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Autore: Dusky Doll    17/07/2015    1 recensioni
Questa è la storia di Astreya, una giovane donna dal carattere forte e dal cipiglio severo, nata in un mondo corrotto, un mondo dove bisogna crescere in fretta. Il suo mistero si cela dietro i suoi capelli neri e i suoi occhi indagatori, un segreto talmente intrigante da aver attratto le mire della casta militare e di un soldato oltremodo speciale. Ma è tutto oro ciò che luccica? E cosa deciderà Astreya: si venderà all' Esercito o deciderà di combattere da sola la sua battaglia, come un lupo solitario?
NdA: Storia illustrata... da me:) Spero vi piaccia!
Genere: Fantasy, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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Capitolo 21


Finalmente riuscii a trovarlo. Se ne stava in piedi di fronte alla pira ormai spenta, mentre il lento incresparsi delle onde trasportava a riva le ultime lanterne aranciate. C’era profumo di incenso e mirra nell’aria e le lucciole rischiaravano il blu profondo delle acque.
-Fobos! -, gridai, lanciandomi verso di lui e afferrandomi alla manica della sua giacca. Mi facevano male i piedi e sentivo le ginocchia tremare. Avevo corso per tutto il tempo, zigzagando tra un volto famigliare e l’altro alla ricerca degli occhi del lupo. Ed ora eccoli lì, di fronte a me, che guardavano le ceneri di una vita che ormai non c’era più.
-Fobos, che ci fai ancora qui? -.
L’Ibrido si voltò nella mia direzione, con estrema lentezza come se muovere il collo gli costasse un immenso sforzo. In quel momento mi pareva distante mille anni luce da me, come se stessimo cercando di comunicare da due pianeti diversi.
-Dovresti tornare in Accademia. Fa freddo-, commentò pacatamente, mentre una densa nuvoletta di vapore gli fuoriusciva dalle labbra.
-Quando pensavi di dirmi che verrai spedito al Vallum? -.
Non ero riuscita a trattenermi. Sentivo le guance arrossate e sferzate dal vento freddo, la lingua intorpidita e la vista oscurata da mille macchioline colorate. Non riuscivo davvero a credere di aver corso così tanto per cercare una persona che evidentemente non voleva nemmeno vedermi.
-Non pensavo affatto di dirtelo-, mormorò.
Mi diede le spalle, facendo qualche passo in direzione del limaccio sulla spiaggetta. Gli anfibi sprofondavano nel fango, nonostante la risacca cercasse di lavarli ad ogni passaggio.
-Stai scherzando, vero? -, sputai fuori, avvelenata. Non sapevo perché ma il suo trascurarmi mi faceva innervosire e intristire allo stesso tempo. Tolsi i sandali e lo raggiunsi vicino alla sponda del fiume. Mi aggrappai al ramo di un albero precario e sollevai la veste fino alle ginocchia per evitare di sporcarla. Era bianca e impalpabile come la lieve foschia che aveva cominciato ad aleggiare ad un nonnulla dallo specchio delle acque. Fobos seguì con la coda dell’occhio i miei movimenti, indugiando per un attimo di troppo sul colorito lunare delle mie gambe sottili e dalle caviglie strette. Poi tornò nuovamente a fissare di fronte a sé.
-Non scherzo mai, matricola. Dovresti saperlo-.
-Non puoi andartene-.
Fobos rise appena, spaventando un gufo che con i suoi occhioni giallo limone ci spiava dalla cima di una betulla spoglia e contorta. Vidi gli aguzzi denti sfiorargli le labbra e il naso arricciarsi appena.
-E cosa dovrei fare? Ignorare gli ordini? -.
-Dovresti portarmi con te-, chiarii seria. Non poteva lasciarmi indietro. Noi avevamo un Debito ed ero intenzionata a farglielo rispettare che lui lo volesse o meno. Volevo scoprire cosa stesse accadendo al Vallum, quale segreto si celasse dietro alle parole di Iatro e chi fosse quel membro del Concilium di cui non avevo ancora scoperto il nome. E poi c’era quella parte di me che non voleva lasciare Fobos, che voleva trattenerlo per qualche inspiegabile motivo.
-Non se ne parla. Questa è una faccenda seria-.
-Anche io sono seria-, rimarcai. –Noi abbiamo un Debito-.
Fobos sollevò il viso, lasciando che la Luna gli baciasse il volto e lo illuminasse di una luce quasi magica.
-Sei fin troppo testarda. Allora, mettiamola così. Se ti portassi con me, non faresti altro che rallentarmi. Dovrei continuamente proteggerti e mi distrarresti dalla missione. Non potrei fare un passo senza controllarti, non un respiro. Vuoi davvero che ciò accada? Vuoi che muoia? -.
Non risposi. Non avevo mai pensato che potessi essere un peso per Fobos, non dopo che mi aveva presa con sé come sua allieva. Pensavo avesse visto anche solo un accenno di potenziale in me, una scintilla di talento, e invece ora scoprivo che ero soltanto un fastidio.
-E va bene, non rispondere. Non ce n’è bisogno-, aggiunse lui, con voce amareggiata.
Non è che non volessi rispondere, è che non ci riuscivo. Sentivo del filo spinato nella gola e dei chiodi sulla lingua. Indietreggiai, senza dire una parola, infilando i sandali e facendo ridiscendere la veste fino a sfiorare la terra. Non mi importava cosa dicesse Fobos, io di certo sarei partita con lui. Mi sarei iscritta anche all’albo dei disertori se fosse stato necessario.
-Me ne vado. Buona fortuna per la missione. Se non ci vedremo al prossimo allenamento, saprò che sei partito-.
Le parole fuoriuscirono come ghiaccio dalle mia labbra, ustionanti eppure così fredde da sconvolgere persino me stessa. Sentii i passi di Fobos alle mie spalle. Avanzava nella mia direzione con le mani affondate nelle tasche dei pantaloni.
-Non fare così-, disse poi, raggiungendomi e affiancandomi. Evitai il suo sguardo e sollevai il mento con sfrontatezza.
-Non faccio proprio nulla. Ci si vede-, dissi ponendo la mano sul petto come un qualsiasi soldato alle sue dipendenze. In fondo era questo il messaggio: io ero uguale a qualunque altra matricola, non importava che i nostri occhi fossero così simili.
- Ci si vede-, ripeté Fobos, abbassando il viso al mio livello. Vidi i suoi capelli scivolarmi sopra il capo e oscurarmi la visuale come una pioggia di smog. Poi le sue labbra sfiorarono appena la mia fronte increspata dalla frustrazione. Spalancai gli occhi e rimasi pietrificata, mentre l’Ibrido risaliva a lunghi passi la collina.

 

 

 

-Questa sarebbe la sua richiesta? -.
Gli occhi di Cronyos si illuminarono e le pupille si restrinsero fino a diventare come le capocchie di uno spillo.
Annuii, statuaria e con la mano sul cuore mentre accanto a me Galeno faceva lo stesso.
Eravamo stati tutte e due convocati nell’ufficio dello Stratega dopo la richiesta che avevamo avanzato. L’idea era stata mia, ma Galeno mi aveva sin da subito appoggiata.
-Quindi voi ritenete di poter costruire in loco dei sistemi di rinforzo della breccia? E’ questo che mi state dicendo? -.
Intrecciò le dita di fronte al volto, con aria meditabonda. Probabilmente dubitava di noi e ne aveva assolutamente ragione. Almeno per quanto riguardava me.
-Il nostro scopo è evitare che ci siano ulteriori attacchi visto che il Vallum ora è difeso solamente da uomini. Che ci riusciamo o meno, poco conta. L’importante è fare vedere ai sediziosi che si sta già operando per arginarli. Senza contare che degli uomini in più possono solo che aiutare in queste situazioni. Possiamo, inoltre, provvedere a recuperare i pezzi dei Molossi prima che vengano intercettati dal Mercato Mauriano e sfruttarli per delle nostre creazioni-.
La voce di Galeno tremava appena. Era un uomo pacifico e quieto, per nulla intenzionato a sfidare le alte sfere e con un profondo timore per chiunque avesse chiuso fra le mani il suo Destino. Non potevamo essere più diversi. Guardai Cronyos dritto negli occhi, sforzandomi per quanto potevo, di sembrare nel pieno delle mie capacità. Era il momento di giocarsela, di dimostrare al mondo che razza di guerriera io fossi.
Sorrisi e appoggiai sulla scrivania dello Stratega l’Olomaker, un banale apparecchio in grado proiettare qualsiasi documento, immagine o video in tre dimensioni. Questi si sporse in avanti osservando un’ampia panoramica del Vallum e dei suoi quartieri esterni. Con il dito avvicinai la visuale e, con un risucchio di fronte ai suoi occhi, si materializzò la breccia.
-Solo un’ultima cosa-. I miei occhi luccicarono, mentre mordevo l’interno delle guance. Quella era l’ultima spinta. Sapevo che Cronyos attendeva solo di vedere di cosa fossi capace per poi tramutarmi in un’arma a suo vantaggio. Perciò, lanciata l’esca, dovevo solo aspettare che il pesce abboccasse.
- Sono in grado di creare degli scudi energetici, sfruttando la materia e la mia bioenergia. E’ qualcosa che ho appreso al Tempio e ora credo possa tornarci utile. Se ci fosse un attacco potrei facilmente evitare che ulteriori nemici attraversino la feritoia minacciando la salute del Governo-.
- Questo non è un potere che dovrebbero manifestare soltanto le Silvane? -.
 Inspirai: qui me la giocavo del tutto. Stavo per rivelare il mio segreto più grande, quello che persino Iatro mi aveva chiesto di tenere per me. Era la scelta giusta? Non potevo saperlo, ma dovevo tentare.
-Sono in grado di fare quasi tutto quello che fanno le mie compagne, e non solo le Oscure. Ho una capacità di apprendimento innata per la magia-.
Non aggiunsi altro per evitare che la situazione portasse Cronyos in vantaggio e me in svantaggio.
Vidi l’uomo riflette, mentre un lieve sorriso gli piegava gli angoli della bocca. Credo di sapere cosa stesse pensando in quel momento. Lui sapeva già tramite la Sacerdotessa che io ero una Polivalente, forse conosceva persino il mio passato. C’era un accordo fra loro, lo avevo capito fin dal primo giorno in cui li avevo visti assieme. C’era una luce di intesa nei loro occhi, una luce che sembrava urlare alleanza.  Quindi, se Cronyos sapeva di me fin dal principio, ma aveva taciuto, era perché sperava che fossi io stessa a rivelarmi. Solo allora avrebbe potuto dire che ero sua, che mi aveva ammaestrata e che mi ero trasformata in uno dei suoi fedeli cani.
-Che ne pensa? -, dissi infine, rendendo il mio tono di voce il più servile possibile.
-Credo che lei e Galeno dobbiate assolutamente partire. Dispongo che con voi venga metà del Reggimento dei Biotecnici. Come pensate di spostarvi? I carri e le camionette disponibili sono state tutte assegnate ai Ruggenti-.
Era chiaro che voleva testare la nostra preparazione. In quanto soldati dovevamo essere in grado di calcolare rapidamente le variabili della situazione, non indulgere in distrazioni inutili e fornire una soluzione a problemi che nemmeno ci eravamo posti. Grazie agli Dei, avevo una mente scattante e dinamica.
-Le moto-, dissi, prima che Galeno ci facesse fare la figura degli incompetenti. - Il Reggimento dei Segugi è quasi totalmente presente in Accademia e non ha alcuna missione in attivo. Potremmo prelevare i loro mezzi. A maggior ragione, essendo più veloci, in caso di un attacco da parte dei Mauriani, potremmo facilmente difendere le camionette con le armi e il combustibile, oltre che i convogli dei viveri-.
-Credo che abbiate pensato a tutto. Vi do il via libera-.
Esultai interiormente. Poi guardai Galeno e con gli occhi gli feci segno che era ora di andarsene.
-Ah, Custode-, disse Cronyos poco prima che varcassimo di nuovo le porte del suo ufficio.
-Mi dica…-.
-Lei sarà a capo della missione. La chiameremo Operazione Medicamenta ed avrà codice arancione. Partirete entro due ore. -
Annuii, seria. Poi finalmente evasi dalla sala circolare assieme a Galeno, tirando un enorme sospiro di sollievo. Mi sentivo euforica e soddisfatta. Non solo ero riuscita a farmi mandare in missione con Fobos, ma addirittura ero stata messa a capo di un’Operazione. Non vedevo l’ora.
-Sei stata molto brava, davvero…-, mormorò Galeno dandomi una sonora pacca sulla schiena. Era veramente ammirato e camminava ad un passo dal suolo. In effetti, mi aveva rivelato che erano anni che non veniva mandato in spedizione, a causa del troppo lavoro nei laboratori. Si era dimenticato come era il mondo là fuori ed era rimasto intrappolato in un mondo fittizio di provette, alambicchi e Cavallette. Ora finalmente poteva tornare sul campo, scoprire come era andata avanti la Terra senza di lui e finalmente scorgere di nuovo quei piccoli miracoli della civiltà che lo avevano spinto a intraprendere quel lavoro.
-Vado a prendere un po’ di tamponi, attrezzature e provette. Poi riferirò ai ragazzi che verranno stanziati. Ne saranno felici-.
Annuii con un sorriso, poi Galeno si congedò da me con il saluto militare. Mi parve una cosa molto strana essendo lui un mio superiore, ma forse, ora che ero al comando di una missione, potevo dettare le mie leggi.
Mentre ero immersa nei miei pensieri, Dyte mi superò a passo svelto, il volto serio e una teca piena di esoscheletri alle sue spalle. Sembrò non notarmi e dovetti chiamarla più volte prima che si voltasse.
-Scusami, Astreya, ma ero assorta nei miei pensieri. I preparativi ci stanno prendendo molto-.
Dyte era l’unica fra le Custodi ad aver scelto il Reggimento dei Ruggenti. Non aveva avuto tentennamenti sul momento, né remore a posteriori. Si era perfettamente calata nel ruolo di soldato e, se non l’avessi conosciuta prima, avrei certamente detto che una donna del suo calibro e della sua tempra non avrebbe mai potuto essere una Custode.
-Rallenta. Cronyos ha dato nuovi ordini. Ci uniamo anche noi alla missione-, mormorai, attendendo di scoprire che tipo di reazione avrebbe avuto. Per tutta risposta, Dyte, la Custode sempre distante e di malumore, si allungò per abbracciarmi e ridacchiò felice.
-Sapevo che prima o poi avresti tirato fuori le palle! -.
Risi anche io: era sempre così diretta che era impossibile offendersi per le sue considerazioni.
-Immaginavo avresti apprezzato. Mi hanno messo a capo dell’Operazione Medicamenta, un’azione a vostro supporto. Cronyos ci farà avere le moto tra qualche ora, perciò non abbiate fretta e preparatevi con la dovuta calma-.
Dyte sollevò la mano e la appoggiò al petto. Vedevo di nuovo quella luce nei suoi occhi, la stessa che avevo visto quando, finalmente libera dal Tempio, si era rasata i capelli da sola.
Le risposi lievemente imbarazzata, poi mi allontanai per sbrigare le ultime faccende. Dovevo essere metodica e fare una check list di ciò che dovevo portare e ricordare. La prima voce del mio elenco era certamente salutare Aracne. Fu più difficile del previsto perché la donna, quando seppe che sarei stata stanziata al Vallum, scoppiò a piangere, pregandomi di ripensarci e di rimanere lì al sicuro. Non pretendevo che capisse il desiderio da cui ero spinta, quell’anelito all’avventura e alla conoscenza che mi pressava, ma davvero non potevo attendere la fine dei miei giorni là dentro, tra ghiaia e allenamenti. Per cui alla fine la Tessitrice dovette arrendersi, abbassando il capo e stringendomi le mani.
-Ricorda l’immagine che ho intessuto. Voglio che ti rimanga bene di fronte agli occhi-, sussurrò, socchiudendo le ciglia e fissando la pallida cicatrice che Upokrates mi aveva disegnato sul polso al momento dell’inserimento del chip.
-Lo farò. A presto, Aracne-, la salutai e schizzai via per i corridoi. Non avevo nessun altro da salutare ad eccezione di Eracleo. Lo vidi seduto a uno dei tavoli del refettorio, ma non riuscii a muovere nemmeno un passo nella sua direzione. Se gli avessi detto cosa avevo fatto, quale contorto piano avessi organizzato, certamente non solo mi avrebbe rimproverata, ma avrebbe tentato di fermarmi.
Quindi, decisi di non accomiatarmi da lui e, rapida, uscii nuovamente dall’edificio, dirigendomi verso il blocco dell’armeria. Al suo interno, fra teche e teche di armi, Galeno, sopraggiunto assieme a Deimos, stava leggendo le disposizioni di Cronyos. A quanto potevo vedere saremmo stati più che armati. Due katane ultra leggere da schiena, due piccole pistole da fondina e aghi avvelenati, questi ultimi generosa donazione dei Segugi.
-Astreya! -, mi chiamò Deimos, facendomi segno di avvicinarmi a loro. Li raggiunsi a grandi passi, guardando a destra e sinistra il continuo via vai di soldati. Sembravano tutti eccitati, persino chi doveva solo aiutare a spostare le moto o armare i carri.
- Sono molto fiero di lei. Lo Stratega mi ha messo al corrente della sua brillante idea-.
-Grazie, ma devo tutto alla disponibilità del qui presente-, ammisi, indicando con l’indice l’uomo accanto a me, imbarazzato.
-Ad ogni modo sono contento che ci affiancherete. Siamo più tranquilli così-.
Sorrisi, provando una katana dal filo rosso e lucente. Era meravigliosa, con un manico intarsiato da fiori di ciliegio neri e una sutura color rubino che ne sigillava la guaina rivestita di seta.
-Posso avere questa? -, chiesi, calamitata dalla bellezza di quella spada, così diversa da tutte le altre armi in quel bunker. Un po’ come me.
-Certamente. Le consiglio, inoltre, di pensare alla distribuzione di uomini e carri con il capo dell’Operazione Diga-.
- E chi sarebbe? -, domandai febbricitante, mentre attendevo che i due mi dessero una risposta. Purtroppo non ce ne fu bisogno, perché il capo operazione si presentò per conto suo, in maniera del tutto anomala e molto colorita.
-Che cosa ci fai tu, qui? -.
Non appena udii la voce, alzai gli occhi al Cielo. Perché a me? Perché?!
Fobos era sopraggiunto alle nostre spalle come un ninja silenzioso. Indossava uno degli Esoscheletri di proprietà dell’Esercito e con quello addosso sembrava davvero un mostro. Era molto più imponente e sinistro, rafforzato da una tuta in Kevlar con inserti metallici e un’imbracatura a forma di costato stretta attorno al torace.
-Sono il capo dell’Operazione Medicamenta, di supporto alla vostra-, risposi seria, osservando con sempre maggiore apprensione il tipo di scheletro che Fobos indossava. Sembrava molto più pesante rispetto alle altre tute sostenitrici e il volto del giovane era imperlato di sudore. Non doveva essere una passeggiata muoversi con quella cosa attaccata, anche perché per farla funzionare a comando cerebrale, bisognava che gli aghi lungo il sostegno della schiena penetrassero a fondo nel midollo, sfruttando il cervelletto e lo spazio fra le vertebre. Pensai alla schiena del bambino che avevo visto nella mia visione e mi chiesi se ora fosse ricoperta di cicatrici.
- Impossibile-, disse Fobos semplicemente, spostando gli occhi da Galeno a Deimos e viceversa.
Nessuno era intenzionato a rispondergli, forse erano spaventati all’idea che l’Ibrido potesse dare fuori di matto. Quindi ci pensai io.
-Possibile, invece. In ogni caso credo che la soluzione migliore per il viaggio sia disporre un gruppo di biotecnici che funga da avanguardia e tenga sotto controllo l’eventuale comparsa di nemici. Inoltre, dovremmo prendere in considerazione anche una retrovia e a questo proposito proporrei che sia Galeno, appoggiato da cinque uomini almeno, ad occupare quella posizione. Essendo vicino ai carri, nel caso di guasto o qualsiasi inconveniente, potrà rendersi subito disponibile alla riparazione o comunque sarà vicino alle attrezzature necessarie-.
Deimos mi guardava con gli occhi sgranati, mentre Galeno sorrideva sotto i baffi. Mi sentivo sottovalutata: pensavano che avessi dormito durante gli allenamenti? Avevo seguito tutto nei minimi dettagli, avevo preso appunti e fatto persino degli schizzi. Dovevo prepararmi ad un momento come questo. Dovevo dimostrare di essere non solo un donna capace, ma anche un soldato insostituibile.
-E per i fianchi cosa consiglia? -. Deimos era intervenuto per darmi una mano, essendosi accorto dello sguardo furioso che Fobos mi stava indirizzando. Era impossibile non notarlo: le sue iridi incendiarie riflettevano il mio volto, stritolato da un mare di odio.
-Non abbiamo uomini a sufficienza per coprire i fianchi, ma siamo abbastanza veloci da raggiungerli in caso di attacco. Propongo quindi che le camionette trasportanti i membri del Reggimento dei Ruggenti si dispongano a triangolo, una figura che consentirà ai gruppi dietro di tenere sotto controllo quelli di fronte a loro, senza lasciare sguarnita di uomini la sezione di Galeno-
-E tu, donna, dove starai? -, sibilò Fobos, facendo fischiare l’aria fra i denti.
-Io mi disporrò a capo dell’avanguardia, a qualche chilometro da voi, così in caso di attacco, sarò in grado di creare uno scudo energetico-.
Deimos e Fobos mi guardarono confusi, poi l’Ibrido scoppiò a ridere di gusto.
-Prima di tutto devo ancora riuscire a figurarmi la tua persona che guida una moto, e seconda cosa, scudi energetici? Fai sul serio? -.
Sollevai un sopracciglio irritata, ma per quanto volessi strozzare Fobos, non potevo fare altro che comprendere le sue perplessità. Mi decisi, allora, a raccontare la stessa solfa che avevo rifilato a Cronyos. Deimos sembrò convinto alla fine del mio discorso, mentre l’Ibrido pareva decisamente più perplesso di prima.
-Non mi importa se sai fare le bolle o sparare onde dal culo, quello che so è che non ti voglio lontana da me-.
Galeno si intromise subito, prendendo le mie difese: - Scusi, Generale, ma non credo che Astreya sia un pericolo per noi. Ha mostrato attaccamento alla causa e di certo ha conquistato il favore dello Stratega-.
-Senta, Galeno-, lo interruppe Fobos, puntandogli un dito contro il petto e guardandolo dall’alto al basso con un’espressione minacciosa. – non so come funzioni dalle sue parti, ma dalle mie non si lascia in cima alla piramide una matricola appena svezzata. Tempo cinque secondi e ci ritroveremo il suo cadavere sotto le ruote-.
Deimos annuì serio. Per quanto poco ortodosso, il discorso di Fobos era stato più convincente del previsto. Peccato che io non volessi assolutamente mollare l’osso.
-Non ho intenzione di rimanere nella sua ombra, Generale. Non sono una bambina e nemmeno più una Custode ormai; non ho bisogno di attenzioni particolari. E sono certa che il mio cadavere non rotolerà da nessuna parte senza un buon motivo, non si preoccupi-.
Di fronte a tanta veemenza anche Fobos poteva fare ben poco. Mi seguì con lo sguardo finchè non fui fuori, là dove mi attendeva una lucida moto costituita da celle fotovoltaiche azzurro cobalto. Ne accarezzai il profilo sinuoso e ne studiai le possenti ruote intagliate. Veicoli del genere non li avevo mai guidati se non all’interno di vaghe esercitazioni generali, ma ero convinta che io e quell’ammasso di tecnologia avremmo avuto un buon feeling. Sorrisi e mi sistemai le katane sulle spalle; quella rossa come i rubini la lasciai esterna cosicché mi distinguesse da qualunque altro soldato. Poi montai sulla moto, posizionando le mani e sentendo il manubrio scricchiolare sotto ai guanti in pelle. Era una sensazione di indipendenza e libertà che non avevo mai provato e il mio mostro se ne stava abbeverando smanioso, come fosse la dolce ambrosia degli Dei. Feci girare le chiavi e la moto cominciò a vibrare sotto di me, famelica e pronta a divorare la strada. Il suo rombo, nonostante si nutrisse di elettricità, era meraviglioso e il calore che irraggiava dalle celle mi fondeva la testa come fosse una droga.
Mi mancava soltanto il casco da calzare, perciò cominciai a raccogliere i capelli e a intesserli in una treccia più stretta del solito. Infine, posizionai la sciarpa che mi avrebbe protetta dal vento e dal pietrisco, e sopra vi adagiai quella specie di elmo.  
-Sei una stupida-.
Fobos mi aveva raggiunto e aveva posizionato le mani sul manubrio del veicolo, proprio di fronte a me. Indossava ancora quella mostruosità e la sua voce fremeva di rabbia. Eppure la sua aura era di un annichilente giallo paglierino. Il colore della paura.
-Non puoi essere seria! Lo vuoi capire che là fuori tutti questi uomini dipendono da me?! Non potrò starti dietro! Non potrò proteggerti! -.
Mi sorpresi e per poco la moto non mi scivolò fra le mani. Fobos era in panico.
-Lo vuoi capire che anche io sono un soldato? -, mormorai, mentre gli occhi cupi di Fobos scivolavano lentamente attraverso la visiera iridescente del casco e mi trapassavano il cuore.
-Spero tu sappia quello che fai…-, si limitò a dire. Poi le sue nocche lentamente si rilassarono, le sue mani mollarono la presa e tutto il suo corpo si spostò a lato, lasciandomi libera. Di fronte a me vedevo i Reggimenti schierarsi nella posizione che avevo suggerito, trepidanti e smaniosi di gloria. Vedevo il cancello aperto e le strade della mia città snocciolarsi tortuose come un miraggio di libertà e redenzione. Vedevo la mia via di fuga da tutto, persino da me stessa.
-Fobos-, chiamai, e vidi il volto del ragazzo girarsi appena, mentre raccoglieva i capelli in una lunga coda morbida.
-Non ti sarò di peso. Ti renderò orgoglioso di me-.
Il volto di Fobos si deformò appena, mostrandomi un’espressione che non pensavo i suoi lineamenti potessero assumere. Era sorpreso e in qualche modo lusingato. Intravedevo un lieve rossore arrampicarglisi dal collo fin sulle orecchie, nonostante la sua espressione contenuta, cercasse di spegnerlo.
-Sei arrossito-, ridacchiai, assaporandomi la vendetta.
 Lui digrignò i denti facendo scricchiolare gli anellini. Poi, raccolta tutta la sua autostima perduta, se ne andò imprecando, con una sigaretta fra le labbra.

   
 
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