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Autore: Dusky Doll    15/07/2015    1 recensioni
Questa è la storia di Astreya, una giovane donna dal carattere forte e dal cipiglio severo, nata in un mondo corrotto, un mondo dove bisogna crescere in fretta. Il suo mistero si cela dietro i suoi capelli neri e i suoi occhi indagatori, un segreto talmente intrigante da aver attratto le mire della casta militare e di un soldato oltremodo speciale. Ma è tutto oro ciò che luccica? E cosa deciderà Astreya: si venderà all' Esercito o deciderà di combattere da sola la sua battaglia, come un lupo solitario?
NdA: Storia illustrata... da me:) Spero vi piaccia!
Genere: Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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Capitolo 20



 

Il Tempio in breve si riempì di fedeli e tutto lo spazio disponibile venne occupato da uomini, donne e bambini urlanti, stipati lungo una interminabile fila che si chiudeva solo una volta raggiunta la fine del declivio su cui era stato eretto il Tempio stesso. Aspettavano, pazienti e logorati, il proprio turno per salutare le salme e per regalare loro un ultimo fiore, un ultimo bacio. Era presente, oltre al cospicuo numero di fedeli che Sorella Dyana annoverava tra le sue fila, anche gran parte dell’Esercito, lasciato in congedo apposta per l’occasione. Tutti i militari indossavano la fascetta del lutto e avevano disposto le proprie katane ai piedi delle barelle su cui erano adagiati i corpi. Era una visione estremamente toccante ed al contempo atroce, qualcosa che fino ad allora non avevo mai visto. La madre piangeva sommessamente accanto al figlio defunto, la moglie teneva per un’ultima volta le mani pallide del suo compagno e la prole accarezzava il viso esangue del padre. Li osservai a lungo, cercando di partecipare al loro dolore con preghiere sommesse e parole di conforto. Cercavo di comprendere cosa significasse avere una voragine nel cuore, quale sofferenza implicasse andarsene dopo il proprio amato o prima di un figlio. Ma non ci riuscivo. Non riuscivo nemmeno a figurarmi un dolore così intenso. Mi limitai, perciò, ad offrire quanto avevo e quanto il mio ruolo di Custode mi concedeva.

-La vedova laggiù chiede se può avere un fiore-, mi chiamò Medeya, indicandomi una giovane donna dai lunghissimi capelli colore del rame. Sfiorava la mano del suo compagno con una dolcezza disarmante e i suoi occhi, asciutti per via della troppa stanchezza, vagavano senza posa lungo tutto il suo corpo, alla ricerca di un segno di vita o di un miracolo.
Non volevo andare da quella donna, ma non avevo scelta. Era mio preciso compito quel giorno tornare ad essere una Custode in tutto e per tutto, accudendo i fedeli e piegandomi ad ogni loro richiesta. Era così che aveva voluto l’Esercito ed era così che aveva voluto la Sacerdotessa.
Perciò mi incamminai in direzione della donna, la quale vedendomi arrivare si promulgò in un sorriso cortese. Ricambiai, poi le porsi uno splendido girasole dal mazzo di fiori adagiato nel cestino.
-E’ il simbolo della devozione-, le dissi, porgendole il delicato dono e posando una mano sulla fronte di suo marito. – Si dice che ere fa, quando ancora gli Dei abitavano su questa terra, una donna mortale ebbe la sciagura di innamorarsi del Dio più splendente di tutti, Apollyo, colui che dorme nel Sole. Ne era così innamorata che lo seguiva ovunque, accudendone i cavalli e ordinandogli il carro, aspettando che scendesse dal Sole quando faceva notte e accompagnandolo fin dove i suoi piedi mortali potevano arrivare al sorgere dell’alba. Tuttavia gli Dei non amano come amiamo noi umani. Il loro affetto è diverso, simile in tutto e per tutto a quello dei genitori verso la progenie. Quindi Apollyo non riuscì mai a contraccambiare l’amore puro e dedito della donna nella maniera in cui lei avrebbe desiderato. La giovane in questione, tuttavia, nutriva un sentimento di devozione talmente grande che, pur sapendo che non avrebbe mai potuto sfiorare il volto di Apollyo, quando giunse il giorno della sua morte pregò il Dio di trasformarla in un girasole, così da poterlo seguire per sempre-.
-E’ una storia molto bella-, mormorò la donna, adagiando il girasole fra le mani del suo giovane sposo. Poi sorrise amaramente: sapeva che quella era l’ultima occasione che aveva per salutarlo prima che la pira ne bruciasse i resti e consegnasse la sua anima agli Dei. Purtroppo per lei le cose non sarebbero andate come alla donna girasole della mia favoletta. Per lei la vita finiva lì, su quella barella assieme all’uomo che amava. La lasciai, quindi, a se stessa con la speranza che la mia storia avesse lenito almeno un po’ la sofferenza sanguinosa del suo cuore.
Ciò nonostante sentivo un peso premermi sulle costole mentre mi allontanavo, come se anche a me l’Esercito avesse strappato qualcuno dalle braccia, come se il mio cuore fosse stato calpestato dalla fila marciante di un Reggimento. Se mi fossi concessa il lusso di innamorarmi di un uomo, avrei saputo affrontarne la perdita? Istintivamente i miei occhi si mossero rapidi sulla folla accorsa e incontrarono lo sguardo spento di Fobos.
Era accanto ad una delle barelle. Sul lenzuolo dorato era adagiato un giovane magro e dal viso fanciullesco, con una spruzzata di lentiggini sul naso. Sembrava serenamente addormentato, con le mani incrociate sul petto e la medaglia al valore che riluceva colpita dalla luce.
Mi avvicinai a lui, silenziosa, e osservai la piega di dolore che le sopracciglia di Fobos avevano assunto. Percepivo la forza con cui stava serrando la mandibola e l’insistenza con cui i suoi denti si graffiavano.
-Vuoi un fiore per il tuo amico? -, domandai a bassa voce, porgendogli il cestino affinchè scegliesse il fiore che più gli piaceva. Inizialmente mi guardò perplesso, come fosse stato colto in fragrante a fare qualcosa di strano o bizzarro, poi sospirò e allungando le dita afferrò un tulipano nero. Era interessante come Fobos, fra tutti i fiori che avevo, avesse scelto l’unica specie ibrida.
- Era nel mio Reggimento-, mormorò, infilando il fiore tra le dita rigide e fredde del soldato. Lo guardò qualche istante, poi gli fece il saluto militare e, con gli occhi gonfi di dolore, tornò a concentrarsi su di me.  – Si chiamava Ektor. Avrebbe dovuto sposarsi il mese prossimo-.
Rimasi interdetta a fissarlo, mentre quello che avrei creduto un uomo senza cuore, abbassava lo sguardo e lo puntava sui propri anfibi.
-Mi dispiace molto-, risposi sinceramente, appoggiandogli una mano sul petto. Lui non si scostò né mi allontanò, anzi mi afferrò il polso e mi ringraziò a bassa voce.
-Ora torna ai tuoi doveri, Custode-, disse, infine, puntando gli occhi su qualcuno alle mie spalle che da lontano ci guardava. Mi voltai e notai che Iatro mi stava osservando.
Era vestito con un lungo saio viola, il colore del mistero divino, e le mani e i piedi gli erano stati dipinti di nero con della brace.
-Buongiorno, Iatro-, lo salutai, avvicinandomi con fare incerto. Mi ero dimenticata che anche lui, in base a quanto diceva il libro dei Figli del Vento, era un membro della setta.
-Buongiorno a te, creatura-, rispose con un sorriso contenuto.
Dovevo assolutamente trovare un modo per intavolare il discorso, per affrontare la questione senza sembrare irriguardosa e senza che orecchie indiscrete potessero origliare le mie parole. Scelsi di lanciargli un indizio, sperando che abboccasse. Cominciai, quindi, ad accarezzare l’orecchio dal cui lobo pendeva tintinnando la piccola libellula. Gli occhi del Guaritore seguirono le mosse delle mie dita e i suoi occhi guizzarono quando intravidero la forma aerodinamica dell’insetto volante.
-Vedo che le mie preoccupazioni erano infondate, dopotutto-, rise, osservando dritto davanti a sé.
-Che cosa vuole dire? Sapeva che avrei scelto questa strada? -.
Iatro annusò una splendida camelia, poi la lanciò nella polla, lasciando che le sue acque terse se la portassero via, sul fondo.
-Speravo di conoscere abbastanza la tua indole per poterlo prevedere. Sei una donna pragmatica, Astreya cara, avresti certamente scelto il partito migliore nel ventaglio delle possibilità-.
Mi guardai attorno, salutando alcuni commilitoni che come me un tempo erano stati uomini di Chiesa. Indossavano i loro umili sai ed erano disarmati, scalzi e con le mani giunte. Sembravano persone completamente diverse da come le avevo conosciute io.
-Perché mi ha chiesto di mantenere segreta la vera potenzialità del mio Dono? C’è qualcuno che devo temere? -.
Iatro si incamminò verso le colonne, laddove l’eco si smorzava e il silenzio troneggiava sovrano.
-E me lo chiedi anche? -, disse, dopo essersi assicurato che l’ombra dei pilastri ci oscurasse alla vista di potenziali nemici. Mi prese dalle mani il cestino e lo depositò a terra malamente. Poi mi afferrò la spalla e fece scivolare via la maschera. Il suo volto era consumato, gli occhi arrossati e le labbra screpolate: forse anche lui aveva perduto un ex-discepolo in quella oscura missione.
-Cosa sa che io non so? -, domandai con un filo di voce.
- So che quei soldati non dovevano trovarsi lì. So che sono stati presi di sorpresa durante il pasto serale. So che adesso c’è una enorme breccia nel Vallum e che la gente sta cercando di penetrarvi e arrivare al Settore Governativo-.
Quelle parole erano senza senso e davvero faticavo ad afferrarle. Mi appoggiai alla colonna alle mie spalle, nella speranza che il freddo della pietra mi rinfrancasse.
-Una breccia? Scusi, Iatro, ma non riesco ad afferrare-.
- Ti hanno detto perché hanno stanziato dei soldati sul perimetro del Vallum, quando a guardia della cupola ci sono già i Molossi? -.
La sua domanda nascondeva qualcosa di particolarmente oscuro.
-Ci hanno riferito che i cittadini erano in rivolta a causa della povertà a cui sono ridotti da anni. Sembrava una delle consuete manifestazioni di questo periodo. Pare che, tuttavia, stavolta il numero dei ribelli fosse alto e che questi avessero comprato delle nuove armi al Mercato Mauriano-.
Stavo ripetendo la versione che Eracleo mi aveva fornito, eppure nel pronunciarla, io stessa percepivo esserci qualcosa di sbagliato. Dei cittadini, seppur numerosi, avrebbero davvero potuto avere la meglio su dei soldati organizzati e addestrati alla guerra? Le armi comprate grazie ai predoni del Mercato Mauriano erano oggetti antichi, ritrovati sotto le sabbie del deserto al Sud, sulla punta estrema del confine Elladiano. Grazie a dei metal detector venivano prelevati sotto metri e metri di sabbia e venduti ai disperati che avevano bisogno di protezione o ai sediziosi. Le armi ormai non erano più costituite da materiali ferrosi, per cui sicuramente le armi acquistate dai ribelli dovevano avere più di cinquant’anni e di certo, inzaccherate dalla sabbia, avevano più probabilità di esplodere contro il cecchino che non sul bersaglio. Sospirai. Ciò significava che persino Eracleo mi aveva mentito. Non gliene facevo una colpa: era il suo mestiere mantenere top secret le sue missioni. L’Esercito voleva così e lui, in quanto suo membro, doveva rispettare la legge.
-Lo hai capito, vero? E’ tutta una montatura. Anche noi Figli del Vento ne sappiamo ben poco-.
- Crede che ci sia sotto un qualche complotto politico? -.
- Ancora non lo sappiamo. Le notizie che ci sono state fornite provengono tutte dai quartieri poveri. E’ certo che ci sia stata una rivolta e che l’Esercito sia intervenuto per sedarla. Tuttavia, nonostante i nostri infiltrati nel Reggimento dei Segugi siano dei vecchi lupi e stiano lavorando instancabilmente, abbiamo ottenuto poche risposte. I cittadini sono recalcitranti a parlare e nessuno ha voluto spiegarci come è stata aperta quella feritoia nel Vallum. In più pensaci bene, i sediziosi sono così poveri e male istruiti che non sarebbero mai riusciti a contrattare con i Mauriani e uscirne vivi. Non hanno nemmeno le forze e i mezzi per raggiungere il Deserto. Qualcuno li deve avere aiutati. Per forza-.
- Il Governo non parla? -, domandai, rosicchiandomi preoccupata l’unghia del mignolo. Era qualcosa che facevo solo quando ero davvero sul punto di scoppiare. La paura mi avvolgeva le membra e l’angoscioso incubo di un imminente conflitto mi serpeggiava per tutta la colonna vertebrale come un millepiedi urticante.
-Il Governo è barricato dentro alla sua Sede. Non mette il naso fuori da giorni. Il Reggimento del Sole non si aspettava un attacco di queste proporzioni e quei giovani soldati sono ormai rammolliti da anni di banchetti e turni brevi: il massimo che hanno potuto fare è stato portare in salvo i membri del Governo-.
- E i Molossi? -, chiesi, ricordandomi improvvisamente di quei bestioni.
-Disattivati. Sono caduti a terra come pere e ora i cittadini li stanno smembrando per le strade alla ricerca di pezzi di valore da rivendere-.
Come era possibile? I Molossi erano degli enormi robot, alti almeno tre metri, con uno scheletro di titanio anodizzato, e una muscolatura composta da diversi materiali, di cui un rivestimento in pre-impregnato di fibre di carbonio Erano intelligenze artificiali molto sveglie, create dalle migliori menti ingegneristiche al mondo, e in grado di gestire qualsiasi situazione, di utilizzare le armi e di trasformarsi loro stessi in un’arma. Non potevano essere disattivati da nessuno, se non dai membri del Governo.
-Ma non ha senso! -.
Gli occhi di Iatro brillarono come diamanti nella penombra del colonnato. Aprì la bocca e un sorriso inquietante gli si dipinse sul viso.
-E invece ha senso… Sai chi fa parte del Concilium Governativo? -, mi chiese, e io, febbricitante, scossi con energia il capo.
L’uomo fece, quindi, per parlare, ma la sua lingua si fermò a metà, riavvolgendosi su se stessa, e la maschera ritrovò rapidamente posto sul suo viso.
-Buongiorno, Stratega! -.
Mi voltai appena e mi ritrovai gli occhi di Cronyos puntati addosso, fissi sulla mia nuca. Lo salutai rispettosamente mentre i suoi occhi gelidi mi scannerizzavano il viso, alla ricerca di qualcosa. Non lo avevo nemmeno sentito arrivare. Sorrisi e lasciai che Iatro e l’uomo si scambiassero i soliti convenevoli.
- Mi scuso per il disturbo, ma la Sacerdotessa richiede la sua presenza. Ci sono dei soldati feriti che vorrebbero uno dei suoi cataplasmi per il dolore. Pare funzionino meglio degli antidolorifici, per qualche strano motivo-.
Iatro annuì, teso, e si allontanò, lanciandomi un’ultima disperata occhiata.
-Custode, di cosa stava parlando con il Guaritore? Spero che non abbia divulgato informazioni riservate dell’Esercito. O forse stavate discutendo del suo piccolo crollo di nervi? -.
Il suo tono era piatto e monocorde, ma tutto il suo fisico era rigido e contratto. Mi sembrava di avere di fronte una montagna invalicabile. Una gocciolina di sudore mi scivolò lungo la schiena, gelandomi la pelle.
-Sì, parlavamo della mia crisi. Non riesco a capire a cosa sia dovuta-, tentai, fingendomi preoccupata.
- Può succedere. Anche i soldati migliori sotto pressione esplodono-, commentò, mentre il suo sguardo abbracciava tutti i fedeli e i soldati presenti attorno alla polla, a qualche metro da noi.
-Non ricapiterà. Sono convinta che allenarmi con Fobos sia stata la scelta giusta. Siamo simili-.
Cronyos arricciò le labbra e corrugò la fronte. – Simili? Quel ragazzo ha ben più che semplici scatti di nervi. Assume così tante droghe da essere più nervoso di un cavallo. Ma se il suo appoggio può esserti utile…-.
Con l’indice e il pollice afferrò un ragno che scivolava indisturbato sulla colonna alle mie spalle. Lo osservò intensamente, studiando le zampette arcuate, il corpo tozzo e le tenaglie appena sotto gli occhietti lucidi.
-Peccato che da settima prossima, anche Fobos entri in servizio-, mormorò mentre un sorriso aguzzo gli illuminava il volto. Cominciai ad annaspare in cerca di aria, senza nemmeno saperne il motivo. Fobos sarebbe partito per andare al Vallum. Potevo avanzare la richiesta di poter partire con lui? Non volevo che mi lasciasse indietro. Non volevo vederlo assolutamente tornare su una barella. Non potevo pensare di finire come quella donna, distrutta e affranta per il resto della mia vita.
Istintivamente cominciai a guardarmi attorno per vedere dove fosse finito l’Ibrido, Non lo vidi e il livello di angoscia salì ulteriormente.
-Non ti preoccupare per il Generale. Ha combattuto molte battaglie e se l’è sempre cavata-, commentò Cronyos, prima di premere con forza le dita e spappolare il piccolo corpo dell’aracnide.
-Ho sempre odiato gli insetti-, bisbigliò poi, le iridi sazie del sangue dell’animale.

   
 
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