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Autore: AlionMars    16/07/2015    0 recensioni
-Tratto dal testo-
"ti odio..."
"Vorrei poter dire la stessa cosa".
Un rapporto difficile tra due persone dominate da sentimenti contrastanti.
Ecco quello che secondo me succede prima che diano inizio allo show.
Spero di non offendere nessuno, semplicemente se non è di vostro gradimento passate oltre.
Per chiunque si fermasse, dato che è la mia prima fan fiction vorrei tanto sapere cosa ne pensa :3
Genere: Introspettivo, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Crack Pairing | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L'aveva scoperto il perchè di così tanto affanno in quella voce sottile e timida. L'aveva capito dalla gocciolina di sudore sulla sua fronte liscia e bianca. Aveva corso.
Se fino a 5 minuti prima non fosse stato incazzato con il mondo a causa della sua assenza non avrebbe capito il motivo di così tanta agitazione.
"Sono qui, devi dirmi qualcosa?"
Avrebbe voluto prenderlo, li ora, avrebbe voluto abbracciarlo, baciarlo, picchiarlo e urlargli contro perchè di più non avrebbe potuto fare, non gli avrebbero e non si sarebbe permesso lui stesso di fare un passo in più. È così fu, rimase immobile come sempre, con il capo chino verso le sue Louboutin quasi come ad ammirarle.
Ma la figura difronte a lui sapeva meglio del sottoscritto che le aveva sempre odiate quelle scarpe, costose e scomode. 
"Sei in ritardo" si azzardò a dire. Le sue parole non uscirono sicure ed impassibili come avrebbe voluto.
"Ma va, capitan ovvio" capitano, quella parola pronunciata con quell'aria di strafottenza. Sempre così lo chiamava e lo avrebbe chiamato, anche se tra loro ormai non c'era più niente. Sorrise amaramente, già proprio più niente. 
Gli anni degli ormoni erano passati e la razionalità o per meglio dire, il rigore alle regole non scritte che da molto tempo dominavano la sua vita, aveva avuto la meglio. 
Non rispose, alzò la testa e lo superò senza guardarsi indietro. Un'assistente gli passò il microfono e come al solito lui si avvicinò alla sua botola, pronto ad andare in scena.
Sentì il bisogno di dirglielo.
 "Ti odio..."
...quando fai così, avrebbe voluto aggiungere, ma si fermò. Le provocazioni non potevano solo e sempre essere incassate da una parte, prima o poi avrebbe dovuto reagire e quello gli era sembrato il momento più adatto.
Silenzio. Cercò di controllarsi, di dire che quella conversazione se così si poteva definire sarebbe dovuta terminare così e così sarebbe stato. Ma lo sapevano tutti, lui compreso, che il suo corpo faceva quello che voleva. 
La testa si alzò timida, quasi per non far notare i movimenti che presumevano un rotamento del viso verso destra. Ma quei due fari erano lì, pronti a sfotterlo, pronti a dire "lo sapevo", "te l'avevo detto che non saresti restitito un secondo di più". E si, era difficile. Era difficile controllarsi, non pensarci, staccare cuore e cervello contemporaneamente. Era complicato, l'aveva capito da quando prendere sonno era una delle sue battaglie e conquiste quotidiane, mentre prima era sempre stata considerata come una perdita di tempo da parte di entrambi. Ora non sapeva manco più se anche per l'altro fosse difficile fingere, se anche per quegli occhi fosse difficile mostrare solo disprezzo e nient'altro. Non lo sapeva e non avrebbe voluto desiderare di saperlo, ma purtroppo non era così. 
Con le urla in sottofondo e le luci che si attenuavano sempre più, capì che in quei pochi secondi prima di spegnere gli interruttori lui aveva ammesso tutto. Aveva ammesso il vuoto che sentiva, gli spifferi che di notte gli facevano desiderare una abbraccio caldo e forte proprio come in quei periodi di spensieratezza. Aveva ammesso che era diventato più cattivo anche con se stesso da quando aveva iniziato ad esserlo con gli altri per allontanarvisi. E lì in quel momento si accorse di aver raggiunto un limite che pensava fosse ancora lontano, una luce che pensava fosse ancora troppo fievole per illuminare tutto il buio di cui si era circondato per proteggersi.
E quella goccia non si fece attendere, non attese che il suo cuore si riprendesse dal piccolo tonfo sordo che la consapevolezza del momento gli aveva provocato, e non aspettò che si ripresentasse un'occasione più intima e giusta di quella che aveva li, sotto il palco, a pochi secondi dal caos.
"Vorrei poter dire la stessa cosa". 
Fu un sussurro che zittì tutto e tutti. Le urla si annullarono, il rumore di ruote e carrelli e scricchiolii non parvero più fastidiosi, sovrastati dal quella voce roca di cui lui si era quasi dimenticato. 
Fu una goccia che fece traboccare il vaso di emozioni che stava in bilico in quel corpo che da qualche tempo era diventato sempre più stanco e meno curato. Quella goccia scappò e andò a fare capolino da quella pupilla che da troppo tempo era rimasta asciutta di emozioni ed impassibile davanti ad ogni cosa. 
Se la concesse e non la nascose. Alzò lo sguardo prendendo tutte quelle sei parole in faccia e sentendo ancora più male quando quella calda tortura gli solcò la guancia. 
Fece uno dei suoi mezzi sorrisi rassegnati che usava per dire "che ci vuoi fare, è così" e fece un passo avanti. 
Mesi, giorni, ore, minuti e secondi a ripetersi che era cresciuto, che era cambiato. Uno sguardo per capire che non era così. Sarebbe sempre rimasto il suo capitano. 
Strinse la mano in un pugno finché le nocche non divennero bianche e giurò di aver risentito in quella stretta qui capelli puliti e ricci che gli mancava accarezzare da troppo tempo ormai.
Un altro passo. Si schiarì la voce.
Un altro scatto della testa verso destra, il buio aveva inghiottito tutto. 
Sperò di poter scomparire anche lui in quel caos che in pochi secondi si sarebbe scatenato, ma come avrebbe fatto con quello interiore che ormai lo stava dominando?
Un respiro. Un battito. Un ticchettio nervoso. Lo avrebbe fatto. Per lui. Per se. Per loro.
Avrebbe cantato come ormai non faceva più tempo.
Per loro. Per sè. Per lui.
"Ciao Milano!" E lo show ricominciò.
   
 
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