Campagna di Promozione Sociale - Messaggio No Profit:
Dona l’8‰ del tuo tempo alla causa pro
recensioni.
Farai
felice milioni di scrittori.
Campagna di Promozione Sociale - Messaggio No Profit: Non
essere indifferente!
Salva anche tu una
tastiera da pazzoidi che le massacrano scrivendo come disperate! Non chiudere
gli occhi, puoi salvare milioni di vite elettroniche.
Questo lo ammetto l'ho
scritto a velocità ultrasonica, incredibile anche perché è un cap molto molto tranquillo… Sarà stata la luna positiva.
Aggiorno un pochino prima pure, vedete come sono brava :3?
Kisshu: che culo -.-"!
*SBADADENG!*
Ritroveremo il
cadavere di Kisshu nel canale di scolo ^^+… Sorvolando sulla cosa io, con il
mio patatino peloso dolcemente steso a farmi da
copertina tra me e la tastiera, vi sbaciucchi e vi saluto, a dopo!
~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~
Cap. 28 – Toward
the crossing: sixth road (intro)
Of Prison and Poison
La voce autoritaria di Ronahuge
vibrava talmente forte che si sentiva chiaramente ogni sua parola, perfino
dietro la porta chiusa. Potevano sentire Teruga tentare di blandirlo, sebbene
non capissero cosa dicesse, e un'altra voce, più vecchia, che rispondeva
qualcosa, ma ad ogni risposta le parole di Ron tuonavano cristalline come se si
fosse trovato in mezzo al corridoio.
« Quando si dicono i polmoni. »
« Non hai visto ieri quando hanno
annunciato l'ordine del Corpo Disciplinare. – sospirò Kisshu sturandosi
l'orecchio assordato dalle urla – Lo hanno sentito perfino le guardie
all'ingresso. »
Zakuro alzò un sopracciglio con
fare divertito.
« Il nobile Ron è sempre lo
stesso… »
« Quanti ricordi in queste urla,
vero Sando? »
« Uhu…
»
« Nee-chan, perché tu e Sando
siete sbiancati? »
« Niente, Purin, niente. »
Ridacchiò nervosamente il
violetto. Lui e Sando si scambiarono una strana smorfia, e quando da dentro
Ronahuge mandò l'ennesimo ringhio, interpretabile come un siete una manica di imbecilli, si irrigidirono entrambi
sull'attenti pallidi come cenci.
« Maledizione, è come essere
tornato cadetto. »
Sospirò l'uomo cercando di darsi
un contegno.
« Già. – squittì MoiMoi – Speravo
di averla sup- »
S'interruppe con un gridolino
strozzato e nello stesso momento la porta si spalancò, così di botto da
minacciare di saltare via dai cardini. Ronahuge uscì sbuffando dalle narici
come un toro, fulminò ad uno ad uno tutti i presenti e si avviò a passo di
marcia nel corridoio, facendo scostare terrorizzati al suo passaggio
inservienti e soldati nemmeno fosse Mosè con le acque del Mar Rosso. MoiMoi non
si mosse, voltando solo gli occhi sgranati di terrore verso Sando e mormorando
acuto:
« Credevo mi avrebbe mangiato la
testa! »
« … Ma che razza di addestramento
avete fatto voi due? »
« Non fare domande di cui non
vuoi sapere la risposta Kisshu. »
Si limitò a bofonchiare Sando. Il
ragazzo non parve convinto, e dalla stanza finirono di uscire anche Teruga e il
capo del Corpo Disciplinare, generale di divisione Stahl. D'istinto i soldati
presenti fecero il saluto, a cui Stahl si replicò con scarso entusiasmo per poi
ignorarli e, congedatosi da Teruga, sparì dalla parte opposta del corridoio
borbottando frasi sconnesse.
« È andata male? »
« Né l'una né l'altra capitano
Toruke. – sospirò il consigliere – Stahl non può contravvenire alla procedura
del Corpo, tuttavia ritiene che sia tutta una farsa montata ad arte. »
Eyner fu chiaramente deluso.
« Il nobile Ron si è trovato
d'accordo, ma ha sottolineato enfaticamente
l'inutilità di sottrarre tempo prezioso ad un ufficiale. »
« Ho come l'impressione di
essermene accorto… »
Seguirono tutti Teruga che
riprese il proprio giro, molte facce confuse nel gruppo.
« Taru-Taru? »
« Uh? »
« Che intende Teruga-san con
"inutilità"? »
Chiese pianissimo e lui le
rispose all'orecchio:
« A meno di cose estremamente
gravi i processi agli ufficiali sono una pura formalità. Si pongono alcune
domande e se non saltano fuori nuove prove contro l'accusato prima della fine…
»
« L'amico se ne torna a casa
bello tranquillo. »
Concluse Kisshu con uno schiocco
di dita.
« Non mi sembra un gran sistema.
»
« Le accuse che hanno fatto a Pai
hanno la stessa densità del fumo – spiegò brusco Sando alla mewneko – infatti
se ne sta occupando solo il Corpo Disciplinare. Se si fosse trattato di accuse gravi,
avrebbero coinvolto anche il Consiglio. »
Alle sue parole Kisshu e Taruto
tossicchiarono con indifferenza.
« Ma allora perché arrestarlo? »
Domandò Lenatheri. Teruga
sospirò:
« Evidentemente qualcuno del Corpo
Disciplinare non è così convinto che siano stupidaggini. Forse perché hanno
ricevuto queste "prove" da qualcuno di affidabile. »
Le iridi rame di Lena divennero
due spicchi di metallo lucente:
« Ebode… »
« Ma non ha senso! – sbottò
esasperata Ichigo, un'emicrania incombente solo per capire l'arzigogolata
divisione di potere a Jeweliria – Perché far arrestare Pai? »
Teruga si limitò ad alzare lo
sguardo. Proprio nello stesso momento un consigliere di mezza età si ritrovò a
passeggiare nella loro direzione sul lato destro del corridoio; Teruga lo
salutò cordialmente e lui invece rispose sbrigativo e a disagio, dandosela
letteralmente a gambe.
« Era Icid-san?
»
Teruga annuì lentamente e
Lenatheri si adombrò di più:
« Fino a ieri vi appoggiava
completamente… »
« E oggi, con uno degli ufficiali
assegnati a questo progetto sottoposto ad indagine, si è posto delle domande. –
sospirò l'anziano annuendo di nuovo – Ebode voleva questo. Che perdessimo
fiducia tra i Consiglieri, e la fiducia è difficile da riconquistare. »
« Specialmente se ad essere sotto
esame è un ufficiale già finito a processo di fronte al Consiglio. »
« Ok, Sando-san, abbiamo capito,
siamo dei pericolosi delinquenti. – batté seccato la lingua Kisshu – La
smettiamo di rinvangare la cosa? »
Teruga mandò uno sbuffo
divertito. Si fermò sull'incrocio di due corridoi, accennando a lasciarli e
proseguire con le sue faccende e sorrise:
« Vedrete che si risolverà. Il
colonnello Ikisatashi saprà gestire senza alcun problema le sedute del Corpo
Disciplinare, e io sfoggerò qualche mio vecchio trucchetto alla prossima
riunione del Consiglio. »
« Lei ha sempre una soluzione
Teruga-san. »
L'uomo rise piano:
« Beh, non posso fare molto altro
purtroppo, capitano Luneilim. Portate i miei saluti al colonnello. »
« Sarà fatto, signore! »
MoiMoi fece un teatrale saluto
militare, strappando un'altra risata all'uomo, e lui e Lenatheri se ne andarono
via rapidi.
« Bene! – esclamò Ichigo allegra
– Andiamo a vedere come sta Pai-san? »
« Ichigo-chan, potresti almeno
non gongolare così. »
« Io non sto gongolando! »
« Nee-chan, hai gli angoli della
bocca che tremano. Sembri il Joker. »
« Nyah, non è vero. »
« Credo che d'ora in avanti sia
meglio tenere te e Pai ad almeno cinque metri di distanza. Per evitare vi
ammazziate, sai… »
« Concordo, Eyn. »
Veloce come un lampo Kisshu
scivolò alle spalle della rossa, fermandola con una mano sulla spalla:
« Iniziamo da subito, gattina. »
« Come? »
« Non ricordi? Kiddan-san,
ricerche, fantasmi di strane tipe bionde… »
Lei sbattè gli occhi senza
capire.
« Ha ragione. Visto che non
sappiamo quanto Pai dovrà restare sotto la custodia dell'Armata, è bene che
inizi le ricerche Ichigo-chan. »
« Eeeeh?! – gemette la rossa –
Ricerche? Io? Da sola?! Nyaaah!
»
« Buon lavoro nee-chan! »
« Coraggio. »
« Belle amiche che siete! Mi
abbandonate così! »
« Su micina non stai mica
arruolandoti come militare. »
Il verde le prese il braccio per
teletrasportarsi ed Eyner gli puntò il dito contro, severo:
« Kisshu. »
« Ehi, l'accompagno e basta. – si
difese – Sarò bravo come un angioletto. »
Salutò con un ghignetto e si
teletrasportò mentre la rossa continuava a lamentarsi.
A volte pensava di aver sbagliato
mestiere; con la sua intelligenza e la sua calma forse avrebbe dovuto seguire
le orme della madre e diventare medico. Di certo, si sarebbe risparmiato una
buona dose di mal di fegato.
La calma in ogni caso tornava
utile non solo per tenere un bisturi, ma pure per non folgorare sul posto la
povera truppa di soldati semplici venuto ad arrestarlo sulla soglia di casa.
Lui in arresto per tradimento e
complotto. Quelli del Corpo Disciplinare si erano fusi del tutto il cervello.
Si era imposto di non uccidere
nessuno – cosa di cui i soldati non erano stati informati, da come avevano
tenuto prudenti le armi in bella vista sotto la sua aria furente – e si era
sforzato di capire il perché del teatrino: aveva fatto in fretta a vagliare
tutte le opzioni, e appena il nome di Ebode aveva fatto capolino nella sua
mente, aveva seguito i soldati mansueto come un agnellino, mal celando il
fastidio e la noia che avrebbe dovuto subire nei giorni successivi. Sul punto
non era così abile e i soldati se n'erano di certo resi conto, almeno da come
tenevano una distanza di sicurezza da lui per evitare di finire a sfavillare di
elettricità in stile luminarie di Natale.
Non era nelle abitudini di Pai
rimanere in ozio, ma doveva ammettere che le celle per gli ufficiali erano
sufficientemente comode da concedersi qualche giorno di riposo in tranquillità
senza prendere a testate il muro dall'esasperazione.
Almeno
lo spero.
Sentì un trambusto lieve fuori
dalla porta, poi qualcuno la aprì e un ciuffetto viola fece capolino dallo
spiraglio, annunciando la vocetta squillante che lo salutò:
« Buongiorno Pai-chan. »
« Dunque è già finita la quiete…
»
« Sei il solito antipatico. »
Lui sospirò divertito e il resto
del gruppo si fece avanti; fu molto contento di non vedere né Ichigo né Kisshu
e passò del tutto in secondo piano cosa avrebbe potuto combinare il fratello di
stupido nei confronti della mewneko: la cosa importante era non vedere le loro
espressioni divertite.
« Sembra quasi una stanza
d'albergo. »
Constatò Purin curiosando in
giro. In effetti nella camera c'era un letto dall'aria confortevole, una
scrivania con uno dei bizzarri computer jeweliriani, uno scaffale con dei libri
e perfino una finestra senza alcun tipo di sbarra.
« Ma è davvero una cella? »
Taruto annuì e tese la mano per
richiamare i suoi pugnali; Purin scorse la lama apparire e scomparire ad un
centimetro dal palmo di lui, come l'immagine su un televisore senza segnale.
« Niente armi, non ci si può
teletrasportare fuori, non si può volare e non si può uscire. – aggiunse MoiMoi
ed indicò la porta – Non senza passare davanti ai due simpaticoni la fuori. »
La biondina fece cenno di sì, più
convinta.
« Allora? Come va? »
Pai fu lievemente sorpreso dalla
domanda di Eyner e i due ragazzi si scrutarono un istante.
« Ne ho passate di peggiori. »
Rispose calmo. Eyner si limitò ad
annuire.
« Al momento, muoio di noia. »
« La peggior punizione da
affibbiarti. »
Replicò il bruno un po' più
tagliente. Pai incassò senza colpo ferire e il sorrisetto di Eyner divenne meno
astioso: era disposto a seppellire l'ascia di guerra, ma avrebbe dovuto fargli
digerire ancora per un po' le sue parole al laboratorio.
« Ho già chiesto un permesso per
occuparmi delle analisi al centro da qui. – fece poi il moro rivolto a MoiMoi –
Ma Momomiya dovrà arrangiarsi: non ho intenzione di rimanere più a lungo qui
dentro per scontare uscite all'archivio. »
« Credo che Ichigo-chan saprà
cavarsela – ammiccò il violetto – e Ryou-chan ti darà una mano dalla base. »
La vena sulla fronte di Pai ebbe
un guizzo:
« Shirogane? »
« Su, non fare il difficile, io
devo occuparmi di Minto-chan. »
Lo rimproverò.
« Credo ti abbia già dimostrato
la sua bravura. »
Aggiunse Zakuro, abbastanza
divertita nel vedere l'alieno così seccato. Pai grugnì una risposta muta
squadrandola velenoso.
« Bravissimo. Oltre che carino. »
Scese il silenzio. MoiMoi studiò
tutti guardarlo fisso.
« Beh che c'è? – fece innocente
di fronte alla mascella cascante di Sando – Gli occhi ce li ho attaccati alla
testa, e funzionano anche bene. Ahio!
»
« Usali per lavorare invece che
per fare l'imbecille. »
Bofonchiò il verde dandogli uno
scappellotto.
« Che male…! Manesco! »
Ci fu un leggero bussare e una
delle sentinelle si affacciò per controllare la situazione. Sando grugnì di non
preoccuparsi, e mugugnando che doveva conferire con Ronahuge se ne uscì con
passo pesante; MoiMoi, ridacchiando, lo seguì allegro tornando al reparto 5 e
gli altri lo imitarono, lasciando la stanza.
Fuori, Retasu si allontanò con
loro di appena qualche metro e poi si fermò, scrutando apprensiva la porta
chiusa e le due guardie di fronte ad essa.
Si diede della stupida. Lei era
arrabbiata con Pai per come si era comportato, con Eyner, con Zakuro, con lei;
molto, molto arrabbiata. Eppure non riuscì a non fissare quella porta e a
sentirsi in ansia: per quanto confortevole, una prigione restava una prigione;
Pai era sempre tranquillo e impassibile, ma sarebbe stato bene?
« Nee-chan! Guarda che ti
lasciamo qui! »
« Eh? S-sì… Arrivo! »
Diede un ultimo sguardo oltre la
spalla e trottò dietro al gruppo scuotendo la testa.
Sono
una povera idiota.
***
Il sole era alto in cielo e la
sua luce riusciva a penetrare le tenebre della vecchia Jeweliria, coprendola
con una polverosa luminescenza dorata. Ichigo si sentì molto più allegra alla
vista della città in rovina rivestita di luce e seguì Kisshu andare incontro al
vecchio Kiddan con il cuore più leggero; l'uomo era nella stessa posizione
dell'ultima volta in cui l'avevano visto, quasi non si fosse mosso.
« Ultimamente ricevo davvero
parecchie visite, come mai tanta voglia di tornare alle origini? »
« Bisogno di consulenza. –
sorrise Kisshu – Potrebbe accompagnare Ichigo al vecchio archivio? »
Kiddan smise di digitare sulla
tastiera e si voltò circospetto. Mosse qualche claudicante passo e giocherellò
con le lenti dei suoi occhiali, allungandole in modo da vedere Kisshu ben da
vicino:
« Conciso e veloce. »
Da come la sua voce sottile si
incupì l'idea di andarsene a spasso non lo allettava.
« Cerchiamo una ragazza, qualcuno
della casa Mevynas,
o una cosa del genere… »
« Melynas. »
Lo corresse e Kisshu ammiccò
affermativo.
Kiddan riflettè sulla cosa e si
avvicinò lentamente ad Ichigo:
« Dove l'avresti vista? »
Lei non seppe bene cosa
rispondere, a disagio:
« Ecco… È una storia un po'
lunga… »
« Per arrivare all'archivio ci
vuole tempo, visto che ci si può accedere unicamente a piedi; anche con le tue
gambette. – tagliò corto lui – E io sono paziente. »
Senza aggiungere altro iniziò a
incespicare lungo una strada che costeggiava la città fin oltre i limiti della
caverna, facendo un vago cenno con la mano metallica perché la mewneko lo
seguisse.
« Allora tu non vieni? »
« Mi dispiace micetta, se salto
il controllo per il braccio rischio io, l'incarcerazione a vita. Dovrai
resistere senza di me. »
« Era solo una domanda. »
Sbottò lei, infastidita dal suo
tono allusivo. Kisshu ridacchiò:
« Su, non fare la permalosa. Ci
vediamo dopo. »
Si schioccò un bacio su indice e
medio e li posò sulla bocca di lei, evitando di un soffio con il teletrasporto
che Ichigo gli portasse via il naso. Kiddan ridacchiò stentato vedendo la
ragazza gesticolare nevrotica al vuoto, le orecchie nere da gatto e la coda che
si muovevano arruffando il pelo.
« Quel ragazzo non è contento se
non rischia la pelle. »
« Prima o poi lo faccio a
sashimi! »
Sbottò lei arrossendo
indispettita.
« Cerca di portare pazienza. – la
blandì Kiddan, riprendendo a camminare – È un idiota e un prepotente, ma in
fondo è la persona più sincera che conosca. »
Ichigo sospirò, seguendolo lungo
il sentiero:
« Lo so. »
E
questo rende tutto più complicato.
Durante il tragitto Ichigo tentò
di spiegare nel modo più chiaro possibile ciò che aveva visto sulla misteriosa
jeweliriana bionda, senza magari apparire completamente pazza come immaginava.
Il fatto che anche altri avessero avuto le sue visioni, non la induceva molto a
dubitare di avere delle crisi psicotiche.
Kiddan non disse una sola parola,
annuendo accompagnato costantemente da un lieve cigolio metallico. La condusse
lentamente lungo la città, costeggiando case e palazzi, fino ad arrivare ad una
piazza che sembrava ritagliata a viva forza tra gli edifici. Sulla parete della
grotta opposta alla piazza una scala, più nuova del resto delle costruzioni,
saliva incastonata del muro come quella con cui si accedeva alla caverna,
finendo in una botola proprio sul soffitto. Attorno ad essa giganteschi pali
metallici sorreggevano una parte del soffitto, che ad un occhio attento
appariva diverso dal resto: li i pannelli che costellavano la grotta non
c'erano, ma solo quelle che sembravano colature di una sostanza simile al
cemento; per un solo istante, Ichigo le scambiò per fondamenta di un edificio.
Kiddan salì la scala poco alla
volta, sbuffando affaticato, e bussò alla botola in un clangore di metallo e
legno: il portello restò chiuso finché non si udì un cigolio di chiavistelli e
la caditoia si aprì di scatto verso l'alto, inondando la scaletta della pura
luminosità del giorno. Ichigo si coprì gli occhi con la mano, accecata, e sentì
una voce giovane ridere con garbo:
« Kiddan-san, quanto tempo! Come
mai questa visita? »
« Cosa potrò mai voler fare
all'archivio, Merurk, una ricerca. »
Il giovane rise ancora
comprensivo:
« Certo. Mi scusi. »
« Ora basta chiacchiere e tiraci
su, questo trabiccolo è terrificante per la mia gamba sana. »
Una mano si sporse oltre la botola
e tirò su senza fatica l'anziano; Ichigo si affrettò a raggiungere gli ultimi
scalini e afferrò la mano che nuovamente si era affacciata nel buco angusto,
sollevandola come se fosse fatta di piume. Quando ebbe abituato la vista alla
luce, Ichigo ebbe la conferma che ciò che aveva visto spuntare dal soffitto era
davvero la base di un edificio: i jeweliriani non avevano ricostruito
l'archivio, lo avevano interamente trasportato in superficie così com'era nel
sottosuolo.
« Un'ospite! Questa è una vera
novità. »
Ad accoglierli fu una guardia, un
giovane che non doveva essere tanto più grande di Ichigo con un volto dolce e
perfetto da modello; aveva occhi dello stesso tono del lime e capelli rosati,
tenuti ordinatamente corti, e appariva minuto e non molto alto per un soldato.
Passato il primo attimo di smarrimento di fronte al bel faccino, Ichigo notò
che aveva la stessa divisa indossata da Iader, ma di foggia più curata, e sui
toni più del nero con rifiniture marroni.
« Momomiya, ti presento Merurk, è
a capo della guardia dell'archivio. »
« Diciamo che sono più un custode
con il permesso di portare una spada alla cintura. – minimizzò il ragazzo
ridendo – Piacere Momomiya-san. »
« P-piacere mio. »
« Kami-sama, Merurk, potresti girare con un sacchetto sulla faccia?
La ragazzina deve lavorare di cervello, limitati a rincretinire le archiviste
per favore. »
Ichigo si mise pronta una mano
sulla testa, avvertendo le orecchie feline spuntare per l'imbarazzo, e Merurk
sorrise a disagio:
« La smetta Kiddan-san… Cosa vi serviva?
»
« Notizie sulle vecchie casate. »
Replicò il vecchio spiccio.
Merurk annuì, sorrise gentile a mo' di scuse verso la rossa e fece cenno ad
entrambi di seguirlo.
L'edificio in cui si trovavano
appariva estremamente curato nei dettagli. Aveva alti soffitti ogivali e pareti
chiare ricolme di libri, inondati dal sole attraverso finestre dai vetri
intarsiati con immagini floreali; Ichigo ebbe l'impressione di un luogo creato
per custodire, per emanare sensazioni di pace e bellezza, e forse era il motivo
per cui non avevano pensato a ricostruirlo da capo, dopo essersi trasferiti
all'esterno. Lungo i corridoi stanziavano poche guardie dall'aria assonnata e
dall'aspetto meno aitante dei soldati visti attorno al Palazzo Bianco, e alcune
persone intente a consultare e spostare mucchi di tomi alla volta con la
devozione riservata ad opere d'arte od oggetti fragili.
« Sono veri libri? »
Domandò la mewneko stupita.
« Esatto. Sulla Terra li
utilizzavamo moltissimo – le spiegò Merurk – molti di questi sono solo copie
dei nostri primi anni su Jeweliria, ma alcuni vengono direttamente da là. »
La rossa lo guardò un po'
confusa.
« Usiamo un impasto con alcuni
additivi speciali – continuò lui ammiccando – non ci occorre abbattere più di
un solo albero per almeno un migliaio di copie. Inoltre, moltissimi sono
riciclati più volte, anzi ormai credo che quasi tutto l'archivio sia stato giù
riciclato almeno una decina di volte. »
« Su, su, non perderti a fare la
guida turistica. – ridacchiò asmatico Kiddan con impazienza – Voglio tornarmene
al lavoro prima possibile, muovi quel sedere rachitico invece di chiacchierare.
»
Merurk sorrise di nuovo
condiscendente e accelerò il passo; il corridoio si riempì dei passi sonanti e
scombinati di Kiddan, che nonostante la fatica non emise un verso di
disapprovazione nell'arrancare dietro i due giovani.
Proseguirono per alcuni minuti e
Ichigo iniziò a capire il senso della battuta di Kiddan. Le persone che aveva
intravisto armeggiare con i libri, tutte vestite senza particolari divise
eccetto uno stemma sempre uguale cucito sulla spalla, erano per la maggior
parte donne e ogni volta che una di loro incrociava lo sguardo di Merurk, il
quale rispondeva con il suo sorriso gentile da divo, bisognava solo
allontanarsi di qualche metro per sentirla sciogliersi in risatine stupide. Il
ragazzo non sembrava interessato, o forse non se ne rendeva conto, e continuò
spedito fin a voltare a destra in un corridoio secondario e fermarsi di fronte
ad una delle altissime porte decorate:
« Se volete cercare qualcosa del
vecchio governo terrestre, può aiutarvi solo Kilig(*). »
La porta si aprì pesantemente con
uno scricchiolio su una sala alta e stretta stipata di cartacce e libri, alcuni
dei quali ancora in bianco o riempiti solo per metà. L'udito felino di Ichigo
captò la presenza di qualcuno intento a sfogliare la carta, ma
nell'accatastamento non riuscì a scorgere anima viva.
« Kilig-san è la nostra
archivista più esperta, vi aiuterà di sicuro. »
Il ragazzo battè un paio di volte
contro lo stipite della porta, facendo risuonare i colpi bassi e secchi. Il
frusciare di carta si interruppe di colpo e si sentì un tramestio e dei passi,
e dalla massa di oggetti spuntò una giovane jeweliriana. Non si poteva davvero
definire bella: magra come un chiodo e sgraziata, stava infagottata in abiti
informi grigio topo, che ne mortificavano le forme ed evidenziavano un pallore
malaticcio; occhi color dell'oro invecchiato brillavano in uno sguardo un po'
annoiato, sotto una fronte resa ampissima dalla frangia tirata all'indietro e
dalle strettissime treccine in cui erano tenuti i lunghi capelli petrolio; un
oceano di efelidi punteggiavano il viso affilato e poco elegante, risaltando
nel leggero rossore che tinse le guance quando la giovane focalizzò tutti i
presenti.
« Merurk-san. »
« Buongiorno. – fece lui con
dolcezza – Sempre indaffarata? »
Kilig, timidamente, non rispose
facendo solo un cenno con il capo e stringendosi al petto i libri che aveva con
sé come fossero uno scudo.
« Kiddan-San e questa signorina
avrebbero bisogno di svolgere una ricerca. »
Lei parve lievemente delusa che
si trattasse di una richiesta di lavoro, ma sospirò quasi subito come se la
cosa fosse un'ovvietà e guardò annoiata l'anziano uomo.
« Sulle famiglie della Terra. –
disse lui con un cenno di cortesia – La famiglia Melynas. »
Kilig corrugò la fronte e studiò
Ichigo, dubbiosa sulla richiesta, ma poi fece spallucce e scomparve tra gli
scaffali. Tornò poco dopo, un tomo così grande in braccio che se le fosse
caduto su un piede glielo avrebbe rotto di sicuro. Si appoggiò sull'unico
angolino del tavolo non sommerso di scartoffie, cercando di fare posto, e
Merurk le andò in aiuto prendendole il libro dalle mani; Ichigo pensò che si
sarebbe incendiata la stanza da tanto la ragazza era arrossita. Ringraziò con
un mugugno passo e un mezzo sorriso, terminò di fare posto e riprese il libro
tenendo sempre lo sguardo basso, posando quindi l'enorme volume sullo spazio
ottenuto.
« Se vi serve aiuto – bofonchiò –
io sono qui dietro… »
Kiddan le rivolse un altro cenno
di ringraziamento, imitato da Ichigo, e Kilig scomparve nella sua tana con la
rapidità di un topolino. Anche Merurk si congedò e Kiddan invitò Ichigo a
sedersi su uno degli sgabelli che, dopo difficile ricerca, ritrovarono sotto il
tavolo, e si mise a sfogliare il libro velocemente. Si fermò dopo una decina di
minuti, lasciando frusciare la carta tra le mani:
« Assomigliava per caso a lei? »
Ichigo guardò il dito metallico
che picchiettava sulla carta e rimase stupefatta.
La pagina di destra riportava una
serie di scritte in jeweliriano che non capì, quella di sinistra una stampa in
bianco e nero poi colorata con degli inchiostri, che ritraeva una ragazza forse
appena ventenne.
La giovane era magra, fasciata in
un lungo e semplice abito giallo pastello senza maniche e con scollo a cuore
che donava grazia alle sue forme minute, e agghindata con due collane di pietre
bianche e nere attorno al collo; quasi esangue nell'incarnato appariva come una
persona malaticcia, o che aveva passato molti anni di malattia, ma le gote
erano delicatamente rosee come le labbra sottili. Gli occhi azzurri ricordavano
un cielo estivo, brillanti, puliti, seppur un po' stanchi; aveva lunghi capelli
biondo grano tenuti in una coda alta, legata sulla nuca con una treccina, e due
ciocche attorno al viso, tutto ordinato e curato a dispetto della frangia un
po' troppo lunga e arruffata.
Ichigo stette con la bocca
semiaperta a sfiorare il libro con le dita, era sicuramente la ragazza che
aveva visto.
« Chi è? »
Chiese debolmente. Kiddan allungò
il braccio meccanico e lesse la scritta in grande stampata sopra l'incisione:
« Luz Melynas(**)
– fece scorrendo l'indice acuminato sotto il testo – detta Luz la Soave,
48esima erede della casata Melynas. »
Ichigo annuì appena.
« Era la famiglia che governava
la nostra gente millenni fa, quando vivevamo sul Pianeta Azzurro. »
Aggiunse l'anziano e Ichigo annuì
più sicura; a guardare quel ritratto la giovane le apparve più che degna del
suo titolo e della nobiltà che avvertì nel suo nome.
Si rese conto che Kiddan era
rimasto in silenzio con espressione greve e sollevò lo sguardo dal libro senza
capire. L'uomo sospirò profondamente:
« Colui che conosciamo come Deep
Blue apparteneva alla casa Melynas. »
***
La sua tazza di caffè nero
bollente sul comodino, il letto pulito ma disfatto dalla notte prima che
diveniva un accogliente cantuccio e il suo libro tra le mani dopo un paio d'ore
di giri in moto.
Quella era decisamente la sua idea
di pomeriggio rilassante. E solo il cielo sapeva quanto ne avesse bisogno.
L'ultima settimana era stata
sfibrante; catalogare ancora tutte le informazioni raccolte assieme a Pai, per
giunta in differita – e con il moro che, giorno dopo giorno passato in
gattabuia, diventava sempre più scontroso – era un lavoro lungo, faticoso e
tedioso quanto riordinare un sacchetto di spilli per colore di capocchia.
In aggiunta, le poche ore che
trascorreva al Cafè non erano delle migliori. Nella sua stanzetta di ospedale
Minto alternava momenti di stabilità ad improvvise crisi di rigetto, cosa che
lasciava le ragazze nello sconforto più totale e senza poter fare nulla di
concreto: le si vedeva sorridere con sommo sforzo alle clienti e poi vagare
sospirando con gli sguardi angosciati, senza quasi spiccicare parola; la
presenza dello schermo della mewbird, quella sorta di fantoccio meccanico con
le sembianze della loro amica, non era di aiuto, e un paio di volte Ryou aveva
beccato Purin nel tentativo di manometterlo e farlo sparire. Non c'era neppure
la presenza rassicurante di Zakuro, che seppure uscisse ogni giorno da casa
dell'americano, non restava troppo al locale, e ormai MoiMoi non riusciva più a
tenere nascosta la lista sempre più esigua di soluzioni da vagliare; perfino
Ryou, nei ritagli di tempo in cui non crollava sulla tastiera, si era messo
alla ricerca di un antidoto, fino ad allora invano.
La cosa che lo tormentava di più
era, sempre, Ichigo. La ragazza lo stava preoccupando, passava metà delle
giornate all'archivio di Jeweliria e l'altra metà tra scuola e Cafè, infilando
nel mixer le visite sempre più preoccupate al capezzale di Minto; di quando in
quando la si scorgeva ammirare per minuti interi il telefonino senza digitare
nulla, sospirando, e poi metterlo via mordendosi il labbro sul punto di
piangere.
I suoi nervi erano sul filo di un
rasoio, ma Ryou non osava intromettersi: avrebbe scommesso la sua moto che gran
parte dei pensieri della rossa fossero rivolti al noto merluzzo ecologista –
argomento su cui lui non sarebbe stato molto obbiettivo – e per il resto, ormai
lui era così sfinito nel suo tenere le dovute distanze, che se Ichigo avesse
versato una sola lacrima in sua presenza, avrebbe compiuto qualche gesto
inconsulto come la sera al fiume.
Sì, aveva decisamente bisogno di
un paio d'ore di isolamento e quiete.
Quando aprì la porta udì
immediatamente il movimento lieve dalla cucina, si affacciò e Zakuro gli fece
un lieve cenno con il capo, finendo di versarsi il suo caffè. La mora aveva
iniziato da qualche giorno a fare la spola tra casa sua e l'appartamentino,
ancora titubante a tornare nella sua abitudinaria solitudine.
« Sei rientrata. »
« Anche tu. »
Constatò la mora con
un'occhiatina allusiva e lui mosse la mano per zittirla; non aveva battutine di
risposta per difendersi, essendo scomparso sulle strade per quasi tutto il
pomeriggio.
Entrò in cucina e si servì anche
lui una tazza di caffè, mentre lei stiracchiandosi si allungò sul pouf verde
acido nell'angolo della camera sotto la finestra. Un dono di Keiichiro; il
bruno era un fervido sostenitore della comodità domestica e quella poltrona era
per lui la massima espressione del rilassarsi in casa, così non aveva visto
perché non contribuire all'arredo dell'appartamento con il piccolo gioiellino.
Avesse scelto un colore meno allegro Ryou sarebbe stato più felice.
Zakuro sospirò stancamente e tirò
fuori dalla borsa un libro in edizione economica, un romanzo che si stava
portando dietro da settimane; Ryou lesse distrattamente per l'ennesima il
titolo in spagnolo La sombra
del viento(***), e non
seppe se sentirsi più stranito della ragazza che sfogliava letteratura in
lingua o che per lui fosse diventata un'immagine normale il vedersela sulla
poltrona.
Si risedette sul letto con
nonchalance agguantando il proprio volume, consapevole che la mora aveva intuito il suo umore appena
aveva varcato l'ingresso. Gliel'aveva letto negli occhi e nel sorrisetto che
gli aveva scoccato entrando, ma lui continuò a far finta di nulla.
« Come stai? »
Gli chiese infine sorseggiando il
caffè e lui scrollò le spalle.
Come poteva stare? Da schifo.
« La domanda sarebbe più lecita
da parte mia. »
Lei lo studiò divertita. Con il
modo assurdo che aveva Ryou di ringraziare chi si preoccupava per lui, non si
sorprendeva molto delle difficoltà nel suo rapporto con Ichigo.
« Bene. – replicò svelta – Sono
in via di guarigione, e più in fretta di quanto pensassi. »
« Me ne sono accorto. »
In tutta onestà, Ryou avrebbe
detto perfino troppo. La capacità fisica della mora era notevole, certo, ma era
il suo umore ad aver avuto un picco di miglioramento improvviso, ed era una
cosa per cui riuscire a trovare risposta stava diventando immensamente
complicato.
« Centra qualcosa il fatto che tu
vada in giro chissà dove ogni giorno? »
« Mi piace passeggiare. »
Replicò pacata.
« Con i tacchi. »
« Dovresti cambiare le ruote alla
moto, immagino avrai consumato tutto il battistrada. »
Ryou si zittì punto sul vivo e
lei non chiese altro, vendendolo concederle un lieve sorriso. Sapeva perfettamente
che, anche se il biondo non voleva parlare, avere la certezza della possibilità
di farlo quando avesse voluto lo faceva sentire un poco più in pace.
Zakuro posò la tazza vuota per
terra, insistendo nel suo tranquillo mutismo, e rannicchiò elegantemente le
gambe aprendo la pagina sul segnalibro. Ryou la sentì mandare un sospiro
divertito e la scorse giocherellare con qualcosa.
« Da quando gli stecchi da gelato
si usano per tenere il segno? »
Zakuro prese il pezzetto di legno
posandoselo in grembo.
« Non è da gelato, è da
ghiacciolo. Rovinano meno le pagine. »
« Ovviamente. »
Lei iniziò a leggere senza
neppure dare adito ad aver notato il suo tono sarcastico e senza dare segno di
voler continuare la conversazione, rigirandosi sovrappensiero con un sorrisetto
lo stecco tra le dita.
***
Sei
scema. Completamente scema.
Retasu fissò la porta ad un metro
da lei con le labbra strette in una morsa e le dita calcificate sul sacchetto
che portava.
O
bussi o non bussi. Su.
Nulla da fare, era una statua di
sale.
Si domandò cosa le fosse passato
in testa per fare una cosa simile. La sua indole da crocerossina l'avrebbe
portata al manicomio prima o poi.
Ma il motivo era stato unicamente
quello, vedere Lasa così in ansia. Dopo una settimana il processo a Pai procedeva
con una lunghezza disarmante, e nonostante i benefici accordatigli il ragazzo
non poteva quasi comunicare con nessuno, né avere contatti con i familiari o
con gli altri membri dell'equipe scientifica con cui lavorava; la donna era
sempre più turbata ogni volta che loro andavano a trovare Minto, e Retasu aveva
semplicemente pensato che, dato che su di lei e le amiche non erano state
imposte restrizioni…
In fondo lo faceva solo per farla
stare meglio. Con tutti i pensieri che aveva, non facevano bene alla sua
gravidanza…
Si sistemò mogia gli occhiali sul
naso, neppure a se stessa dava a bere le sue bugie.
Scema.
Sei scema, scema, scema!
Inspirò a fondo facendo un gran
fracasso, ormai era in ballo, tanto valeva ballare; non aveva molto senso
sostare in piedi come un baccalà per altri dieci minuti.
Le sue braccia restarono tese
lungo il busto a stringere il suo pacchetto e lei mosse appena un paio di
passi, fermandosi con la porta a dieci centimetri dal naso.
Su,
bussa. Dai. Bussa. Coraggio, bussi o no?(****)
Le prese un colpo quando la porta
si aprì da sola di botto e lei si ritrovò di fronte l'espressione sorpresa di
Eyner:
« Ciao Reta-chan! – esclamò
allegro – Che fai qui? »
Lei non fu in grado di fare altro
che tartagliare monosillabi senza senso, rossa come un ravanello, e starsene
con lo sguardo rivolto sempre più in basso a giochicchiare con il suo
sacchetto.
Una delle due guardie, che di
norma sostavano sulla porta, uscì dalla stanza dove probabilmente aveva tenuto
d'occhio la situazione, l'altra rientrò dal giro di ispezione del corridoio, ed
entrambe si rimisero alle loro postazioni scrutando la scena dubbiosi; la
faccia della verde divenne una sorta di catarifrangente ed Eyner sospirò con
dolcezza.
Retasu era troppo concentrata a
mantenere un briciolo di apparente sicurezza e non ascoltò cosa disse il bruno
alla guardia: poi lui le posò una mano sulla spalla e la tirò dentro
affacciandosi con lei, e nonostante il cervello le ordinasse di darsela a gambe
potè solo ad assecondarlo docilmente.
« Pai, hai altre visite. »
Fece posto alla verde spingendola
all'interno; lei incassò la testa tra le spalle nella speranza di farla sparire
e mormorò un inudibile ciao a cui Pai
non rispose, decisamente sorpreso della visita.
« Oggi c'è folla da queste parti.
»
Il moro emise uno strano
monosillabo non ben definito.
Retasu aveva visto giusto il
giorno dell'arresto, per quanto graziosa la stanza restava in tutto e per tutto
una cella e Pai ne portava i riflessi addosso. Le apparve un pochino sciupato e
più pallido del solito, o magari era la luce scarsa, e gli si leggeva in volto
l'insofferenza e l'irritazione di essere confinato tra quattro mura in un quasi
totale isolamento; dai capelli e dai vestiti sembrava avesse tentato di
mantenere l'aspetto decoroso, riuscendo unicamente a stemperare l'aria del
naufrago dai capelli scompaginati, con un velo di barba evidente che causò alla
mewfocena una piccola caduta gravitazionale del muscolo cardiaco fino al
diaframma.
Il ragazzo non diede adito a
voler rispondere alla ragazza, gelando le poche parole di Retasu in un mutismo
imbarazzato. Eyner, poco desideroso di trovarsi lì in mezzo, tossicchiò e
salutò entrambi uscendo e chiudendosi la porta alle spalle. Retasu maledisse la
sua mancanza di reazione immediata agli stimoli o lo avrebbe placcato
sull'uscio pur di andarsene.
Se ci fosse stato il sottofondo
di un ticchettio d'orologio la scena sarebbe stata pateticamente perfetta.
Perché
non ti inghiotte mai il pavimento quando serve?
« … Che ci fai qui? »
« I-io… Ecco… »
Sollevò di scatto il pacchetto
come a rispondergli e seppe da sé di avere l'aspetto di una marionetta tanto
era rigida, e pregò solo che lui le desse una scusa per darsela a gambe. Pai
non collaborò; si alzò lentamente in silenzio, afferrando il pacco abbastanza
confuso, e si risedette scrutando la verde tutto il tempo. Per lei era come
trovarsi di fronte ad una macchina dei raggi X.
« Oggi a lezione… Ne ho fatti di
più. Pensavo che… Non so… »
Pai avvertì un lieve tepore
mentre apriva il pacchetto e sollevando il coperchio della scatola che
conteneva, un fragrante odorino di carne e verdure invase la stanza; lui non
disse una parola, ma il suo stomaco rombò di contentezza.
Retasu trattenne una risatina
irrequieta, non poteva andarsene a quel punto; cercò con la coda dell'occhio un
punto dove sedersi, individuando la minuscola sedia sgangherata della
scrivania, e si accomodò mentre di sottecchi scorgeva il ragazzo incominciare a
dare fondo con tutta calma al contenuto del bento.
« I baozi(*****) non sono il mio forte – mormorò
tra sé e sé la verde, aggiustandosi nervosamente un ciuffo dietro l'orecchio –
così ho provato più volte, ma alla fine ne ho fatti troppi… »
Pensò che Pai non la stesse
sentendo o non la stesse considerando, poi però lo vide interrompere il pasto
posando un baozi mangiucchiato nella scatola e guardarla fisso; si risultò
ridicola da sola, ascoltando la sua bocca continuare a parlare e le parole
diventare sussurri sempre più lievi.
« Perché sei venuta? »
La domanda a bruciapelo non fece
che serrarle ancor di più la voce in gola. La verde deglutì non sapendo più
dove posare lo sguardo pur di non incrociare direttamente quello dell'alieno:
« No, solo che… Ho parlato un po'
con Lasa-san, diceva che qui, anche se sei agevolato, in fondo… E l'ho pensato
anch'io, così oggi io… Non ci ho riflettuto. – ammise sospirando – Mi… »
Stava per dire mi sei venuto in mente, ma si morse le
labbra per non finire la frase. Immaginò che sulla sua testa lampeggiasse a
caratteri cubitali la scritta patetica,
e il ricordo dell'ultima volta che avevano parlato da soli le trapanò le
tempie: non sarebbe stata in grado di reggere una risposta peggiore del
silenzio seccato che le aveva concesso.
« Non dovevi. »
Tutto il corpo della verde si
teste alle sue parole:
« Lo immaginavo. – sussurrò e poi
fece più forte – M-mi dispiace, io n- »
« No, davvero. Non dovevi. »
Il tono di Pai non era né di
rimprovero né scocciato. Retasu non fu in grado di definirlo, ma le sembrò di
scorgere un cenno di ringraziamento, scomparso nell'istante in cui aveva
sollevato lo sguardo; era rimasto solo il ragazzo, inespressivo, intento a
mangiare piano.
« Mi dispiace per l'altro giorno.
»
La verde processò per cinque
minuti buoni ciò che aveva sentito. Gli occhi azzurri si spalancarono diventando
enormi dietro le lenti.
« Mi sono comportato male con te.
»
Affondò un morso nel baozi e per
un po' il suo leggero masticare fu il solo suono che si udì. Pregò in cuor suo
di essere stato sufficientemente neutro da mandare scuse sincere e al contempo
prive di ogni possibile doppio senso – cosa di cui, in fondo, non si doveva
preoccupare, no? – maledicendo Eyner di cui non solo si era dovuto sorbire
l'interrogatorio e poi la predica per il suo comportamento, ma che aveva
profetizzato un prossimo incontro con la mewfocena giunto troppo presto per
prepararsi psicologicamente.
Lui doveva delle scuse; che
credesse o meno – e perché non avrebbe dovuto? – su quanto aveva detto e non
detto, aveva comunque sbagliato i modi: era abbastanza adulto e robusto da
prenderne coscienza e fare le scuse a chi di dovere. Ma temeva di smuovere cose
che avrebbero dovuto restare dov'erano, non era sicuro di reggere un altro
eventuale pianto di Retasu.
Invece la vide distendere il più
dolce dei sorrisi e scuotere appena la testa:
« Non importa. »
Appariva così felice di una scusa
così banale, che Pai non osò replicare che non credeva non le importasse
davvero. Si limitò a riprendere il pasto e a rivolgerle un cenno:
« Grazie. »
« Di niente. »
Era inutile essere tanto contenta,
però non potè impedirselo:
« Mi fa piacere. »
Pai di domandò se lei fosse
cosciente che quel suo sorriso era più letale di una pugnalata nel fianco, e
riusciva a colpire con altrettanta precisione.
« Come… Sta andando? Con
l'indagine, intendo. »
« Una noia burocratica. »
Replicò pragmatico e sospirò
vedendola tendersi sulla sedia in cerca di dettagli.
« Il Corpo Disciplinare si
riunisce e l'imputato si presenta, da solo, con un solo altro membro
dell'esercito esterno alla questione come testimone. Poi pongono alcune domande di rito ed
espongono le "prove" da giudicare. »
« Domande di rito? Del tipo? »
« "È colpevole? O non lo
è?" »
Le vide spalancare la bocca
attonita.
« Scherzi? »
« Di norma, conviene rispondere
che non lo sei. »
A lei scappò da ridere:
« Ma se è così, e tu inoltre sei
innocente per davvero, come mai…? »
« Vengono messe al vaglio le
prove. – sbuffò finendo l'ultimo boccone – Il problema è che nessuno dei
tecnici che hanno interpellato è stato ancora in grado di stabilire se le prove
siano contraffatte o meno. »
« Davvero? »
« Hanno selezionato degli idioti
incapaci. Non so se apposta o meno. – fece seccato – È ovvio che sono false,
anche uno scemo lo vedrebbe. »
Retasu si limitò ad annuire, non
sapendo bene cosa dire per essere di conforto.
« Ormai in ogni caso le cose si
stanno risolvendo – sospirò lui più calmo – potrebbe protrarsi ancora qualche
giorno, ma è quasi finita. »
La mewfocena intuì dal tono che
riteneva di essersi dilungato già in troppi dettagli su una faccenda che gli
dava così fastidio, e non insisté con altre domande.
« Beh, meno male. »
Si limitò a dire.
Pai la fissò con la sua aria
assente e indagatrice, e le porse uno dei suoi stessi panini; Retasu lo accettò
e rimase ancora lì per un po', scambiandosi qualche convenevole senza troppe
pretese.
Nonostante la leggerezza che
avvertì nel petto, la verde era consapevole dell'inutilità dei propri
sentimenti, e mai come in quell'istante desiderò, almeno per una volta, la
capacità di detestare le persone che la ferivano come facevano tutti.
La contentezza che provava era
l'amara prova che lei proprio no, non ne era capace.
***
Ichigo trovò davvero affascinanti
i modi in cui potevano disegnarsi le venature del legno. Con la testa poggiata
sul tavolo, riusciva a scorgerne ogni più piccolo dettaglio, una massa di onde
e pieghe bellissime e, incredibilmente, meno noiose di quanto lei stesse
facendo.
Percepì l'ombra immobile di Kilig
alla sua destra e si costrinse ad alzarsi, ringraziandola in anticipo ma
rassicurandola che non aveva bisogno di aiuto e stava solo riposando gli occhi;
la ragazza fece spallucce e riprese a mettere via i libri che la rossa aveva
definitivamente scartato, lasciando la poveretta al suo oceano di tediosa
disperazione.
Sette giorni. Sette, lunghissimi,
noiosissimi, interminabili, giorni, e lei non aveva cavato assolutamente un
ragno dal buco, nonostante i quintali di libri che aveva sfogliato. A furia di
leggere il jeweliriano, che come scrittura aveva un alfabeto abbastanza
semplice, iniziava a non avere neppure più bisogno dell'aiuto di Kilig o Kiddan
per tradurre.
Se
non altro diventerò bilingue.
Si prese la testa tra le mani
avvertendola evaporare.
Più ci pensava più non trovava un
senso.
Perché aveva visto una parente di
Deep Blue? E per giunta che le chiedeva cose di cui non comprendeva la ragione?
Aveva cercato di saperne di più
sfogliando ogni volume che Kilig aveva recuperato sull'argomento, compreso più
e più volte l'enorme tomo consegnatole il primo giorno, invano. Già in sé era
difficile per lei capirci qualcosa, il libro non era altro che un noiosissimo
elenco di membri della famiglia Melynas da quando si aveva memoria, passando
dal ramo principale a tutti i rami cadetti; la sola cosa che aveva assimilato
era come distinguere la linea di sangue più diretta dalle altre, cosa per nulla
semplice perché da quanto si intendeva la famiglia Melynas non ammetteva
immissioni di sangue "impuro" ed era normale sposarsi tra cugini.
« Queste cose da telenovela… Io i
nobili proprio non li capisco. »
C'erano due cose interessanti che
aveva notato. La prima, è che da nessuna parte compariva l'immagine o il nome
di Deep Blue, cosa che non le sarebbe mai sfuggita dato che, tra i Melynas, i
tratti distintivi erano i capelli biondi e gli occhi celesti. La seconda
riguardava la sua misteriosa amica, Luz, nominata come quarantottesima
discendente; eppure, le pagine si troncavano senza ragione dopo il
quarantaquattresimo discendente riprendendo poi alla ragazza, senza che si
riuscisse a capire il legame parentale diretto tra lei e i predecessori.
« Questi libri sono copie delle
versioni ereditate dalla generazione terrestre – le aveva spiegato Kilig – se
qualcuno abbiamo perso per errore delle parti, ormai sono irrecuperabili. »
Tradotto, non avrebbe mai
scoperto i soli misteri che la intrigavano più che tutta la faccenda in sé.
Iniziava a pensare di essersi
immaginata tutto. O che la visione fosse un altro inganno di Deep Blue, o un
qualche strano effetto dell'esposizione alla Goccia. Non aveva modo comunque di
scoprire quale fosse la verità.
Sospirò stanca. Gli occhi le
caddero sulla sua cartella, riversa sul tavolo, e il cellulare che faceva
capolino da sotto il fazzoletto.
Erano quasi quattro giorni che
non sentiva Masaya. Sommandoli, nelle ultime tre settimane si erano sentiti a
malapena ogni due giorni.
La cosa che le sarebbe dovuta
sembrare più terribile, era che con il peso, le preoccupazioni e la stanchezza
che si trascinava sullo stomaco, non avrebbe dovuto avere altro desiderio che
sentire la sua voce. Di potersi sfogare con lui.
Ma non lo faceva. Mai. Né voleva.
Sentirlo iniziava a diventare
esasperante, e la conversazione languiva in stupidaggini. Non aveva sufficiente
forza mentale per reggere la situazione, né per chiarirla; non avrebbe
sopportato altre chat o telefonate in cui lui la guardava senza accorgersi del
marasma emotivo dietro il suo solito sorriso.
Scrollò la testa e battè piano la
fronte sul tavolo.
Ora
non è il momento di pensarci.
Chiuse l'argomento in un angolino
della sua testa, a quel punto era una manovra estremamente semplice da
compiere.
Rise di se stessa, un tempo non
c'era secondo che il pensiero di Masaya non gliel'annebbiasse completamente, la
testa.
Un tonfo leggero la riscosse e
Kilig aspettò, il braccio teso verso alcuni libri dall'aria vecchissima e mal
rilegati che aveva appoggiato accanto al gomito della rossa, finché lei non
parve lucida a sufficienza da seguire le sue parole:
« Sono vecchi diari personali di
alcuni inservienti di corte. – bofonchiò – Sono stati conservati per ricerche
di costume, ma… Forse trovi qualcosa di utile. »
La mewneko le sorrise gentile, la
ragazza doveva aver scavato nel più angusto angolo di biblioteca a giudicare
dalle condizioni dei suoi abiti e dei suoi capelli.
« Ti ringrazio davvero. »
L'aliena si prese tra le dita una
delle trecce e rispose un po' brusca, ma Ichigo continuò a sorriderle. La
giovane ricercatrice era stata la sua sola compagnia in quei giorni, un'ombra
timida che reagiva alla cosa con mutismo caparbio e atteggiamenti scontrosi;
eppure, silenziosamente, la ragazza aveva passato tutta la settimana ad aiutare
la rossa, procurandole i libri più disparati, frugando negli archivi senza che
le venisse chiesto, riemergendo da antri nascosti come catacombe ricoperta di
polvere, facendo sentire semplicemente la sua presenza quando si accorgeva
dello sconforto che coglieva la mewneko. Ichigo provava uno strano affetto per
i suoi goffi moti di cortesia che le alleggerivano le giornate, e tentava di
ricambiare con la medesima gentilezza. Ne riceveva tuttalpiù sorrisi sghembi e
alzate di spalle, mentre il volto malaticcio dell'aliena si tingeva di un
curioso rossore di contentezza.
Ci fu un impercettibile cigolio e
Kilig scattò sull'attenti. Si agitò sul posto cercando una via di fuga, ma
parve non trovarne e si accucciò nell'angolo opposto del tavolo dietro una
catasta di libri scartati dalla mewneko, riordinandoli con le coste a rovescio.
« Scusate, vi ho disturbate? »
« Affatto. »
Sorrise Ichigo a Merurk e Kilig
mandò un rantolo di risposta. Incredibile, alla presenza del giovane soldato
l'aliena diventava ancora più taciturna.
« Momomiya-san, è l'ora. Devo
riportarla in città. »
Con un gemito Ichigo guardò l'ora
e iniziò ad infilare alla rinfusa le proprie cose nella borsa, l'idea di avere
anche le ripetizioni di chimica – e il ricordo che dopo cinque giorni avrebbe
avuto la prova definitiva – la fece quasi scoppiare a piangere.
« Grazie di avermi chiamata! »
« Nessun problema. »
Sorrise il soldato e le mostrò
l'uscita, avviandosi davanti a lei.
« Arrivederci Kilig-san. »
La ragazza sentendolo salutarla
fece cadere due libri sul tavolo e farfugliò qualcosa di non meglio definito.
Lui non disse nulla, incurante della cosa, e Ichigo sospirò facendole un cenno
di saluto:
« A domani! »
L'aliena, con suo grande piacere,
replicò con la mano e sulle sue labbra nivee si disegnò un piccolo sorriso.
***
MoiMoi si tenne il viso tra le mani
studiando i dati e avvertendo il cuore ridursi alle dimensioni di una nespola.
Era una delle rare volte in cui
avrebbe voluto poter dire con leggerezza che si stava sbagliando.
« Ti prego fammi trovare un
errore. Uno piccolino. »
Ricontrollò il responso partendo
dal primo inserimento del campione estratto dalla ferita di Minto, quasi venti
giorni prima.
Non stava sbagliando.
Si lasciò cadere contro lo
schienale e desiderò ardentemente di fondercisi contro, di svanire e non
apparire mai più.
« Che hai da fare quella faccia?
»
« Tu non hai una casa dove
andartene a dormire? »
Sando fu leggermente sorpreso del
tono aspro, ma l'espressione stanca e tesa del violetto risposero per lui.
« Insonnia. »
« Bugiardo. »
« Giro di ronda, idiota. »
« Ah sì? »
« Se tu non dormi… »
MoiMoi grugnì come a dire che non
era colpa sua se il suo lavoro era fargli fa cane da guardia; Sando sorvolò la
questione.
« Invece inizio a sospettare che
ne soffra tu. »
« Di che? »
« Di insonnia, cretina. »
Gli afferrò una guancia per dispetto,
il viso del violetto era teso e sciupato e le occhiaie che aveva sembravano due
sbavature di trucco mal lavato.
« Che succede? »
« Il nuovo isotopo non riesce a
disfare il legame chimico, le molecole polarizzate si legano troppo
all'emoglobina nel sangue e… »
« Traduci per gli imbecilli. »
« L'antidoto non funziona. –
sospirò pesante – La tossina che sta divorando Minto è troppo complessa, non
riesco ad individuare parte degli elementi di cui è composta e non trovo niente
per farla rigettare al suo organismo. »
Si massaggiò gli occhi brucianti:
« Reggerà ancora per poco. E io
ho finito le opzioni. »
« Tu? »
« Mi occorrerebbe più tempo. –
gemette piano – Ma Minto-chan non ne ha quasi più; ha resistito finora, però è sempre
più debole… Il suo organismo non reggerà per molto, bisogna trovare una
soluzione. »
« Calmati. »
Protestò l'altro e gli premette
con brusca gentilezza la mano sulla testa:
« Hai il cervello fuso. Devi
pensarci a mente fredda. »
« Temo di non avere tutto quel
tempo. »
Sando non gli rispose. Fissò lo
schermo pieno di grafici e numeri e il pulsante segnale
dell'elettrocardiogramma della mewbird che MoiMoi riceveva direttamente sul suo
computer.
« Ne ha di energie, in ogni caso,
la piccoletta. »
« È solo grazie al DNA modificato
– spiegò svogliato il violetto – i Red Data Animal inseriti nel loro codice genetico sono portati alla
preservazione, quindi il loro corpo… »
Sando lo sentì emettere uno
strano verso gutturale e zittirsi all'improvviso, sgranando gli occhioni
dorati.
« Beh, che c'è? – gli chiese un
poco in ansia – Ti si è fuso del tutto l'encefalo e ti sei bloccat-
»
« Ma certo! Fantastico Sando! »
Il verde non seppe rispondere e
lo vide saltellare come un folletto lungo la tastiera, sciorinando dati ad una
tale velocità da dargli la nausea guardandoli.
« Sei impazzita del tutto. »
Constatò rassegnato.
« È geniale! Una follia
probabilmente, ma…! Devo chiamare Ryou-chan! »
Mollò la tastiera e fece per
schizzare al piano superiore, voltandosi all'ultimo secondo con un sorriso da
un orecchio all'altro:
« Sei un genio! Ti amo! »
« C…?!? Non dire cretinate fraintendibili, brutta deficiente!! »
Ma l'altro era già scomparso su
per le scale con il dolce frastuono di una mandria di bisonti, incurante dell'infarto
causato al commilitone.
« Sì, se non mi vede morto questa
non è contenta! »
Ryou si definiva tutt'altro che
un tipo mattiniero, ma pensò gli sarebbe stato concesso di inalberarsi ad
essere sbattuto giù dal letto alle tre del mattino. L'elevato tasso di decibel
della voce di MoiMoi contribuì a farlo uscire rapidamente dalla fase rem, ma fu
la sua proposta a riportarlo del tutto nel mondo dei vivi.
« Sei impazzita, è un'idea… »
« Geniale! – ansimò senza fiato – Ma
solo tu ce la puoi fare. »
« È una follia. »
Ribadì sebbene nella sua testa
gli ingranaggi già ronzassero nella direzione indicata dal violetto; sospirò
pettinandosi la frangia scomposta con le mani e tentò di trovare una soluzione
senza possibili risvolti drammatici, e non ne trovò.
« Abbiamo un 60% che fili tutto liscio. »
« Non è una gran percentuale. »
« Meglio del 12% di tutte le altre mie proiezioni. – sospirò l'alieno
– Ryou-chan, ti prego. »
Il biondo tacque di nuovo. Abbandonò
il braccio con il telefono lungo il fianco e si appoggiò al muro, guardando
distratto la Tokyo sonnolenta; avvertì il leggero movimento alle sue spalle e
seppe subito dello sguardo di Zakuro piantato tra le sue scapole.
« Ryou-chan? »
« Sveglia Keiichiro e
raggiungilo. – bofonchiò avviandosi in bagno – Tra dieci minuti sono lì. »
***
Finì di allacciarsi la divisa con
la consapevolezza di non ricordare assolutamente nulla di quel che aveva
studiato. Non avrebbe saputo distinguere
un atomo da un protone.
« Calmati. È solo ansia. Solo.
Ansia. »
Inspirò ed espirò più volte, si
sistemò i codini con i nastrini regalati da MoiMoi e si diede due colpetti
sulle guance:
« Coraggio. »
« Ichigo!
Forza, forza. Piii! »
Lei accarezzò il robottino, che
si ridusse alle dimensioni minime e si attaccò al suo cellulare, e uscì di casa
di corsa. Fece appena duecento metri e sentì un'altra ondata di panico
prenderle lo stomaco.
Dai,
piantala. È solo un test di chimica.
Sapeva però di essersi impegnata
davvero molto per superarlo e l'idea di vedere gli sforzi vanificati era
peggiore delle conseguenze dirette. Prese il telefono e aprì la rubrica,
girandola da in cima a fondo per tre volte; alla fine scelse la voce e pigiò il
tasto di chiamata .
« Pronto, qui Shirogane. »
« … Lo so che sei tu, è il tuo
telefono. »
« … Momomiya…? »
« No, il Grillo Parlante. »
« È troppo presto per il sarcasmo. – le fece notare sbadigliando – Che vuoi? »
Lei borbottò qualcosa sulla
mancanza di buone maniere e poi rimase in silenzio.
« Beh, che succede? »
« … No, niente… »
« Ti sta crescendo il naso, Momomiya. »
« Guarda che so come mi chiamo. –
ribattè seccata – Piantala di ripeterlo! »
Ancora per un minuto sentirono
entrambi solo il respiro dell'altro.
« Oggi hai il test? »
« … Sì. »
« Sei diventata fifona. »
« Non sono fifona. – replicò con
meno veemenza – È solo che… »
Lo ascoltò attendere paziente una
replica, ma le ci volle un po':
« Ho troppe cose a cui pensare.
Questo test mi sembra solo una stupidaggine adesso. »
« Fa parte della scuola. – sottolineò calmo – Della tua vita. »
« Al momento, la scuola è solo
un'appendice molesta della mia vita. »
Non lo sentì rispondere e si
pentì un poco delle proprie parole. Ryou prese un lungo respiro:
« Lo so. »
« Dovrei darle la priorità. »
« Stanno succedendo un po' troppe cose, non credo che tu possa pretendere
tanto da te stessa. »
« Voleva essere un insulto? »
« Era una constatazione. »
Il suo tono era piatto come
sempre, ma tranquillizzante, e Ichigo evitò di inveirgli contro e lo lasciò finire:
« Quando sarà tutto finito sarà quella, la tua vita. – la incoraggiò
– Non puoi lasciare andare tutto solo
perché adesso c'è un'inaudita confusione. »
« Il rischio di un collasso
universale lo definisci confusione? »
Rise e sentì che anche lui si
concedeva un sospiro divertito.
« Un gran casino? »
« Immenso, direi. »
« Tutto tornerà come dovrebbe essere, e tu avrai la tua vita. Una comune
vita di una persona normale. »
« Shirogane, mi spuntano delle
orecchie da gatto e una coda. »
« Una vita normale con risparmio di accessori sul cosplay. »
Lei rise ancora e le parve di
essere più leggera.
« Ho la testa vuota. »
« Quando mai è piena, Momomiya? »
« Ma sai che ti meriteresti un
bel vaf-! »
« Sei preparata. – insisté ridendo – Andrà bene. Concentrati e non pensarci. »
Lei sbuffò cercando di non
fomentare oltre la discussione.
« Sappi che mi dovrai un enorme favore, se fila liscio. »
« Filerà di sicuro – protestò – e
non ti dovrò un bel niente, con quello che ho dovuto sopportare e tutti i miei
pomeriggi rovinati. »
Ryou rise lievemente. Le sembrò
che titubasse un istante senza parlare, quasi dovesse dirle qualcosa, poi
cambiò idea:
« Vedi di non fare tardi. »
« Sei sempre gentile! Antipatico
borioso! »
Lui aveva già chiuso la
comunicazione, e lei si ritrovò ad inveire ad uno schermo. Sbuffò e stava per
mettere via il telefono, quando si ritrovò ad ammirare la schermata messaggi;
digitò senza pensare, lesse quello che aveva scritto e lo cancellò
immediatamente. Se il chiamare senza motivo l'americano non era stato un altro
sintomo del suo totale crollo psichico, quelle poche righe sarebbero state la
prova definitiva.
Se prenderò un bel voto…
sarà ancora valido l'invito fuori
per sfoggiare il mio vestito?
« Sei sicura che vada bene così?
»
La morettina annuì stancamente.
« Posso richiamarla, se vuoi
parlarle. »
« Va bene così. – insisté con
poca energia – Farla preoccupare ora sarebbe inutile. »
Lui annuì inespressivo. Minto si
lasciò andare meglio sui cuscini, esausta: la febbre era di nuovo salita nella
notte e ormai il suo corpo non aveva più forze; la soluzione di Ryou e MoiMoi
la terrorizzava, ma preferiva rischiare che lasciarsi morire come un fiore
senz'acqua.
« Dico a MoiMoi-san che iniziamo.
»
Lei fece un lieve cenno di sì,
sentendo lo stomaco sprofondare.
In corridoio Lasa discuteva di
alcuni dettagli con il violetto, e dalla sua faccia il piano dei due ragazzi
non la convinceva per nulla.
« Non si potrebbe continuare con
la terapia? »
« Lasa-san, è evidente che non
funziona. – insisté lui – Non abbiamo molti altri tentativi a disposizione. »
La donna si strinse le braccia al
petto, angosciata, ma annuì e finì di dare istruzioni agli infermieri perché
seguissero le direttive di MoiMoi e di Ryou. Eyner, seduto su una panca lì
vicino, studiò in silenzio l'aria tesa come un filo di metallo e trovò
un'ottima idea non aver chiamato nessuna delle ragazze: da dietro il vetro si
vedeva con chiarezza il volto terreo di Minto, la loro agitazione non l'avrebbe
aiutata.
Si voltò udendo un tacchettare
leggero; sorrise lievemente, immaginando di non doversi più tanto sorprendere
che sapesse sempre tutto di tutti, e andò incontro a Zakuro, la mano ancora con
il pollice sul pulsante di teletrasporto del telefono.
« Ehi… »
« Ciao. »
« Credevo che Toyu lo avesse
distrutto. »
Disse distrattamente indicando il
cellulare.
« MoiMoi-san mi ha dato in
prestito il suo – spiegò lei – finché Kiddan-san non me lo ricostruisce. Per
ogni evenienza. »
La mewwolf fece un altro passo
così da sbirciare con discrezione nella stanza di Minto. Eyner le andò più
vicino, posandole una mano sul braccio.
« Ho sentito i loro discorsi
stamattina. – disse piano la mora – Quando sono andata al Cafè, ho trovato solo
Keiichiro. Ha detto che erano qui. »
Lui annuì dolcemente:
« Te la senti di entrare? »
« Sì. »
Un moto d'ansia le velava gli
occhi chiari, ed Eyner le cinse appena la vita con il braccio con fare
rassicurante; lei rispose con un lieve sorriso.
La porta della stanza si aprì e
Ryou si affacciò per chiamare MoiMoi; scorse Zakuro con la coda dell'occhio e
per la prima volta da quando lo conosceva – doveva ammetterlo, con una vena di
divertita soddisfazione – la ragazza lo vide sgranare gli occhi sconvolto.
« Minto-chan è pronta? »
« Uhu…
»
Il biondo sollevò il mento in
direzione degli altri due con aria da Inquisizione Spagnola:
« E quello che vorrebbe dire? »
« Credo non sia il momento di
parlarne – cercò di fermarlo subito MoiMoi con un sorriso tirato – abbiamo da
fare. »
Lui annuì torvo, continuando a
scrutare il braccio dell'alieno stretto attorno a Zakuro; lei non si curò
dell'occhiataccia che le venne scoccata ed entrò con l'americano e il violetto,
facendo un cenno ad Eyner che si massaggiò il collo con un sospiro.
« Ehi, che è questa folla? »
Il bruno ebbe un piccolo sobbalzo
sentendo la voce di Kisshu, e ringraziò quei due secondi di ritardo che gli
avevano concesso qualche altro giorno senza battutine allusive o prese in giro.
« Sono qui per Minto. »
La baldanza del verde scemò via
all'istante intanto che si voltava verso la stanza:
« Che vorresti dire? »
Eyner lo vide accigliarsi,
passando nervosamente lo sguardo sulla morettina che veniva stesa sul letto e
disposta come se dovessero operarla, alla microscopica e disarmonica equipe di
scienziati. Le lievi proteste di Eyner su quanto non fosse il caso di entrare
gli scivolarono addosso mentre spalancò la porta.
« Che stai facendo, Shirogane? »
« Sto tentando di salvare una
persona. – rispose senza voltarsi, evidentemente seccato dalla sua presenza –
Se Eyner era fuori, c'era un motivo. »
Il verde replicò con un basso
ringhio roco.
« Cos'è quella roba? »
« La stessa cosa che ha
bilanciato la modifica genetica di Ryou-chan. Più o meno. »
Ryou prese in mano una grossa
siringa piena di un liquido bluastro. Minto nel vederla serrò la mascella e la
mano su quella di Zakuro, stesa accanto alla sua sul lenzuolo candido.
« DNA di vini ultramarina concentrato con una base di tiosolfato. La sostanza
velenosa ha molti elementi in comune con il cianuro, dovrebbe essere
sufficiente per far precipitare la tossina. »
« Sì, hai usato cinquanta parole
per dire che è un antidoto ma ci ero arrivato. – sbuffò – È la parola DNA che
mi fa rizzare i peli sul collo. »
Ryou non lo degnò di attenzione,
finendo di preparare l'iniezione, e MoiMoi voltò la testa colpevole.
« Ti stai facendo sparare una
fiala della stessa porcheria che vi ha rese delle mutanti direttamente in vena,
cornacchietta?! »
« Non sono affaracci tuoi,
Kisshu. »
« Poi dite sempre che sono io
l'incosciente! »
« Il DNA dei Red
Data Animal le rende più forti dei normali esseri
umani. – cercò di spiegare velocemente MoiMoi – Intensificare l'influenza del
lorichetto sul suo organismo potrebbe aiutarla a rigettare il veleno. »
« Iniziano ad esserci troppo
condizionali per i miei gusti. – mormorò Minto con l'affanno per la febbre in
aumento – Potreste piantarla? »
« Vi è partito a tutti il
cervello. »
« Kisshu, non c'è più molto da- »
« Ora basta! »
La voce di Ryou tuonò
nell'ambiente angusto. Guardò i presenti stringendo la siringa nella mano per
non farla tremare; gli si leggeva negli occhi che il più piccolo fallimento,
una volta spinto lo stantuffo, non se lo sarebbe mai perdonato.
« Uscite. Per favore. »
Kisshu insisté a guardarlo
storto, ma MoiMoi lo spinse via con garbo fino alla porta; fece cenno anche
agli infermieri, e loro e Lasa e se ne uscirono in silenzio.
« Tu resta, onee-sama. »
Zakuro annuì e strinse le dita
della mewbird anche con l'altra mano. Un brividino risalì lungo la schiena di
Minto mentre le inumidivano l'incavo del braccio, poi fu la volta del metallo
che le forò la pelle. Trattenne istintivamente il respiro: fu in grado di
avvertire il liquido fresco risalirle per le vene, su fino al collo, e poi
scendere al cuore dove – ne fu certa – il muscolo saltò un battito appena la
sostanza lo raggiunse.
Gli attimi successivi furono
troppo confusi. La prima cosa che percepì fu una scarica di dolore freddo
irradiarsi dal petto fino alla punta delle dita, poi il cuore accelerò con una
tale violenza da farle girare la testa; avvertì l'agitazione degli altri, ma la
sua fronte scottava intorpidendole i senti, finché di colpo fu tutto nero.
Le voci degli altri erano
scomparse. Il bianco della stanza, il caldo, tutto svanito.
Dove
sono?
La risposta la spaventò, quando
udì una sorta di cinguettio.
Un
uccello?
Si accorse di vedere in
lontananza una piccola massa scura. Le si avvicinò e riconobbe un piccolo
uccellino blu con il becco nero.
Ah,
sei tu.
Il lorichetto cinguettò nella sua
direzione, svolazzò fin nelle sue mani e lasciò che Minto se lo portasse al
petto. L'uccellino sfregò la testolina contro di lei, all'altezza del cuore, e
scomparve in un fiotto di luce, lasciando sulla ragazza una magnifica
sensazione di tepore già provata tanto, tanto tempo prima.
Minto si sentì improvvisamente
meglio: il corpo le bruciava ancora, ma la temperatura andava abbassandosi e
avvertì le membra irrigidite distendersi mentre il dolore scompariva. Intontita
iniziò pian piano a distinguere i visi pallidi di Zakuro e degli altri, ad
udire le loro voci sempre più chiaramente; le parve di vedere molta altra gente
affollarsi attorno al suo letto, forse Kisshu e gli altri che erano usciti. Ci
volle qualche altro istante finché il volto preoccupato e attonito di MoiMoi
non prese definitiva forma di fronte a lei.
« Uh oh. »
La quiete beata che aveva colto
la morettina scomparve come fumo al vento:
« Che vuol dire "uh
oh"? »
L'alieno non rispose e fece uno
strano sorriso imbarazzato. Minto si allarmò indiscutibilmente e si rese conto
che la prospettiva tra sé e il ragazzo era strana, come se lei si trovasse più
in basso. Nessuno rispose alla sua domanda e chiese con più foga:
« Che vuol dire "uh
oh"?! »
Ancora nessuna risposta, solo
MoiMoi che mandò un basso verso nasale e proseguì a sorridere sghembo. Minto, che non sentiva
più alcun dolore, posò le mani sul lettino e fece per tirarsi su, ma si fermò
rendendosi conto che perfino il materasso appariva più grosso: si guardò meglio
attorno e sbiancò alzandosi in piedi sulla brandina. Zakuro, accanto a lei, non
aveva parole.
« Temo… Ci sia stato un… Piccolo effetto collaterale con
l'antidoto. »
La mewbird guardò MoiMoi allibita
e strillò:
« Piccolo?!? »
« Quasi quanto te. »
Minto squadrò Kisshu con odio e
tentò di colpirlo con un pugno, finendo solo goffamente a sedere sul lettino e
lasciandosi sfuggire un singhiozzo:
« Sei davvero uno…! »
Cacciò indietro la lacrima che
faceva capolino dall'occhio destro e lo guardò rabbiosa e ferita cercando di
mantenere il minimo contegno da non offenderlo crudelmente. Eyner diede
all'amico una gomitata nelle reni:
« Hai il tatto di una valanga! »
« Volevo solo sdrammatizzare. »
Fece sincero, ma le sue deboli
scuse non scalfirono la mewbird che si rifiutò finanche di guardarlo.
« Oh Minto-chan! »
MoiMoi guardò la morettina
affranto:
« Mi dispiace così tanto…! »
Ryou non fu in grado di
spiccicare una sillaba, l'espressione da colpevole passata all'attonito e, con
un pochino di vergogna, al divertito. La mewbird non seppe come replicare e
guardò il suo riflesso sulla finestra finta, che non stava più diffondendo
alcuna immagine.
Nulla nel suo aspetto avrebbe
denotato qualcosa di strano, senonché da non trasformata dalle scapole e dal
fondo della schiena sbucavano un paio di alucce setose e una piumata coda blu.
Senza contare che era alta
quindici centimetri.
(*)
parola della lingua tagalog, parlata
nelle Filippine, che descrive quella sensazione universale di “farfalle nello
stomaco che provi quando sei innamorato”
(**) in
lituano mélynas
significa blu (eheheh
ho aspettato a dirvelo, sai mai che si intuisse troppo ;)) oggi si va di lingue
straniere.
(***) vi ricordo che la nostra lupetta parla 5
lingue :P spagnolo compreso. Il libro esiste in italiano, è L'ombra del vento di Carlos Ruiz Zafon, un libro che adoro e
consiglio a tutti :D (come ogni libro di quest'uomo, sono bellissimi ♥ )
(****) « Perché non bussa? … Secondo te sa bussare?
»
XD no
ignoratemi è Olaf e la mia stupideira
(*****) aaargh non se ne
può +!!! Ok, i baozi sono dei panozzi cinesi, sofficiosi, morbidosi, caldi e
ripieni di ogni cosa ti venga in mente, in genere carne e verdure, e sono una
goduria astronomica . In Giappone si trovano nei combini direttamente su grigliette alla cassa, uno può vivere solo scofagnandosi di quelli (parlo per esperienza).
… Ok, ora ho fame e sono triste T-T datemi un aereo!
~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~*~
Amo la mia malvagità
*ghigno * questa non ve l'aspettavate, dai che sono stata brava! Giusto perché
il gruppo non era stato sufficientemente decimato x°°D!
Ora?
Tutti: ridiamo…
Bravi, le esatte
parole ^w^!
Tutti: -.-""
Ahahha lo so che qualcuno mi
dirà "ma come! Altri personaggi!" scusate, ma io sono della filosofia
del romanzo: se sei in un posto, è quasi impossibile tu sia da solo. State
tranquilli :P sono personaggi di sfondo
Kilig: -.-***…
Merurk: non sei molto gentile ^^""…
Insomma, però ci vogliono!
E non voglio sentire proteste (tanto ve li cuccate lo stesso :P)
Finalmente ho un po'
di schizzi e doodle da mostrarvi! Vi va? Siccome
almeno per questo sono buona vi metto il link uno per uno, dai ;)
Bacioh cacioh ♥ (che voglia di far correre la storia solo per disegnarne altri,
cacchio non ho romanticismo da nessuna parte xDD)!
Doodle a caso https://www.facebook.com/dreammarti/photos/a.877675855585978.1073741840.369088309778071/964778266875736/?type=1&theater
https://www.facebook.com/dreammarti/photos/pb.369088309778071.-2207520000.1436913504./966575463362683/?type=1&theater
Doodle a caso 2 – scene sparse (uahahahaaaa ♥ ♥ ♥ !!)
https://www.facebook.com/dreammarti/photos/pb.369088309778071.-2207520000.1436913504./964796120207284/?type=1&theater
Chara, Lasa e Iader (adoro troppo disegnarli) https://www.facebook.com/dreammarti/photos/pb.369088309778071.-2207520000.1436913677./966535090033387/?type=3&theater
Se siete su faccialibro, lasciate un commentino :3 questi sono
allenamento per i manga :D. e vi ricordo che ogni martedì mi rimpilzerò la pagina di ste scemate, rimanete sintonizzati ;)!
Un bacio gigantesco a
chi ha lasciato il suo commento! Danya, Ally_Ravenshade, modo,
Rin
Hikari, Hypnotic Poison, Jade Tisdale,
Capellibiondiocchineri
Ci si rivede presto :*
Mata ne~♥ !
Ria