccio di Belle, grazie anche all’aiuto di Raphael, e andò dal suo coraggioso amico, per ringraziarlo ancora una volta. Serperior seppe che Castiga aveva ragione: Cheren gli voleva bene, anche se non riusciva ad esprimerlo.
Castiga non poté fare a meno di pensare a una cosa: “Cheren e Serperior … Belle e Emboar … Raphael e Zubat … non posso certo togliere nulla a Maru. Lui ha fatto tanto per me in questi tre anni. Ma lui… lui è stato il mio primo Pokémon. Il mio migliore, unico e fidato amico. Noi eravamo una cosa sola… due anime, una cosa sola… lo diceva sempre... Pidg, fratello mio … mi manchi da morire… non sai quanto.”
La ragazza cercò di scacciare quel pensiero, ma senza riuscirci. Così, per non disturbare gli altri e farsi vedere così “dannatamente debole”, si rintanò in un angolo buio e pianse, pianse tutte le sue lacrime, in silenzio e solitudine, come aveva sempre fatto. Maru però la vide e, senza parlare, le posò la testa sulle gambe, dandole sostegno con la sola presenza. Lei lo accarezzò, mentre le lacrime silenziose le rigavano il volto. Cercò di riprendersi in fretta, non voleva che gli amici la vedessero piangere. Si asciugò gli occhi in tempo per sentire Raphael dire: «Ehi, Athena! Ce cosa fai tutta sola? Vieni che usciamo da qui!»
Lei si stampò in faccia un finto sorriso e seguì gli amici fuori dalla via Vittoria, finalmente alla Lega Pokémon. Cheren curò la sua squadra, fece un respiro profondo e entrò nel palazzo. Gli amici lo aspettarono fuori, tranne Belle che andò a vedere gli incontri.
Castiga fece per andare al centro Pokémon, quando una mano le prese una spalla e Raphael disse: «Dimmi cos’hai.»
«Niente.» rispose lei, scostando la mano.
Lui la prese per i fianchi e la costrinse a voltarsi. Fissandola negli occhi, disse: «Non ti credo. Ho aspettato che gli altri non ci fossero, ma parlami.»
Lei distolse lo sguardo, per non far vedere la sua palese menzogna, e replicò: «Sto bene.»
«Athena, ascoltami. Se stai male devi dirmelo, chiaro? Sei la mia ragazza, ti amo e non voglio che tu soffra da sola. Avevo detto che il poco tempo che mi rimane da passare con te, l’avrei usato per renderti felice. E voglio farlo. Voglio che tu sia serena e ora non lo sei. Possibile che tu non lo capisca?!»
Castiga ci rimase di stucco, colpita da quelle parole.
Nessuno le aveva mai detto quelle cose.
Nessuno l’aveva mai amata così tanto.
Lo guardò negli occhi, vedendo quello sguardo deciso e preoccupato, poi posò la testa al suo petto e sussurrò: «Alla Cava… quando ho visto Serperior e Cheren… mi è venuto in mente…»
«Maru?»
Lei scosse la testa: «No.»
«E allora chi?»
Castiga guardò di lato, con un groppo alla gola, e rispose: «Il Pokémon che mi stava più a cuore. Più della mia stessa vita… e che ora non c’è più.»
Raphael ci pensò un attimo, poi gli venne l'illuminazione. In un sussurrò, mormorò: «Pidg.»
Lei non resistette e cominciò a piangere; si sentiva una nullità, una debole e mormorò: «S-scusami…» cercando di scostarlo.
Lui invece la strinse al suo petto, dolcemente, e disse: «Piangi, mia piccola pazza. Con me non devi vergognarti di nulla. Piangi e sfoga il tuo dolore…»
Tra le lacrime, lei mormorò, cercando quasi di giustificare quella sofferenza che sentiva dentro: «P-pidg era una parte di me. Eravamo una cosa sola… lui era tutto per me. Tutto… Eravamo insieme da quando avevo cinque anni. Nel bene e nel male, è stato sempre al mio fianco… sempre…»
La ragazza nascose il volto nella giacca del ragazzo, stringendone i lati, e pianse tutto il suo dolore. Raphael la cullò fra le sue braccia, sussurrando parole di conforto, finché lei non fu calma.
«Scusami… non dovevo. Sono… patetica.»
Lui le sorrise e ribatté: «Non dire sciocchezze. Sai… mi avrebbe fatto piacere conoscere Pidg.»
«Non credo. Sarebbe stato molto pericoloso.» mormorò lei, ricordando come fosse protettivo; se Shikijika si limitava a spaventare, Pidg non ci avrebbe pensato due volte ad attaccare: «Avrei tanto voluto che fosse venuto a Isshu con me. Avrei dovuto salvarlo…»
Raphael la strinse, non capendo del tutto quanto stesse male ma cercando di provarci e disse: «Lui vivrà sempre nel tuo cuore, non dimenticarlo. E non vorrebbe che tu fossi così triste.»
Lei gli sorrise e, pian piano, si sentì un po' meglio. Cheren e Belle uscirono dal palazzo dopo un paio d’ore. Cheren era abbattuto e Belle gli stava sussurrando qualcosa.
«Cos’è successo?» chiese Castiga, ormai del tutto calma e padrona di sé.
Il ragazzo era stato sconfitto dallo Chandelure dell’Élite Antemia. Non era nemmeno riuscito a vedere Nardo. Aveva perso contro l’ultimo degli Élite Four, i quattro allenatori che precedono il Campione, quindi doveva esserne fiero. Era un ottimo piazzamento. Ma non per lui. Il ragazzo avrebbe voluto vincere, per Belle, e dedicarle la vittoria. Ma era stato sconfitto.
«Dai Cheren… sei stato bravo.» disse timidamente lei, per consolarlo.
«Io… io volevo vincere per te, Belle.» mormorò affranto il ragazzo.
Lei lo guardò, stupita e lusingata insieme, e, raccolto il coraggio, gli sussurrò: «Sei il migliore…»
Lo abbracciò forte e lui la strinse. Si guardarono negli occhi, avvicinandosi lentamente.
«Dai che va!» mormorò Castiga con un ghigno, trascinando via Raphael.
«Voglio vedere!» esclamò lui.
«Ma smettila, scemo! Dai a quei due un po’ di privacy, guardone che non sei altro.»
I due se ne andarono al Centro Pokémon, anzi meglio dire che Castiga dovette trascinare a forza Raphael, mentre, dietro di loro, Belle e Cheren si baciavano, cullandosi dolcemente.
Quando i due amici raggiunsero gli altri nel Centro, erano entrambi al settimo cielo, e si tenevano per mano. Dichiararono il loro fidanzamento ufficiale con un sorriso a trentadue denti. Dopo complimenti, prese in giro e risate, andarono a dormire tutti e quattro. Il giorno dopo fecero il punto della situazione .
«Abbiamo esplorato la parte nota di Isshu, ora ci resta quella ignota.» disse Castiga guardando la mappa e cerchiando le città visitate: «Andando verso est da Boreduopoli, si va a Ponte Villaggio, Fortebrezza, Spiraria, Foresta Bianca e poi si ritorna a Sciroccopoli, dopo aver attraversato il Ponte delle Meraviglie.»
«Beh… allora andiamo!» esclamò Cheren e il gruppetto ripartì alla volta di Boreduopoli.
Camminarono per altri due giorni e finalmente arrivarono a Ponte Villaggio, una piccola cittadina costruita su un ponte a scalinate. Era una città molto particolare: sulle due rive cominciavano le due gradinate, con ai bordi delle case. Il ponte in ferro superava il fiume e collegava le rampe di scale. Tutta la superficie era coperta da pietre grigie a vista. Il ponte aveva più di duecento anni, ma era in perfetto stato. Fecero un giorno di sosta, visitando quella città così particolare, per poi proseguire e arrivare a Fortebrezza in altri due giorni.
Fortebrezza era una città fuori dal tempo. La prima cosa che i ragazzi notarono, furono le mura di cinta. Non le avevano mai viste, in nessuna delle città visitate. Perplessi, entrarono e notarono che la città era formata da più livelli: la strada principale, a livello del terreno, portava all’uscita. Sui bordi vi erano alcune case, ma la maggior parte delle costruzioni era sopra, ai livelli superiori, che potevano essere raggiunti da due scalinate.
Incuriositi, chiesero spiegazioni a un residente. L’uomo disse loro che, da tempi antichi, c’era una leggenda a Fortebrezza: si diceva che, nella Fossa Gigante a est della città, ci fosse un mostro, portato dal meteorite che aveva provocato il cratere, divenuto poi la famosa fossa. Si diceva che il mostro uscisse di notte dalla sua tana, portando un vento forte e gelido, per rapire i bambini e mangiarseli. Da allora, al tramonto, tutti gli abitanti di Fortebrezza si rifugiano in casa e viene scoraggiata l’idea di uscire di notte, proprio per paura del mostro.
«Ragazzi… riposiamoci che domani ripartiamo.» disse Castiga, perplessa da quella codardia.
In casa dopo le cinque per una leggenda. Un conto era lei, che arrivava per mietere vittime, un altro era un fantomatico mostro mangia-bambini. Si salutarono ed andarono a dormire, ma la ragazza non era molto stanca e non riuscì a prendere sonno. Eludendo la vigilanza dell’infermiera, uscì per prendere un po’ d’aria nel cortile del centro Pokémon. Quando era calata la sera, tutti si erano raccomandati che nessuno uscisse fino all’alba e tutta la gente si era barricata in casa.
«Fa proprio freddino.» borbottò Castiga, sedendosi su un gradino. Almeno quello era vero: durante la notte il vento era proprio gelido.
Non le erano mai piaciute le leggende e lei sicuramente non avrebbe avuto paura di una voce. All’improvviso, vide un Pokémon blu cobalto, dalle sembianze di un cavallo, uscire da dietro un albero.
«Guarda un po’ chi si rivede.» mormorò la ragazza, socchiudendo gli occhi.
Il Pokémon fece un passo avanti e la scrutò con un profondo occhio rosso. Quel Pokémon la sapeva lunga, Castiga lo vedeva. Era un vecchio Pokémon saggio e astuto. La ragazza incrociò le braccia, senza abbassare lo sguardo. Rosso nel rosso.
“Non hai paura del mostro?” chiese il Pokémon, telepaticamente, per non farsi sentire da altri. Era molto improbabile ma non si poteva mai dire. La ragazza capiva le sue parole, quindi non era un problema, ma se qualcun altro lo avesse sentito parlare, avrebbe udito il suo nome nel suo verso. E non era accettabile.
«No. Le leggende non mi fanno paura, a meno che non le veda con questi occhi. E forse, nemmeno in quel caso.» rispose lei, sinceramente colpita da tutta quella paura: «Che cosa vuoi ancora? Ponentopoli è lontana da qui.»
Il Pokémon non le rispose, guardandola altero. Lei lo fissò di risposta, poi chiese: «Il mostro esiste davvero?»
“Perché me lo chiedi?”
«Curiosità. Questa gente è terrorizzata.»
“Esiste, ma non è un mostro. Il suo nome è Kyurem e lo temono perché è ostile verso umani e Pokémon.”
«Capisco.»
Un gelido vento interruppe il loro discorso. Athena si alzò, andando a vedere cosa stava succedendo e il Pokémon la seguì. Davanti a loro c’era un drago grigio, con le ali e alcune parti del corpo congelate. Era bipede, ma chinato in avanti. Le possenti e robuste zampe posteriori sorreggevano il corpo, mentre quelle anteriori, molto piccole, non servivano quasi a nulla. Le ali congelate somigliavano a quelle di Zekrom, mentre la coda era vagamente simile a quella di Reshiram.
Castiga estrasse il Pokédex che disse: “Kyurem, il Pokémon Confine. Produce all'interno del suo corpo una potente e gelida energia. Ma l'aria fredda che esala lo ha congelato. Ha il potere di generare un freddo glaciale, ma ha finito per congelare il suo stesso corpo.”
Castiga mise via il Pokédex, fissando quello strano Pokémon. Quello al suo fianco, invece, con una nota di allarme nella voce, borbottò: “Scappa umana. Ti copro le spalle.”
«Ma se invece collaborassimo?»
“Lascia fare a me!” rispose lui, per poi attaccare con quelle sue corna luminose.
Castiga si arrese al suo volere e si allontanò, ma si nascose per potergli dare man forte se avesse avuto bisogno di aiuto. Il Pokémon cobalto combatté come una furia, ma Kyurem era molto forte e lo sconfisse. Poi se ne andò, così come era venuto. Castiga vide un uomo osservare Kyurem e poi il Pokémon a terra. Si avvicinò al ferito, con tutte le intenzioni di catturarlo, ma lui cercò debolmente di difendersi. Poi però svenne.
Il Pokémon cobalto si risvegliò dopo parecchie ore. Era nel punto in cui era svenuto, ma le sue ferite erano state curate e aveva una ciotola con del cibo accanto alla sua testa. Non c’era traccia dell’umano che aveva tentato di fargli del male e, credendo di essere solo, mangiò come un lupo affamato tutto quello che c’era. La lotta con Kyurem gli aveva prosciugato quasi tutte le energie. All’improvviso un sospiro lo fece sobbalzare. Si guardò intorno preso dal panico e vide l’umana dai capelli rossi dormire su un'amaca, a pochi metri da lui. Da come dormiva, sembrava sempre sul punto di svegliarsi e nelle mani teneva un pugnale.
Il Pokémon si avvicinò a lei silenziosamente e la guardò. Poi corse via e sparì nella notte.
Castiga si svegliò la mattina dopo all’alba. Si stropicciò gli occhi e vide con un sorrisetto che il Pokémon cobalto se n’era andato.
«Almeno ha mangiato…» commentò, stiracchiandosi.
Tornò nel centro Pokémon e subito gli amici le furono addosso: «Dove sei stata?!»
Lei, seccata e imbarazzata insieme, raccontò che aveva caldo e aveva dormito fuori. Teoria che scatenò il panico a causa del mostro. Una volta soli, mostrò agli amici il volto del terribile mangiatore di uomini.
«Un Pokémon?» chiese Cheren.
«Esatto. Nulla in più.» rispose lei.
Nel pomeriggio si incamminarono, anzi quasi li buttarono fuori per aver stuzzicato il mostro, e due giorni dopo arrivarono a Spiraria, una piccola cittadina sul mare. L’unica città turistica di Isshu, d’estate è piena di gente e vita, mentre nelle altre stagioni è quasi vuota. A ovest della cittadina c’era Villa Borghese, una villa enorme di proprietà della Famiglia Borghese.
Sbuffando, sempre più impaziente di rivedere N, Castiga esclamò: «Dannazione! Ma i due Saggi che mancano dove diavolo sono?!»
«Calma Castì… li troveremo vedrai.» mormorò Belle, notando quanto fosse nervosa.
«Non ti lasciamo da sola.» approvò Cheren: «Ma… ora che ci penso dobbiamo anche trovare i tre Pokémon che ci aveva chiesto la Professoressa Aralia.»
«Già.» disse Castiga, incrociando le braccia, irritata: «Vuole i miracoli senza informazioni quella donna... Chissà come sono fatti. Sarei curiosa di conoscere anche i tre Pokémon che ci hanno attaccato. Erano molto simili, probabilmente della stessa specie.»
Belle si strinse a Cheren e mormorò: «Mi viene ancora paura a pensarci. Quel Pokémon era molto bello, ma terrificante.»
«Come gli altri due. Beh… ci penseremo. Ora andiamo alla Foresta Bianca. Forse un Saggio è lì… o almeno lo spero.» concluse il discorso Castiga, con un sospiro.
Il giorno dopo proseguirono nella strada sotto Spiraria, il Percorso 14, e una tempesta li colse all’improvviso.
Pioggia, vento, grandine, bufera… tutto insieme in una volta.
«Ma che diavolo succede?!» esclamò Cheren, abbracciando Belle per ripararla.
«Non ne ho idea, maledizione!» esclamò Castiga, alzando il bavero della maglia per coprirsi un po’ di più dal vento tagliente: «Torniamo nel passaggio, presto!»
I ragazzi corsero subito nel varco coperto appena attraversato, che conduceva da Spiraria al percorso. Erano fradici, infreddoliti e Castiga molto, ma molto, arrabbiata.
«Athena, calmati… respira.» disse Raphael, cingendola con le braccia, prima che perdesse la testa.
«Non permetto al tempo di farmi cambiare strada!» esclamò lei di risposta, furibonda.
Prendendo la porta, aggiunse, vedendo Raphael che la seguiva: «E voi restate qui!»
«Ma Athen…»
«Non osare muoverti da qui.» ribatté con un tono che non ammetteva repliche.
Il ragazzo abbassò la testa e si arrese. Lei prese la porta e uscì. Nascose il mento nella maglia, abbassò la testa e affrontò la tempesta. Strabiliata dalla potenza della natura, pensò: “Maledizione che tempaccio. Com’è possibile?”
Il vento aumentò di forza e lei quasi cadde all’indietro. Si girò e non vide più il passaggio. Con un grugnito si costrinse a proseguire, la furia degli elementi addosso. Dopo molta fatica, si guardò intorno. Non vedeva nulla, data la forte pioggia, ma scorse davanti a lei una nuvola. Perplessa si avvicinò e vide che sulla nuvola c’era un omone blu, bruttissimo. Una specie di genio. Si rese conto che era tutt’uno con la nuvola e rimase sconvolta. Il Pokémon la fissò truce e caricò un Tuono. La ragazza non poteva scappare; quel mostro sembrava ci vedesse bene nella tempesta. Scagliò il Tuono e lei chiuse gli occhi, aspettando la scarica che però non la colpì. Prima che potesse raggiungerla, dei denti delicati la presero per la maglia e la spostarono dalla traiettoria del Tuono.
«Ma che diamine…» mormorò, voltandosi quando fu liberata.
Davanti a lei c’era il Pokémon cobalto.
Rimase stupita e borbottò: «Tu?!»
Il Pokémon sogghignò e rispose: “Ti devo un favore umana.”
«Ma non essere sciocco.» sbottò lei secca: «Non voglio nulla in cambio.»
“Però ora una mano ti serve. Perché non fai uscire uno dei tuoi Pokémon?”
«Nessuno dei miei Pokémon è in grado di resistere a una tempesta del genere. E non li mando certo allo sbaraglio.»
Lui la guardò, per nulla stupito da quell’affermazione, ma si mise davanti a lei, per proteggerla.
«Non ho bisogno della balia, bestione.» mormorò irritata.
“Non scherzare con Thundurus… può essere molto pericoloso.”
«Chi?!»
“Thundurus, il Pokémon Fulminante. Lo dice la sua specie stessa.”
Lei lo guardò accigliata e disse: «Prima vuoi farmi secca, poi mi salvi la vita… rinuncio a capire.»
“Io non…” cominciò a ribattere lui, ma un Fulmine lo interruppe, colpendolo.
La bestia cobalto ruggì e Thundurus, come ipnotizzato, se ne andò via. La tempesta cessò all’istante.
Castiga lo guardò impalata, stupita dalla facilità con cui l'aveva scacciato e balbettò: «Ma come…»
“Io non ho mai tentato di ucciderti!” esclamò la voce mentale del Pokémon, mentre si ergeva in tutti i suoi due metri di altezza di fronte a lei.
Castiga non si scompose; si tolse la felpa e fece vedere gli avambracci al Pokémon, che avevano ancora i segni delle ustioni, e commentò: «Certo che no.»
Poi si voltò per andarsene ma, guardandolo con la coda dell’occhio, aggiunse: «Grazie dell’aiuto comunque.»
Lui le saltò davanti con un ringhio e accennò con il muso alle braccia: “Non è stata colpa mia.”
«Hai dirottato tu Hoshi, se non sbaglio.»
“Ma ti sei messa tu in mezzo.”
«Avrei dovuto lasciare che si schiantasse contro il muro secondo te?!»
Lui rimase interdetto e lei ne approfittò, dicendo: «Non ho tempo di discutere. Ci vediamo…»
Si incamminò nella direzione del passaggio. Il Pokémon la seguì. Dopo un po’ di strada la ragazza sbottò: «Perché mi segui?»
“Non ho nulla da fare…” rispose lui, scrollando le immense spalle. Non voleva ammetterlo, ma quella ragazza dall’anima strana le piaceva. Anche a Castiga, quell’enorme cavallo blu stava simpatico; ma i due, entrambi molto orgogliosi, anche troppo, non osavano ammetterlo. All’improvviso un urlo squarciò l’aria. Castiga e la bestia si girarono di scatto verso la fonte del rumore. Proveniva da in cima a una cascata.
La tempesta riprese, più forte di prima, seguita da un violento terremoto.
Castiga barcollò e il Pokémon blu la sostenne con una zampa.
«Ma che succede ancora?!» esclamò la ragazza, non potendone più di quei continui colpi di scena.
“Un Terremoto. Siamo nei guai…” rispose il Pokémon.
Si sentì di nuovo l’urlo. Il Pokémon le prese la felpa con i denti e la mise sulla sua groppa. Poi ruggì verso il cielo: «Finitela!»
Con un salto, il Pokémon balzò oltre la cascata. Castiga si guardò intorno e vide Thundurus, accompagnato da altri due mostri come lui, uno viola e uno marrone, che minacciava Giano, uno dei sette Saggi.
«Giano? Ma cosa ci fai qui?» esclamò lei, stupita da quella scoperta, mentre il Pokémon era troppo attento a distrarre i geni per sentire il loro discorso. L'anziano si voltò, la vide ed esclamò: «Castiga?! E... Cobalion?!»
La tempesta aumentò, come il terremoto, non lasciando ai due il tempo di dire altro. Ma lei elaborò l'informazione: il Pokémon si chiamava Cobalion. Lui, avendo perso le speranze di convincere i tre nemici alla pace, disse: “Ora li caccerò da qui umana.”
«Aspetta, Cobalion…» borbottò la ragazza estraendo il Pokédex, chiamandolo per nome di riflesso.
“Thundurus, il Pokémon Fulminante.” disse la macchinetta, con voce metallica: “Lancia scariche elettriche dagli aculei della coda. Vola per i cieli di Isshu scagliando fulmini.
Tornadus, il Pokémon Turbinio. Ha la parte inferiore del corpo avvolta in una nuvola di energia. Sfreccia nei cieli a 300 km/h. L'energia sprigionata dalla coda di Tornadus provoca una violenta tempesta in grado di spazzare via le case.
Landorus, il Pokémon Fertilità. Poiché le terre che visita producono abbondanti raccolti, è considerato una benedizione per i campi.”
La ragazza mise via il Pokédex con un sogghigno e fece un cenno a Cobalion, che, perplesso, ruggì, facendo fuggire i tre mostri. Poi però si rivolse a lei e chiese: “Che cos’è quella macchina?”
«Si chiama Pokédex! Serve a identificare i Pokémon.» rispose lei, guardando Bellocchio arrivare di corsa, catturare Giano e fuggire così come era arrivato.
“Di me cosa dice?” chiese Cobalion, tra l'interessato e il sospettoso.
«Oh… non lo so.»
La ragazza prese il Pokédex, lo puntò verso Cobalion e la macchina disse: “Nessuna informazione disponibile!”
La macchinetta si spense. Castiga lo rimise in tasca e mormorò: «C’è solo una spiegazione…»
Prese l’Interpoké e chiamò la professoressa Aralia: «Salve, prof! Mi dica… conosceva tre Pokémon chiamati Thundurus, Tornadus e Landorus?»
«Certo, Athena! Perché?»
«No, nulla.» mormorò lei, comprendendo la situazione. Il Pokédex sapeva quel che la professoressa aveva caricato nel computer. Conosceva i dati di ciò che lei conosceva. E nient'altro.
Aurea ruppe il silenzio e chiese: «Invece... Avete trovato i Tre Moschettieri?»
Cobalion si irrigidì e Castiga rispose, guardandolo, mentre il suo sospetto aveva sempre più conferme: «No, prof… ci lasci tempo. Senza indizi non facciamo miracoli.»
«Hai ragione, scusa. Ci sentiamo!» disse la donna, chiudendo la chiamata.
“Perc…” cominciò il Pokémon, ma Castiga lo zittì. Scese dal suo dorso, lo guardò il Pokémon dritto negli occhi, digitando sul Dex: “Cobalion”. Senza distogliere lo sguardo, ascoltò la macchina dire: “Nessuna corrispondenza trovata!”
Mise via il Pokédex. Semplicemente, espresse la sua conclusione: «Sei uno dei Tre Moschettieri.»
Lui arretrò, pronto a combattere per la libertà, ringhiando. Lei era simpatica ma non si sarebbe fatto imprigionare da nessuno. Capendo le sue intenzioni, Castiga svuotò le tasche in terra: Pokéball, Pokédex, pugnale… tutto. Si allontanò dalle sue cose, senza mai togliere lo sguardo dal Pokémon, e, incrociando le braccia, ripeté l’affermazione, aspettando una risposta. Cobalion la guardò stupito, poi, abbassando leggermente la guardia, disse: “Sì… il mio nome è Cobalion, come già sai. Ma gli antichi popoli umani mi chiamavano Athos.”
«Fammi indovinare… i due Pokémon che hanno attaccato i miei amici sono Porthos e Aramis?»
“Sì. Perché ci state cercando?” chiese di getto, sospettoso ma convinto. Voleva sapere.
La ragazza accennò un sorriso e rispose: «Non per il motivo che credi. Non ho intenzione di catturarti, mi servono solo alcune informazioni. Me le concedi?»
“Perché?”
«La mia amica è una studiosa Pokémon e le interessa tutto ciò che vi riguarda. Come studiosa di Isshu vorrebbe conoscere tutte le specie presenti nella regione. Ha sentito parlare di voi e ha chiesto a me e ai miei amici se possiamo raccogliere i vostri dati. Tutto qui.»
Lui abbassò completamente la guardia. Era sincera, si vedeva. Non era una trappola. Così borbottò: “D’accordo umana. Non so perché, ma mi fido. Cosa vuoi sapere?”
Castiga gli fece alcune domande su lui, la sua specie e la sua storia.
Quando tornò dagli amici, mostrò loro il Pokédex con un ghigno, dicendo: «Vi presento Athos, amici! Il capo dei moschettieri!»
La macchinetta si azionò e disse: “Cobalion, il Pokémon Metalcuore. È un Pokémon leggendario che ha lottato contro gli umani per difendere i Pokémon. Ha un carattere calmo e controllato. Ha un corpo e uno spirito d'acciaio. Gli basta lo sguardo per farsi ubbidire anche dai Pokémon più feroci.”
«Come hai… fatto?! Dove lo… hai visto?!» esclamò senza parole Cheren, sconvolto che lei fosse riuscita, ancora, dove lui aveva fallito.
«Il Pokémon Colbalto che mi attaccò nella cava Pontentopoli. Era lui. E i due che hanno attaccato voi sono Porthos e Aramis. Cobalion non ha voluto dirmi nulla di loro, ma li incontreremo ancora!» rispose la ragazza sorridendo: «Ah e poi… ho trovato Giano! Ci manca solo un Saggio e troveremo N.»
Il quartetto uscì dal passaggio e in un paio di giorni arrivò alla Foresta Bianca. Era una calma foresta, tranquilla e piena di alberi. Castiga si appoggiò a un tronco e ripensò alle parole di Cobalion quando si erano salutati.
 
*Il Pokémon aveva risposto a tutte le sue domande e la ragazza aveva spento soddisfatta il Pokédex. Lui le si era avvicinato, e, fissandola negli occhi aveva detto, con la voce mentale: “Quando mi aiutasti, ho visto del sangue.”
Le si era congelato il sorrisetto in faccia, e non aveva risposto, guardando di lato. Vedendo che non rispondeva, lui aveva aggiunto: “Durante la mia lunga vita, ho imparato un po’ a conoscere la tua specie. Ma non avevo mai conosciuto nessuno così.”
«Così… come?»
“Un’anima… grigia. Non riesco a inquadrarti.”
Seccata da tutto quel girarci intorno, lei aveva sbottato: «Dai, lo so che muori dalla voglia di chiedermelo… e allora fallo.»
Lui l’aveva fissata, serio ma colpito dalla sua schiettezza, e aveva chiesto: “… L’hai ucciso?”
Castiga l’aveva fissato dritto negli occhi.
«No.» aveva risposto: «Ma ti confesso che avrei voluto.»
Il Pokémon, sdraiatosi a terra, aveva detto: “Avanti, parla.”
Dopo che si fu seduta a gambe incrociate a terra, la ragazza gli aveva raccontato tutto. La sua vita, come aveva detto anche ai suoi amici, ma al Pokémon raccontò di più. Gli descrisse anche i suoi sentimenti, quello che provava e che aveva provato in passato, prima e dopo essere diventata il Demone Rosso e Cobalion ne rimase colpito.
“La tua malattia è molto grave, umana… la tua specie non ha rimedi?”
«Oh certo. Ma non ho nessuna intenzione di andare in manicomio.» aveva risposto lei, convinta: «Finché avrò un minimo di autocontrollo, posso benissimo evitare farmaci, camicie di forza e affini.»
Il Pokémon le aveva sorriso: “Se saprai resistere a ciò che desideri, non avrai problemi.
Ora. Per raccogliere i dati anche dei miei fratelli, andate alla Palude di Mistralopoli. Lì ci incontreremo ancora.”
«Non ti capisco.» aveva mormorato la ragazza, pensierosa.
“Cosa intendi dire?”
«Pensavo mi avresti disprezzato.»
“Per questo? No… d’altronde non è colpa tua.”
Lei non aveva risposto, abbattuta.
«Quando si diventa bestie… lo si rimane per tutta la vita.» aveva mormorato, ma Cobalion l’aveva zittita.
“La vita è quello che noi desideriamo che sia.” aveva detto, fiero e solenne: “Se tu non vuoi essere un mostro, puoi redimerti e potrai cambiare. Forse non la tua essenza, ma qualcosa si può fare comunque.”
I due si erano fissati a lungo, poi il Pokémon aveva allungato la testa e posato la fronte su quella della ragazza.
“Se mai avrai bisogno di un aiuto, non esitare a chiamarmi. Ti aspetto alla Palude Mistralopoli.”
Detto questo, si era alzato e, con un ultimo sorriso alla ragazza, era corso via. Fiero e maestoso. Lei era rimasta colpita dalla sua bellezza.*
 
Castiga si riscosse dai pensieri e si guardò intorno. Avevano fatto tutti uscire i Pokémon, per riposarsi in quella foresta tranquilla che emanava pace da ogni parte. Restarono lì una settimana, per riposarsi bene e ripartire con nuove energie.
  
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