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Autore: tp naori    14/07/2015    0 recensioni
Questa storia parte dalla mia voglia di descrivere la notte giovane, di studiarla, di viverla anche. Questa storia è anche frutto della mia immaginazione, i personaggi, i luoghi sono totalmente inventati o ripresi dalla realtà. Questa storia è ciò di cui vado sinceramente fiero. E siccome non è la mia maniera di scrivere, quella in cui quasi devi seguire una trama, perché qualcuno te lo impone. Accontentatevi di queste poche righe.
p.s. se trovate errori grammaticali non esitate a contattarmi, se trovate che la mia storia faccia schifo; astenetevi dal dirlo vi prego!! (sto scherzando naturalmente)
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Venti nuovi affrescarono la mia vita, Enea mi aveva dato il suo numero di telefono, anche Giuly, il Fotografo e i Baristi e il Dj seguirono il loro esempio. Mi ritrovai senza volerlo a far parte di un’altra famiglia. Mi senti cosi fortunato, anche se non volli smerdare i miei amici raccontandoli della mia serata il lunedì mattina; lo feci alla seconda ora. 
“Brutto stronzo, figlio di troia..perché non ci hai invitato..tu tranquillo a divertirti e noi a una pallosa festa, sembrava un mortorio, un funerale cinereo”
“Ma se non sai nemmeno che significa cinereo Al” li risposi bonariamente.
“Posso anche non saperlo, ma io ti avrei invitato, puoi giurarci..” borbotto Al.
“Comunque com’è andata col nostro eroe” era la prima volta che lo senti chiamare cosi, da quel che ne sapevo Marc non aveva mai avuto eroi nemmeno da ragazzino credeva nei supereroi. Se scherzava o meno, difficile dirlo.
“Mi ha portato in un suo locale, le solite cose, drink, qualche ballo e basta”
Ebbi qualche riserva se dirli o meno di quello ch’era successo con Giuly, e tutto quello che avevo saputo su Enea quella sera.
“Sappiamo tutti come balli bene tu” disse Al su toni sarcastici e molto bonariamente mi prese a spallate, sogghignando.
“Sono bravo più di te, è questo che ti scoccia” li risposi riservandoli altrettante spallate.
All’intervallo eravamo nel giardino della scuola, ritti all’ombra di una vecchia quercia, più che vecchia era oramai morta, il tronco ancora resisteva a tutti gli atti di vandalismo nei suoi confronti, frasi sconce erano state incise, cose del tipo Sara è una.. eccetera, eccetera, oppure Miriam e Giulia best friend per tutta la vita altri cuori campeggiavano con abbreviazioni di nomi, alcuni divertenti, altri erano solo nomi, numeri in mezzo ad altri numeri, è questo che siamo? Lo Stato ci identifica cosi, manco avessimo il codice a barre, basti guardare i codici fiscali, o il numero della carta d’identità, cosi vengono identificati i contribuenti, e lo stato gli tiene al guinzaglio per un sol motivo, bisogna che paghi quanto spetta a te deciderlo, già proprio te, buffo, io la vedo più come una presa per il culo bella e buona, lo decidi tu in base a quanto vuoi guadagnare, ragionamento giusto, chi ha di più deve pagare di più, la logica direbbe cosi, ma come può tale ragionamento promuovere lo sviluppo base importante per ogni Stato? Se tutti hanno paura di guadagnare troppo, finiremo a essere tutti poveri senza lavoro, perché gli imprenditori hanno paura di dover pagare metà stipendio? Per non parlare delle bollette, la tassa sulla casa, o quella del calpestare il suolo pubblico, se è pubblico allora non è nostro? Tali ragionamenti posso essere anarchici, e forse lo sono, in un giovane adolescente è giustificabile tale ragionamento, ma non in anziani, o uomini sulla quarantina che cercano i loro attimi di notorietà.
Mamma sono andato in Tv! Come se tale fatto cambi la tua vita e la rende più migliore. Mio caro, la vita è questa e non si basa su quante volte tu vada in televisione, no rimane, continua, viaggia in avanti per poi spegnersi come una freccia che corre nel deserto, prima o poi si impila da qualche parte nel terreno arido. Poco importa se fai un ottimo lancio la tua fine è sempre quella.
“Oh si, sono talmente invidioso guarda”
“Dovrai farci l’abitudine prima o poi” li risposi sfoderando un bel sorrisone.
Livio non mi rispose Al, anzi caccio le mani nelle tasche dei jeans voltandosi, se ne andò lasciandoci soli.
“Al stavo scherzando!” li gridai dietro, la mia voce rimbombo nel cortile facendo voltare qualche capannello di curiosi, sparsi in equo modo sul quel terriccio chiaro.
“Lascialo stare, ha solo visto qualcuno che l’interessava” mi sorprese Marc, e con lui guardai lo stesso Al avvicinarsi ha una ragazza minuta e mora.
“Chi è?” li chiesi appoggiandomi al tronco della quercia, e osservando la scena di Al che saluta un’po goffamente la ragazza, portandosi una mano fra i capelli. Lo senti quasi cincischiare le parole, per poi riprendersi e parlare con più autorità.
“Vanessa, l’ha conosciuta alla festa che secondo lui era un mortorio” mi rispose Marc, come ha dire che c’è un senso a tutto.
 “Secondo te cos’era?” li chiesi ancora.
“Tu fai molte domande, te lo hanno mai detto?”
“Più o meno me lo ripeti cinque o sei volte al giorno, nei giorni buoni riesco ad arrivare a dieci o poco più, dipende.”
“Era una festa come le altre, oramai tendono ha essere simili, tutto il loro fascino si sta perdendo” rispose Marc sovrappensiero.
“Temi di dover crescere, e lo capisco ogni tanto mi faccio le stesse domande, ma infondo la vita è questa, si cresce, si deve farlo. Come del resto non si può tornare indietro”
Improvvisamente Marc mi lanciò uno sguardo come ha dire: “Sono cose che già sappiamo”. 
Le mie parole erano totalmente inutili, altri le avevano scritte, altri le avevano enunciate, allora perché commettiamo li stessi errori, perché non accettiamo il fatto di non essere ricambiati, e anzi ne abbiamo tanta paura che finiamo fra le cosce della prima che passa?. Io e i miei perché? Arriveranno a una fine, o dovrò convivere con queste domande per tutta la vita?. Dio basta, mi sta venendo un mal di testa.
“Che si fa stasera?” mi domandò Marc dopo un’po, volse lo sguardo al cortile identificando ogni persona presente.
Con cipiglio pensieroso li risposi che:
“Non saprei..forse Al saprà..”
“Lascialo perdere, oramai è tutto impegnato con la sua Vanessa” rispose brusco Marc.
Un certo nervosismo mi salì in gola, fuoriuscì dalle mie labbra con rapidità sorprendente.
“Non è colpa mia se non hai una ragazza” li rimbeccai, abbandonando il mio posto sulla quercia, passando in mezzo al cortile e lasciando il mio amico indietro un’po sorpreso e incazzato.
Apri una porta a vetro che dal cortile portava hai corridoi, da li alla moltitudine di aule dediche allo studio. Cercai i bagni maschili e trovai quelli più vicini su quello stesso piano, altre scritte sconce erano state scritte sulle pareti e alcune perfino sui specchi sopra i rubinetti, ne apri uno e mi lavai la faccia cercando la calma. Il motivo del mio cambio repentino di emozioni, era il fatto di non poter sopportare quel suo modo di fare. Marc si è sempre lasciato ammirare, ben volere da tutti, esporre il suo fascino e stare al centro dell’attenzione, era anche volubile quanto lo sono io o Al, ma era sempre e comunque sopra una spanna a noi perenni secondi, lui che si prodigava nelle conquiste più assurde e ardue, lui che almeno ogni volta a settimana cercava la felicità in mezzo alle gambe delle donne, finiva sempre solo, era questo il suo gran problema, il fatto che non capisse cos’era il vero amore. Forse lo sapeva, ma non lo cercava per paura o per altro, e attaccava noi perché lo trovavamo anzi, lo ricercavamo, questo non sopportavo di lui. Come se fosse tutta colpa nostra, quando è stato lui ha scegliere questa vita mica noi.
Per mia fortuna quella giornata scolastica fini presto, uscì come mio solito e mi diressi oltre la ressa verso la fermata dei pullman quando il telefonino vibro nella mia tasca, era Giuly.
- possiamo vederci?-
Ed io colmo di gioia li risposi:
-dimmi dove è quando-
Immaginando di strapparle un sorriso, il mio cuore si riempì di altra gioia.
-sono qui dietro l’angolo-
Fu la sua risposta immediata, e come volevasi dimostrare la sua sagoma era ben visibile dietro il cartello dello stop infondo la via. Appena la vidi sussultai ancora, muovendomi con passo svelto verso lei. Parlarvi di com’era vestita era futile, classici jeans blu chiari e una t-shirt della Marvel. Molto giovanile, pensai.
“Ciao” mi saluto, baciandomi su di una guancia.
“Ciao, come mai da queste parti?” li chiesi, sorpreso riflettendoci Giuly certo non poteva sapere che scuola frequentavo.
“Dio sei cosi sospettoso” mi rimbecco Giuly sfiorandosi i capelli.
“Non ti ho detto dove frequentavo la scuola” li risposi con fare evidente.
“Questo è vero, Enea me l’ha detto..vieni andiamo a fare i barboni insieme” mi disse in un tono che non capì s’era giovale o irriverente.
“Che scusa?” li domandai arrancando verso la sua andatura da cappuccetto rosso.
Camminava cosi o forse perché era un bel giorno per lei. Finimmo al ciglio della strada, davanti alla sua macchina una Yaris rossa, tipica femminile.
“Perché non una Smart? O una Ypsilon?” le feci scherzando.
Giuly mi rispose con uno sguardo che prometteva guerra, mi zitti all’istante, lasciandola ridere ha crepapelle della mia paura di lei.
“Cosa significa andare a fare i barboni?” li chiesi una volta salito sull’auto.
“Credevo che sapessi cosa significa, sai i barboni, sono persone senza fissa dimora e quindi..”
“Lo so perfettamente, quello che volevo sapere è in cosa assomigliamo a dei barboni”
“A parte la puzza?” mi domando Giuly.
“Io non puzzo, prova tu ha stare in classe con venti ragazzi in piena adolescenza con tutti quei ormoni in circolo..” li risposi offeso, rivolsi lo sguardo sulla strada.
“Sarebbe dura, tutti questi ragazzini che mi sbavano dietro, no, credo di non poterlo sopportare, o forse si..” mi disse suscitandomi qualche risata poco convinta.
Guidava con una certa spensieratezza, deviava i buchi dell’asfalto come fosse nata per fare lo slalom, ingranava marce a raffica, spremendo l’auto senza superare i divieti di velocità, e intanto mi parlava della sua giornata, gesticolando con una mano e con l’altra teneva il volante, se doveva cambiare marcia smetteva di gesticolare solo per qualche secondo, per poter ingranare la seconda o la terza, o passare dalla terza alla seconda usando molto il freno motore. Non fumava alla guida, anche se fumava peggio di un inceneritore al suo massimo sforzo. Guardai meglio il suo profilo un’po acuminato, nel senso che il naso un’po lo era, finiva con questa punta un’po tonda e un’po acuta, le ciglia che si muovevano ha suo piacere, come le labbra, le usava per sorridere un attimo e per farsi seria nell’altro, e parlava con voce cosi energica da vivere io stesso di quell’energia, un uragano di vitalità che mi travolse con queste fattezze di amica-amante. Era solo mia amica, è sempre stata questo o meglio lei si vedeva cosi nei miei confronti.
Io intanto non capivo cosa volesse dire fare i barboni insieme, solo dopo il nostro vagare per strada su quell’auto, quando parcheggio vicino al centro città con tutte quelle vie piene di negozi, le chiese, i bar, le gelaterie in anticipo d’apertura rispetto alla stagione. Lasciai lo zaino in macchina, chi mai l’avrebbe rubato?.
E usci con Giuly, mi accompagno per quelle vie parlandomi di lei, cosa che feci io poco dopo. Era bello poter godere di quella sua vitalità, di vivere del suo riflesso, lasciarsi condurre dovunque, sorridere con lei, volli perfino piangere con lei, ammirarla in questo suo splendore. Ma c’erano momenti in cui si faceva più triste, e fissava il marciapiede con occhi vuoti, come pensasse hai suoi problemi. Mi feci più vicino, le sfiorai una spalla per sincerarmi se stesse bene.
“Tutto ok?”
Annui stancamente, sorridendo a malapena, era evidente che non era ok, ma se non voleva dirmi del perché era triste, chi sono io per insistere.
“Andiamo, voglio farti vedere una cosa” mi disse prendendomi per la mano e trascinandomi verso una via laterale piuttosto sporca e quasi caduta in disuso. Carcasse di piccioni morti e anche topi, riposavano in pace (si fa per dire) su quei gradini in larghe piastrelle. Sbucammo verso una via trafficata sopraelevata rispetto al centro città. Attraversammo al semaforo, rigorosamente più in là delle strisce, e raggiungemmo un immenso parco forse più grande dell’intero centro cittadino. Alte mura lo proteggevano da intrusioni notturne, come il cancello era in ferro battuto, ora era solo ruggine e basta. Panchine, siepi, alberi secolari, pigne per terra, aghi e l’odore forte della natura col suo misto di gusti quale resina, polline e altri dolci profumi, o forse era il suo ad assuefarmi cosi tanto. Superammo suddette panchine, ove suggelli d’amore erano stati scambiati a mo’ di baci in bocca, mani che si stringono, promesse che dovrebbero essere eterne, per sempre e solo l’unità di tempo con cui definiamo la nostra vita terrena.
Ci addentrammo più nel parco ove gli alberi erano più fitti e i bambini non si addentravano, o meglio i bambini coi genitori non si addentravano, visto che tutti i giochi e le altalene erano oramai alle nostre spalle.
C’e oscurità anche in pieno giorno, fu la mia prima riflessione guardando in alto per scoprire questa fitta maglia di foglie e rami che intrecciandosi lasciavano deboli spiragli per il sole. Fasci di luce cadevano come in una visione incantata, tanto che mi aspettai di veder passare Bambi e il Cacciatore da un momento all’altro. Giuly mi porto in un posto appartato, una specie di gazebo anch’esso lasciato a se stesso, il legno in più punti era marcio. Mi sospinse sotto la volta ad arco, il poggia mano che correva intorno anch’esso era in legno e su questo erano state scritte tali promesse, Giuly mi porto verso una in particolare, recitava:
G. mi ami e poco sotto F. per sempre. Tale scambio di parole era stato incorniciato da un grosso cuore con delle ali e una freccia che lo perforava nell’esatto mezzo. Due lacrime appena le bagnarono il viso, io non seppi che altro fare se non abbracciarla con tutto il calore ch’ero in grado di donarli. E lei si lascio abbracciare, posandosi delicatamente su di me, le sue braccia si strinsero sotto le ascelle, io la tenevo vicino per il collo, baciandoli ogni tanto la fronte, e massaggiandoli la schiena, pianse e pianse, e la cosa mi mise una tristezza cosi tanta nel cuore che credevo di mettermi a piangere anche io da un momento all’altro.
“L’amore punge, ma sa anche elevarti ho sbaglio?” li dissi sussurrando altre parole di conforto.
“Sai..questo vuoto che io sento, quasi mi inghiotte dall’interno, e come avere nel cuore un buco nero…che mi trascina, mi mangia, mi lascia senza forze” mi rispose piangendo ancora di più.
“Ogni male passerà, tranquilla..” li dissi calmo, stringendola ancora.
Tiro su col naso, un gesto poco femminile per il suo volto, ora cosi duro e freddo, quando un tempo era ovale, solare, pieno e gaio.
“Tu dici, sembra che ne sai d’amore più di me”
“Tutto ciò che so l’ho imparato dai libri, dai film nella realtà di tutti i giorni sono un bambino alle prime armi” la rassicurai.
“Avrai bisogno di qualcuno che ti consigli” mi disse Giuly alzando il capo verso i miei occhi.
Avrei potuto approfittare della sua vulnerabilità di quel momento, ma che razza di persona opportunista sarei stato? I miei principi morali, non avrebbero più motivo d’esistere se come altri uomini avrei ceduto alla carezza rude del sesso, o di un bacio strappato, rapinato da chi è troppo instabile per opporsi.
Spostai lo sguardo verso una coppietta di giovani amanti, che passeggiando attorno alle siepi erano probabilmente, alla ricerca di un posto privato ove consumarsi nel loro stesso amore.
“Andiamo non è posto per noi questo” li dissi, prendendola per una spalla e conducendola fuori da quel gazebo.
Ripercorremmo il giardino pubblico sino alla sua entrata, Giuly non parlava più, si manteneva distante da ogni cosa. Non tentai di strapparle parole a forza, la lasciai da sola, anche se li ero vicino se avrebbe avuto bisogno di me. Camminammo senza metà, forse questo vuol dire; fare i barboni. Essi non hanno particolari mete, si lasciano forse guidare dalle stelle? O dalla luna?. Forse, o forse dai loro piedi stanchi e consumati. Era strano dover dirigere qualcuno, come se il corpo di Giuly fosse vuoto all’interno, un semplice guscio che conteneva tutti i suoi organi, i polmoni, il cervello e il cuore, la milza, e cosi via. La sua anima, dipartita da questo luogo, e spirata follemente al cambiar del vento, troppo leggera, troppo eterea per lasciarsi morire con la disperazione, troppo bella da non poter essere sfregiata, ne sfiorata. Troppo mutevole per essere afferrata o capita. Questo era Giuly, o ciò che conteneva oltre i suoi sentimenti ora morti anche quelli, avete presente quelle macchiette che controllano i battiti cardiaci, ecco quella linea era perennemente dritta riguardo hai suoi sentimenti, una lunga nota elettronica di morte certa, al quale nessuno voleva dichiararla.
Dopo un’po dal nostro vagare, Giuly si sveglio dal suo torpore. Si asciugo le ultime lacrime, oramai asciutte, piccoli pezzettini di sale li si erano posati nell’incavi del naso.
“Perdonami, che ore sono?” mi chiese, guardando ella stessa il suo orologio.
“E troppo presto per entrambi” li risposi, lasciando andare la sua spalla.
“Non lasciarmi, ti prego” supplico da bambina.
“Come vuoi” ripresi il mio posto sulla sua spalla, e non la lasciai più.
Fosse poesia la nostra storia, terminerebbe in pochi e concitati versi, magari anche brevi, io userei questa soluzione, lascerei agli altri la descrizione di ogni oggetto, ogni particolare, mi concentrerei sul sentimento che ci unisce, tralascerei il traffico, i marciapiedi sporchi, i lampioni spenti, ma mi accerterei di saper cogliere la sua bellezza sfiorita, quasi avvezza dal tempo, dalla tristezza che la colmava, quella felicità che poi la faceva rilucere di un’altra luce, di quel suo polline lanciato in aria a mo’ di coriandoli su carri di carnevale, per il popolo soltanto! Non è più la Libertà che guida il popolo, ma diviene Giusy che guida il popolo. Potrebbe benissimo farlo, la vedo col seno scoperto e parte del fianco, i capelli al vento, imbraccia una bandiera, gli altri alle sue spalle hanno in mano drink, braccialetti fosforescenti e cuffie da Dj. Dirglielo servirebbe a poco, a tratti la dirigo, a tratti e lei ha condurre. Finché siamo trascinati definitivamente dalla corrente, e ci lasciamo trascinare a largo, andando al di là di questo mare.
“Capisco perfettamente i barboni ora” li sussurrai, quando passammo per la stazione ferroviaria.
I binari affollati, i treni che arrivavano cigolando sulle rotaie, i controllori che scendevano per primi dalle carrozze, gli uomini delle pulizie spazzavano malinconici i binari. Strano come a quell’orario le uniche persone che prendono i treni siano adolescenti, scappati di casa, dopo aver portato lo zaino di scuola a casa. Sono tutti concitati, tutti felici in un modo che fa schifo, alcuni si abbracciano fra loro, altri si prendono a schiaffi molto scherzosamente. Le adolescenti invece camminano in mezzo hai binari, lasciando i capelli liberi al vento, si rispecchiano ovunque possano riflettersi, controllandosi una dozzina di volte prima d’essere soddisfatte e proseguire nelle loro conquiste del pomeriggio. Nelle loro borse vi è un’po di tutto, alcune hanno spazzole per capelli, altre kit per il pronto soccorso nel senso che hanno rossetti, mascara e via dicendo. Altre portano nulla solo qualche libro in mano, o un paio di cuffie infilate nelle orecchie e semplicemente camminano memore di non aver affatto bisogno dell’amore. Ci sarebbe meno gioia al mondo, ma almeno la sofferenza sarebbe dimezzata. 
Siccome amavo i silenzi, specialmente quelli protratti a lungo, mi godetti quella passeggiata senza parole, anche ha Giuly è piaciuta, non avevamo bisogno di dirci niente, solo di camminare e procedere a largo, sempre di più, sempre di più finché non rimane niente se non una distesa immensa di acqua salmastra e cieli blu sfumati su tramonti rosa pastello.
Li sorrisi e lei mi sorrise, stringendosi ancora a me. Il pomeriggio più bello e buffo della mia vita, dopo quel giorno uscì più spesso con Giuly, sembro voler portarmi ovunque in quella città e nelle zone limitrofe. Parlando e alle volte rimanendo in silenzio, ma a questo ci verremmo poi.
Verso le sei o forse le sette, Giuly mi accompagno in macchina proprio sotto casa, mi ringrazio per quella giornata baciandomi su una guancia e scompigliandomi i capelli sulla fronte.
“Sono diventato un barbone, non so se ringraziarti per questo o odiarti” li feci dubbioso.
“Dovresti ringraziarmi della giornata appena passata” rispose.
“Grazie barbona” la ringrazia, slacciandomi la cintura e aprendo la portiera.
Non appena fui coi piedi sull’asfalto, Giuly ingrano la marcia e spari voltando a destra alla fine della strada. Guardai il culo della sua auto sparire dietro al cartello di stop, prima di decidermi a entrare in casa. Poche storie dai miei, oramai ne erano abituati. Con lo zaino in spalla caracollai in camera mia, ove lanciai questo senza tanto riguardo per terra. Mi svesti indossando il mio bel pigiama comodo, discesi solo quando la cena fu pronta, cosi come risali subito dopo aver fatto sparire un piatto di carne e molte verdure di contorno. C’erano i compiti da fare, questa era la mia scusa; la verità era che stavo annotando questa giornata e le altre appena passate. Il voler raccontarvi la mia vita, può essere visto come indice di vanità, anche di egocentrismo e altre cose come ipocrisia, come se l’unica vita speciale da vivere sia la mia. Credendosi realmente speciale, superiore agli altri. Non è cosi, scrivo di me solo perché riesco a essere fedele a me stesso, a non esagerare, non lavorare di fantasia, infondo è solo cenere negli occhi.
Quindi eccomi qui, o almeno immaginatemi chino su questa scrivania, una pagina mezza vuota, o mezza piena di stronzate quali i miei pensieri, ecco la mia storia. Il titolo mi è venuto spontaneo alle labbra, c’e un vero è proprio popolo della notte là fuori, quando tutto tace e si ricompone col sonno, nemici escono e gli eroi sono di ronda, c’e una vera forza lavoro impressionante milioni ma ché milioni, miliardi di persone che escono incontrandone altre, un vero esercito si forma nelle periferie cittadine, fazioni, clan, gruppi, club imbracciano i loro desideri, li cullano come bambini appena nati, li nutrono e iniziano alla realtà. Costituendo una rete infinita di connessioni, come immensi ammassi stellari, galassie vorticanti e piene di vita, il tutto racchiuso in qualche ora, ove follemente si festeggia o si fa all’amore, si balla, si canta e si va avanti o indietro. C’e una tale disparità in questo popolo, eppure l’equità la si trova comunque, magari imboscata dietro i materassi o i sacchi a pelo nel bagagliaio, o oltre questa galleria, oltre l’autostrada fra i cartelli di divieto. C’e un popolo che scalpita là fuori, senti il loro mormorare al vento le falsità di questa vita mattiniera, senti i loro sfottò verso il sistema, puoi sentire tutti questi cuori pulsanti, come un solo tamburo fa tremare la crosta terrestre, i mari, gli oceani, vedi queste stelle brillano e si riscaldano da sole combattendo per anni tale stillicidio che li vuole schiacciare al suolo nella fossa che ci spetta alla fine. Salutai la notte come una vecchia amica, l’amai, deliziandola, regalandoli riconoscenza a ogni attimo, divenne mio tesoro, scopo di vita il saperla descrivere e trovarvi in essa uno scopo, lei mi strinse a se e nei suoi veli trasparenti m’avvolse trascinandomi Dio solo sa dove. M’apparve come donna perlacea, la chioma scura trapuntata da piccole scintille, era giovane, eterna, dolce sinuosa opera divina. Le sue braccia simile a ali, il suo volto ovale, le orecchie minute come il naso, le gambe, le cosce suadenti nascoste da questi mille veli scuri, mi sorrise raggiante facendomi schiavo all’istante, mormorai le più belle parole d’amore solo per lei, ma essa sfuggiva al mio controllo, sfuggiva perfino alle mie carezze, sporche e distorte dall’invitante suo bel seno, agiva su di me, su tali istinti irrefrenabili. Alleggiava sulla mia testa, senza peso, leggiadra fanciulla il vento ti culla, mentre gufi tubano al tuo cospetto, falene, lucciole fanno il resto, ti ricoprono per baciarti, solo loro possono, io oso solo poter osservarti meglio, respirando affrettato afferro la tua mano, prima che il cielo si schiarisce, voglio solo la tua mano, sentirla nella mia calda o fredda che sia, piena magari e nel polso sentir l’afflusso di sangue. Ma tu sgusci via, elegante e dissolvendoti al primo bagliore solare. Lasciandomi solo nella disperazione che mi coglie oramai devastato. 
Questo scrissi in appena qualche minuto, poi prosegui la storia, lasciando perdere qualsiasi cosa mi affiorava sulle labbra, neanche un sorriso, ne lacrime, ne scintille strane, nessuna donna era entrata nella mia stanza, io l’immaginai solamente entrare dalla finestra con la brezza altra sua amante. Tornai alla realtà con la sola forza brusca che ripercuote il mio essere alle volte, chino sulla scrivania continuai a scrivere sino a tarda notte, finché per lo meno mamma non apparve sullo stipite della camera e mi disse ch’era tardi.
“Domani c’e scuola”
“Si..si ora vado a dormire” li promisi, mentendoli spudoratamente.
Gli era chiaro perfino a lei, che non disse nulla, sospiro e mi lascio solo, mormorando le sue preoccupazioni per un figlio che non ha futuro oramai.
Nulla a che fare con una malattia, la mia era più smania di dire, di scrivere, di lasciare qualcosa, come se un seme folle mi fosse entrato nella testa, e io mediante queste parole lo volli espellere. Non perché fosse malvagio o cattivo, volevo solo condividerlo con più persone, perché mi sembrava giusto, mi sembrava il mio scopo, quello per cui sono nato, quello per cui in tutti questi anni mi sono preparato. Portando avanti le mie convinzioni, alimentando i miei interessi, aumentando la mia visione del mondo che mi circonda, il mio vocabolario, le mie esperienze. Qualsiasi cosa era utile allo scopo, anche un aiuto esterno..solo non sapevo di chi fidarmi.
Il giorno seguente mi ritrovai seduto in precario equilibrio sulla sedia della scrivania, la testa abbandonata sulla medesima, tanto che sulla guancia destra era ben visibile il segno della penna, mi stiracchiai la schiena, sbadigliai e mi preparai per la scuola.
Scivolo tutto via a mo’ di fiume in piena, ogni tanto legni galleggiavano rimestandosi nella corrente, foglie una moltitudine di foglie creavano delle scie dietro questi tronchi. E io pensieroso oggi più di ieri, mi affacciavo sulla strada all’uscita da scuola aspettandomi di vedere Giuly, o di ricevere un messaggio da lei.
Il telefonino squillo:
-anima persa, che fai questo pomeriggio?-
Era Enea, fui indeciso se essere felice che fosse lui o esserne deluso perché non era Giuly.
-nessun progetto-
Li risposi rapido, mentre Al con oramai la sua ragazza Vanessa mi si accostavano, parlavano di uscire con loro due per andare a fare un giro in centro. Impegnato a leggere il messaggio che mi arrivo poi, l’ignorai del tutto cosa che li offese un poco.
-vieni dietro la via, ti aspetto-
“Cosa stavate dicendo?” li chiesi vago.
“Se vuoi venire con noi in centro” borbotto Al aggiustandosi lo zaino sulle spalle.
“Non posso, devo vedere una persona” li risposi frettolosamente.
“E chi è..una ragazza per caso?” domando cinguettando Vanessa.
“No..e solo un amico” li risposi senza parole.
Almeno fin quando non si allontano per raggiungere le sue amiche alla fermata del pullman.
“Fa cosi ogni volta?” chiesi a Al indicandola con un cenno del capo.
“Si perché, ci vedi qualcosa di strano?” mi rispose Al inclinandosi da un lato, come se volesse sincerarsi di qualcosa in particolare.
“Nulla, ero solo curioso” risposi volendo evitare il suo indagare mi mossi rapido, li diedi un cinque della mano e lo lasciai piegato leggermente sulla sua sinistra in mezzo alla strada. Svoltai l’angolo e vi trovai appoggiato a un muretto di cinta a mo’ di gatto randagio Enea. Un gatto ch’era molto curato e affascinante oltre modo. M’abbaglio col suo sorriso celebre, e mi saluto con molta gioia nel vedermi.
“Anima persa, non ti sei fatto sentire più, credevo preferissi il vagare notturno invece che fare il barbone” mi disse mentre mi stringeva la mano d’amico.
“Giuly come sta?” li chiesi come mio solito.
“Bene, dice che sei stato gentile con lei..in effetti è per questo che sono qui, tu che taglia porti?”
La domanda mi lasciò a bocca aperta totalmente.
“Non voglio essere ripagato di niente, e stato solo un gesto affettivo privo di scopo” risposi rapido non volevo nulla, che già quel pomeriggio passato con lei mi bastava, avanzava perfino qualcosa.
“Credimi non ti offenderei mai direttamente o indirettamente..vedi io ho una piccola piscina a casa mia, ho invitato un’po di gente, c’e anche Giuly..” lo aggiunse come se sapesse di poter convincermi solo con quelle parole. Mi sogguardo obliquamente attendendo la mia decisione.
“Hai una piscina in casa?” li chiesi guadagnando tempo.
Annui fischiando, ma non come fosse orgoglioso di quel semplice fatto.
“Chi altri verrà?” aggiunsi.
“Un’po di questo un’po di quella” era una risposta molto vaga e ambigua.
Li seduto su quel muretto, li mancava un gelato in mano e poteva essere scambiato per un bambino troppo cresciuto, con le stesse movenze delle gambe, le dondolava facendole rimbalzare coi talloni contro il muretto.
“D’accordo” dissi infondo c’era Giuly.
“Ooh molto bene, temevo non venissi..”
“E di vitale importanza che venissi?” domandai.
“Certo, oramai fai parte della famiglia di matti che siamo” mi rispose con totale semplicità.
Come se fare una dichiarazione del genere per lui era come respirare.
Scivolo dal muretto, infilandosi gli occhiali da sole che portava infilati nella camicia blu chiara, la sua auto non era affatto rifoderata di pelle di coccodrillo o di altri animali. Era una semplice Alfa rossa fiammante.
“Questa è la macchina per tutte le occasioni” mi spiego infilandosi la cintura poco dopo.
“E quella delle occasioni speciali qual è?” li chiesi incredulo.
Suscitando in lui qualche risata, mentre metteva in moto e guidava con una certa fretta lontano da quella insulsa scuola.
“La mia era molto più diroccata della tua” mi spiego dopo che li feci notare come l’edificio stesse cadendo a pezzi da solo.
“Con la differenza che la mia a meno anni della tua” li dissi beccandomi un debole pugno amichevole sul braccio da lui.
“Pessima battuta” considerai dopo il pugno.
Guardava la strada, era concentrato sul traffico e non parlava gesticolando come Giusy, lui ti sapeva coinvolgere col solo uso delle parole. Maneggiava la radio ogni tanto, solo per alzar il volume quando per caso mandavano una musica che li piaceva -riscuoteva perfino il mio consenso- lo si notava dal muoversi della testa avanti e indietro. Fui sorpreso che non ascoltasse solo musica Dance, credevo fosse la cosa più importante della sua vita.
“Vedi, la musica e solo uno specchio della notte, e solo un qualcosa che ti fa vedere come dovresti essere, ma e solo un riflesso..un semplice, elegante riflesso, tutto qui”
“Come fosse una collana, o un orologio” risposi concentrandomi su quel particolare argomento.
“Più a un orologio, visto che scandisce il tempo bene o male” mormorò le ultime parole, come fossero uscite spontanee alle sue labbra. Notai che il suo sguardo ancora si fece triste, poteva anche essere rimorso.
“Ed è essenziale” continuai.
“Assolutamente, importa poco se sia Dance o Rock, o perfino Pop o Rap..e musica, dovrebbe spaziare fin ha raggiungere posti che noi nemmeno immaginiamo” poi accendendosi improvvisamente, accelero, lasciammo indietro molte auto ferme al semaforo verde.
“Hai sentito la nuova dei F+M?” per quella canzone impazzivo.
“Ohh come non poterla risentire, ancora, ancora e ancora” mi fece.
Ero contento che ci fosse qualcos’altro che piaceva a entrambi, tronfio di quel fatto mi misi comodo sul sedile, posando la testa appena sotto il poggia testa mi godetti la nuova Hit del momento. Gli occhi chiusi per via del sole forte, filtrava oltre il finestrino lucido, appena uscito dalla fabbrica. il cruscotto era di un materiale simile alla fibra di carbonio o mi sbagliavo, l’interni erano molto sportivi come del resto lo erano i sedili, e infondo quel marchio e nato per le gare.
“Possiamo cercarla sai?” mi fece dopo un’po ch’eravamo inghiottiti nel traffico.
“Sarebbe possibile..” risposi pensieroso.
C’inventammo questo gioco assurdo da bambini, consisteva nel cambiare stazione radio attendere per pochi secondi e ricambiarla, ancora e ancora. Finché non trovavamo la canzone in questione, attendendo proprio in punta di sedile, pronti a esultare se l’avessimo trovata. Nei nostri visi c’era attesa, anche questa semplicità puerile di divertimento. Rimanemmo mogi per un paio di metri, finché;
“Whoo anima persa, finalmente l’abbiamo trovata!” esulto Enea.
Io avevo tentato di saltare con la cintura attaccata, battei le mani orgoglioso della nostra piccola impresa. Enea alzo il volume al massimo, e ci scatenammo con qualche nota di chitarra elettrica, poi arriva la pesante batteria, fa tremare le casse disposte sulle portiere davanti e dietro. Fermi a un altro semaforo rosso, demmo il meglio di noi, scuotendo le teste come fossimo pazzi, i capelli gelati all’indietro di Enea rimasero fermi nella loro posizione, i miei che hai tempi lasciavo crescere e non li curavo per niente, si spettinarono maggiormente. Ma quella canzone ci coinvolgeva tremendamente, ed era difficile non scatenarsi a quel modo quando la sentivi a quel volume soprattutto.
“Tanti possono dire il contrario, ma la musica va ascoltata a questo volume” mi disse Enea.
“Qualsiasi, anche musica da camera, di teatro, e via andare” aggiunse.
Io ero d’accordo, anche se credevo fosse più poetico ascoltar note lievi, come deboli carezze sul viso. Non glielo dissi per paura d’avere un confronto, lo so è stupido e da bambino; infondo sono entrambi, non c’e da sorprendersi.
Arrivammo alla sua villa, dopo un particolare viaggio, attraverso due città, e due minuscoli paesini. Era un posto molto riservato, con tanto spazio, e non quel posto accalcato cittadino, con tutti quei palazzi costruiti gli uni sugli altri. Erano ville con molto spazio sul retro, immensi giardini ove cani festanti rincorrevano le loro ombre -se erano soli- o rincorrevano i loro compagni di giochi, o i gatti che impavidi entravano nella proprietà. La strada seguiva il terreno, curvava quando ci si avvicinava a certi dislivelli dolci, risaie, mulini e fattorie scorrevano sulla nostra destra, sulla sinistra invece case, voltammo prima di una grande curva che conduceva a un piccolo ponte, c’inoltrammo in quella zona residenziale, tecnicamente era un paesino a se, ma il cartello piantato all’ingresso di quel complesso, recitava Frazione di… come a volerne la proprietà esclusiva, decretandola con questi modi stupidi di chi si pavoneggia. Infondo alla via voltammo a sinistra, entrando in una via senza uscita. Enea parcheggio al margine della strada, proprio dietro all’auto di Giuly, oramai avevo imparato la targa a memoria. Quella che mi si parò davanti, quando seguì Enea fuori, non fu una villa in stile extra lusso dai caratteri Georgiani con qualche influenza dal Barocco nella balconata ad esempio.
No, mi trovai faccia a faccia con un vecchio capannone industriale, riqualificato e adibito a edificio abitabile. L’esterno era tutto in mattoni, solo qualcosa del vecchio capannone rimaneva nella parte alta, con quei lastroni appena sotto il tetto, lasciato cosi com’era, anche se poi Enea mi spiego d’aver tolto l’amianto che lo ricopriva. Una bella grondaia normale pendeva hai lati dell’entrata, che un tempo era stata più grande abbastanza da far entrare camion senza particolare difficoltà, ora c’era una piccola porta sulla destra, la via era indicata da una specie di lastricato che dal cancello, anch’esso ridimensionato, portava sin alla porta in legno massiccio.
L’edificio era stato costruito nell’esatto centro della proprietà, quindi hai lati correvano delle vie lastricate che conducevano, quella a sinistra alla tettoia ove si faceva il barbecue, quella a destra lo immaginavo alla piscina interrata.
Enea non mi condusse direttamente alla piscina, ma bensì mi fece entrare in casa sua. Era magnifica, un soppalco era stato ricavato all’estremità della casa, tutt’attorno erano solo spazi aperti, con un immenso divano posizionato in mezzo alla grande sala in cui s’entrava, senza ulteriori indugi, senza piccoli cubicoli o cabine armadio. Il legno del parquet riluceva chiaro, per via di tutte quelle finestre e il lucernario sul soffitto. Dopo la sala ammobiliata con qualche mobile necessario, si passava sotto il soppalco ove c’era la cucina, semplice anche questa, una cappa, una zona cottura, un frigorifero forse il più grande che ho mai visto, dei ripiani, dei mobili e un lavandino con annessa lavastoviglie. Un’isola occupava metà spazio di quella cucina, ove da un lato erano stati posizionati tre sedie per la colazione e dall’altro il lavandino. Proseguendo per la cucina, ci s’infilava nel bagno, wc, bidet e vasca, lavandino.
C’erano quadri frapposti fra una finestra e l’altra, erano per lo più graffiti, alcune erano opere provenienti dal Pop, altre erano classiche. Un’immensa scala anch’essa ricoperta di legno conduceva al soppalco, ove era stata ricavata la zona notte, l’unico spazio chiuso da paraventi per garantire un minimo di intimità. Una libreria correva addossata sulla parete, libri, come mai gli avevo visti erano stati impilati su quei scaffali, poi altri disegni questi più espliciti, raffiguravano donne succinte e nude, ma di una nudità non volgare, bensì ammagliante, seducente. Disegni in carboncino, disegni a matita, foto, dipinti alcuni celebri (credo fossero copie perfette) uno in particolare risalto hai miei occhi quello di; William Adolphe Bougureau La Nuit.
“Stupendo” commentai indicandolo col pollice della mano.
“Non sapevo fosse ancora qui” rispose un’po troppo frettolosamente Enea, lasciandomi intuire che sapeva perfettamente ch’era ancora li.
Oltre a ciò c’erano alcune foto di cui non capivo l’origine, glielo chiesi:
“Queste da dove vengono?” le domandai correvano dalla parete della scala sino in camera.
“Oh sono solamente foto prese a caso da Internet e da altre parti” mi rispose vago.
Non commentai, anche queste raffiguravano donne seminude e anche queste del tutto prive di volgarità. Anche se c’erano poche pareti, una cosa su tutte si notava, che gli spazi in comune sotto erano totalmente estranei a quelli di sopra. Assomigliavano a due satelliti che ruotano attorno a un fulcro, un punto focale; ovvero Enea. Come se in lui vi fosse presente uno sdoppiamento della personalità. La zona giorno da una parte e la zona notte dall’altra, e non appena salivi sulla scala ecco ch’eri entrato in un altro mondo diverso da quello che t’eri lasciato indietro. Anche se quello era il suo mondo Enea non esagerò, con tutto questo nudismo marcato al femminile, dopo i quadri e le foto non c’era nient’altro se non libri e una scrivania da far venire la bava a ogni scrittore che si rispetti. In legno massiccio di ciliegio dai colori chiari come il resto dell’ambiente, molte carte erano state riposte e impilate con precisione vicino al porta penne una semplice tazza per il latte in ceramica raffigurante il simbolo di Batman. Il letto era a quattro piazze, il rivestimento anch’esso era di legno ma più scuro della scrivania.
Mi accompagno verso una porta che cresceva fra il comodino vicino al letto e alla vetrata grande che dava sul giardino limitrofo. Oltre vi era una cabina armadio, ben curata, nel senso ch’era in ordine, le camice stavano con le camice, i pantaloni coi loro simili e cosi via, perfino le scarpe erano divise in base dai colori, quelle più scure occupavano la parte sinistra della scarpiera in fondo, ovviamente quelle più chiare quella di destra. Oltre alla scarpiera, c’erano anche dei cassetti ove Enea riponeva il resto del suo vestiario. Ne apri uno e tiro fuori un costume da bagno.
“Credo che io e te, abbiamo la stessa taglia” mi disse osservandomi intensamente.
Me lo passo senza tanti complimenti, ed io rimasi nella sua cabina fermo come un’idiota, avevo forse detto qualcosa che l’aveva fatto irritare? Non so, sta di fatto che dopo qualche minuto giunse ancora la sua voce.
“Bhè che spetti ha provarlo” sbotto.
Mi svesti subito su una specie di comoda seduta, nascosta dalle giacche e dalle camice, davanti a me vi era uno specchio, li affianco uno spazio vuoto, curiosi mi avvicinai mi aspettavo di vedere il classico muro in mattoni, cosi com’era rivestita la casa, invece ci trovai dei poster, raffiguravano rielaborazioni di classici album dei anni andati, era forse la più bella opera d’arte che conteneva quella casa a mio modo di vedere, allora perché era riposta laggiù? Perché non metterla in bella mostra? Ebbi molti sospetti, ma impossibile attenuarne almeno uno.
Raggiungi Enea col costume indosso, un semplice costume da bagno rosso e giallo.
“Ti calza alla perfezione” approvo, passandomi accanto per entrare nella cabina armadio.
Anch’egli evidentemente si cambio. I miei indumenti che indossavo prima giacevano ancora nelle mie mani, finché un urlo festante non raggiunse la camera da letto, m’affacciai meglio alla finestra, senza buttar l’occhio dentro la cabina armadio, anche cosi vedevo comunque un’ombra sfuocata che si stava svestendo. Non avevo notato quel particolare dislivello del giardino, come fosse stato scavato il terreno, per una sorta di buon gusto del proprietario, una scalinata che proseguiva dal sentiero lastricato dell’ingresso, arrivava e scendeva in un bel giardino occupato da una piscina dall’acqua limpida, fiori erano stati riposti in vasi enormi, c’erano i classici gerani, lavanda e altri fiori dai cangianti colori. L’effetto doveva essere quanto meno claustrofobico, visto le pareti di terreno tutt’attorno, invece con quei fiori e l’incredibile spazio che rimaneva sul retro, rendevano l’ambiente ancora più intimo; in definitiva un altro satellite che ruotava attorno ha Enea.
“Raggiungiamo gli altri” mi sorprese posandomi una mano affettuosa sulla spalla.
Notai aveva un bel fisico, ben curato, i muscoli non erano cosi eccessivamente sviluppati, ma abbastanza da vederne i contorni definiti. Io all’epoca ero solo magro, senza neanche un briciolo di fibra muscolare, ne tanto meno grasso. Strinsi di più il laccio del costume, ci feci un nodo bello stretto perché avevo molta paura che mi cadesse mentre seguivo Enea per le scale.
“Hai proprio una bella casa” li dissi, ricordandomi di non averglielo detto.
“Alcuni dicono che mancano i muri, una certa differenza fra l’ingresso e la sala, mancano i confini..ma io l’adoro cosi com’è non la cambierei mai per nulla al mondo” mi disse.
E io malignamente pensai: certo che non la cambieresti, ti sarà costata un occhio della testa..
Tali pensieri da stronzi, furono interrotti dalla vista di Giuly, era più splendente del solito, indossava un costume da bagno bianco, in contrasto fra la sua pelle color cappuccino e il nero o i colori dei tatuaggi.
Mi sorrise di gioia vedendomi affianco ha Enea.
“Credevo stessi parlando da solo” sbruffo verso Enea, in una delle sue pose comiche.
Consistevano nel mettersi le mani sui fianchi, e strizzare il viso sino ha renderlo pseudo offeso.   
“Se ho ben capito, mi stai dando del pazzo?” domando Enea in una strana modulazione della voce, un’po canzonatoria e un’po divertente.
“Bhè tutto sommato, chi potrebbe darmi torto..” proseguì Giuly baldanzosa.
Inutile dirvi che i due iniziarono a rincorrersi nella cucina, fin a raggiungere l’esterno mediante una porta finestra che dalla cucina conduceva a questa specie di terrazzo riparato da una tenda da sole che s’estendeva dal muro sino a toccare un’altra fioriera in granito riempita d’altri fiori, dei quali non sapevo i nomi. Un tavolo in ferro battuto, cinque sedie attorno a esso, e un piccolo mobile con un lavandino con quel dosatore che si usano nei bar; indovinai subito di che si trattava.
Dalla terrazza si raggiungeva la piscina, mediante una scala, con una ringhiera in ferro incastonata fra le piastrelle di cui era composta la scala. L’ultimo gradino finiva su un manto d’erba ben curato e soffice al tatto, abbandonai i miei vestiti su una sedia li affianco e li tolsi perfino le scarpe lasciandole alla ben meglio sotto la sedia in plastica. La piscina era una piscina normale, col fondo blu e il bordo bianco, era profonda il necessario, l’unica peculiarità era che non era totalmente rettangolare, nel lato ove il giardino proseguiva disegnava una mezza luna, proprio là ove c’erano delle sdraio in plastica e un ombrellone piantato, li il sole baciava i nostri corpi trecentosessantacinque giorni l’anno. Sia perché i muri di recinzione erano non tanto alti, sia perché di edifici affianco non c’era neanche l’ombra. Le sdraio erano disposte a semicerchio attorno alla piscina, alcune erano occupate, notai il Dj con cui avevo scambiato il numero di telefono, i tre immancabili Baristi e il fotografo che si divertiva a fare foto ha qualsiasi cosa si muovesse, perfino i giochi di luce dell’acqua della piscina, smorzata dal incedere di Rosie e Amy, Maverick mancava all’appello, bensì c’era Calvin che mi saluto con molta energia, abbracciandomi manco fossi suo fratello ritornato intero dalla guerra, Mary prendeva il sole mi saluto con un cenno della mano. Tutti coi loro fisici già completamente fatti, mentre Calvin mi strattonava le costole, uscì trafilato da un ripostiglio il corpo massiccio di Maverick.
“Ragazzi credo di aver trovato la palla che cercavo” informo gli altri, fra le mani aveva un corpo bitorzoluto di plastica. Lascio andare tale corpo, quando s’accorse di me stretto a Calvin.
“Oh abbraccio di gruppo!” urlo mentre altri si univano al nostro abbraccio.
Ero stretto da sei braccia o forse più, un miscuglio di odori salivano dalle loro pelli asciutte, c’era odore di crema solare, anche quello dei fiori, e di altri ancora..
Tale abbraccio si sciolse quando un potente Splash ci fece voltare tutti verso la piscina, ad abbracciarmi oltre a Calvin e Maverick, s’erano aggiunte Rosie e Amy uscite appena dall’acqua il loro sgocciolare mi rinfresco appena la pelle bianca ancora.
Fu il corpo di Giuly a cadere poco dolcemente in acqua, finalmente Enea era riuscito ha acchiapparla. Lo confermo i due erano più fratello e sorella, più che amici, non vi dico le parole che disse Giuly ha Enea. Tipiche frasi da fratello e sorella, ridemmo tutti a crepapelle. Maverick mi prese su per le gambe, aiutato da Calvin, quei due grandi burloni mi lanciarono in acqua a mo’ di sacco di patate. Altra acqua schizzava all’infuori della piscina, bagnando i sottili steli d’erba tagliata di recente. Giuly mi venne incontro, nuotava con agilità di una lontra, o in modo più fiabesco; una sirena. Mi girò attorno come fossi una boa a largo, poi torno dall’altra parte della piscina. Le due gambe si alzavano sul pelo dell’acqua, vidi i bei piedini far forza, distendersi per poi ritrarsi, vidi perfino la flessibilità del busto, assecondava i movimenti delle braccia, la testa ruotava spostandosi a destra e a sinistra, riprese fiato e poi ispiro. Fini col fare il morto al mio fianco, ruotava ancora attorno a me senza accorgersene. Io la seguivo con lo sguardo, girando con lei. Gli altri tornarono alle loro occupazioni prima della mia comparsa, Enea giocò con Maverick col pallone gonfiato dallo stesso, Rosie, Mary e Amy erano distese a prendere il sole sulle sdraio, Il Dj se ne stava in disparte si chiamava Roberto, ma tutti lo chiamavano Roy, il fotografo spaziava attorno come suo solito. Calvin preparava drink di frutta freschi per tutti.
Questo era il mondo in quella villa, questo era il satellite ove ero atterrato, sentivo alto il vento spettinarmi i capelli, l’acqua col cloro riluceva di scintillii infiniti, la realtà se ne stava in un angolino piegata sulle ginocchia, maligna ci osservava dietro gli alti cancelli d’oro. Fanciulle vestite di soli veli passeggiavano come dee, aleggiando sulle nostre anime, discendevano come colombe tubando dolcemente. Senti la vera pace, quella che t’inonda all’improvviso direttamente dal tuo essere, come un seme che sboccia, coi suoi mille tentacoli raggiunge tutti i sensi percettivi, con raggi di eterea luce. Il respiro si placa, diviene flebile mentre passa per il naso, faccio il morto anch’io sospinto in alto dall’acqua. E finalmente, finalmente sento d’aver trovato il posto ove Io ho senso d’esistenza. Ogni fatica, ogni brancolare fra dubbi e certezze, sbagli, difetti, pregi hanno un loro perché e anzi, possono perfino essere rimediabili. Cosi mi trovai morto sull’acqua, con la certezza d’aver capito del perché mio vivere. Anche se tale definizione mi era abbastanza vaga e incomprensibile, seppi con certezza d’essere vivo per quel motivo. D’aver trovato un posto fra altre persone, che non mi sembravano più estranee. Ne ero talmente convinto, da decidere di togliermi questa ipotetica maschera che tutti indossano. Questo finto buonismo, quando dentro si è delle merde, questo insulso senso spavaldo per cui niente e nessuno può toccarci e fare del male, ne l’amore, ne la reale emozione che dischiudendosi davanti a te, ti fa rimanere semplicemente a bocca aperta. Via, via dal mio volto questa stupida sensazione che stia andando tutte bene comunque, che il Sesso sia l’unica cosa al mondo, che da esso la reputazione o la fama di una persona possa giovarne o meno in base a giudizi che secondo me, dovrebbero rimanere soltanto intimi. Tutta questa voglia d’apparire, di fare li splendidi porta alla estraneità dei tuoi conoscenti, importa solo la luce con cui irradi, non quello che sta dietro la luce, il vero nucleo che colmo di plasma bruciante imperversa dentro te.
Una mano sfioro la mia, Giuly s’era avvicinata, il mio volere s’era trasformato in gravità o meglio; forza attrattiva. Dapprima solo la mano, poi la spalla e infine una ciocca di capelli più in me, sempre di più s’insinuava nei meandri del mio essere, ora quello stesso plasma bruciava di un’altra energia totalmente nuova e ecologica. Fui il solo ad accorgermi che oramai brilla di luce propria.
Questo finché Giuly non si desto dalla pace deliziosa, la brusca risata di Maverick fece scappar via tutte le colombe, niente raggi strani, niente luce via sparita in uno strappo rapido quasi e con molto dolore.
Fui coinvolto in una specie di partita a Beach Volley, senza sabbia ne rete, ci passavamo la palla fra noi maschietti esibendoci anche davanti alle femminucce che docili ci osservavano dalle loro sdraio, i loro bicchieri colmi di cubetti ci ghiaccio sbatacchiavano quando colpite da gesti atletici spettacolari ci battevano le mani, come fosse una rappresentazione sportiva, loro i nostri giudici e noi gli atleti giudicabili. Con spirito d’osservazione; tipico del mio carattere iniziai a vedere piccoli sottili fili di collegamenti, altre forze erano in ballo su quel satellite, non c’era solo la mia.
Notai, che Maverick torceva il collo ogni tanto verso Rosie, la stessa applaudiva solo ha Calvin (o per meglio dire, lo faceva con più convinzione quando toccava ha egli) Marie continuava ha esporre il bacino verso Calvin, fra occhiate di disapprovazione della stessa Rosie, e Amy sospettavo avesse un qualche interesse seppur dimostrato in maniera vana o incomprensibile per Roy, il Fotografo chiamato da tutti Teo faceva foto più ha lei che alle altre. Ecco questa sottile maglia intricata, che percorreva da uno all’altro, sostenendo e stabilizzando questa forza che ci univa, come piccole particelle danzanti in controluce, muovendosi ha spirale questi, possiamo chiamarli anche impulsi viaggiavano espandendosi a seconda dei sguardi, dei movimenti, e della complicità che dall’alto ci guardava, interveniva solamente quando questa maglia rischiava di spezzarsi, sfilacciando questi fili d’energia invisibile e astratta.
Gli unici a rimanerne fuori da questa maglia, erano due grandi globi celesti più uno piccolo col suo debole pallore blu, Giuly voltata di schiena sulla sdraio, aveva lasciato il suo drink su un piccolo tavolino li affianco. E ovviamente Enea, egli come me, sembrava osservare l’insieme, cercando di carpire certe cose che perfino a me sembravano incomprensibili. Se mai qualcuno ci sarebbe riuscito, sarà lui senz’altro; ne sono convinto.  Poi venivo io, protostella pronta a nascere del tutto, una nuova comparsa in questa galassia, col suo brillare in mezzo alla foschia formata da nebulose oscure.
Dopo il gioco con la palla, ci sentimmo tutti un po stanchi e particolarmente sudati, io mi lanciai subito in acqua, Enea spari in cucina forse ha prendere altra frutta matura, Maverick si accomodo con fare innocente vicino ha Rosie con una sedia, presa dalla piccola terrazza in muratura che dava sulla piscina, Giuly disse che andava un attimo in bagno, il suo posto fu preso da Teo con la sua immancabile macchina fotografica, riguardava credo i suoi scatti di quella giornata, Calvin era disteso ha prendere il sole a bordo piscina, una gamba a peso morto s’inzuppava nell’acqua fresca benché fosse perennemente sotto il sole cocente, Rosie e Mary e Amy parlottavano fra loro, in mezzo Roy che annuiva e tentava d’infilarsi nella discussione.
Io ero talmente preso dalle mie congetture, che smisi presto di nuotare, appoggiai il mento al bordo bianco, rimasi a galleggiare cosi col corpo che voleva andar verso l’alto, sfiorai coi talloni il fondale cosi da rimaner in piedi, sentendomi scomodo misi un braccio sotto il mento, ricercando la pace che prima mi aveva colto. Ripensandoci Giuly, s’era comportata in modo distaccato con me, eppure stando ha quello che mi disse Enea lei voleva vedermi. Mai uno sguardo nei occhi, dopo quel saluto tutto sorridente e gioioso che mi aveva donato. Ne una qualche parola, nulla di nulla, solo respiri in brevi attimi, anche se per me sono durati in eterno poeticamente parlando. Voleva sfuggirmi, o semplicemente racchiudeva in se più personalità? Forse, o forse mi sto sbagliando, forse sta ripensando alla sua fidanzata, al come sbrogliare la sua situazione. Fossi in lei lascerei perdere quel genere di persona, ma siccome il mio è un parere tutt’altro che imparziale, non mi espressi.
Senti un click lontano, dei passi che m’erano apparsi come ombre sfuocate nelle pupille talmente ero concentrato fra i miei pensieri. Un’altra foto da quel pomeriggio riempì il mio album a parete, tutti i miei più bei ricordi riempivano una specie di lavagna in sughero ove appuntavo queste foto cosi tante volte, che oramai non vi erano solo un buco fra esse, ma cinque o una decina. Questa però risaltava sulle altre perché ero solamente io, in una posa da pensatore classica quasi, gli occhi distanti con le pupille quasi totalmente scure e ricurve verso l’essere profondo, il viso sognante con quel sorrisetto furbetto, lo si notava appena hai angoli della bocca, il ciuffo dei capelli all’indietro, le spalle appena risalivano oltre il bordo, poi questo braccio piegato in contrasto col bordo bianco della piscina, la foto fu stampata in bianco e nero (su suggerimento di Teo) donava più fascino al mio viso; d’eterna giovinezza. E cosi lo sono stato per qualche anno della mia vita, poi il decadimento arriva spregevole non bussa nemmeno alla porta di casa, o no, entra dalla finestra aperta, in quel piccolo spiraglio passa e avvolge il tuo corpo in questa specie di sudario a lungo termine; il vero Stillicidio che ci attende.
Ringraziai Teo per la prontezza con cui mi fece la foto, subito dopo me la fece vedere, mentre ci mettevamo d’accordo sul come me la poteva passare, decidemmo o meglio fu lui ha deciderlo, che me la stampo egli personalmente. Mi disse bonariamente:
“Ho una stampante professionale a casa, non la usavo quasi mai, ma ora ho del lavoro arretrato..fra una e un’altra, posso aggiungerti la tua”
“A proposito di lavoro arretrato, le foto dell’altra sera sono pronte?” ritorno Enea dalla cucina, portando un bricco pieno d’altra frutta sminuzzata e frullata.
“Già Teo, non so come sono venuta” alzo il capo Amy, rivolgendolo ha un sorpreso Teo dall’interesse combinato da parte di tutti.
“Sei venuta bene..le ho finite quasi tutte, poi ve le farò vedere” aggiunse in un finto senso pratico, torno al suo angolino spettinandosi maggiormente i capelli.
Enea porto gli occhi al cielo, col bricco in mano passo fra gli ospiti di casa, abbeverandoli col suo celebre frullato alla frutta. Ed era squisito, per i miei gusti. Poi poso lo stesso sul tavolino in terrazza, si sporse oltre la balaustra e sposto lo sguardo su di noi, intravedendo forse quei collegamenti che io stesso ipotizzavo esistessero. Giunse a me, incrocio i miei occhi e subito mi fu chiaro che volle parlare con me. Cosi senza farmi ne vedere, ne sentire dagli altri impegnati più o meno coi loro personali interessi, sali le scale della terrazza mi disposi affianco a lui e mi preparai per qualsiasi cosa volesse dirmi. Solo che la sua parola non venne subito, tardo ad arrivare un’po come fa la Primavera ha volte.
“C’e stato un tempo in cui, sai, ero ruggente forse più di te..mi innamoravo facilmente come fanno loro, come fai tu..” indugio sui miei occhi, come ha voler confermare la sua ipotesi ragionevole.
 “Ma sono cresciuto, e la vita bhè mi ha tolto come mi ha dato per altre vie traverse, allora osservo, semplicemente osservo, come aspirassi ha ritornare com’ero un tempo..ma sai, quanti sbagli dovrei ripetere, quanto dolore dovrei riprovare per passare ancora in quella vita passata”
Inizialmente non sapevo il perché mi disse questo, ma quello fu la prima frase che mi fece intendere bene chi fosse Enea internamente. Lo sempre visto con questi sprazzi di nostalgia piuttosto passeggeri, con quel sorriso che imbracciava sempre come un’arma a doppio taglio, era per lui più affilata che per gli altri, per noi quel sorriso era solo grato, riconoscente, esplodeva in mille bagliori inondandoti completamente corpo e mente. Sapeva apprezzare là dove nessuno si addentrava, sapeva sul serio conoscere la grande bellezza e valorizzarla.
“Ti sembrerò adesso un bambino introverso, ripieno di tristezza e di nostalgia..ma quando crescerai..”
“So già che sarà cosi, mi preparo da qualche anno oramai a questo fatto” lo interruppi.
“Siamo proprio nella stessa barca, io e te” disse sorridendo in quel suo modo stanco e invecchiato quasi.
“Tutti loro sembrano avere il loro personale salvagente, io temo” li risposi.
“Di questo non dovremmo preoccuparci troppo, arriverà anche per noi, anima persa” mi rassicuro.
“O forse tornerà proprio come un tempo” feci tentando d’infonderli speranza.
Tale speranza lo fece voltare, guardo pensieroso la sua casa, oltre la portafinestra ove la sagoma di Giuly si aggirava in cucina, alla ricerca di una bottiglia d’acqua fresca raccattata dal frigorifero in acciaio. Feci altrettanto e appoggiato coi gomiti alla balaustra, seguimmo entrambi Giuly con le sue manovre. Ella si volto con ancora la bottiglia posata sulla bocca, e accorgendosi del nostro guardarla l’abbasso, dubbiosa rispose hai nostri sguardi aprendo al massimo i suoi occhi, ferma, immobile come una bambina colta in flagrante.
“Raccontami dei tuoi primi amori” fu la proposta di Enea.
Io perso in quella visione, cincischiai e persi quasi l’appoggio dei gomiti sulla balaustra.
“Cosa..chè..”
“Dei tuoi amori” aggiunse paziente Enea, guardandomi ora nei occhi.
Un qualcosa mi fece capire che volle conoscermi ulteriormente.
“Ci sono stato poche ragazze, bhè c’e stata Alessia alle elementari, Arianna alle medie, alle superiori Marta..tutto qui” feci rapidamente mente locale, anche se non ne avevo bisogno.
Tali volti erano oramai impressi nella mia coscienza, che spesso si confondevano con quello di Carola o di Giuly. Talmente e contrario è uguale l’amore, da non far particolare differenza fra una e l’altra, le ho amate, ho fatto del mio meglio per dirglielo e per rimanerci assieme. Che non ho particolari rimpianti, certo in alcune situazioni non avrei dovuto comportarmi da stronzo, ma ci sta che questi errori spuntino fuori nel cammino impervio che porta all’esperienza da decano Latin Lover.
“Parlami di loro, com’erano, cosa pensavano, come si comportavano..le loro personalità, in cosa erano diverse, se lo sono state o meno” mi chiese preparandosi ad ascoltare con profonda attenzione tutto ciò che li stavo per dire. Fui tentato di dirgli una di quelle stronzate che tiro fuori per sdrammatizzare i momenti seri, per rendergli meno pressanti e insostenibili. La serietà lo vista sempre come un obbligo difficoltoso da rispettare e portare avanti. Chissà perché?.
“Alessia era..” ricordo perfettamente il suo volto, ogni piccola imperfezione, ma non il suo carattere ne il suono della sua voce. Feci uno sforzo, chiusi perfino gli occhi nel tentativo di cercare concentrazione. “Divertente, sebbene molti non capissero le sue battute..io avevo questo talento mi diceva, sai com’è a quell’età, già una dichiarazione del genere vuol dire che come minimo state già insieme..lo baciata una volta sulla guancia, sono tornato a casa tutto ballonzolante..sto tergiversando troppo..oltre all’essere divertente, era anche intelligente, negata per la matematica, pensava d’essere importante, non che si credesse una regina o cose del genere, no..piuttosto aveva il dono del comando, si trascinava indietro quelle sue tre amiche dovunque, e tutti hai giardinetti seguivano i suoi ordini senza fiatare..se eri nelle sue grazie potevi entrare su quella specie di scivolo che noi chiamavamo casa..questa era Alessia”
“Una bambina totalmente dolce” commento Enea, chiedendomi allo stesso tempo di proseguire.
Cosa che feci, senza rendermi conto che c’era un’altra persona che ascoltava i miei ricordi, prendere forma mediante la parola persa nel vuoto del tempo che dilatandosi nel passato porta a un vuoto totale e oscuro. Raccontai di Arianna, forse il primo mio reale amore, in fase preadolescenziale.
“Lei..bhè lei era magnifica, la vedevo cosi, era simpatica..ma pensava di essere un pagliaccio, e questo lo rendeva talmente goffa da farmi tenerezza al cuore..aveva quell’apparecchio argenteo e un milione o forse più lentiggini, una volta le contai da vicino quando distesi in un parco al sole, la bacia sulle labbra, fu il mio primo bacio e non so se era stato bello per lei, non glielo mai chiesto..non che non m’interessava anzi, solo mi basto quel suo sorridere genuina e argentea..di una bellezza che tutti sapevano apprezzare, ma solo io potevo ammirare da vicino le sue centodue lentiggini tutte disposte sulle guance e nell’attaccatura del naso, era gentile…ma non nella maniera di Marta, no, lei era gentile anche con le persone che erano  indegne, lei era cosi con tutti, fra l’altro facendomi provare molta gelosia..come non volerla tutta per me…”
“Poi arrivo Marta e fu la svolta, non più estenuante e solo romanticismo che si è bello per l’amor di Dio, ma alla fine diviene un’po logorroico, lei era spontanea credo sia la parola giusta per definirla, furba più di me e di te messi assieme, genuina...anche stronza, alle volte..discordante..selvaggia certi giorni, anche prepotente, per poi divenire negli altri mite, dolce, gentile..sarà stato il mio periodo turbolente o ruggente che dicevi tu, ma sapeva coinvolgermi e anche se c’erano le lacrime, i visi contratti di rabbia, le urlate sotto casa sua, c’erano anche la carezze, il sussurrare i nostri nomi all’altro col suffisso Ti Amo..  quei mesi sono volati via con una velocità tale da farmi pensare che sia passato troppo poco tempo” 
Questo erano più o meno le mie muse, coloro che fanno parte del mio essere, racchiuse nel cuore proprio nei punti più protetti e meno soggetti a intrusioni varie. Ce ne erano delle altre, solo brevi cotte, o probabilmente assuefazioni visive in cui mi perdevo nel loro fascino maturo e acerbo allo stesso tempo. Il sospirare di Enea mi desto quasi dai miei affascinanti ricordi, Giuly chino il capo, là seduta al tavolo sulla terrazza, solo in quel momento m’accorsi della sua presenza. Provai un moto d’imbarazzo, aveva sentito la mia anima sfociare dalle mie labbra, come un fiume che ripercuote un letto calmo, lo divelte e lo rende più aspro ma in qualche modo vivo. Cosi mi vedevo appoggiato alla balaustra di quel terrazzo, mentre di spalle Giuly m’ascoltava. Senti un lieve tocco sulla spalla, poi vidi Enea voltarsi e discendere da quelle scale. 
“Li ricordi molto qualcuno, io temo” spiego Giuly, quel suo strano comportamento.
“Ed è grave esserlo”
“Cosa, no..non devi nemmeno pensarlo..vedi tutti bene o male nella loro vita hanno provato o provano nostalgia per qualcosa di prezioso che se perso..fa parte della vita, e talmente fondamentale che tale fenomeno cambia la nostra vita, per sempre..tutte queste persone che incontriamo, in quante rimarranno con noi fino alla fine, in quanti verremmo passare e prendere altre vie, e di conseguenza quante possibilità ci sono di incontrarsi ancora in un altro incrocio, ben sapendo che durante tale tragitto siamo cambiati molto..quasi non riconosciamo quei volti che un tempo c’erano amici, quasi inseparabili”
Cosi disse Giuly, concentrandosi sulle sue mani soltanto. Il suo sguardo si alzo, trovo i miei occhi pronti lì a osservarla con tale intensità eloquente.
Oh come volli stringerla ha me, e non lasciarla andare via, mantenerla in quella allegria soave che la distingueva dagli altri. Una leggera lacrima, etera per splendore di questa straordinaria fazione di cui solo certe lacrime sanno catturare tutta la luce nell’aria, discese dal suo occhio sinistro per seguire la forma della guancia, arrivando sino al mento ove penzolo minacciosa prima di lasciarsi cadere sino al tavolo. Non gli chiesi mai, il motivo di tale unica lacrima.
Mi venne via dalla mente, quando s’alzo e mi prese per la mano, Enea s’era dimenticato di mostrarmi una specie di dependance per gli ospiti, sorgeva appena dietro la zona barbecue della casa. Vi si entrava tramite una porta finestra, unica fonte di luce nella stanza, il letto ch’era stato piazzato in mezzo, era protetto da un altro paravento da occhiate indiscrete che potevano arrivare dall’esterno. Nessuno dei due sorrideva oramai, eravamo tesi per qualcosa che dovrebbe essere vissuto in modo spensierato e non forzato. Eppure c’era qualcosa di forzato, una certa costrizione nei suoi movimenti, come se non volesse o non ne fosse convinta. Mi bacio con quel cipiglio, discostando il volto per poi farsi avanti, muovendo il volto attiguo al mio. Senti il mio cuore iniziare a crepitare, salendo di ritmo, il respiro farsi più vicino e simile al suo, le sue mani si stringevano nei miei polsi mi portarono sul letto, ove m’era chiaro quanto Giuly non ne fosse convinta, non potei ignorare tale sensazione, anche se metà del mio corpo, forse più della metà non desiderava altro.
Sgusciai via dalle sue mani, e le portai al mio petto, frapponendo le sue labbra dalle mie..
“Tu non lo vuoi davvero” li sussurrai, in quel gorgoglio ch’era la mia voce in quei momenti.
“Continua..ti prego, ora mi passa” rispose Giusy, i suoi occhi sebbene chiusi  m’imploravano.
 “No che non ti passa..nessuno ti vuole costringere” li dissi serio, impuntandomi.
La magia si spezzo, se vi fosse realmente stata la immaginavo infondersi dal suo corpo al mio mediante saliva, come piccoli guizzi di fuoco, che mostravano vita propria; la volontà di cambiare il mondo.
“Va bene, fai come fanno tutti..abbandonami, lasciami qui sola..” rispose arrabbiandosi.
“Ti assicuro che io non voglio abbandonarti, come puoi poterlo pensare?!” le lasciai le mani disgustato dal fatto che potesse pensarmi stronzo sino a quel punto.
“E ora che stai facendo allora?” disse singhiozzando si sedette sul letto, prendendosi il viso fra le mani libere.
“Voglio solo poterti amare, e che tu me lo voglia concedere veramente” le risposi sviolinando per lei soltanto.
Un occhio balugino fra le sue dita, mi sorrise, dando aria alle lacrime che ancora le rigavano guance e mento. Pregiati gioielli che se raccolti tutti, potevano divenire una collana unica.
“Tu mi tenti, ma non abbastanza” fu il suo commento.
L’ho udì tagliente farsi strada nel cuore, straziare di tormento la mia anima. Oh dolce Notte, dove sei mia amata fanciulla spensierata?.



   
 
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