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Autore: InsurgentMusketeer    14/07/2015    2 recensioni
- “Non intendevo offendervi”, replicò il moschettiere rispettosamente, “ma ognuno ha il suo posto nel mondo e, in tutta sincerità, non credo che quello dei moschettieri sia il vostro.”
- "Vi è mai successa una cosa come questa? Rifiutare il distacco da una persona cara, rifiutarlo al punto da non renderle neanche una visita. Ma lei sarebbe stata d'accordo. E' qui che preferisco ritrovarla.”
- “Con chi credi di parlare, brutto idiota?!” esplose la ragazza spingendolo indietro con tutta la sua forza. L'uomo dondolò all'indietro e cadde a terra come un sasso, lasciando al suo posto un rumore sordo e cupo.
Una ragazza, quattro moschettieri, una Parigi stretta nella morsa di mille segreti e strategie. Tra gli inganni orditi dal Cardinale Richelieu e il Conte di Rochefort, questa volta, i valorosi soldati di Tréville non saranno soli: il capitano ha ingaggiato per loro un aiuto molto, molto speciale.
Genere: Avventura, Azione, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Quando le orecchie fischiavano, era un brutto segno.
Gli schiamazzi petulanti intorno a lui divennero insostenibili, ovattati e confusi. Sentì qualcosa o qualcuno urtare pesantemente contro il proprio tavolo, la gamba gli tremò e con gli occhi appannati e la bottiglia stretta in una mano fino a che le unghie non sbiancarono, diede un calcio disordinato e sconnesso nella direzione da cui quel qualcosa era precipitato su di lui. Un disgustoso senso di nausea gli risalì lo stomaco ardendogliene le pareti e si fermò in gola. Athos fece una smorfia e deglutì ricacciandolo indietro. Seppellendolo nel nulla e nell’indifferenza, come aveva fatto con tutto quello che era successo quella mattina.
Perchè
Perché Elly
Perché
Si sollevò dalla sedia con una fatica che gli parve disumana. Alzò la testa che gli girava vorticosamente sentendosi appesantito, sentiva le labbra secche e la gola arsa come un tizzone ardente. Il moschettiere tenne gli occhi socchiusi per qualche istante e guardò dritto davanti a sé. Strinse il collo della bottiglia più forte nella mano fino a lasciar sbiancare le nocche e non vide altro che la proiezione di tutto ciò che stava rimbombando della sua testa: confusione.
Avevo smesso, avevo smesso, disse quella piccola, lucida parte di sé che il giorno dopo, lo sapeva, non avrebbe più ricordato nulla, avevo smesso grazie a lei e per lei ho ricominciato. Avevo smesso, avevo smesso.
Si trascinò a passi pesanti oltre due ubriachi che ballavano sconnessi prendendosi a vicenda sottobraccio. Uno di loro urtò la sua spalla e la testa di Athos girò ancora più velocemente, perse l’equilibrio e scivolò aggrappandosi al legno consunto del bancone. Qualche scheggia di legno gli trafisse i polpastrelli ma non riuscì a sentire alcun dolore. La bottiglia gli cadde di mano, avvertì il proprio nauseante odore di alcool sui vestiti, sul petto, lo avvertiva persino sui capelli. Strinse gli occhi infastidito al rumore del vetro verde del recipiente che s’infrangeva per terra.
Sentì urlare ovattato e in lontananza il tono di voce stridulo e furioso dell’oste.
“Guarda che hai combinato, razza di impiastro!”
Athos si girò lentamente verso di lui girando gli occhi indietro. Lo squadrò da capo a piedi senza riuscire a definirne i contorni sfumati. Scosse la testa stringendosi i capelli fra le mani e strisciò all’indietro allontanandosi pesantemente dal bancone senza dare il minimo peso all’oste. L’uomo, un alto e grosso figuro con un naso prominente e squadrato, lo fissò truce mentre si allontanava, borbottando qualcosa tra le labbra nascoste dalla folta barba grigia.
Dietro l’angolo, un’ombra attendeva Athos con impazienza. E paura. Impazienza e paura, due facce della stessa medaglia, la stessa voglia di andar via camuffata da bisogno di rivalsa. Il ragazzo strinse le labbra con decisione e squadrò il moschettiere da capo a piedi. Era incredibilmente indifeso. Sarebbe andata bene.
 
 
 
 
Porthos spostò bruscamente una piccola pietra a forma di stella con lo stivale. Sollevò il labbro superiore ed inspirò rumorosamente. Aramis camminò avanti e indietro per interminabili minuti, D’Artagnan lo guardava distrattamente, le braccia raccolte e incrociate sul petto e qualche sguardo impensierito lanciato in giro. Spostò lo sguardo su Elly e la vide sciogliersi la treccia con fare stanco, ricomporla con gesti meccanici e annoiati. Il guascone socchiuse gli occhi e strinse le labbra sentendosi arpionare lo stomaco: Elly aveva cercato di proteggere Athos da Rochefort. Erano lì per le strade invase dagli schiamazzi di Parigi e loro quattro sembravano gli unici a stare in silenzio. Sembravano quasi fuori posto, eppure nessuno di loro aveva la minima intenzione di aprir bocca. Negò col capo rispondendo a qualche domanda fatta a se stesso, nel più profondo dei suoi pensieri. Pensò a Constance e si chiese se avrebbe mai accettato una cosa di quel genere da lei, dalla donna che amava: la immaginò mentre rinnegava il loro amore soltanto per proteggerlo, per evitare che venisse aggredito e ucciso. La immaginò nei panni del loro giovane moschettiere donna, costretta a rinunciare alla pace che Athos aveva regalato al suo animo in fiamme per proteggerlo da Rochefort, da una minaccia invisibile e incomprensibile che nessuno di loro era ancora riuscito a spiegarsi in nessun modo. Perché quel demonio aveva messo gli occhi su Elly con tanta insistenza? Cos’aveva visto in lei da scatenare quella furia omicida verso Athos? Cos’era successo nella sua testa, a cos’era mai dovuta quell’attenzione morbosa? Si passò una mano tra i capelli e sospirò sperando di incontrare gli occhi color ghiaccio di Athos il prima possibile: era sparito e non avevano sue notizie da ore.
“Basta così”, disse all’improvviso la voce atona e indurita di Elly. La ragazza battè le mani sul legno del tavolo della guarnigione e guardò i suoi compagni, gli occhi ancora gonfi e rossi di pianto.
“Andiamo a cercarlo.”
I passi decisi di Tréville fecero capolino dietro di loro. Il preoccupato capitano si avvicinò ai suoi soldati a labbra serrate, le piccole e definite rughe agli angoli degli occhi si accentuarono evidenziando il blu mare delle sue iridi.
“Ancora nulla?” domandò.
Aramis scosse la testa e guardò l’entrata della guarnigione.
“Niente.”
“Dobbiamo uscire a cercarlo”, soggiunse Porthos, una vena di preoccupazione appena accennata nella voce roca e profonda.
Tréville annuì.
“Sapete già dove potrebbe essere?”
“Purtroppo no”, rispose Elly guardando D’Artagnan, “quello che temo è che sia..”
Non terminò la frase e abbassò il capo mordendosi le labbra. Mentre fissava il terriccio sotto le sue scarpe, Tréville le pose una mano sulla spalla e gliela strinse con fare paterno.
“..Ubriaco da qualche parte”, concluse, “probabilmente lo è. Forza, mettetevi al lavoro e tiratelo fuori da qualsiasi sudicio buco si trovi adesso.”
Voltò loro le spalle senza aggiungere altro, come tutte le volte in cui la situazione era complicata. I quattro moschettieri infoderarono le spade e infilarono il portico della guarnigione uscendo a passi veloci.
 
 
 
 
 
Il giovane si leccò le labbra spesse e carnose imperlate di sudore, riuscì a sentirne il sapore amaro e di colpo avvertì una grande sete. Assottigliò le palpebre e si mise a studiare ogni movimento del moschettiere davanti a lui che stava per prendere un vicolo buio e cieco. Lo guardò barcollante e confuso, la tristezza e la solitudine che trasparivano dal suo viso e dai suoi capelli incollati alla fronte contagiò quella parte di sé buona e altruista e s’intristì a sua volta. Era un uomo esattamente come lui. Sentì la sua missione venire meno nella sua testa, finchè la voce sibilante di Rochefort non irruppe nuovamente in lui.
Uccidilo, Vic. Uccidilo ed Elly tornerà da te.
Vic strinse i denti dietro la mascella e avanzò furtivo come un serpente in mezzo agli angoli che lo separavano dalla schiena del moschettiere. Sfilò la piccola lucente spada che Athos aveva umiliato alla guarnigione e con un braccio intorpidito dal terrore la sollevò e urlò. Sarebbero bastati pochi secondi. Forse anche uno soltanto.
Ma Athos era un moschettiere. Il migliore. Le parole di Elly accompagnarono la sequenza di attimi confusi in cui tutto avvenne.
Athos si voltò di scatto e tutto ciò che Vic riuscì a scorgere fu il colore del mare negli occhi del moschettiere. Lucidi, nonostante l’ubriacatura. A Vic mancò il fiato e Athos sfilò la sua spada con una velocità tale che gettò il ragazzo nella confusione più assoluta. Il giovane sentì come se ci fosse stato un enorme schiamazzo tutt’intorno, quando in realtà erano solo il silenzio e la rapidità estrema dei movimenti di Athos a disorientarlo. Il moschettiere fece sibilare la spada roteandola in aria, colpì il piccolo ferro del ragazzo che emise un clangore acuto e sofferto e volò via dalle mani del proprietario, atterrando poco lontano e conferendo a Vic la dimensione del suo essere totalmente indifeso. I respiri mozzi di entrambi spezzarono il silenzio e la lama appuntita e lucente della spada di Athos puntò la gola del ragazzo. Vic sudò copiosamente e fissò il moschettiere negli occhi.
“Non sono abbastanza ubriaco da farmi mettere nel sacco da un moccioso come te”, sibilò Athos con la voce alcolica, “ma potrei esserlo per non regolare la distanza fra la lama e la tua gola e piantartela nel collo senza che tu possa neppure accorgertene.”
Vic sentì il proprio cuore battere all’impazzata nel petto e tacque. La vista di Athos si annebbiò e il moschettiere fu lì per calare la spada con lentezza e abbassare la guardia. Vic non osò muoversi neppure in quei momenti di estrema debolezza del suo avversario. Gli occhi gli si riempirono di lacrime e si vergognò di se stesso.
Cosa..cosa ho mai fatto?  Si disse colpevole, io..io non sono questo. Non sono questo.
E prima che potesse provare a pensare qualcos’altro, avvertì una possente presa dietro di sé, come una forza di gravità che lo trascinava inesorabilmente lontano dal proprio equilibrio e dal proprio baricentro. In stato confusionale, portò istintivamente le mani a serrare le braccia che lo stavano stringendo. Riconobbe sotto il suo tocco il cuoio di una divisa e un ringhio dietro di lui confermò tutti i suoi dubbi.
“Non muovere un solo muscolo di quella faccia da idiota, sbarbatello, o giuro che ti torco il collo come una gallina.”
Senza doversi voltare, riconobbe la voce aggressiva e profonda di Porthos. Aramis e D’Artagnan rinfoderarono le spade e Vic aspettò il momento della verità. Elly gli comparve davanti e lo fissò in silenzio  penetrando i propri grandi occhi azzurri nel verde prato dei suoi. Il ragazzo lesse il più profondo disprezzo nel viso bianco e provato della ragazza, conosceva quegli occhi e conosceva quello sguardo severo: non lo avrebbe mai più perdonato. Come non aveva mai più perdonato il suo tradimento. Vic abbassò il capo, colpevole: due fallimenti su due con la donna che amava. Erano troppi: con Elly era già stato troppo anche solo il primo. Strinse i denti per non piangere e mormorò con voce inudibile:
“Mi dispiace.”
Il moschettiere gli voltò le spalle con sdegno, la lunga treccia d’oro oscillò dietro le sue spalle. Athos era in ginocchio di fronte a lei, un distruttivo senso di nausea lo colse impreparato e strinse gli occhi per trattenerlo. Non riuscì più ad avere una presa salda sulla spada e la lasciò andare. Sussultò quando al posto dell’elsa fredda e solida s’insinuarono le dita morbide e affusolate della ragazza.
“Athos..” mormorò la sua voce spezzata. Il moschettiere alzò lo sguardo offuscato dall’ubriacatura e lei gli sorrise lasciandogli una carezza impercettibile sul viso sormontato dalla barba morbida e scura.
“T..tu..” sussurrò il moschettiere perso nel colore intrappolato tra le ciglia della ragazza. Non riuscì a dire altro e lei gli prese il viso tra le mani e lo baciò senza curarsi del sapore dell’alcool che avvolgeva il conte De La Fére. Lui tremò al contatto con le labbra morbide di lei e quasi riuscì a sentire il proprio cuore tornare a battere. Gli era sembrato fermo per tutto quel tempo.
Elly lo abbracciò e lo strinse a sé. Si scoprì inspiegabilmente felice di averlo ritrovato. Di riaverlo tra le sue braccia, vivo, con abbastanza forze in corpo da poter recepire il suo messaggio:
“Ti amo”, gli sussurrò all’orecchio. Athos spalancò gli occhi oltre le spalle piccole e toniche della ragazza e d’improvviso mise a fuoco i volti di Porthos, Aramis e D’Artagnan davanti a lui. Aramis chinò il capo di lato e portò la mano alla tempia in segno di saluto.
“Ben ritrovato, capo.”
Porthos scosse il ragazzo per il retro della casacca blu che indossava.
“Deve valere anche meno di quello che sembrava, se sei riuscito a metterlo al tappeto in quelle condizioni pietose.”
Athos roteò gli occhi e aprì la bocca impastata dalla stanchezza.
“Sono io a essere capace”, farfugliò, “non lui a essere una..mezza calzetta.”
Elly lo afferrò per le spalle e gli ravviò i capelli sulla fronte.
“Cos’è successo?” chiese la sua voce dolce.
Athos scosse lentamente la testa.
“N..non lo so. È..è arrivato dietro di me e..”
La guardò e lei non capì.
“Perché sei qui? Tu avevi..avevi detto che..”
“Mentivo.”
Athos aggrottò le sopracciglia.
“Men..mentivi?”
“Sì.”
“Perché l’hai..”
“Milady. Milady mi aveva detto che Rochefort voleva ucciderti.”
Athos fece silenzio e sospirò guardando a terra.
“Io..” proseguì la ragazza con un nodo alla gola, “volevo..volevo solo proteggerti.”
“Mi hai..allontanato da te per..”
Athoso deglutì l’ultimo groppo di sbornia mandandolo giù nello stomaco senza ritorno.
“..per proteggermi.”
Elly annuì e una grossa lacrima rotolò inaspettata lungo le sue guance fredde.
“Perdonami.”
Athos si alzò in piedi a fatica vedendo l’intera piazza rotolare attorno a sé. La guardò e sospirò, le prese il viso tra le mani e la strinse a sé con tutta la forza che non era riuscito a impiegare nello scontro contro Vic. La ragazza sussultò e trattenne le lacrime a stento, stringendo con le dita la camicia bianca sulla schiena madida di sudore del moschettiere.
“Sei più fuori di testa di quanto pensassi”, mormorò Athos.
“Stavolta hai sbagliato soggetto, moschettiere. Sei ubriaco.”
“Già.”
“Avevi detto di aver smesso.”
“Colpa tua.”
“Solo gli idioti si fanno trascinare di nuovo in pericoli del genere per la seconda volta.”
“Sono un idiota.”
“Il peggiore che abbia mai conosciuto.”
 Cuore contro cuore per qualche istante e la sensazione di sollievo di Athos quando si rese conto che i pensieri non sono udibili da nessuno, neanche alla vicinanza a cui stava stringendo la ragazza.
Ti amo anch’io, pensò. Elly percepì qualcosa di profondo in quell’abbraccio, ma tenne per sé quelle emozioni. Ebbe la sensazione che, in qualche modo, Athos le avesse detto che l’amava. Il moschettiere l’avvicinò al proprio viso e la baciò chiudendo gli occhi e senza volerli più riaprire. D’Artagnan sorrise compiaciuto e guardò Aramis che si prese il cappello con una mano, sollevandolo dalla testa. Vic guardò Elly e Athos col cuore stretto in una morsa, si leccò le labbra aride e pensò che tutto sommato avrebbe preferito vedere quella scena piuttosto che rischiare di convivere per tutta la vita con nella mente l’immagine di un uomo morto a causa sua.
Quel Rochefort. Non..non sa. Non gli importa quanto valga una vita.
Rabbrividì al pensiero di ciò che avrebbe rischiato di fare in nome di una gelosia cieca senza ragione di esistere.
Sono stato..sono stato un burattino nelle sue mani. Io so quanto vale una vita. Lo so.
Spostò lo sguardo colmo di lacrime su Elly che si voltò verso i suoi compagni e per la prima volta dopo giorni, faceva un sorriso disteso.
E se il suo destino è davvero questo, io devo lasciarla andare.
Elly incrociò il suo sguardo e Vic vide che non era più gelido come il ghiaccio. Era grande e pieno come un fiume che sporge dal proprio letto dopo un temporale. I suoi occhi erano calmi, ma i denti serrati dietro la mascella contratta tradivano il nervosismo di lei. Gli si avvicinò a passi veloci e puntò gli occhi dritti nei suoi.
“Non credevo saresti arrivato a tanto”, disse sottovoce.
“Io..”
“Tu, proprio tu.”
“Elly, non è come pensi. Non avrei voluto.”
“Ti ha mandato Rochefort, non è vero?”
Vic abbassò il capo senza più forze per reggere lo sguardo di Elly. Lei lo afferrò per il bavero e ringhiò scuotendolo con forza.
“Rispondimi!”
Vic annuì debolmente e lei emise un suono isterico e strozzato.
“Perché, Vic? Perché?!”
“Volevo solo avere una seconda possibilità con te. Per noi.”
“E l’avresti pretesa uccidendo Athos? Da quando Victor Huyenne uccide la gente per ottenere qualcosa?! Da quando?!”
Elly scosse la testa affranta e delusa.
“Non ti ricordavo affatto così, Vic.”
“Non lo sono, infatti. Non..non so cosa mi sia preso, ma..”
La guardò e strinse le labbra tacendo per qualche istante. Lei attese.
“..Mi dispiace. Probabilmente non sarei comunque riuscito a fargli del male.”
Alla ragazza tremò violentemente il labbro e scosse la testa guardando altrove. Come poteva negare a se stessa di voler bene a Vic? Quante ne avevano passate insieme. La delusione le bruciò in fondo al corpo insieme all’autocritica più spietata, si odiò per non riuscire a odiarlo, nonostante tutto.
“Vic”, mormorò, “cosa vuole da me Rochefort? Ho bisogno di saperlo.”
Il ragazzo negò col capo con enorme delusione del giovane moschettiere.
“Non lo so, Elly.”
“Non lo sai?”
“Non..non mi ha detto nient’altro se non..se non “uccidilo e lei tornerà da te.” Non ho idea di cosa abbia in mente.”
Elly si piantò le mani sui fianchi e sospirò alzando gli occhi al cielo.
“Bene”, annunciò ironica voltandosi verso i suoi compagni, “a quanto pare, non sappiamo ancora che problema abbia il consigliere di Sua Maestà.”
“I problemi più evidenti sono sempre quelli privi di una definizione”, sentenziò D’Artagnan rinfoderando la propria spada.
“Stavolta dobbiamo metterlo alle strette, prima che decida di decimarci tutti”, aggiunse Porthos guardando Athos.
“Bè”, s’intromise Aramis indicando Vic con un cenno del capo, “se i sicari che ci manda sono di quel calibro, faremo prima a morire di vecchiaia.”
Vic roteò gli occhi e sospirò.
“D’accordo, non c’è bisogno di infierire”, borbottò.
“Ah no?” ribattè Athos sollevando un sopracciglio.
“No.”
“Aspetta che mi riprenda, fenomeno.”
“Ragazzi, non è il momento adatto”, si affrettò a dire Elly.
“Ha cercato di ammazzarmi!”
“Lo so, Athos, ma adesso..”
“Adesso è il momento che Rochefort sconti le vecchie e le nuove”, impose Aramis con fare perentorio, “forza, torniamo alla guarnigione e diamoci da fare.”
Vic avanzò di un passo timido verso di loro.
“Io..potrei aiutarvi.”
I moschettieri si voltarono verso di lui e sollevarono le sopracciglia.
“Io invece credo che tu abbia già fatto abbastanza”, tuonò Athos barcollando minaccioso verso di lui.
“Perché parti sempre prevenuto?!” strillò seccato il ragazzo.
“Quale imbecille si farebbe aiutare da un altro imbecille che ha cercato di pugnalare il primo imbecille alle spalle?!”
Porthos sospirò.
“I galli nel pollaio.”
“Già”, confermò Aramis, “la prossima volta ricordami di portare un metro da sarta. Questi due non possono condividere un suolo pubblico che li separi meno di un chilometro l’uno dall’altro.”
Elly fermò Athos con la mano e guardò Vic.
“Aspetta, potrebbe avere ragione.”
“Scusa?”
“Ha avuto contatti diretti con Rochefort ed era programmato che ne avessero degli altri. Lui non sa che noi sappiamo. Sa soltanto che a quest’ora Vic dovrebbe aver finito il lavoro con te. Potrebbe davvero tornarci utile per prenderlo in trappola.”
D’Artagnan s’illuminò.
“Elly ha ragione”, convenne, “mandiamo Vic da Rochefort e facciamo in modo che restino soli per un po’. Rochefort vorrà sapere che ti ha ucciso, bene, lo saprà. E mentre Vic lo terrà impegnato, noi interverremo. D’accordo?”
I moschettieri si guardarono in silenzio tra loro e fu Porthos a prendere parola.
“Non fa uno straccio di piega.”
Athos alzò gli occhi al cielo e levò le mani in alto.
“Grandioso. Ma adesso torniamo alla guarnigione o darò di stomaco qui davanti.”
“Oh, no, mio caro”, sentenziò Aramis, “ora te lo tieni. Abbiamo già fatto fin troppo salvandoti la pelle.”
I moschettieri proseguirono a passi veloci diretti verso la guarnigione. Elly li seguì a ruota sospirando, finchè non sentì la voce di Vic chiamarla di colpo.
“Elly!”
La ragazza si voltò.
“Cosa c’è?”
Il giovane le si avvicinò timidamente ravviandosi i lunghi capelli neri dietro le orecchie. Elly lo vide frugarsi nelle tasche ed estrarne un lungo ciondolo con una piccola sfera d’oro all’estremità. Vic la guardò sperando che l’oggetto le suggerisse qualcosa, ma vide la ragazza aggrottare la fronte con circospezione.
“Che cos’è?” domandò.
Vic si leccò le labbra arse.
“Me lo ha dato sorella Renée, voleva che lo avessi tu. Ha detto..ha detto che apparteneva a tua madre.”
Qualcosa scoppiò ardente al centro del petto di Elly. Guardò Vic spalancando gli occhi e prese il ciondolo tra le mani. Afferrò la giuntura della sfera pendente e notò che si apriva. La schiuse dolcemente con le dita e subito ne fuoriuscì una dolcissima melodia che riempì l’aria tra i due ragazzi. Il moschettiere sentì le mani tremare e qualcosa di furente e improvviso scavare nella propria mente, nei ricordi più lontani, in quelli che credeva di aver rimosso per sempre. Man mano che la musica del carillon si faceva più intensa, le note dolci e rassicuranti si trasformarono via via in una voce dapprima lontana, poi sempre più nitida.
La voce di sua madre.
Ricordò di colpo quella melodia al punto da ricantarla sottovoce a labbra schiuse.
Mamma.
Una marea bianca le montò dietro gli occhi all’improvviso e scoppiò in lacrime sempre più rapide. Davanti ai suoi occhi offuscati dal pianto, comparve chiara come l’acqua di un fiume l’immagine del volto di sua madre, un dono speciale dei propri ricordi, qualcosa che aveva scordato per sempre, che il trauma della rivolta che coinvolse il suo quartiere distruggendo per sempre la sua famiglia aveva cancellato dalla sua mente. Vide lunghi capelli biondi sempre in ordine, morbidi come il grano aggrappati a un’acconciatura perfetta. Vide il collo niveo e un sorriso identico al proprio. Vide due grandi occhi azzurri incastonati sopra un naso piccolo e definito, una fronte liscia e spaziosa e le mani calde e affettuose, sicure e amorevoli che riuscì a sentire sul suo viso ancora una volta.
Mamma, pensò.
“M..mamma..” mormorò stringendo al cuore il carillon. Abbassò la testa e in quel momento i moschettieri si voltarono verso di lei. Non ebbero bisogno di spiegazioni per capire. Athos guardò il ciondolo pendere dalle sue mani tremanti e D’Artagnan ascoltò in silenzio il pianto di quella ragazza che vedeva come sua sorella. Le poggiò una mano sulla spalla e le diede un leggero bacio sulla testa scossa dai tremiti.
Porthos fece un mezzo sorriso e strinse le piccole mani della ragazza nella propria. Aramis le pizzicò una guancia e Athos la guardò chiedendosi quanta perfezione potesse contenere una persona di quelle dimensioni tanto ridotte, che di fronte a un ricordo che credeva perduto diveniva ancora più piccola e fragile di quanto già non fosse.
Elly alzò lo sguardo verso Vic. Il ragazzo potè vedere l’ennesima trasformazione dei suoi occhi, non più aggressivi o sulla difensiva, ma buoni e pieni di gratitudine. Si asciugò le lacrime col dorso della mano e fece un mezzo sorriso.
“Grazie, Vic.”
Il giovane sentì il proprio cuore stringersi nel petto. Ricambiò il sorriso e guardò i moschettieri.
“Coraggio, andiamo. Rochefort mi starà aspettando.”
 
 
 
 
 
 
 
 
La sala della libreria reale, vuota, sembrò ancora più grande di quanto già non fosse.  I suoi passi risuonavano atoni fin sopra il soffitto affrescato da un artista di sconfinato talento. I colori dei dorsi dei libri riflettevano la luce del sole sul pavimento di marmo lucido e giallastro, ora sfumato di blu, di verde, di rosso. Dalla finestra entrava la luce abbagliante del tramonto, rossiccia e pregnante: Rochefort inspirò a lungo chiudendo gli occhi. Nella mano stringeva una boccetta di vetro blu. Visualizzò nella mente il liquido verde che conteneva e lo immaginò invadere e stroncare il corpo ingenuo del suo sovrano, una volta bevuto il suo solito bicchiere d’acqua prima di addormentarsi, lo immagino esplodere in tutte le vene del suo corpo e guardarlo poi con gli occhi pieni di pietà. Un sorriso infido gli si dipinse sul viso e quasi si rammaricò che nessuno fosse lì a compiacersene con lui.
Afferrò il bicchiere di vetro decorato davanti a sé e stappò la boccetta. L’odore acre che ne fuoriuscì lo stordì, ma un piacere perverso gli smosse le viscere mentre versava il contenuto velenoso goccia dopo goccia nel vetro del bicchiere.
Vic salì le scale a perdifiato, sapeva dove lo avrebbe trovato.
Corse a più non posso senza incontrare Guardie Rosse lungo la sua strada. I corridoi del Palazzo Reale erano immersi in un silenzio spaventoso ed irreale. Disorientato, cercò di richiamare alla mente la posizione della biblioteca reale. Quando la raggiunse, il sudore sulla fronte gli aveva già incollato i capelli alle sopracciglia. Respirò a fatica recuperando fiato, per non risultare trafelato al suo interlocutore. Notò che la porta era socchiusa e vi sbirciò dentro.
Assottigliò gli occhi e vide Rochefort versare gocce di qualcosa che non riuscì a definire in un lungo bicchiere di vetro. Il cuore gli saltò nel petto e si accasciò di nuovo contro l’anta della porta chiusa. Strinse gli occhi e le labbra e sospirò.
Ma che accidenti sta combinando?
Guardò di nuovo all’interno dello spiraglio e il bicchiere era già sparito da sopra il tavolo di legno intarsiato.
Potrebbe essere pericoloso. Devo..devo avvertire Elly.
Ridiscese le scale correndo a più non posso rischiando di scivolare più volte contro il marmo liscio e delicato dei gradini. Corse nel cortile del Re e raggiunse la fitta schiera di alberi dietro cui si nascondevano i moschettieri. Elly lo vide arrivare e spalancò gli occhi.
“Allora?” lo incalzò. Vic riprese fiato, trafelato.
“A..aspetta, non ho ancora fatto nulla”, biascicò.
“Cosa?!” ringhiò Athos furente.
“Aspetta”, gli impose D’Artagnan, “forza Vic, parla.”
Vic prese fiato.
“Rochefort sta..stava maneggiando una boccetta con dentro uno strano liquido.”
I moschettieri sentirono un terrore cieco risalire loro la gola. Si guardarono sgomenti e Vic continuò.
“Ne ha versata qualche goccia in un..in un bicchiere di vetro”, spiegò col fiatone, “io..io non so di cosa si tratti, ma state in guardia. Non..non ho idea a chi toccherebbe quel bicchiere.”
Un fulmine blu attraversò il cervello di Elly da tempia a tempia. Sentì gli arti formicolare e una paura in ogni angolo del corpo mai provata prima.
“Il Re..” mormorò tremante. Porthos capì e spalancò i grandi occhi scuri. Dopo di lui, Athos, Aramis e D’Artagnan si misero sull’attenti.
“Il Re beve sempre un bicchiere d’acqua colmo fino all’orlo prima di dormire”, disse Athos, le parole gli rotolarono di fretta giù per la bocca, “dobbiamo intercettare il bicchiere. Vic! Il bicchiere..è ancora in quella stanza?”
Il ragazzo negò energicamente col capo.
“No. È bastato che distogliessi un attimo lo sguardo perché sparisse.”
“Deve averlo fatto uscire dalla stanza con un altro dei suoi maledetti trucchi”, sbottò Aramis in preda al panico, “dobbiamo fermarlo.”
Athos annuì.
“Elly, tu accompagna Vic e tieniti pronta a intervenire. Noi cercheremo il Re in lungo e in largo.”
“Dobbiamo impedire che quel bicchiere arrivi da lui”, mormorò D’Artagnan, “a qualunque costo.”
Elly annuì e li guardò uno ad uno.
“Siate prudenti.”
Porthos diede un affettuoso buffetto sulla guancia alla ragazza e i quattro moschettieri corsero verso l’entrata della reggia disperdendosi alla ricerca del Re. Elly e Vic rientrarono nel Palazzo e ripercorsero a ritroso la strada che conduceva alla biblioteca reale. Quando schiacciarono i loro corpi leggeri e silenziosi contro il legno spesso e austero della grande porta bianca, all’interno si udivano ancora i passi lenti di Rochefort. Elly avvertì un lungo brivido su per la schiena che non sembrò conoscere un punto di arrivo. Si passò la lingua sulle labbra secche e restò in ascolto del suo cuore che batteva terrorizzato: ammise a se stessa di non aver mai avuto così paura di qualcuno in vita sua. Athos aveva ragione. In Rochefort c’era qualcosa di terribile.
Voltò di scatto gli occhi verso Vic e lui comprese all’istante. A Elly sembrò per un attimo di rivedere la persona con cui era cresciuta, quello che insieme a Heléne aveva creato per lei una complicità unica.
“Vado”, mormorò il ragazzo con decisione.
L’attimo dopo, Vic aprì la porta della biblioteca e fu all’interno. Seguì un lungo silenzio finchè Elly non udì la voce fredda di Rochefort parlare.
“Hai fatto presto, Vic.”
Seguì un breve silenzio.
“Era ubriaco”, rispose la voce calma del giovane, “non c’è voluto molto.”
Rochefort diede dei passi, Elly non potè vedere dove si stava dirigendo.
“Le pessime abitudini conducono all’imprudenza. L’imprudenza conduce alla morte. Non sei d’accordo, Vic?”
Vic dovette annuire senza parlare, perché il conte continuò.
“Hai già incontrato Elly?”
Sia Vic che il giovane moschettiere fuori dalla porta avvertirono un’inclinazione anomala nella voce di Rochefort alla pronuncia del nome della ragazza. A entrambi sopraggiunse nella mente l’immagine di un prato verde in cui spunta un’unica fiammella, preludio di un incendio, determinata a distruggere tutto ciò che incontra.
“Non ancora”, ribattè la voce di Vic, “non l’ho ancora cercata.”
Elly non potè vederlo, ma Vic scorse un fulmine devastante negli stretti occhi blu di Rochefort. Un brivido gli trapassò il petto ma si costrinse a fissarlo senza mostrare paura.
“Capisco”, sibilò il consigliere del Re. Il bicchiere era già in viaggio verso il comodino intarsiato del Sovrano.
“Conte di Rochefort”, avanzò di colpo Vic guardando il consigliere, “devo..devo sapere qualcosa da voi.”
Rochefort sembrò irritato dalla domanda del giovane, ma mantenne la calma e accennò a un sorriso che gli venne male e forzato.
“Chiedi pure, Vic.”
Victor si morse il labbro inferiore e strinse le proprie mani una nell’altra dietro la schiena.
“Perché Elly?”
Rochefort si paralizzò. Un formicolìo acuto aggredì il suo cervello e un groppo di saliva pesante scese a fatica giù per la sua gola. Frenò l’istinto impetuoso e accecante di strangolare l’insolente ragazzo che stava di fronte a lui e veder chiudersi quegli stupidi occhi verdi davanti. Provò un disarmante piacere nell’immaginare quella scena, ma tornò in sé e i suoi occhi ridivennero lucidi e fermi come quelli di un’aquila predatrice.
Fuori dalla porta, Elly trattenne il fiato per un tempo che sembrò infinito.
“Non sono domande che ti competono, mio caro Vic.”
Il ragazzo non si arrese.
“Ho bisogno di sapere.”
“No che non ne hai bisogno.”
Il cuore di Rochefort, che dapprima sembrava immobile, prese a battere come un tamburo sotto la divisa e le sue mille bugie crudeli. Una bolgia chiassosa di ricordi riaffiorò alla propria mente come l’alta marea e si sentì assaltato dalla perdita di controllo.
“Se sposerò Elly, dovrò sapere il motivo per il quale mi avete chiesto di togliere di mezzo Athos De La Fére”, insistette Vic a denti serrati. Poi lo guardò negli occhi.
“Voi l’amate, Rochefort. Non è così?”
Elly non espirò più oltre la porta. Il fiato le si bloccò in gola al pensiero di una prospettiva come quella che era appena uscita dalle labbra di Vic. Sentì il proprio cuore battere nelle orecchie all’impazzata al punto da impedirle di sentire altro in tutto il Palazzo. Si sentì invadere dal terrore di aver causato inavvertitamente qualcosa di irreparabile. Se ne incolpò e all’improvviso una letale nostalgia l’aggredì e la fece sentire minuscola: se solo i suoi fratelli fossero stati lì. Se solo avesse saputo cercarli, riconoscerli in mezzo a tutte le facce di Parigi o del mondo, forse tutto quello che stava accadendo non sarebbe successo. Tutto ciò che in quel momento per lei rappresentava solo un incubo sarebbe stata una semplice serie di giorni ordinari. Il suo pensiero confuso e dolorante corse ad Athos, Porthos, Aramis e D’Artagnan e il suo cuore si strinse: era terribilmente in pensiero per loro e sperò con tutto il cuore che stessero bene. Una parte di sé indifesa e rimasta bambina desiderò ardentemente la loro presenza, un loro abbraccio rassicurante, una battuta serena, una semplice loro risata.
Dentro la biblioteca il tempo si era fermato. Rochefort guardava con odio malcelato ogni angolo del viso di Vic, impresse nella mente qualunque suo dettaglio e deglutì dietro la mascella serrata sormontata dalla sottile barba bionda. Le sue tempie pulsarono e strinse i pugni in grembo.
“Ti sbagli, mio giovane amico. Il moschettiere non ha nulla a che vedere con i miei sentimenti. Credo che non abbiamo più nulla da dirci, Vic.”
Vic non si mosse dalla sua posizione.
“Puoi andare”, lo congedò nuovamente il consigliere. Ma Vic rimase immobile dov’era. Il pensiero di proteggere la ragazza si fece largo spazio nella sua mente. Magari non era un moschettiere, ma sapeva quanto Elly necessitasse di protezione. Non l’avrebbe mai lasciata in balìa di un mostro come Rochefort, mai.
“Non mi hai sentito, Vic?” si alterò Rochefort avanzando verso di lui.
“Devo forse convincerti in modo..”
Non terminò la frase perché in quello stesso istante Elly decise che non avrebbe lasciato Vic in mano a Rochefort un solo minuto in più per niente al mondo. Sentendosi estranea dal proprio corpo, estrasse la spada e spalancò la porta puntando l’arma brillante dritta verso il viso di Rochefort. Nell’incredulo silenzio che seguì, i lineamenti di Rochefort cambiarono e si stravolsero: Vic si accorse con incredibile sgomento dell’effetto che Elly, per qualche motivo sconosciuto, faceva a Rochefort. Studiò il suo sguardo disarmato e incredulo mentre fissava ogni punta dei capelli della ragazza infuriata davanti a sé, mentre contava con la mente ogni suo respiro e si chiese quale sentimento così morboso e trascinante potesse aver mai preso possesso della mente di Rochefort, sin dalla prima volta in cui aveva incontrato Elly.
“La partita è chiusa, Rochefort”, sibilò Elly distruggendo il silenzio e lasciando riecheggiare la voce tra le mura sapienti della biblioteca, “adesso basta.”
Rochefort inspirò e sollevò il collo guardando la lama che puntava di piatto al suo collo. Ci vide dentro il riflesso dello sguardo deciso della ragazza. Ci riconobbe qualcosa che ricacciò indietro con paura. Spalancò le labbra in un sorriso che sembrò quasi naturale e prese parola.
“Ben arrivata, Elly. Vi stavamo aspettando.”
“E’ da troppo tempo che aspetto le dovute spiegazioni di questa attesa, Rochefort.”
Fece roteare la spada che sibilò contro l’aria.
“E credo proprio che voi me ne dobbiate parecchie.”
“Tutto a suo tempo, mia cara. Vedete..”
“Ho esaurito la pazienza, Rochefort. E voi il tempo a vostra disposizione.”
“Che intendete, moschettiere?”
“I moschettieri del Re sono all’interno del Palazzo. Non avete modo di fuggire.”
Rochefort la guardò di sottecchi e ridacchiò.
“Non siete la prima ad avanzare minacce contro di me.”
“Non sono minacce, conte. Vi ho semplicemente esposto la verità. Il Palazzo è circondato dai soldati del capitano Tréville.”
“Ho trascorso gli ultimi cinque anni in una prigione spagnola, mia cara ragazza. Quattro uomini armati di spada non potranno mai terrorizzarmi nella misura in cui voi lo desiderereste.”
Elly deglutì e guardò Rochefort trovando conferma di quanto il conte aveva appena detto: non c’era niente che potesse spaventarlo. Niente che potesse fermarlo davvero. E lei era in quella stanza, da sola lì con lui, un uomo che non aveva davvero più niente da perdere. Doveva proteggere Vic e trarlo in salvo, a qualunque costo.
E fu proprio su Vic che Rochefort puntò lo sguardo lentamente.
“Dalla presenza piuttosto serena del moschettiere qui presente, devo dedurre senz’altro che Athos De La Fére sia vivo e vegeto.”
Vic sostenne il suo sguardo e sentì una rabbia acuta montargli nella testa.
“Precisamente”, intervenne Elly distogliendo Rochefort dall’attenzione verso Vic. Si chiese dove fossero finiti Athos, Porthos, Aramis e D’Artagnan in quel momento e una calda goccia di sudore le imperlò la tempia destra solleticandogliela. Appeso al collo, il ciondolo col carillon di sua madre saltava con insistenza contro il battito folle del suo cuore.
“E adesso, Rochefort, credo sia il momento che noi due scambiamo quattro chiacchiere.”
Poi si rivolse a Vic e gli fece cenno di uscire.
“Va’ a chiamare i moschettieri e le Loro Maestà il Re e la Regina. Qui ci penso io.”
Vic sgranò gli occhi e boccheggiò.
“Ma..ma io non..”
“Porta quella dannata zazzera nera che hai in testa fuori da questa stanza, Vic. Adesso. ”
Vic guardò di sottecchi Rochefort che ricambiò lo sguardo con odio. Poi si rivolse di nuovo a Elly.
“Elly..”
“Odio ripetere le cose due volte, Vic. Vai.”
Vic sospirò e pregò che niente andasse storto. Infilò la porta ed uscì dalla stanza in cui ora albergava un silenzio tombale e pesante.
“Non vi aggredirò, Rochefort”, cominciò Elly continuando a puntare la spada contro il conte, “so cosa avete in mente.”
Rochefort sollevò un sopracciglio con tranquillità.
“E cioè?”
“Sappiamo perfettamente cosa avete ordito alle spalle del Re”, ringhiò la ragazza, “e non vi permetteremo di muovere un dito contro di lui.”
Rochefort chinò il capo e ridacchiò.
“Molto acuta, moschettiere. I miei complimenti.”
“Rochefort..”
“Sì?”
“Cosa volete da me?”
Altro silenzio piombò pesante nella biblioteca. Fuori dalla finestra, poche gocce di pioggia bagnarono il vetro. Cominciava a tuonare e piovere.
Rochefort fece spallucce e allargò le braccia. Le mani lunghe e affusolate ebbero un accenno di tremore.
“Cosa mai potrei volere da voi? Siete soltanto un moschettiere.”
“Non pensiate di potermi ingabbiare con i vostri sterili discorsi riempitivi, Rochefort. Mi state perseguitando e ne saprò il motivo, qui e ora.”
Rochefort avanzò di un passo ed Elly strinse più saldamente l’elsa della lunga spada con la mano sudata e scivolosa.
“Vedete, moschettiere”, cominciò mellifluo, “spesso poniamo delle domande a cui solo il tempo potrà rispondere. Le poniamo in periodi della nostra vita in cui ci sentiamo soli e abbandonati a noi stessi, in periodi in cui crediamo di aver perso tutto.”
“Non..non vi seguo.”
“E vedete, queste domande rimangono di solito sospese nel tempo. Per settimane, mesi, anni. Fino a che non ci dimentichiamo di essercele poste. Ed è in quel momento che il tempo ritorna e restituisce la domanda e la risposta che attendevamo. Tutte e due insieme.”
Elly deglutì e assottigliò gli occhi: sperava che avrebbe capito subito cosa Rochefort avrebbe spiegato, e invece aveva le idee più confuse di prima.
Ebbe l’illusione di sentire dei passi dirigersi verso la biblioteca, si voltò di scatto e si rigirò di nuovo verso Rochefort. Il conte, all’improvviso, divenne gelido e incontrollato. Avanzò di un altro passo verso di lei e la ragazza potè vedere alcune familiari sfumature grigie nei suoi occhi azzurri.
“Tutto quello che ho fatto, l’ho fatto per te, Elly”, sibilò velocemente, le parole che rotolavano giù per la sua bocca con fretta e impazienza, “tutto, tutto quanto, Elly. Sono passati tanti anni, così tanti anni. Tu, con lui. Con quel moschettiere. Tu un moschettiere. No. Non poteva.”
Sta..sta delirando, pensò Elly sentendo la gola secca e la paura crescere. Quasi rimpianse di essere rimasta sola con lui in quella stanza poco familiare, ma si fece forza e digrignò i denti allontanando la paura dal suo corpo.
“Voi non sapete niente di me, Rochefort”, ringhiò spazientita, “non mi accontenterò di questi confusi giochetti di parole da folle.”
Rochefort abbassò il capo e dalle sue labbra fuoriuscì qualcosa. Qualcosa che non erano parole. Non erano discorsi, non erano malvagità.
Incredula, Elly lo sentì cantare una melodia.
Captò alcune note a lei familiari. Dapprima una, poi una seconda. Una terza, fino a che, col cervello intrappolato in una morsa, non riconobbe la melodia del proprio carillon. Rochefort proseguì a cantare e le gambe della ragazza divennero molli.
Mamma.
Mamma?
MAMMA?!
Il fiato le mancò in gola e sentì un velo invisibile coprirle gli occhi. Il cuore le accelerò mano a mano che Rochefort finiva di intonare quella dolce, conosciuta melodia.
Nella testa di Elly esplose il caos più confuso.
Una lacrima bollente bagnò la sua guancia e naufragò sulle sue labbra tremanti e terrorizzate.
No. No. Non può.
Rochefort la guardò negli occhi e le sorrise con l’unico frammento d’amore che aveva nel corpo. Lo mischiò alla crudeltà di cui era composto e distrusse il silenzio.
“Non riesci proprio a riconoscermi, sorellina?”












Miei amati!
Non so proprio come farmi perdonare per il ritardo. Tesi, esami e quant'altro mi hanno portato via un tempo infinitamente lungo che avrei voluto dedicare al capitolo che avete appena letto. Ma sono tornata tra voi e non vedevo l'ora di rivedervi! Spero abbiate gradito il nuovo capitolo: ci avviamo alla fine della storia! Grazie sempre con tutto il cuore a tutti voi per l'affetto con cui continuate a seguire questa storia! Un abbraccio enorme!
Vostra
InsurgentMusketeer.
   
 
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