Serie TV > Teen Wolf
Segui la storia  |       
Autore: Tomi Dark angel    15/07/2015    8 recensioni
STEREK.
Tratto dalla storia: "-Pronto?-
-Scott…?-
-Sceriffo, che succede? Mi sembra un po’ tardi per chiamare…-
-La... la camera di Stiles è… un bagno di sangue. E lui non… non c’è più. Mio figlio, Scott. Mio figlio…-"
Stiles Stilinski sparisce per tre anni. Per tre anni tutti lo credono morto, per tre anni di lui non si hanno notizie. Quando però riappare, non è più lo stesso. Di lui non resta che una creatura nuova, un incubo talmente orrendo che anche Beacon Hills teme di accogliere.
Genere: Mistero, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Hale, Stiles Stilinski, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
“La speranza è come una strada nei campi:
Non c’è mai stata una strada,
Ma quando molte persone vi camminano,
Essa prende forma.”
 
Tessere vite è un compito difficile per la grande Madre: essa si punge le dita, lavora fino ad arrossare i polpastrelli, ignora il dolore ai polsi e agli occhi. Fa male, ma spesso da tale fatica, sanno sbocciare vere e proprie opere d’arte. Intrighi lucenti e oscuri, tristi e gloriosi, come tela di ragno diligentemente intessuta, un pezzo alla volta, giorno dopo giorno.
Da parte sua, Dumah ha sempre pensato che la vita fosse una fregatura. Alcuni hanno tutto, mentre ad altri spetta il semplice e banale niente. Non vi è una bilancia che eguagli il tutto, non esiste un giudice imparziale che renda giustizia a chi la merita. A lei per esempio, non furono concessi neanche i ricordi. All’inizio, almeno.
Incontrare Stiles Stilinski, quel piccolo ragazzino dall’aria fragile, è stata una vera rivoluzione per lei. Tutto è cambiato in un solo istante e da subito la mente ha cominciato a risvegliarsi, rimettendo insieme pezzi di ricordi che non avrebbe mai creduto di possedere. Ha rivisto la sua vita, ha vissuto attraverso i suoi deboli occhi umani e ha ricordato voci, volti, relazioni.
Già, relazioni. Inizia sempre tutto da lì, vero? Ogni cosa, ogni gesto, ogni scelta. L’incappucciata, questo lo sapeva.
-Che stai facendo?-
Dumah si volta appena, distogliendo lo sguardo dalla placidità del bosco che attornia i vecchi rimasugli di casa Hale. Non sa perché ha scelto di andare lì per sedersi sul tetto a fissare il vuoto per ore, fin quasi all’arrivo dell’alba. Sa solo che la testa vuole scoppiare al solo pensiero che del trio iniziale partito per quell’inutile missione, è rimasta solo lei. Per non dimenticarsene, stringe tra le dita il Cubo di Rubik appartenuto ad Alastor. Attorno al bicipite destro, Dumah ha scelto di le bende sporche di sangue usate da Stiles per fasciarsi la mano che Derek gli graffiò all’inizio di tutta quella storia. Due oggetti insignificanti, due ricordi che nel loro piccolo, sanno ricordarle che lei è nient’altro che una sopravvissuta, colpevole solo di essere ancora in grado di respirare.
Peter si avvicina, camminando leggero sul fragile tetto bruciacchiato della casa. La luna è ormai sparita perché la giornata è prossima all’alba, e forse è proprio per questo, quando la notte è più scura e il mondo riposa beato che Dumah riesce a vederlo bene, coi suoi morbidi capelli scuri e gli occhi brillanti come zaffiri. Indossa una semplice maglietta e dei jeans, niente di sofisticato. Nonostante tutto però, sfoggia comunque un’aristocratica bellezza alla quale Dumah sente di non essere immune.
-Vuoi una risposta sincera o sei in grado di dedurlo da solo col tuo minuscolo cervellino, dolcezza?-
Peter siede al suo fianco.
-No, vorrei che me lo dicessi tu perché hai bisogno di parlarne.-
-Non ti facevo così sentimentale.-
-Non lo sono. Mi reputo un galantuomo.-
-Non esageriamo.-
Peter sorride sornione e continua a fissarla, ma Dumah ignora il suo sguardo. Al contrario, fissa l’orizzonte con interesse, gli occhi socchiusi e i pugni stretti.
-Vorrei che tutto questo non fosse accaduto.- sussurra. –Vorrei che Alastor fosse vivo e che Stiles fosse qui. Loro avrebbero guidato il branco meglio di quanto potremmo fare io e Valefar. Siamo demoni, ma… non abbiamo la forza di Alastor o l’intelletto di Stiles. Se anche riuscissimo a entrare all’Inferno, moriremmo tutti nell’arco di pochi minuti.-
 Peter abbassa gli occhi sulle mani di Dumah, che col loro tremito convulso rappresentano l’unico reale segno di nervosismo in lei. La giovane demone non ha mai perso la testa, non ha mai esitato davanti a niente. Fiera e ferina come una pantera, ha sempre scelto di andare avanti e combattere, senza stancarsi mai. In fondo, un po’ somiglia allo stesso Peter. Adesso però, qualcosa non va e Dumah lentamente si rattrappisce, come se un peso troppo grosso da sopportare la stesse schiacciando. Non si tratta del solo Inferno, Peter lo percepisce. C’è altro, ma sa che se solo lo chiedesse, lei non oserebbe rispondergli.
-Non sottovalutarmi. Ho affrontato già l’Inferno e ne sono uscito vivo, ma ustionato.-
Dumah sorride appena. –Quello non era l’Inferno o saresti impazzito.-
Peter si alza in piedi. –Non ho mai pensato di essere normale. La follia è soggettiva, così come soggettive sono le reazioni che essa provoca. Non mi pento della scia di cadaveri che mi porto dietro, ma a volte penso di aver conosciuto più libertà allora, quando il mio lupo interiore la faceva da padrone e la morte per me aveva un fascino ammaliante che ricercavo continuamente negli occhi delle mie vittime.-
Peter sorride pericoloso, negli occhi il bagliore selvaggio di quell’animale che non ha mai davvero smesso di essere. Dumah ne è affascinata perché spesso avere a che fare con lui è come interagire con due diverse entità malamente intrecciate e prossime allo squilibrio. Affascinante e pericoloso, quasi quanto un demone.
Peter Hale è un malvagio, ma sa essere buono secondo i suoi standard e le sue regole. Segue una giustizia tutta sua che spesso azzoppa il prossimo, ma che può apparire anche in grado di aiutarlo per davvero.
-Lo faresti davvero? Affrontare l’Inferno per un ragazzino?-
-Stiles ci serve. Conosco la situazione e odio dover sottostare agli ordini di Dio e Lucifero. Se quel moccioso è l’unico in grado di tenergli testa, allora lo tirerò fuori di lì e lo costringerò a combattere.-
Dumah continua a fissare davanti a sé, lo sguardo offuscato da ricordi che non avrebbe mai pensato potessero appartenerle. Affila lo sguardo, sospira. Poi, alla fine, prende la sua decisione.
L’incappucciata aveva ragione: c’è una strada, ma è pericolosa. Qualcuno la conosce, qualcuno che per aprire quella stessa via ha scelto di appellarsi ai ricordi, ai segreti e a un amore sconfinato che prima non pensava di conoscere. Ogni cosa è iniziata da lì, dopotutto, e ogni cosa lì finirà.
-Chiama gli altri.- sussurra debolmente Dumah. –Abbiamo una pista da seguire.-
 
Se Scott non lo avesse staccato a forza dalle sue innumerevoli copie e traduzioni della Divina Commedia, Derek non avrebbe neanche alzato gli occhi da quelle pagine. Ci sta lavorando da giorni, rifiutandosi di dormire o mangiare. Ogni bisogno fisico è passato in secondo piano dal momento in cui una strana figura incappucciata l’ha convinto che c’è speranza, che Stiles può ancora essere salvato. Lui vuole crederci, ma se non trovano una pista concreta da seguire, Stiles sarà sempre troppo lontano per essere raggiunto.
Alighieri”, aveva detto Valefar quando il branco ha iniziato a domandarsi dove fosse possibile trovare dati attendibili sull’Inferno. “Dante Alighieri è stato l’unico e solo umano al quale Dio e Satana concessero di attraversare Inferno, Purgatorio e Paradiso. Non posso accertarvi che i piani alti somiglino alle sue descrizioni, ma l’Inferno… quello sì”.
E da allora Derek non fa che scavare tra pagine e versi, parole e righi poetici, senza tuttavia trovare nulla di concreto. Tutto ciò che sa adesso è che Stiles è bloccato in un luogo dove la tortura carnale è forse il minore dei danni. Se l’un percento delle descrizioni presenti in quei versi somiglia anche solo lontanamente all’Inferno vero, allora… Dio. Derek non vuole pensarci. Non può pensarci, o impazzirebbe.
Alla fine però, è giunto Scott a prelevarlo dalla sua condizione di studio frenetico. Gli ha strappato il libro dalle mani, lo sguardo euforico e sulle labbra l’unica notizia che Derek ha desiderato udire fin dall’inizio: finalmente hanno una pista.
È per questo che adesso sono tutti riuniti lì nel loft, raccolti intorno a una Dumah nervosa come non mai, i cui occhi guardano ovunque, tranne verso i volti dei presenti. Sulla sua spalla, Diaval oscilla nervosamente la coda.
-Allora?- scatta Isaac, innervosito dall’attesa. –Come entriamo all’Inferno?-
Dumah si morde le labbra fino a farle sanguinare, gli occhi che adesso fissano un punto nel vuoto.
-Dumah.- chiama Valefar, e allora lei sposta lo sguardo verso la finestra.
-C’è una strada per entrare all’Inferno… ci ho pensato a lungo e… forse è fattibile. Se Lucifero non ci ammazza prima e il mio amico dall’altra parte ci aiuta… sì, possiamo riuscirci. Ma dovremmo essere in pochi o ci scopriranno.-
-Tu conoscevi la strada sin dall’inizio?!- esplode Isaac, facendo un passo avanti. Scott gli afferra un braccio, ma anche i suoi occhi adesso fissano Dumah con malcelato rancore.
Dumah sorride sorniona e si lecca le labbra. –Non ci avevo pensato, dolcezza. O meglio, non avevo considerato la cosa perché troppo pericolosa. Tuttavia, se l’incappucciata ha parlato di un’entrata segreta che collega l’Inferno alla Terra… allora deve essere quella.-
-Aspetta un momento.- interviene Lydia. –Non stiamo parlando del varco che siete venuti a cercare sulla Terra, vero?-
Dumah la fissa, la lingua ancora oscenamente stretta tra i denti. Poi, a sorpresa, sorride. -È bello sapere che le donne restano sempre e comunque più intelligenti degli uomini.-
 Una bolla di silenzio cade sul loft. Tutti fissano Dumah a bocca aperta, giudicano la sua postura improvvisamente rilassata, il suo sguardo tagliente, il sorriso pericoloso. E pensano infine che tutta quella situazione sia una grandissima presa in giro.
-Dumah, sii seria.- sbotta Valefar alla fine. –Se uno di noi sapesse dove trovare il varco, non saremmo nemmeno qui. Perché mai avresti dovuto nasconderci la verità?-
-Perché nessuno me l’ha mai chiesta, tesoro. E poi, ti sconsiglierei di domandare a un demone perché mente. È come chiedere a un morto dove ha sbagliato quando s’è fatto massacrare dal serial killer.-
Valefar spalanca la bocca, e poco dopo Derek capisce perché: il battito cardiaco di Dumah è sereno, la sua voce inalterata. Non sta mentendo.
-Non puoi essere seria.- sussurra Valefar.
-No? Cosa accadrebbe se lo fossi?-
-Ti tirerei il collo, ecco cosa! Settimane intere di ricerca e alla fine… alla fine…- La sua voce si spegne in un sussurro roco. Valefar la fissa come se la vedesse per la prima volta, le labbra schiuse. –Alla fine tu non volevi tornare all’Inferno…-
-Lei cosa?!- esclama Scott, stupefatto. Palleggia gli occhi da Dumah a Valefar, ma al momento i due sono impegnati in una silenziosa conversazione di sguardi, azzurro nel verde, dove la vincitrice alla fine non è che Dumah.
Valefar sbuffa. –Almeno puoi dirmi chi dei tanti bastardi al servizio di Satana dovrebbe unirsi alla nostra causa?-
Dumah sorride di nuovo e inclina la testa. –Ti toccherà fidarti, Valefar. Bizzarro, no?-
Valefar contrae la mascella e stringe i pugni. –Scordatelo.-
-Allora non verrai.-
-Questo non devi deciderlo tu!-
-Se la mia strada non ti piace, cercatene un’altra, e buona fortuna.-
Valefar assottiglia lo sguardo, pericoloso. –Perché dovremmo fidarci di te? Per qualche motivo a noi ignoto conosci l’ubicazione del varco e come se non bastasse hai anche un aiutante dall’altra parte. Oltre a fidarci di te, dovremmo farlo anche di un estraneo.-
Dumah sorride ancora, ma non risponde. Si appoggia al muro e incrocia le braccia, gli occhi luccicanti e l’aria spavalda. Austera e bellissima come una pantera, fiera e inamovibile come una montagna. Dumah è questo, dopotutto.
-A voi la scelta. Alcuni andranno, altri resteranno qui a sorvegliare il varco per impedire che altre anime escano per fare danni.-
-Tu non hai il diritto di…-
-No, ha ragione.- interviene Peter, meditabondo. –Se andassimo tutti insieme, ci scoverebbero nell’arco di cinque minuti. Dubito che saremmo in grado di combattere tutti quei demoni in casa loro, il che mi porta a pensare che saremo costretti a nasconderci, e un gran numero di persone è soltanto un problema in questo caso.-
Valefar sbuffa, ma non replica. Sa che Dumah ha ragione, sa che lui stesso non permetterebbe mai a Lydia ed Allison di scendere all’Inferno. Sono ragazze forti, ma restano fisicamente fragili e troppo deboli se paragonate a dei demoni.
-Aspettate un attimo… chi dovrebbe scendere lì sotto, allora?- si innervosisce Allison. –A parte i demoni e Derek, intendo.-
Scott sospira. –Non posso lasciarlo lì, Allison.-
-E io posso essere abbastanza utile, se si passa a uno scontro frontale.- interviene Peter, sventolando una mano. Derek inarca un sopracciglio, fissandolo.
-Che c’è? Sono un buon samaritano.-
-Non mi fido di te e ti porterei all’Inferno solo per lasciarti lì.-
Peter sorride. –Avrai un’ottima occasione per farlo, allora. Mi conosci, nipote: sono uno studioso di faccende interessanti e, per quanto mi riguarda, l’Inferno mi interessa eccome, visto che quando morirò probabilmente sarà casa mia.-
Derek non replica perché sa che Peter ha ragione. In quale girone finirebbe? In quello degli assassini? Nelle Malebolge? Nel girone dei traditori? Se Peter ha scelto di venire, non possono fermarlo o perderebbero tempo.
È andata. Saranno in cinque. Cinque creature, cinque predestinati ad affrontare l’Inferno così come fece tempo addietro Dante Alighieri.
È allora che Valefar sgancia la bomba: -Direi che il pacchetto è completo.-
-COSA?!- esplode Isaac, stringendo i pugni. –Volete andarci senza di noi? Non se ne parla!-
-Ha ragione.- lo spalleggia Allison. –Avrete bisogno del mio arco e…-
-No, hanno ragione.-
La voce di Lydia sopprime seduta stante la discussione. Quando tutti si voltano a guardarla, lei ha lo sguardo deciso e le labbra strette, ma tremanti. Fissa soltanto Valefar, come se stesse parlando unicamente con lui. Occhi negli occhi, verde e azzurro ancora una volta. A dispetto delle occhiate che si scambiano Valefar e Dumah, Lydia col demone non combatte. Abbraccia con lo sguardo, lascia che ogni cosa scorra così come dovrebbe andare.
-Io ed Allison siamo fisicamente umane e per quanto intelligenti o ben addestrate, rimaniamo comunque vulnerabili. Non guariamo come i licantropi e non abbiamo la forza dei demoni. Isaac non è un Alpha ed è il meno esperto nella cerchia dei licantropi.-
-Ehi!-
Lydia lo ignora e abbassa gli occhi, cercando invano di nascondere le lacrime di rabbia che affiorano. Odia sentirsi inutile e impotente, odia sentirsi così… debole. Fisicamente ed emotivamente. Lei vuole essere molto più di questo. Lei è molto più di questo.
-Ehi.- sussurra una voce, accompagnata dal tocco gentile di due mani troppo calde ma lisce e bellissime che improvvisamente si posano sulle sue guance e la costringono a sollevare gli occhi. Le iridi di Valefar adesso sono di un blu acceso, dalla pupilla verticale. Il sottile strato di matita intorno agli occhi evidenzia la lucentezza di quel colore troppo vicino, che quasi abbaglia Lydia.
Il demone sorride, accarezzando le guance della banshee coi pollici, un tocco gentile d’angelo che di demoniaco ha ben poco. –Andrà bene. Andremo a riprendere quella testa vuota e lo rispediremo a casa prendendo a calci quel gran bel culo che si ritrova. Ci vorrà poco, vedrai.-
Continuando a sorridere e a stringere il viso di Lydia tra le mani, si rivolge a Isaac e Allison: -Io e Dumah siamo demoni. Una cosa quindi, sappiamo farla bene: sopravvivere all’Inferno. Quel posto è casa nostra. E i nostri futuri accompagnatori sono troppo carini per essere ammazzati o lasciati lì sotto. Non si fa, non si sprecano così tanti bei visi.-
Valefar ammicca e allora almeno un pochino, anche Allison si calma. La cacciatrice  si lascia andare a un debole sorriso, ma Isaac non demorde. Di scatto volge il capo verso Scott, cercando invano il suo sguardo, il suo appoggio.
-Non puoi andare laggiù, Scott. Ti farai ammazzare!- urla, ma Scott non risponde. Giudiziosamente mantiene il silenzio, giudiziosamente lascia che Isaac si sfoghi e lo fissi con fare accusatorio.
Non vuole che Isaac scenda all’Inferno. Non vuole immaginarlo lì sotto, tra le fiamme e il ghiaccio, il sangue e le ossa spezzate. Non sa perché, ma non riesce a sopportare nemmeno il pensiero che Isaac possa trovarsi alla mercé di demoni furiosi pronti a farlo a pezzi.
-Non fraintendere la situazione, Isaac.- interviene Derek a sorpresa. –Tu servi qui perché Allison e Lydia da sole non riuscirebbero ad abbattere più di qualche spirito. Nonostante l’addestramento, abbiamo appurato che i fantasmi sono molto più pericolosi di quanto avessimo immaginato, il che ci lascia pensare che avremo bisogno anche di un licantropo utile nello scontro diretto.-
Derek avanza, gli appoggia una mano sulla spalla. –Proteggile, Isaac. In questo, sei bravo più di me, di Peter o di qualsiasi demone.-
Ma Isaac scuote lentamente il capo, un sorriso triste sulle labbra e gli occhi socchiusi di anzianità improvvisa che lo schiaccia, lo dilania, si porta via quella parte di lui che faticosamente aveva ritrovato il sorriso.
-Mi stai chiedendo di accompagnarvi al patibolo e abbandonarvi al cospetto di una ghigliottina, Derek. Non posso farlo.- sussurra prima di scrollarsi di dosso la mano del licantropo e oltrepassarlo con una spallata. Esce dal loft di corsa, silenzioso come un’ombra, ferito come moribondo in procinto di spirare.
-Allora è deciso.- sorride Dumah, del tutto insensibile al comportamento di Isaac. –Avete due ore per prepararvi.-
Esce dalla stanza, silenziosa come un gatto che ancheggia in maniera esagerata ma ugualmente accattivante. Il branco si scioglie, ognuno abbandona il loft e soltanto Derek, Peter e Scott restano per organizzare un piano e il viaggio che li aspetta. Il giovane Alpha però, sente una stretta soffocargli l’animo al pensiero che Isaac lo ha abbandonato.
 
Valefar passeggia tra gli alberi, le mani intrecciate dietro la schiena e la coda azzurrina che oscilla dolcemente alle sue spalle. Sul piatto metallico del triangolo affilato si riflette come uno specchio oscuro l’intero bosco coi suoi cespugli, i suoi fiori e i suoi alberi. Non ha bisogno di prepararsi psicologicamente, né di organizzare un set di armi che gli permetta di sopravvivere all’Inferno. Non serve: quella è casa sua. E, dopotutto, per lui non è così importante sopravvivere. Vuole liberare Stiles e sdebitarsi almeno in parte per i ricordi che gli ha restituito inconsapevolmente. Valefar gli è debitore e lo sarà per sempre.
Quando uno scricchiolio di passi raggiunge le sue orecchie, Valefar sorride e senza voltarsi allunga la coda per avvolgerla intorno a un ramo basso e sollevarlo.
-Non dovresti stare fuori al freddo, cherì.-
La voce di Lydia sopraggiunge acida: -Non ho bisogno del tuo permesso.-
-No, perché il mio era un consiglio.-
Valefar aspetta che Lydia sorpassi il ramo basso prima di liberarlo dalla presa della coda. Ricomincia a camminare e lei lo affianca, senza guardarlo.
-Allora… tornerai all’Inferno.-
-Mh mh.-
-E… non sai se ne uscirai vivo.-
Valefar continua a camminare, stavolta in silenzio. Non sorride più, ma i suoi occhi sono limpidi e placidi come mare in bonaccia. Non ha paura dell’avvenire, non teme la morte o l’oblio.
-Valefar…- sussurra Lydia con voce forzatamente calma. –Dove… dove vanno i demoni quando muoiono?-
-Da nessuna parte, tesoro. Si dissolvono nel nulla e le loro anime spariscono. Di noi non resta niente, neanche un ricordo.- Valefar sorride e la guarda di sottecchi. –Ma non sarà questo il mio caso, vero? Da qualche parte nel mondo, una bella ragazza forse non dimenticherà la mia faccia o il mio nome, quello vero.-
Valefar continua a camminare, ignorando il tremito che percorre le braccia nude di Lydia.
-Anche se non dovessi tornare, saprò per certo che quella stessa ragazza manterrà la sua buona memoria. Forse non parlerà mai più di me, forse cercherà di dimenticarmi, ma so che… che qualcosa di me resterà con lei, anche se non lo saprà. Se dovessi morire, saprei comunque che non sono destinato a scomparire del tutt…-
Non riesce a finire la frase perché improvvisamente Lydia gli getta le braccia al collo e lo stringe con forza, come se non volesse più lasciarlo andare. Il suo corpo esile aderisce a quello definito di Valefar in un intreccio perfetto di parole non dette e profumi mescolati.
Ragazzo e ragazza.
Demone e umana.
Sono tanto diversi interiormente, eppure all’apparenza non sembra così. Valefar sente il suo intero essere rispondere al bisogno di ricambiare quella stretta, di proteggere quella fragile creatura dal mondo. Ogni sua cellula si protende verso Lydia e il suo stesso demone interiore china docilmente il capo dinanzi a quella ragazza così giovane, così piccola e forte. Una bestia dai poteri ultraterreni si sottomette a una fragile banshee come una tempesta che si placa davanti agli occhi sinceri di una neonata.
Valefar la stringe, abbracciando il suo corpo e la sua anima, la sua pelle e le sue emozioni. Lydia profuma di fragola e lampone, ed è un odore così bello, così inebriante, che Valefar affonda il naso nei suoi capelli morbidi come onde oceaniche.
-Tornerò.- sussurra dolcemente. –Tornerò da te. Non perdere le speranze, anche quando tutto sembra crollarti addosso. Sei sempre stata forte, dolcezza: dimostrami anche questa volta quanto vali.-
-Non… non sperare che ti aspetti.- esala lei, cercando di nascondere il tremito nella voce.
Valefar si separa da lei e dolcemente le bacia la punta del naso, ignorando l’espressione stupita di Lydia. Sorride come un bambino, il viso vicinissimo al suo.
-Lo so. Tu non aspetti mai.- mormora intenerito. –Ma lasciami almeno l’illusione che al mio ritorno, troverò qualcuno ad accogliermi.-
Lydia si morde un labbro, gli occhi spalancati per impedire alle lacrime di uscire. –Io… io non…-
Ma Valefar le appoggia un dito sulle labbra e con dolcezza, siede ai piedi di una grossa quercia secolare che fino a quel momento ha assistito silenziosa al loro scambio di battute. Tira Lydia dolcemente, costringendola a sedersi tra le sue gambe. Le circonda la vita con le braccia, appoggia la guancia contro la sua e restano così, schiena contro petto, uniti da quella serenità momentanea e destinata a spezzarsi che, nella sua piccolezza, racchiude due creature diverse ma molto simili in un piccolo angolo di Paradiso personale.
 
Isaac è furioso. Detesta il branco, detesta Stiles che ha deciso di rinchiudersi nuovamente all’Inferno, detesta l’incappucciata e il mondo intero. Ma, più di tutto il resto, Isaac detesta se stesso: sa di non essere forte come Scott, intelligente come Lydia o preciso nel combattimento come Allison. In effetti, a cosa serve lui? È bravo a disegnare, ma questo in uno scontro frontale non serve a niente. Quando era umano, le prendeva di santa ragione da suo padre e adesso che è un licantropo, è destinato a prenderle da qualsiasi altra creatura gli capiti a tiro.
Cosa si prova a non essere un peso? Cosa si prova ad aiutare gli altri, e a sentirsi utili nel farlo? Isaac questo non lo sa. È nato in una vita sgretolata, dove egli stesso sin da bambino era destinato a crollare in pezzi, e adesso che è un ragazzo, quegli stessi pezzi se li trascina dietro come macabro strascico di un’esistenza che l’ha sempre ripudiato. Isaac è un diverso, uno spezzato. È nato difettoso e col tempo, i suoi difetti non hanno fatto che peggiorare fino a riempirlo di crepe, simile a misera bambola di ceramica con la quale nessuno ha più la forza di giocare.
Isaac è rotto, e nessuno gli ha mai spiegato come aggiustarsi.
Isaac è rotto, e quelle stesse crepe di rottura, se le porta dietro da sempre.
Isaac è rotto, e mai come in questo momento si sente in procinto di crollare a pezzi, un brandello dopo l’altro.
È per questo che corre. Corre in mezzo al bosco come mai ha fatto in vita sua, corre con ogni brandello di energia che gli rimane, corre come ombra tra gli alberi che, almeno loro, in silenzio lo scrutano e accettano al sua presenza.
Isaac sforza i muscoli delle gambe, li ascolta gridare e bruciare, e a tratti, per darsi più slancio, semplicemente si aiuta con la spinta delle mani. Non ha mai corso così velocemente; se ne accorge dalle macchie verdi che perdono nitidezza ai suoi occhi, se ne accorge dal velo di sudore che gli ricopre la fronte. Più veloce, sempre più veloce. Almeno per qualche istante, vuole trasformarsi in alito di vento e sentirsi libero, intero e non più difettoso come quella stessa bambola spezzata abbandonata nel dimenticatoio.
Isaac accelera finché i muscoli non rischiano di cedergli e la vista gli si appanna per lo sforzo di vedere il percorso. Il muro del vento preme contro il suo corpo, lo ostacola come barriera solida che invano tenta di respingerlo, ma lui non si ferma, non stavolta. Se dovrà farsi male contro quella stessa barriera, così sia, ma al momento, correre è tutto ciò che gli rimane. Non è veloce come Stiles, ma vuole dimostrare a se stesso di sapersi ancora muovere, di essere ancora vivo.
Improvvisamente però, ogni cosa si interrompe.
Un altro corpo intercetta di slancio la sua traiettoria, scivola al suo fianco e piantando i piedi nel terreno, lo stringe all’altezza della vita. L’ostacolo è così brusco che per non inciampare e cadere, Isaac è costretto a slanciarsi in alto con un piccolo balzo che lo fa ruotare a mezz’aria nella stretta del nuovo arrivato, che molla all’istante la presa. Come un danzatore professionista, Isaac flette il corpo e atterra, il busto piegato, le mani piantate al suolo, le ginocchia a un centimetro da terra.
Ha i capelli scompigliati, gli occhi gialli di bestia, le zanne in vista e gli artigli estesi che graffiano l’erba. È pronto a difendersi, pronto a lottare e morire se sarà necessario.
Ma necessario alla fine, non è.
-Ti ho cercato dappertutto.- sospira Scott, anch’egli accovacciato a pochi centimetri da Isaac. È mortalmente pallido e trema appena. Respira a fondo per calmarsi, e Isaac è certo che non abbia l’affanno a causa della corsa perché diamine, quello è un Vero Alpha e non basta così poco per stancarlo.
-Mi hai trovato.- sbotta freddamente Isaac, ritraendo zanne e artigli. Sbatte le palpebre e gli occhi tornano azzurri mentre raddrizza il busto e aspetta che Scott, ancora pallido e tremante, lo imiti.
-Io ho… ho pensato che avessi fatto qualcosa di stupido.- esala l’Alpha e Isaac inarca un sopracciglio.
-Tipo?-
-Tipo andare a cercare il varco da solo o peggio.-
-Stiles e i suoi non sono riusciti a trovare quel varco nell’arco di settimane e tu ti aspetti che io provi anche solo a fare qualcosa di così stupido? Tanto vale correre in tondo come un criceto, giusto per perdere tempo in modo sicuro senza correre il rischio di farsi ammazzare.-
Scott annuisce imbarazzato. –Hai ragione, scusami. È che… sono andato nel pallone, ecco.-
Per quanto difficile, il sopracciglio di Isaac schizza un po’ più su, verso l’attaccatura dei capelli. Non è abituato a vedere Scott così spaventato e questa cosa lo inquieta. Vede le sue mani tremare appena, le dita stringersi in due identici pugni di paura malcelata. Perché?
Isaac è arrabbiato da morire, ma vedere il suo Alpha in quelle condizioni lo spinge ad accantonare la rabbia per qualche minuto. Scott ha bisogno di lui, e lui ha bisogno di sentirsi utile. Per un solo istante, vuole sentirsi integro, così come era mentre correva in totale libertà tra gli alberi.
-È successo qualcosa?- chiede allora, ma Scott scrolla il capo.
-No, niente.-
-E allora perché sei così nervoso?-
Scott si passa una mano sul viso, poi lentamente abbassa gli occhi. Oltrepassa Isaac e si china per raccogliere qualcosa da terra con mani tremanti. Odora di nervosismo ed esitazione, di paura e inquietudine. Isaac non è abituato ad attribuirgli quelle emozioni.
Lo fissa stupito mentre raccoglie da terra un grosso blocco di fogli sul quale sono appoggiate diverse matite e una gomma. Poi, Scott torna da lui e sempre con sguardo basso, gli tende il blocco, esitante ma in trepidazione per la possibile risposta che potrebbe ricevere. Isaac non sa cosa significhi. Perché gli ha portato le sue matite? È corso a cercarlo per questo?
-Puoi… potresti…- Scott tossicchia. -… potresti disegnare?-
Isaac guarda le matite, poi Scott. Disegnare? In quel frangente? Perché dovrebbe?
-Scott…-
-No, lascia stare.- lo ferma improvvisamente Scott, agitando una mano. –So che è stupido, scusami. Volevo solo… volevo…-
Ma Isaac scuote il capo, il cuore stretto in una morsa. Ha capito. Scott ha paura dell’Inferno quanto lui, ma non può tirarsi indietro. Stiles è suo amico, Stiles è suo fratello. Isaac capisce e ammette a se stesso che se all’Inferno ci finisse Scott, lui si getterebbe a capofitto nell’impresa per tirarlo fuori. Gli deve molto, gli deve troppo. Guarda Scott, e sente improvvisamente che una piccola crepa nel suo essere comincia a saldarsi così come non è mai accaduto prima. Ci hanno provato in tanti, e Isaac ci prova continuamente, ma Scott… a lui bastano poche parole, qualche mossa impacciata e un sorriso timido e Isaac non si sente più tanto difettoso.
-Vieni.- dice, sedendosi ai piedi di un albero. Scott lo imita, mantenendo tuttavia una debita distanza, ma quando Isaac gli porge il blocco, lui lo guarda stupefatto. –Voglio che ci provi tu.-
Scott scrolla violentemente il capo. –No, non se ne parla. Io non so disegnare, non…-
Ma Isaac lo interrompe afferrandogli la mano e appoggiandovi una matita sul palmo. Dolcemente, serra le dita di Scott intorno al sottile oggetto di scrittura e senza guardarlo negli occhi, stringe la presa sulla sua mano, adattandola a quella più grande dell’Alpha.
La mano di Scott è calda e troppo morbida. Non pare affatto un arto di bestia, qualcosa che da un momento all’altro potrebbe sfoderare artigli micidiali e abbattere colpi distruttivi. In effetti, lo stesso Scott appare ben lontano dalla classica immagine del licantropo che tutti si aspetterebbero.
In un momento di puro azzardo, Isaac si convince a sollevare gli occhi su Scott… e lo sorprende a fissarlo in silenzio, da vicino, con tutta l’aria di chi sta studiando una splendida creatura esotica. Gli occhi di Scott, scuri come gli abissi della terra, osservano Isaac con un’attenzione incantata, magica, che quasi lo mettono a nudo con puerilità disarmante, così come fanno i bambini.
Una leggenda narra che ci sia un luogo al mondo, dove terra e cielo si toccano palpabilmente, come entità vive che si abbracciano e si sfiorano tra loro. Adesso che Scott intreccia lo sguardo con quello di Isaac, capisce per certo e da vicino cosa significhi toccare il cielo con un dito. Quel cielo sono i suoi occhi, vivi e luminosi come astri splendenti.
Isaac tossicchia bruscamente, spezzando l’incanto del momento.
-Coraggio, Scott.- sussurra. –Libera la mente.-
Ma mentre la mano di Isaac guida la sua con dolcezza quasi commovente, Scott pensa di non aver mai avuto la testa così ingombra di pensieri.
 
“Nel mezzo del cammin di nostra vita
Mi ritrovai per una selva oscura
Ché la diritta via era smarrita.”
 
-Vuoi scherzare?! Si trova qui?!-
Dumah scrolla le spalle, indifferente. L’unico luogo dove è realmente ubicato il varco, è anche il solo posto dove nessuno di loro ha mai pensato di cercare: casa Stilinski. Più precisamente, la stanza di Stiles, là dove tutto è cominciato.
-Non è possibile.- sussurra Scott, nascosto tra le ombre del vialetto insieme al resto del branco. La macchina dello Sceriffo non c’è, segno che passerà la notte in caserma. Non fa altro, da quando il figlio se ne è andato: lavora tanto e ragiona poco. Scott ha paura per lui, ma sa che lo Sceriffo è un uomo adulto e responsabile, e dovrà trovare il modo di rialzarsi sulle sue gambe da solo. Forse è meglio che non sappia del figlio, forse è meglio che continui a crederlo semplicemente scomparso. Dargli una speranza di felicità non è un’idea così brutta.
-E gli spiriti? Non rischiano di ferire lo Sceriffo quando escono?- sussurra Isaac, appostato accanto a Scott. Non si allontana da lui, non gli lascia quasi spazio. Ha paura di perderlo, teme di doverlo abbandonare troppo presto.
-No. Avverto una serie di pesanti protezioni intorno alla casa.- risponde Valefar. –Non sono protezioni carcerarie, ma respingenti. Insomma, sbattono gli spiriti fuori dalla finestra e gli impediscono di ritornare sui loro passi.-
-Valefar esita, stranito. –Chi ce le ha messe?-
-Forse il demone che ha creato il varco.- risponde Dumah.
-A un demone non frega una mazza della sicurezza di un singolo essere umano.-
Dumah scrolla le spalle una seconda volta.
-E il signor Stilinski davvero non si è accorto che c’è un ritrovo di morti in casa sua?- si stranisce Lydia.
-Non apre quella porta da tanto tempo, e i defunti si rendono visibili raramente. Oltretutto, il portale si trova esattamente sul davanzale della finestra, quindi a meno che non si affacci da lì, non corre il rischio di percepire qualcosa.- spiega Dumah, oltrepassandoli. –Preparatevi.-
 Derek si piazza al suo fianco, con Scott sulla destra e Valefar e Peter alle spalle. Sta per rivedere Stiles, il suo Stiles. Il solo pensiero gli dà i brividi, ed è una cosa meravigliosa perché ogni passo, ogni istante, lo accosta sempre di più a quel ragazzino logorroico che ha sempre amato. Qualcuno lassù gli sta dando la possibilità di riprovarci, di riavere quel po’ di bene che credeva di aver perso per sempre, ed è una possibilità reale, tangibile, che cade come una benedizione sulle sue spalle.
Per il nervosismo e l’ansia dell’attesa, comincia a giochicchiare col crocifisso che ha deciso giorni addietro di appendersi al collo come un amuleto. È lo stesso che gli lasciò Stiles prima di sparire, l’innocuo oggettino con cui tutto è cominciato. Per Derek ha un significato simbolico, come se lo avvicinasse di più a Stiles. Spera in ogni caso, che possa proteggerlo dalle infamie dell’Inferno, visto che è un oggetto benedetto.
-Buona fortuna.- sussurra Isaac, stringendo per brevi istanti la spalla di Scott. Non incrocia il suo sguardo, non ci riesce. Non dice addio, non simula alcun arrivederci. Semplicemente, volta il capo dall’altra parte e chiude gli occhi perché no, non può lasciarlo andare e sapere che forse, l’ha spedito a morire.
UNO…
Derek si accuccia, pronto al balzo. Ripensa a Stiles, al suo tocco, alla sua risata. Ogni fibra del suo corpo si protende verso quel pensiero, verso la sensazione che dall’altra parte di quel varco, c’è il resto della sua intera esistenza.
…DUE…
Valefar sibila a bassa voce e snuda la coda. Alle sue spalle, Lydia trattiene il respiro.
-Vi aspetteremo.- sorride Allison, chinandosi su Scott per schioccargli un bacio amichevole sulla guancia. Il licantropo sbarra gli occhi e la guarda, stupefatto. Non è il bacio che si aspettava, poiché, scopre con stupore, non gli causa alcun terremoto emotivo, non come faceva un tempo. Non è Allison che dovrebbe guardarlo, non è Allison che dovrebbe sorridergli rassicurante in quel modo.
Ti prego, non abbandonarmi.
TRE!!!
Derek scatta con tanta veemenza da sorpassare in un solo istante il resto del gruppo. Chi guarda, è convinto di vedere un evanescente figura di lupo sovrapporsi alla sua, ancora umana. Due diverse entità rispondono unicamente al bisogno di rivedere Stiles, di salvarlo. È stato lui, quel ragazzino iperattivo, a radunarli tutti lì, al cospetto della sua splendida luce dorata. Due demoni e tre licantropi disposti a sacrificare tutto per riaverlo.
Saltano oltre il davanzale uno alla volta, velocemente, come se dall’altra parte ad attenderli non vi fosse il luogo più orribile dell’universo.
BENVENUTI ALL’INFERNO.
 
“Per ch’io mi volsi, e vidimi davante
E sotto i piedi un lago che per gelo
Avea di vetro e non d’acqua sembiante.”
 
Grida. Pianti. Suppliche. Da qualche parte un uomo urla, da qualche parte un bambino geme disperato. Son suoni che mai nessuno dovrebbe udire, suoni talmente raccapriccianti che ti penetrano nella carne e negli organi, nelle ossa e nelle retine degli occhi.
Nel momento in cui poggi piede sul gelido suolo ghiacciato, avverti quello stesso freddo sfondare le tue resistenze di licantropo e affondare gli artigli in ogni fibra del tuo essere. Si congelano i pensieri, i sensi, i sentimenti. Tutto ciò che resta sono i tuoi occhi sbarrati sull’orrore dell’universo e le tue orecchie assordate dai lamenti dei dannati.
Non dovrebbe esistere al mondo un posto del genere. Non dovrebbero respirare quelle anime che adesso, più simili a miseri blocchi di ghiaccio, piangono le proprie miserie come pallidi rimasugli di esseri umani. Il pentimento non è accettato in quel luogo dove finanche l’aria sa di acido e corrode i polmoni e le cavità nasali, quel luogo dove soltanto il male stesso può albergare.
Cadi in ginocchio, prostrato all’istante da un peso che ti avvolge l’anima. Avverti il male graffiarti la pelle e gli organi, stringerti il cuore in una morsa da feroce predatore che non sparirà mai più.
I ricordi affiorano adesso, prepotenti e aggressivi, come belve rimaste sopite troppo a lungo. Rivedi la tua famiglia bruciare, tua madre morire, tuo padre urlare in preda all’agonia. Gli occhi di tua sorella tagliata a metà ti fissano sbarrati, accusandoti di non averla salvata, accusandoti di averla uccisa con la tua stessa assenza. È allora che ti domandi quale ingiustizia ti abbia lasciato vivere fino a quel momento: tu, col tuo lordume di peccati, tu col tuo peso di colpe a stento ignorate ma che sempre ti seguiranno come macabre arpie pronte a ghermirti.
Dovevi essere morto. Devi morire. Perché respiri ancora?
Qualcuno ti afferra una spalla, strattonandoti. Un giovane volto di donna ti fissa, grida qualcosa, ma tu non puoi sentirla oltre le urla assordanti dei tuoi stessi peccati.
-… ek!-
Scrolli il capo, ti accasci tra le sue mani. Speri di morire, preghi di morire.
Preghiere? Non sono permesse, non qui. Nessuno prega, nessuno implora perdono o pietà. Le preghiere sono il male, le preghiere non esistono.
-DEREK!!!-
La donna ti schiaffeggia con tanta forza che per qualche istante, le grida si affievoliscono. È quello il tuo nome? Derek? Non avresti mai pensato di meritare una nomea tu, anima miserevole dall’essenza squarciata. Peccatore. Infame!
Qualcuno, un’altra mano, si posa sui tuoi occhi e tu la lasci fare. Non hai la forza per ribellarti, ma speri che quella presa ti strappi i bulbi oculari e la faccia, la pelle e le carni. Soffrire non sarebbe poi così male.
Le voci spariscono all’improvviso, l’aria si fa meno rarefatta. Una bolla ovattata si genera come uno scudo intorno al tuo corpo e tu puoi finalmente respirare, schiarirti le idee.
Derek Hale. Ti chiami così. Sai chi sei.
-Derek, accidenti!- ringhia qualcuno, sovrastando a stento il ruggito di dolore dei dannati.
La bolla di silenzio ti avvolge con più forza, allontana il dolore cocente che ti strazia l’animo e il cuore. Puoi respirare a pieni polmoni adesso e le voci dei ricordi non fanno più così male.
Voci. Con un tuffo al cuore, ripensi a quando ne parlava Stiles: le voci fanno male, le voci bruciano da morire. Ora capisci cosa voleva dire. Incubi ad occhi aperti che gridano, ti accusano, graffiano l’anima fino a spezzettarla in mille parti. Dio solo sa come ha fatto a mantenere viva la sanità mentale.
Lentamente, alzi il viso. Ora sai cos’è realmente l’Inferno, ma nonostante tu abbia letto attentamente di quel girone, non avresti mai immaginato che fosse così.
Una landa sconfinata di ghiaccio, ove il vento tagliente fa a pezzi senza pietà i corpi bloccati nel pavimento. I volti sono invisibili perché incastrati nel ghiaccio, rivolti all’ingiù, ma le braccia si dimenano impotenti all’esterno, spezzate, sanguinanti, come pezzi di carne mossi dal puro schiaffo dell’inerzia. Dannati che si agitano alla disperata ricerca di una via di fuga, dannati che piangono le proprie miserie, spandendo nell’aria il dolore di una vita vissuta nel verso sbagliato.
Tremi impercettibilmente, improvvisamente debole dinanzi a tanto dolore, tanto odio, tanto male. Per la prima volta in vita tua, ti senti piccolo ed effimero, come una farfalla al cospetto di un leone inferocito. Esiste al mondo qualcosa in grado di contrastare tutto questo? Neanche Dio riuscirebbe a controllare tanto odio, ne sei certo. Cosa resta allora delle loro speranze se Stiles è lì in mezzo, tra quei dannati sfracellati e ridotti a miseri pezzi di carne squartata? Non sembrano neanche umani e i loro lamenti paiono più simili ad ansiti di bestie.
-Dobbiamo proseguire.- sussurra Valefar mentre anche gli altri si rialzano, uno alla volta, tremanti al limite di una crisi epilettica. L’unico che riesce a malapena a mantenere un po’ di contegno è Peter Hale, i cui occhi sbarrati tuttavia riflettono come specchi l’orrore di quel luogo dimenticato da Dio. Al suo fianco, Scott sta finendo di vomitare.
-Scott, alzati! Dobbiamo muoverci prima che…-
Ma qualcuno sopraggiunge, una creatura dalle lunghe orecchie a punta e il corpo ricoperto di peli scuri. L’uomo è nudo, dai muscoli torniti, alto all’incirca tre metri e mezzo. Nonostante le fattezze umanoidi, la sua faccia ricorda più quella di un facocero, col naso schiacciato e gli occhi piccoli totalmente neri, privi di cornea. Una selva di capelli scuri piove come una cascata lungo le spalle ampie e dal posteriore sbuca una coda lunga quasi sei metri ricoperta di piccoli uncini insanguinati e alla cui sommità svetta un ciuffo di peli scuri, come di leone.
Valefar arretra di un passo, stranito. –MINOSSE?! SERIAMENTE?!-
Minosse lo fissa, gli occhi giudiziosi ma non aggressivi. Sul mento sbuca un principio di pizzetto e guardandolo meglio, pensi che nonostante l’aspetto mostruoso, Minosse sia in realtà più fermo e ponderato di qualsiasi demone. Ricordi bene la descrizione offerta da Dante Alighieri nella Divina Commedia, ma non gli rende giustizia. Quella creatura trasuda dignità e malcelata ferocia, giudizio e condanna. Non sembra un demone, in realtà… anzi, non lo è. Minosse era umano, uno dei saggi re di Creta. Secondo Dante, egli fu tramutato in giudice dei dannati, ma mai in demone.
-Ecco perché non trovavamo il demone incriminato…- sussurra Valefar, stordito. –Perché non è stato un demone ad aprire il varco.-
Minosse grugnisce, posa gli occhi su di te. Silenziosamente assottiglia lo sguardo, ti giudica in silenzio. La coda freme, segno forse che avverte in te un gran numero di peccati. Non può ancora giudicarti, ma sei certo che potrà farlo presto perché, nonostante la bolla protettiva respinga il male dell’Inferno dalla tua testa, continui a sentirti a un passo dalla follia.
Di morti, ne hai viste parecchie. Eppure, quegli stessi cadaveri che osservasti in passato non sono niente in confronto ai dannati che si dimenano massacrati tra i ghiacciai, la pelle strappata e le ossa spezzate. Ad alcuni mancano le orecchie, a quasi tutti i capelli. Non sono più esseri umani, non riesci nemmeno a vederli come creature vive, che vive non sono.
-Sei colpevole.- ringhia Minosse, fissandoti. –Quanti gironi invero possono attenderti, licantropo? Quante colpe riconosci per te stesso?-
Non rispondi. Di colpe, ne hai fin troppe, ma non è il momento di parlarne.
-Sono qui per espiare il più grave dei miei numerosi peccati, non per rispondere a te.- rimbecchi allora con calma forzata.
-Chi dunque sei quivi giunto a cercare?-
-L’idiota iperattivo che per errore ha ammesso di amare uno come me e il suddetto idiota iperattivo che per errore potrei ammettere di… amare a mia volta.- ringhi, nervoso. Poi ti blocchi.
Hai ammesso di amare un ragazzino, il tuo ragazzino. L’hai fatto con spontanea semplicità, con calcolata freddezza che al contrario ti scalda la pelle e il cuore, respingendo il gelo dell’Inferno che continua a penetrarti nelle ossa. Lo hai fatto ad alta voce.
Minosse continua a fissarti. Il tuo lupo interiore scalpita, rabbrividisce, ti prega di fuggire da dove sei venuto. Quel luogo non vi appartiene, quel luogo non è adatto a un qualsiasi animale vivente così come non lo sarebbe a un uomo.
-Amore?- sussurra Minosse, oscillando il capo. –In codesto loco non vi è significato per tal parola.-
-Per te non avrà senso, ma per me sì. Dimmi dove posso trovare Stiles Stilinski.-
Fronteggi il giudice delle anime, lupo contro bestia dannata, vivo contro spirito malefico. Ti sorprendi alla fine quando questo non pare infastidito dalla tua mancanza di rispetto.
-Ignorate d’avermi visto. Or io v’ho aiutati, ma gli occhi del Grande Cornuto son ben più di due e guardan lontano. Non v’è in me volontà di correr rischio oltre.- Si rivolge a Dumah. –Qui rispondo all’ultimo favor che mi domandi, demone femmina. Quivi e mai più, perciò badate a non incontrarmi di nuovo poiché in tal caso, saremmo nemici e lotterem per uccidere.-
Minosse volta la schiena, li ignora. Si allontana lento tra le raffiche di vento, calpestando dannati e arti spezzati, teste sfracellate e pezzi di carne che una volta forse, appartenevano a un unico grande intero.
Solo ora ti accorgi del freddo e dei graffi che ti ricoprono la pelle. Il vento aggredisce anche voi, ma non feroce quanto è con i dannati. Incide le carni, strappa i vestiti, ma non stacca gli arti dal corpo come accade con le anime. Il gelo di quel luogo tuttavia, è talmente forte che cominci a battere i denti e fai il possibile per non dimostrare ai presenti la tua debolezza. Nessun manto di lupo potrebbe riscaldarti lì.
-Dove sia… siamo?- balbetta Scott, tremando come una foglia. Ha un brutto taglio sul sopracciglio che cola sangue sull’occhio e questo ti conferma ciò che dall’altra parte già temevi: in quel luogo, non vi è concesso alcun potere di guarigione.
-Il nono cerchio, la Caina.- risponde a sorpresa Peter. Anche lui è coperto di ferite, ma mantiene fermo il suo contegno da Hale che fieramente si rispecchia anche nel nipote. Inarca le sopracciglia quando tutti lo guardano: -Che c’è? So leggere anche io, e la Divina Commedia mi piaceva.-
Valefar guarda il cielo. –Dobbiamo muoverci. Per ora non vedo demoni, ma sento la loro presenza. Se ci trovano, non ci resterà che correre.-
-Stiles si trova nell’ultimo cerchio, il più pericoloso. Lì non ci sono demoni perché Lucifero è abbastanza terrificante da tenerli lontani, ma dobbiamo prima arrivare a destinazione.- sbotta Dumah. –Andiamo.-
Lei e Valefar si muovono con eleganza tra i dannati, calpestandoli senza pietà. Non abbassano neanche lo sguardo quando questi tentano di afferrarli all’altezza delle caviglie o rispondono al dolore bestemmiando. Gli occhi dei due demoni brillano, lucenti della loro pupilla verticale e i corpi non presentano alcun segno di graffio. I visi sono duri e freddi come pietra, le schiene dritte. Mai come in quel momento entrambi appaiono sicuri, ferini, pronti a colpire e a uccidere. Non mostrano alcuna pietà nei confronti dei dannati, non ascoltano le suppliche che questi rivolgono loro perché entrambi sono abituati a sentire tali putridi lamenti.
Demoni. Non riesci a immaginare Stiles impegnato a fare una cosa del genere. Lui non calpesterebbe il prossimo, ma lo aiuterebbe, come ha aiutato te quando eravate nemici.
Cominciate a camminare, silenziosi come ombre. Tu e Scott evitate i cadaveri incastrati nel ghiaccio, ma non è facile perché essi emergono dal terreno come talpe scalpitanti che nella furia vi graffiano le caviglie, strappano i jeans, lacerano i timpani a furia di urlare.
State camminando già da quelle che sembrano ore ma che in realtà potrebbero essere meno di pochi minuti. Senti che il tempo scorre in modo diverso lì sotto, ed è normale sentirsi disorientati lì, dove il cielo è nero e sembra sempre buio. Ci vedete a stento, col ghiaccio che emana a malapena un barlume di luce riflessa, quella luce che laggiù non può arrivare.
Nessun essere vivente può sopravvivere lì sotto senza impazzire. Lì, dove l’aria puzza di sangue e carne putrefatta, dove gli unici rumori che si ascoltano sono urla e pianti di condannati ad atroci torture.
Sono almeno due le volte in cui ti senti pronto a crollare. Hai perso troppo sangue, non senti più i muscoli e le ossa fanno male. Per questo ti aggrappi al pensiero di Stiles e del suo sorriso, al calore del suo abbraccio e alla dolcezza del suo bacio. Sono cose profane laggiù, ma ti danno la forza per andare avanti.
Improvvisamente, Dumah comincia a guardarsi intorno allarmata.
-Che c’è?- chiede Peter, drizzando le orecchie. Parla a bassa voce e, nonostante il vento ruggente, tutti riescono a sentirlo.
-Dobbiamo correre.- sussurra Valefar, allucinato. –ADESSO!!!-
E nessuno di voi se lo fa ripetere. Scattate all’unisono, come un sol uomo, scivolando sul ghiaccio. I corpi sotto di voi rendono difficile la corsa e il gelo intirizzisce i sensi. I bulbi oculari sembrano sul punto di congelarsi, i muscoli bruciano da morire, ma non vi fermate. Seguite Dumah e Valefar tra i corpi, schivando e saltando, scartando e correndo.
Inciampi, riprendi l’equilibrio, continui a correre. Non va bene, non con tutto quel ghiaccio a rallentarvi la corsa…
Colto da un bagliore di consapevolezza e ingegno, ti lanci in avanti a braccia aperte, tuffandoti come un gabbiano in caduta libera. Il tuo corpo muta, rimpicciolisce appena, si ricopre di peli. Le ossa si spostano, le orecchie si allungano, il ghiaccio sulla tua pelle si sbrina e il grosso lupo nero atterra con eleganza su possenti quattro zampe, riprendendo a correre. Gli artigli incidono il ghiaccio, dandoti la spinta necessaria per superare Scott e Peter, tenendo testa a Dumah e Valefar. I dannati sotto di voi ruggiscono il loro dolore in lamenti che di umano non hanno più nulla ormai.
Un’ombra sguscia alle vostre spalle, vi insegue. Non riesci a vederla, e non sei nemmeno certo di volerlo fare. Ricordi bene l’aspetto demoniaco di Valefar e senti nelle ossa che quello non è il più terrificante dei demoni. Per la prima volta, il tuo istinto di lupo ti spinge a scappare anziché a combattere. Si tratta di sopravvivenza, di purissimo spirito di autoconservazione.
-Dobbiamo uscire dal girone!- urla Valefar, accelerando il passo. Alle loro spalle, l’ombra si avvicina sempre di più, un monito maledetto pronto a infrangersi come lama di ghigliottina sulle loro teste.
Dumah slitta sul ghiaccio con eleganza ferina, stacca la calotta cranica a un dannato per sbaglio e si ferma.
-Che diavolo fai?!- ansima Scott, ma lei lo ignora.
Poggia un ginocchio per terra, stende l’altra gamba, gonfia i muscoli come non l’hai mai vista fare.
-Ci apro una strada!-
Dumah abbatte il pugno sul ghiaccio sottostante con tanta forza che senti la terra vibrare. L’aria rarefatta freme, i dannati gemono più forte. Alcuni tentano di uscire dal ghiaccio con tanta forza da strapparsi gli arti dal tronco. Lo sentono. Sentono che qualcosa sta cambiando, che qualcosa è accaduto.
Velocemente, una crepa comincia a serpeggiare come una ferita verso l’orizzonte, allungandosi frastagliata, stendendo gli arti fino a sparire alla vista. Il tuo udito di lupo riesce ancora a sentire il rumore del ghiaccio che si spacca e continua, continua ancora.
Sei stupefatto. Ricordi bene i versi di Dante riguardanti quel ghiaccio, troppo spesso per essere rotto. Una superficie gelida, indistruttibile e, a detta di Alighieri, talmente forte da poter reggere lo schianto con un monte in caduta libera.
-È un’idea del cazzo!- ringhia Valefar, ma nonostante questo abbatte un violento colpo di tallone nello stesso punto colpito da Dumah. La botta è talmente forte che il terreno vibra ancora, e quando la crepa si spalanca proprio sotto di voi capisci il perché: il crepaccio si è allungato verso il basso per miglia e miglia di suolo ghiacciato. I due lati dello spacco sono popolati di corpi che si agitano convulsamente come vermi incastrati nella sabbia, accalcati, sovrapposti e nudi. È una vista disgustosa anche per uno stomaco forte come il tuo.
Scott perde l’equilibrio, si aggrappa al bordo del crepaccio e tu lo azzanni all’altezza della spalla, cercando di tirarlo su. Intravedi delle mani afferrare gli abiti del giovane Alpha e tirare, piedi scalciare, volti scarnificati e tumefatti che tentano di morderlo. Sai che non ce la farete, ma non hai intenzione di lasciar precipitare Scott verso quell’abisso nero.
-Saltate!- abbaia Dumah.
-Ma vorrai scherzare!- rimbecca Peter, e per una volta sei d’accordo con lui.
Strattoni Scott con più forza, tirandolo appena più su, ma in quel momento le tenebre si contorcono, cominciano a infittirsi. Avverti qualcosa nell’aria, una minaccia che ti rizza il pelo e opprime i sensi. Il male vero preme per sfondare nuovamente la tua barriera di sicurezza e senti che ci riuscirà se il demone si avvicina ancora.
Stiles.
Pregando che Dumah non vi tradisca, salti e trascini Scott con te. Lo senti urlare nel tuo orecchio e agitare le braccia, sbarra gli occhi, puzza di terrore. Subito dopo, seguono silenziosi Peter, Dumah e Valefar, che scivolano sicuri nell’abbraccio del vento non più tagliente come un uragano ma come semplice folata d’aria che incontra un corpo in caduta libera.
Ti sembra di cadere per giorni e in realtà non sei nemmeno sicuro che non sia così. Il corpo perde ogni scintilla di peso e anche la mente pare seguirlo, col suo maledetto vociare di grida e peccati rimasti impuniti. Le pareti del crepaccio affondano gelate verso il basso, cosparse di altri corpi e altri ancora. Non sai quanto è grande quel girone, ma sai che deve essere profondo più degli abissi stessi della terra perché lì i dannati sono davvero troppi.
Esistono dei beati, invece? Tutta l’umanità sembra essere racchiusa lì, nel ghiaccio e nelle fiamme, nel dolore e nel putridume.
No. Non esistono beati, non esiste Dio. Non lì, non quando il dolore acceca ogni cosa, annebbiando finanche i tuoi stessi sensi.
Stiles. Pensa a Stiles.
Qualcosa ti afferra per la collottola, arrestando la caduta. Scott smette di gridare, qualcosa fende l’aria e graffia le pareti ghiacciate del crepaccio, facendo a pezzi i dannati.
Scendete lentamente adesso, con Dumah e Valefar che vi sorreggono e sbattono le ali di tenebra per alleggerire la caduta. Non vedi le grosse vele oscure, ma ne avverti la presenza mefitica e pericolosa, come una maledizione che oscilla sul tuo collo e sul petto, schiacciandoti nell’immobilità della tua misera impotenza.
Il crepaccio si apre all’improvviso, come il tetto di una caverna immensa, un’altra distesa ghiacciata ove il vento vi travolge all’istante, costringendo Dumah e Valefar ad atterrare.
Il posto non è molto diverso dal precedente, solo che lì i dannati stanno coi volti scoperti e rivolti all’insù, i corpi incastrati nel ghiaccio. Se possibile, la cosa è ancora più raccapricciante perché quei pezzi di carne mutilata, dagli occhi cavi e gli zigomi squartati…  non sembrano nemmeno volti. Non volti, non maschere, non organi, ossa e muscoli. Solo pezzi di carne, solo macabri scherzi della natura.
Lì le tenebre sono più fitte, più soffocanti, tanto che nemmeno lo scudo protettivo di Valefar riesce a respingere il grido assordante delle voci nella tua testa. Avverti il male vero abbattersi su di te, mangiarti il cervello e per un attimo sei tentato tu stesso di cominciare a gemere come i dannati. Sì, perché in quel girone i defunti non hanno la forza di gridare, o più semplicemente spesso non hanno la bocca per farlo: quelli gemono e basta, deboli e impotenti come miseri vermi troppo stanchi per reagire. Riesci a capirli, dopotutto.
Sei stanco anche tu, hai paura. Chiunque tremerebbe lì, anche l’uomo più coraggioso del mondo. Anche Stiles, il tuo Stiles.
C’è davvero qualche remota possibilità che sia ancora in lui? Al solo pensiero che possa essere una sola di quelle anime incastrate nel ghiaccio, ti senti morire e le tenebre ti abbracciano davvero. Stiles è la tua luce, e se quella luce si estingue…
-Hai spaccato in due la Caina?! Ma sei matta?- esplode Valefar, incurante dell’ambiente terrificante che lo circonda.
-Credo di essermi spaccata anche tutti i metacarpi della mano, se ti può consolare.-
-Ma sei seria? Adesso avremo tutti i demoni alle calcagna in breve tempo!-
-Mi hai aiutato tu, te lo ricordo.-
-Ragazzi.- li richiama Peter, e allora tu alzi il capo e ti guardi intorno ancora una volta, il naso che brucia al puzzo del sangue e della carne putrida.
Avete oltrepassato la prima zona ghiacciata, vi state avvicinando. Lì giacciono i traditori della patria.
Quella è l’Antenora.
Angolo dell’autrice:
Eeeh… che guaio. Questa storia è un guaio di proporzioni bibliche, in tutti i sensi. Ma non deprimiamoci, non ora che Derek è vicino all’obbiettivo X! Ora, passiamo alla risposta della domanda che mi è stata posta: chi è l’incappucciata? Qualcuno in parte l’ha capito, ma alla fine si vedrà e spiegherò ogni cosa, quindi abbiate pazienza! Taaanta pazienza!
Passo dunque al ringraziarvi. Sì, sono monotona. Sì, rompo le scatole fino allo sfinimento. Sì, tendo a ripetermi… ma davvero, questa storia è costruita sulle vostre parole, sui piccoli momenti che dedicate ai miei sforzi. Penso a voi splendidi lettori quando alle tre del mattino inizio a correggere i capitoli con gli occhi che mi bruciano, penso a voi splendidi lettori quando mi costringo ad accantonare la stanchezza per concludere in tempo questa storia. Lo meritate, fosse anche per quei cinque minuti che mi dedicate lasciandomi una recensione. Grazie di cuore, davvero.
Fanvergent_love
Two_dollar_bill
Barbara78
Elenuar Black
Nye
_Sara92_
Giada_ASR
Fangirl_mutante_SHIELD

 
Anticipazioni:
“-Derek! Derek, alzati!- esclama Scott, sofferente. La sua voce è coperta da un nuovo ruggito, un nuovo ringhiare feroce. Hai paura di quel suono perché nessun demone fino ad ora ha mai prodotto un ringhio tanto folle.
-Chi diavolo è che ringhia così? Lucifero?- sbotta Peter, cercando di vedere oltre il muro di ali di Valefar.
-Lui… no. No.- mormora debolmente il demone. –Dobbiamo tornare indietro. Subito.-
Cerchi di protestare, ma non riesci nemmeno ad alzare la testa. Hai freddo.
-Che… cavolo dici?- ringhia Scott. –Abbiamo fatto tanto per…-
Ma improvvisamente un nuovo ruggito lo interrompe, stavolta accompagnato dal cigolio di catene.
Valefar sospira pesantemente. –È tardi, ragazzi.-
Chiude lentamente le ali, rivelando la creatura alle sue spalle.
-Troppo tardi.-
È allora che ti sembra di scivolare inesorabilmente in un abisso di paura e follia. Tu, che hai combattuto innumerevoli battaglie; tu, che sei sopravvissuto al massacro della tua famiglia. Tu, che vedi sgretolarsi davanti ai tuoi occhi ormai quasi ciechi l’obbiettivo più importante della tua vita.
La creatura è quanto di più bello e spaventoso tu abbia mai visto in vita tua.”

 
Tomi Dark Angel
  
Leggi le 8 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Teen Wolf / Vai alla pagina dell'autore: Tomi Dark angel