Il
Tempio in breve si riempì di fedeli e tutto lo spazio
disponibile venne
occupato da uomini, donne e bambini urlanti, stipati lungo una
interminabile
fila che si chiudeva solo una volta raggiunta la fine del declivio su
cui era
stato eretto il Tempio stesso. Aspettavano, pazienti e logorati, il
proprio
turno per salutare le salme e per regalare loro un ultimo fiore, un
ultimo
bacio. Era presente, oltre al cospicuo numero di fedeli che Sorella
Dyana
annoverava tra le sue fila, anche gran parte dell’Esercito,
lasciato in congedo
apposta per l’occasione. Tutti i militari indossavano la
fascetta del lutto e avevano
disposto le proprie katane ai piedi delle barelle su cui erano adagiati
i
corpi. Era una visione estremamente toccante ed al contempo atroce,
qualcosa
che fino ad allora non avevo mai visto. La madre piangeva sommessamente
accanto
al figlio defunto, la moglie teneva per un’ultima volta le
mani pallide del suo
compagno e la prole accarezzava il viso esangue del padre. Li osservai
a lungo,
cercando di partecipare al loro dolore con preghiere sommesse e parole
di
conforto. Cercavo di comprendere cosa significasse avere una voragine
nel
cuore, quale sofferenza implicasse andarsene dopo il proprio amato o
prima di
un figlio. Ma non ci riuscivo. Non riuscivo nemmeno a figurarmi un
dolore così
intenso. Mi limitai, perciò, ad offrire quanto avevo e
quanto il mio ruolo di
Custode mi concedeva.
-La
vedova laggiù chiede se può avere un fiore-, mi
chiamò Medeya, indicandomi una
giovane donna dai lunghissimi capelli colore del rame. Sfiorava la mano
del suo
compagno con una dolcezza disarmante e i suoi occhi, asciutti per via
della
troppa stanchezza, vagavano senza posa lungo tutto il suo corpo, alla
ricerca
di un segno di vita o di un miracolo.
Non
volevo andare da quella donna, ma non avevo scelta. Era mio preciso
compito
quel giorno tornare ad essere una Custode in tutto e per tutto,
accudendo i
fedeli e piegandomi ad ogni loro richiesta. Era così che
aveva voluto
l’Esercito ed era così che aveva voluto la
Sacerdotessa.
Perciò
mi incamminai in direzione della donna, la quale vedendomi arrivare si
promulgò
in un sorriso cortese. Ricambiai, poi le porsi uno splendido girasole
dal mazzo
di fiori adagiato nel cestino.
-E’
il simbolo della devozione-, le dissi, porgendole il delicato dono e
posando
una mano sulla fronte di suo marito. – Si dice che ere fa,
quando ancora gli
Dei abitavano su questa terra, una donna mortale ebbe la sciagura di
innamorarsi del Dio più splendente di tutti, Apollyo, colui
che dorme nel Sole.
Ne era così innamorata che lo seguiva ovunque, accudendone i
cavalli e
ordinandogli il carro, aspettando che scendesse dal Sole quando faceva
notte e
accompagnandolo fin dove i suoi piedi mortali potevano arrivare al
sorgere
dell’alba. Tuttavia gli Dei non amano come amiamo noi umani.
Il loro affetto è
diverso, simile in tutto e per tutto a quello dei genitori verso la
progenie. Quindi
Apollyo non riuscì mai a contraccambiare l’amore
puro e dedito della donna
nella maniera in cui lei avrebbe desiderato. La giovane in questione,
tuttavia,
nutriva un sentimento di devozione talmente grande che, pur sapendo che
non
avrebbe mai potuto sfiorare il volto di Apollyo, quando giunse il
giorno della
sua morte pregò il Dio di trasformarla in un girasole,
così da poterlo seguire
per sempre-.
-E’
una storia molto bella-, mormorò la donna, adagiando il
girasole fra le mani
del suo giovane sposo. Poi sorrise amaramente: sapeva che quella era
l’ultima
occasione che aveva per salutarlo prima che la pira ne bruciasse i
resti e
consegnasse la sua anima agli Dei. Purtroppo per lei le cose non
sarebbero
andate come alla donna girasole della mia favoletta. Per lei la vita
finiva lì,
su quella barella assieme all’uomo che amava. La lasciai,
quindi, a se stessa
con la speranza che la mia storia avesse lenito almeno un po’
la sofferenza
sanguinosa del suo cuore.
Ciò
nonostante sentivo un peso premermi sulle costole mentre mi
allontanavo, come
se anche a me l’Esercito avesse strappato qualcuno dalle
braccia, come se il
mio cuore fosse stato calpestato dalla fila marciante di un Reggimento.
Se mi
fossi concessa il lusso di innamorarmi di un uomo, avrei saputo
affrontarne la
perdita? Istintivamente i miei occhi si mossero rapidi sulla folla
accorsa e
incontrarono lo sguardo spento di Fobos.
Era
accanto ad una delle barelle. Sul lenzuolo dorato era adagiato un
giovane magro
e dal viso fanciullesco, con una spruzzata di lentiggini sul naso.
Sembrava
serenamente addormentato, con le mani incrociate sul petto e la
medaglia al
valore che riluceva colpita dalla luce.
Mi
avvicinai a lui, silenziosa, e osservai la piega di dolore che le
sopracciglia
di Fobos avevano assunto. Percepivo la forza con cui stava serrando la
mandibola e l’insistenza con cui i suoi denti si graffiavano.
-Vuoi
un fiore per il tuo amico? -, domandai a bassa voce, porgendogli il
cestino
affinchè scegliesse il fiore che più gli piaceva.
Inizialmente mi guardò
perplesso, come fosse stato colto in fragrante a fare qualcosa di
strano o
bizzarro, poi sospirò e allungando le dita
afferrò un tulipano nero. Era interessante
come Fobos, fra tutti i fiori che avevo, avesse scelto
l’unica specie ibrida.
-
Era nel mio Reggimento-, mormorò, infilando il fiore tra le
dita rigide e
fredde del soldato. Lo guardò qualche istante, poi gli fece
il saluto militare
e, con gli occhi gonfi di dolore, tornò a concentrarsi su di
me. – Si
chiamava Ektor. Avrebbe dovuto sposarsi
il mese prossimo-.
Rimasi
interdetta a fissarlo, mentre quello che avrei creduto un uomo senza
cuore,
abbassava lo sguardo e lo puntava sui propri anfibi.
-Mi
dispiace molto-, risposi sinceramente, appoggiandogli una mano sul
petto. Lui
non si scostò né mi allontanò, anzi mi
afferrò il polso e mi ringraziò a bassa
voce.
-Ora
torna ai tuoi doveri, Custode-, disse, infine, puntando gli occhi su
qualcuno
alle mie spalle che da lontano ci guardava. Mi voltai e notai che Iatro
mi
stava osservando.
Era
vestito con un lungo saio viola, il colore del mistero divino, e le
mani e i
piedi gli erano stati dipinti di nero con della brace.
-Buongiorno,
Iatro-, lo salutai, avvicinandomi con fare incerto. Mi ero dimenticata
che
anche lui, in base a quanto diceva il libro dei Figli del Vento, era un
membro
della setta.
-Buongiorno
a te, creatura-, rispose con un sorriso contenuto.
Dovevo
assolutamente trovare un modo per intavolare il discorso, per
affrontare la
questione senza sembrare irriguardosa e senza che orecchie indiscrete
potessero
origliare le mie parole. Scelsi di lanciargli un indizio, sperando che
abboccasse. Cominciai, quindi, ad accarezzare l’orecchio dal
cui lobo pendeva
tintinnando la piccola libellula. Gli occhi del Guaritore seguirono le
mosse
delle mie dita e i suoi occhi guizzarono quando intravidero la forma
aerodinamica dell’insetto volante.
-Vedo
che le mie preoccupazioni erano infondate, dopotutto-, rise, osservando
dritto
davanti a sé.
-Che
cosa vuole dire? Sapeva che avrei scelto questa strada? -.
Iatro
annusò una splendida camelia, poi la lanciò nella
polla, lasciando che le sue
acque terse se la portassero via, sul fondo.
-Speravo
di conoscere abbastanza la tua indole per poterlo prevedere. Sei una
donna
pragmatica, Astreya cara, avresti certamente scelto il partito migliore
nel
ventaglio delle possibilità-.
Mi
guardai attorno, salutando alcuni commilitoni che come me un tempo
erano stati
uomini di Chiesa. Indossavano i loro umili sai ed erano disarmati,
scalzi e con
le mani giunte. Sembravano persone completamente diverse da come le
avevo
conosciute io.
-Perché
mi ha chiesto di mantenere segreta la vera potenzialità del
mio Dono? C’è qualcuno
che devo temere? -.
Iatro
si incamminò verso le colonne, laddove l’eco si
smorzava e il silenzio
troneggiava sovrano.
-E
me lo chiedi anche? -, disse, dopo essersi assicurato che
l’ombra dei pilastri
ci oscurasse alla vista di potenziali nemici. Mi prese dalle mani il
cestino e
lo depositò a terra malamente. Poi mi afferrò la
spalla e fece scivolare via la
maschera. Il suo volto era consumato, gli occhi arrossati e le labbra
screpolate: forse anche lui aveva perduto un ex-discepolo in quella
oscura
missione.
-Cosa
sa che io non so? -, domandai con un filo di voce.
-
So che quei soldati non dovevano trovarsi lì. So che sono
stati presi di
sorpresa durante il pasto serale. So che adesso
c’è una enorme breccia nel
Vallum e che la gente sta cercando di penetrarvi e arrivare al Settore
Governativo-.
Quelle
parole erano senza senso e davvero faticavo ad afferrarle. Mi appoggiai
alla
colonna alle mie spalle, nella speranza che il freddo della pietra mi
rinfrancasse.
-Una
breccia? Scusi, Iatro, ma non riesco ad afferrare-.
-
Ti hanno detto perché hanno stanziato dei soldati sul
perimetro del Vallum,
quando a guardia della cupola ci sono già i Molossi? -.
La
sua domanda nascondeva qualcosa di particolarmente oscuro.
-Ci
hanno riferito che i cittadini erano in rivolta a causa della
povertà a cui
sono ridotti da anni. Sembrava una delle consuete manifestazioni di
questo
periodo. Pare che, tuttavia, stavolta il numero dei ribelli fosse alto
e che
questi avessero comprato delle nuove armi al Mercato Mauriano-.
Stavo
ripetendo la versione che Eracleo mi aveva fornito, eppure nel
pronunciarla, io
stessa percepivo esserci qualcosa di sbagliato. Dei cittadini, seppur
numerosi,
avrebbero davvero potuto avere la meglio su dei soldati organizzati e
addestrati
alla guerra? Le armi comprate grazie ai predoni del Mercato Mauriano
erano
oggetti antichi, ritrovati sotto le sabbie del deserto al Sud, sulla
punta
estrema del confine Elladiano. Grazie a dei metal detector venivano
prelevati
sotto metri e metri di sabbia e venduti ai disperati che avevano
bisogno di
protezione o ai sediziosi. Le armi ormai non erano più
costituite da materiali
ferrosi, per cui sicuramente le armi acquistate dai ribelli dovevano
avere più
di cinquant’anni e di certo, inzaccherate dalla sabbia,
avevano più probabilità
di esplodere contro il cecchino che non sul bersaglio. Sospirai.
Ciò
significava che persino Eracleo mi aveva mentito. Non gliene facevo una
colpa:
era il suo mestiere mantenere top secret le sue missioni.
L’Esercito voleva
così e lui, in quanto suo membro, doveva rispettare la legge.
-Lo
hai capito, vero? E’ tutta una montatura. Anche noi Figli del
Vento ne sappiamo
ben poco-.
-
Crede che ci sia sotto un qualche complotto politico? -.
-
Ancora non lo sappiamo. Le notizie che ci sono state fornite provengono
tutte
dai quartieri poveri. E’ certo che ci sia stata una rivolta e
che l’Esercito
sia intervenuto per sedarla. Tuttavia, nonostante i nostri infiltrati
nel
Reggimento dei Segugi siano dei vecchi lupi e stiano lavorando
instancabilmente, abbiamo ottenuto poche risposte. I cittadini sono
recalcitranti a parlare e nessuno ha voluto spiegarci come è
stata aperta
quella feritoia nel Vallum. In più pensaci bene, i sediziosi
sono così poveri e
male istruiti che non sarebbero mai riusciti a contrattare con i
Mauriani e
uscirne vivi. Non hanno nemmeno le forze e i mezzi per raggiungere il
Deserto.
Qualcuno li deve avere aiutati. Per forza-.
-
Il Governo non parla? -, domandai, rosicchiandomi preoccupata
l’unghia del
mignolo. Era qualcosa che facevo solo quando ero davvero sul punto di
scoppiare. La paura mi avvolgeva le membra e l’angoscioso
incubo di un imminente
conflitto mi serpeggiava per tutta la colonna vertebrale come un
millepiedi
urticante.
-Il
Governo è barricato dentro alla sua Sede. Non mette il naso
fuori da giorni. Il
Reggimento del Sole non si aspettava un attacco di queste proporzioni e
quei
giovani soldati sono ormai rammolliti da anni di banchetti e turni
brevi: il
massimo che hanno potuto fare è stato portare in salvo i
membri del Governo-.
-
E i Molossi? -, chiesi, ricordandomi improvvisamente di quei bestioni.
-Disattivati.
Sono caduti a terra come pere e ora i cittadini li stanno smembrando
per le
strade alla ricerca di pezzi di valore da rivendere-.
Come
era possibile? I Molossi erano degli enormi robot, alti almeno tre
metri, con
uno scheletro di titanio anodizzato, e una muscolatura composta da
diversi
materiali, di cui un rivestimento in pre-impregnato di fibre di
carbonio Erano intelligenze
artificiali molto sveglie, create dalle migliori menti ingegneristiche
al
mondo, e in grado di gestire qualsiasi situazione, di utilizzare le
armi e di
trasformarsi loro stessi in un’arma. Non potevano essere
disattivati da
nessuno, se non dai membri del Governo.
-Ma
non ha senso! -.
Gli
occhi di Iatro brillarono come diamanti nella penombra del colonnato.
Aprì la
bocca e un sorriso inquietante gli si dipinse sul viso.
-E
invece ha senso… Sai chi fa parte del Concilium Governativo?
-, mi chiese, e
io, febbricitante, scossi con energia il capo.
L’uomo
fece, quindi, per parlare, ma la sua lingua si fermò a
metà, riavvolgendosi su
se stessa, e la maschera ritrovò rapidamente posto sul suo
viso.
-Buongiorno,
Stratega! -.
Mi
voltai appena e mi ritrovai gli occhi di Cronyos puntati addosso, fissi
sulla
mia nuca. Lo salutai rispettosamente mentre i suoi occhi gelidi mi
scannerizzavano il viso, alla ricerca di qualcosa. Non lo avevo nemmeno
sentito
arrivare. Sorrisi e lasciai che Iatro e l’uomo si
scambiassero i soliti
convenevoli.
-
Mi scuso per il disturbo, ma la Sacerdotessa richiede la sua presenza.
Ci sono
dei soldati feriti che vorrebbero uno dei suoi cataplasmi per il
dolore. Pare
funzionino meglio degli antidolorifici, per qualche strano motivo-.
Iatro
annuì, teso, e si allontanò, lanciandomi
un’ultima disperata occhiata.
-Custode,
di cosa stava parlando con il Guaritore? Spero che non abbia divulgato
informazioni riservate dell’Esercito. O forse stavate
discutendo del suo
piccolo crollo di nervi? -.
Il
suo tono era piatto e monocorde, ma tutto il suo fisico era rigido e
contratto.
Mi sembrava di avere di fronte una montagna invalicabile. Una
gocciolina di
sudore mi scivolò lungo la schiena, gelandomi la pelle.
-Sì,
parlavamo della mia crisi. Non riesco a capire a cosa sia dovuta-,
tentai,
fingendomi preoccupata.
-
Può succedere. Anche i soldati migliori sotto pressione
esplodono-, commentò,
mentre il suo sguardo abbracciava tutti i fedeli e i soldati presenti
attorno
alla polla, a qualche metro da noi.
-Non
ricapiterà. Sono convinta che allenarmi con Fobos sia stata
la scelta giusta.
Siamo simili-.
Cronyos
arricciò le labbra e corrugò la fronte.
– Simili? Quel ragazzo ha ben più che
semplici scatti di nervi. Assume così tante droghe da essere
più nervoso di un
cavallo. Ma se il suo appoggio può esserti
utile…-.
Con
l’indice e il pollice afferrò un ragno che
scivolava indisturbato sulla colonna
alle mie spalle. Lo osservò intensamente, studiando le
zampette arcuate, il
corpo tozzo e le tenaglie appena sotto gli occhietti lucidi.
-Peccato
che da settima prossima, anche Fobos entri in servizio-,
mormorò mentre un
sorriso aguzzo gli illuminava il volto. Cominciai ad annaspare in cerca
di
aria, senza nemmeno saperne il motivo. Fobos sarebbe partito per andare
al
Vallum. Potevo avanzare la richiesta di poter partire con lui? Non
volevo che
mi lasciasse indietro. Non volevo vederlo assolutamente tornare su una
barella.
Non potevo pensare di finire come quella donna, distrutta e affranta
per il
resto della mia vita.
Istintivamente
cominciai a guardarmi attorno per vedere dove fosse finito
l’Ibrido, Non lo
vidi e il livello di angoscia salì ulteriormente.
-Non
ti preoccupare per il Generale. Ha combattuto molte battaglie e se
l’è sempre
cavata-, commentò Cronyos, prima di premere con forza le
dita e spappolare il
piccolo corpo dell’aracnide.
-Ho
sempre odiato gli insetti-, bisbigliò poi, le iridi sazie
del sangue
dell’animale.