Finalmente
riuscii a trovarlo. Se ne stava in piedi di fronte alla pira ormai
spenta,
mentre il lento incresparsi delle onde trasportava a riva le ultime
lanterne
aranciate. C’era profumo di incenso e mirra
nell’aria e le lucciole
rischiaravano il blu profondo delle acque.
-Fobos!
-, gridai, lanciandomi verso di lui e afferrandomi alla manica della
sua giacca.
Mi facevano male i piedi e sentivo le ginocchia tremare. Avevo corso
per tutto
il tempo, zigzagando tra un volto famigliare e l’altro alla
ricerca degli occhi
del lupo. Ed ora eccoli lì, di fronte a me, che guardavano
le ceneri di una
vita che ormai non c’era più.
-Fobos,
che ci fai ancora qui? -.
L’Ibrido
si voltò nella mia direzione, con estrema lentezza come se
muovere il collo gli
costasse un immenso sforzo. In quel momento mi pareva distante mille
anni luce
da me, come se stessimo cercando di comunicare da due pianeti diversi.
-Dovresti
tornare in Accademia. Fa freddo-, commentò pacatamente,
mentre una densa
nuvoletta di vapore gli fuoriusciva dalle labbra.
-Quando
pensavi di dirmi che verrai spedito al Vallum? -.
Non
ero riuscita a trattenermi. Sentivo le guance arrossate e sferzate dal
vento
freddo, la lingua intorpidita e la vista oscurata da mille macchioline
colorate. Non riuscivo davvero a credere di aver corso così
tanto per cercare
una persona che evidentemente non voleva nemmeno vedermi.
-Non
pensavo affatto di dirtelo-, mormorò.
Mi
diede le spalle, facendo qualche passo in direzione del limaccio sulla
spiaggetta. Gli anfibi sprofondavano nel fango, nonostante la risacca
cercasse
di lavarli ad ogni passaggio.
-Stai
scherzando, vero? -, sputai fuori, avvelenata. Non sapevo
perché ma il suo
trascurarmi mi faceva innervosire e intristire allo stesso tempo. Tolsi
i
sandali e lo raggiunsi vicino alla sponda del fiume. Mi aggrappai al
ramo di un
albero precario e sollevai la veste fino alle ginocchia per evitare di
sporcarla. Era bianca e impalpabile come la lieve foschia che aveva
cominciato
ad aleggiare ad un nonnulla dallo specchio delle acque. Fobos
seguì con la coda
dell’occhio i miei movimenti, indugiando per un attimo di
troppo sul colorito
lunare delle mie gambe sottili e dalle caviglie strette. Poi
tornò nuovamente a
fissare di fronte a sé.
-Non
scherzo mai, matricola. Dovresti saperlo-.
-Non
puoi andartene-.
Fobos
rise appena, spaventando un gufo che con i suoi occhioni giallo limone
ci
spiava dalla cima di una betulla spoglia e contorta. Vidi gli aguzzi
denti
sfiorargli le labbra e il naso arricciarsi appena.
-E
cosa dovrei fare? Ignorare gli ordini? -.
-Dovresti
portarmi con te-, chiarii seria. Non poteva lasciarmi indietro. Noi
avevamo un
Debito ed ero intenzionata a farglielo rispettare che lui lo volesse o
meno.
Volevo scoprire cosa stesse accadendo al Vallum, quale segreto si
celasse
dietro alle parole di Iatro e chi fosse quel membro del Concilium di
cui non
avevo ancora scoperto il nome. E poi c’era quella parte di me
che non voleva
lasciare Fobos, che voleva trattenerlo per qualche inspiegabile motivo.
-Non
se ne parla. Questa è una faccenda seria-.
-Anche
io sono seria-, rimarcai. –Noi abbiamo un Debito-.
Fobos
sollevò il viso, lasciando che la Luna gli baciasse il volto
e lo illuminasse
di una luce quasi magica.
-Sei
fin troppo testarda. Allora, mettiamola così. Se ti portassi
con me, non
faresti altro che rallentarmi. Dovrei continuamente proteggerti e mi
distrarresti
dalla missione. Non potrei fare un passo senza controllarti, non un
respiro.
Vuoi davvero che ciò accada? Vuoi che muoia? -.
Non
risposi. Non avevo mai pensato che potessi essere un peso per Fobos,
non dopo
che mi aveva presa con sé come sua allieva. Pensavo avesse
visto anche solo un
accenno di potenziale in me, una scintilla di talento, e invece ora
scoprivo
che ero soltanto un fastidio.
-E
va bene, non rispondere. Non ce n’è bisogno-,
aggiunse lui, con voce
amareggiata.
Non
è che non volessi rispondere, è che non ci
riuscivo. Sentivo del filo spinato
nella gola e dei chiodi sulla lingua. Indietreggiai, senza dire una
parola,
infilando i sandali e facendo ridiscendere la veste fino a sfiorare la
terra.
Non mi importava cosa dicesse Fobos, io di certo sarei partita con lui.
Mi
sarei iscritta anche all’albo dei disertori se fosse stato
necessario.
-Me
ne vado. Buona fortuna per la missione. Se non ci vedremo al prossimo
allenamento, saprò che sei partito-.
Le
parole fuoriuscirono come ghiaccio dalle mia labbra, ustionanti eppure
così
fredde da sconvolgere persino me stessa. Sentii i passi di Fobos alle
mie
spalle. Avanzava nella mia direzione con le mani affondate nelle tasche
dei
pantaloni.
-Non
fare così-, disse poi, raggiungendomi e affiancandomi.
Evitai il suo sguardo e
sollevai il mento con sfrontatezza.
-Non
faccio proprio nulla. Ci si vede-, dissi ponendo la mano sul petto come
un
qualsiasi soldato alle sue dipendenze. In fondo era questo il
messaggio: io ero
uguale a qualunque altra matricola, non importava che i nostri occhi
fossero
così simili.
-
Ci si vede-, ripeté Fobos, abbassando il viso al mio
livello. Vidi i suoi
capelli scivolarmi sopra il capo e oscurarmi la visuale come una
pioggia di
smog. Poi le sue labbra sfiorarono appena la mia fronte increspata
dalla
frustrazione. Spalancai gli occhi e rimasi pietrificata, mentre
l’Ibrido
risaliva a lunghi passi la collina.
-Questa
sarebbe la sua richiesta? -.
Gli
occhi di Cronyos si illuminarono e le pupille si restrinsero fino a
diventare
come le capocchie di uno spillo.
Annuii,
statuaria e con la mano sul cuore mentre accanto a me Galeno faceva lo
stesso.
Eravamo
stati tutte e due convocati nell’ufficio dello Stratega dopo
la richiesta che
avevamo avanzato. L’idea era stata mia, ma Galeno mi aveva
sin da subito
appoggiata.
-Quindi
voi ritenete di poter costruire in loco dei sistemi di rinforzo della
breccia?
E’ questo che mi state dicendo? -.
Intrecciò
le dita di fronte al volto, con aria meditabonda. Probabilmente
dubitava di noi
e ne aveva assolutamente ragione. Almeno per quanto riguardava me.
-Il
nostro scopo è evitare che ci siano ulteriori attacchi visto
che il Vallum ora
è difeso solamente da uomini. Che ci riusciamo o meno, poco
conta. L’importante
è fare vedere ai sediziosi che si sta già
operando per arginarli. Senza contare
che degli uomini in più possono solo che aiutare in queste
situazioni. Possiamo,
inoltre, provvedere a recuperare i pezzi dei Molossi prima che vengano
intercettati dal Mercato Mauriano e sfruttarli per delle nostre
creazioni-.
La
voce di Galeno tremava appena. Era un uomo pacifico e quieto, per nulla
intenzionato a sfidare le alte sfere e con un profondo timore per
chiunque
avesse chiuso fra le mani il suo Destino. Non potevamo essere
più diversi.
Guardai Cronyos dritto negli occhi, sforzandomi per quanto potevo, di
sembrare
nel pieno delle mie capacità. Era il momento di giocarsela,
di dimostrare al
mondo che razza di guerriera io fossi.
Sorrisi
e appoggiai sulla scrivania dello Stratega l’Olomaker, un
banale apparecchio in
grado proiettare qualsiasi documento, immagine o video in tre
dimensioni.
Questi si sporse in avanti osservando un’ampia panoramica del
Vallum e dei suoi
quartieri esterni. Con il dito avvicinai la visuale e, con un risucchio
di
fronte ai suoi occhi, si materializzò la breccia.
-Solo
un’ultima cosa-. I miei occhi luccicarono, mentre mordevo
l’interno delle
guance. Quella era l’ultima spinta. Sapevo che Cronyos
attendeva solo di vedere
di cosa fossi capace per poi tramutarmi in un’arma a suo
vantaggio. Perciò,
lanciata l’esca, dovevo solo aspettare che il pesce
abboccasse.
-
Sono in grado di creare degli scudi energetici, sfruttando la materia e
la mia bioenergia.
E’ qualcosa che ho appreso al Tempio e ora credo possa
tornarci utile. Se ci
fosse un attacco potrei facilmente evitare che ulteriori nemici
attraversino la
feritoia minacciando la salute del Governo-.
-
Questo non è un potere che dovrebbero manifestare soltanto
le Silvane? -.
Inspirai: qui me la
giocavo del tutto. Stavo
per rivelare il mio segreto più grande, quello che persino
Iatro mi aveva
chiesto di tenere per me. Era la scelta giusta? Non potevo saperlo, ma
dovevo
tentare.
-Sono
in grado di fare quasi tutto quello che fanno le mie compagne, e non
solo le
Oscure. Ho una capacità di apprendimento innata per la
magia-.
Non
aggiunsi altro per evitare che la situazione portasse Cronyos in
vantaggio e me
in svantaggio.
Vidi
l’uomo riflette, mentre un lieve sorriso gli piegava gli
angoli della bocca.
Credo di sapere cosa stesse pensando in quel momento. Lui sapeva
già tramite la
Sacerdotessa che io ero una Polivalente, forse conosceva persino il mio
passato. C’era un accordo fra loro, lo avevo capito fin dal
primo giorno in cui
li avevo visti assieme. C’era una luce di intesa nei loro
occhi, una luce che
sembrava urlare alleanza. Quindi,
se
Cronyos sapeva di me fin dal principio, ma aveva taciuto, era
perché sperava
che fossi io stessa a rivelarmi. Solo allora avrebbe potuto dire che
ero sua,
che mi aveva ammaestrata e che mi ero trasformata in uno dei suoi
fedeli cani.
-Che
ne pensa? -, dissi infine, rendendo il mio tono di voce il
più servile
possibile.
-Credo
che lei e Galeno dobbiate assolutamente partire. Dispongo che con voi
venga
metà del Reggimento dei Biotecnici. Come pensate di
spostarvi? I carri e le
camionette disponibili sono state tutte assegnate ai Ruggenti-.
Era
chiaro che voleva testare la nostra preparazione. In quanto soldati
dovevamo
essere in grado di calcolare rapidamente le variabili della situazione,
non
indulgere in distrazioni inutili e fornire una soluzione a problemi che
nemmeno
ci eravamo posti. Grazie agli Dei, avevo una mente scattante e
dinamica.
-Le
moto-, dissi, prima che Galeno ci facesse fare la figura degli
incompetenti. -
Il Reggimento dei Segugi è quasi totalmente presente in
Accademia e non ha
alcuna missione in attivo. Potremmo prelevare i loro mezzi. A maggior
ragione,
essendo più veloci, in caso di un attacco da parte dei
Mauriani, potremmo
facilmente difendere le camionette con le armi e il combustibile, oltre
che i
convogli dei viveri-.
-Credo
che abbiate pensato a tutto. Vi do il via libera-.
Esultai
interiormente. Poi guardai Galeno e con gli occhi gli feci segno che
era ora di
andarsene.
-Ah,
Custode-, disse Cronyos poco prima che varcassimo di nuovo le porte del
suo
ufficio.
-Mi
dica…-.
-Lei
sarà a capo della missione. La chiameremo Operazione
Medicamenta ed avrà codice
arancione. Partirete entro due ore. -
Annuii,
seria. Poi finalmente evasi dalla sala circolare assieme a Galeno,
tirando un
enorme sospiro di sollievo. Mi sentivo euforica e soddisfatta. Non solo
ero
riuscita a farmi mandare in missione con Fobos, ma addirittura ero
stata messa
a capo di un’Operazione. Non vedevo l’ora.
-Sei
stata molto brava, davvero…-, mormorò Galeno
dandomi una sonora pacca sulla
schiena. Era veramente ammirato e camminava ad un passo dal suolo. In
effetti,
mi aveva rivelato che erano anni che non veniva mandato in spedizione,
a causa
del troppo lavoro nei laboratori. Si era dimenticato come era il mondo
là fuori
ed era rimasto intrappolato in un mondo fittizio di provette,
alambicchi e
Cavallette. Ora finalmente poteva tornare sul campo, scoprire come era
andata
avanti la Terra senza di lui e finalmente scorgere di nuovo quei
piccoli
miracoli della civiltà che lo avevano spinto a intraprendere
quel lavoro.
-Vado
a prendere un po’ di tamponi, attrezzature e provette. Poi
riferirò ai ragazzi
che verranno stanziati. Ne saranno felici-.
Annuii
con un sorriso, poi Galeno si congedò da me con il saluto
militare. Mi parve
una cosa molto strana essendo lui un mio superiore, ma forse, ora che
ero al
comando di una missione, potevo dettare le mie leggi.
Mentre
ero immersa nei miei pensieri, Dyte mi superò a passo
svelto, il volto serio e
una teca piena di esoscheletri alle sue spalle. Sembrò non
notarmi e dovetti
chiamarla più volte prima che si voltasse.
-Scusami,
Astreya, ma ero assorta nei miei pensieri. I preparativi ci stanno
prendendo
molto-.
Dyte
era l’unica fra le Custodi ad aver scelto il Reggimento dei
Ruggenti. Non aveva
avuto tentennamenti sul momento, né remore a posteriori. Si
era perfettamente
calata nel ruolo di soldato e, se non l’avessi conosciuta
prima, avrei
certamente detto che una donna del suo calibro e della sua tempra non
avrebbe
mai potuto essere una Custode.
-Rallenta.
Cronyos ha dato nuovi ordini. Ci uniamo anche noi alla missione-,
mormorai,
attendendo di scoprire che tipo di reazione avrebbe avuto. Per tutta
risposta,
Dyte, la Custode sempre distante e di malumore, si allungò
per abbracciarmi e
ridacchiò felice.
-Sapevo
che prima o poi avresti tirato fuori le palle! -.
Risi
anche io: era sempre così diretta che era impossibile
offendersi per le sue
considerazioni.
-Immaginavo
avresti apprezzato. Mi hanno messo a capo dell’Operazione
Medicamenta,
un’azione a vostro supporto. Cronyos ci farà avere
le moto tra qualche ora,
perciò non abbiate fretta e preparatevi con la dovuta calma-.
Dyte
sollevò la mano e la appoggiò al petto. Vedevo di
nuovo quella luce nei suoi
occhi, la stessa che avevo visto quando, finalmente libera dal Tempio,
si era
rasata i capelli da sola.
Le
risposi lievemente imbarazzata, poi mi allontanai per sbrigare le
ultime
faccende. Dovevo essere metodica e fare una check list di
ciò che dovevo
portare e ricordare. La prima voce del mio elenco era certamente
salutare
Aracne. Fu più difficile del previsto perché la
donna, quando seppe che sarei
stata stanziata al Vallum, scoppiò a piangere, pregandomi di
ripensarci e di
rimanere lì al sicuro. Non pretendevo che capisse il
desiderio da cui ero
spinta, quell’anelito all’avventura e alla
conoscenza che mi pressava, ma
davvero non potevo attendere la fine dei miei giorni là
dentro, tra ghiaia e
allenamenti. Per cui alla fine la Tessitrice dovette arrendersi,
abbassando il
capo e stringendomi le mani.
-Ricorda
l’immagine che ho intessuto. Voglio che ti rimanga bene di
fronte agli occhi-,
sussurrò, socchiudendo le ciglia e fissando la pallida
cicatrice che Upokrates
mi aveva disegnato sul polso al momento dell’inserimento del
chip.
-Lo
farò. A presto, Aracne-, la salutai e schizzai via per i
corridoi. Non avevo
nessun altro da salutare ad eccezione di Eracleo. Lo vidi seduto a uno
dei
tavoli del refettorio, ma non riuscii a muovere nemmeno un passo nella
sua
direzione. Se gli avessi detto cosa avevo fatto, quale contorto piano
avessi
organizzato, certamente non solo mi avrebbe rimproverata, ma avrebbe
tentato di
fermarmi.
Quindi,
decisi di non accomiatarmi da lui e, rapida, uscii nuovamente
dall’edificio, dirigendomi
verso il blocco dell’armeria. Al suo interno, fra teche e
teche di armi,
Galeno, sopraggiunto assieme a Deimos, stava leggendo le disposizioni
di
Cronyos. A quanto potevo vedere saremmo stati più che
armati. Due katane ultra
leggere da schiena, due piccole pistole da fondina e aghi avvelenati,
questi
ultimi generosa donazione dei Segugi.
-Astreya!
-, mi chiamò Deimos, facendomi segno di avvicinarmi a loro.
Li raggiunsi a
grandi passi, guardando a destra e sinistra il continuo via vai di
soldati.
Sembravano tutti eccitati, persino chi doveva solo aiutare a spostare
le moto o
armare i carri.
-
Sono molto fiero di lei. Lo Stratega mi ha messo al corrente della sua
brillante idea-.
-Grazie,
ma devo tutto alla disponibilità del qui presente-, ammisi,
indicando con
l’indice l’uomo accanto a me, imbarazzato.
-Ad
ogni modo sono contento che ci affiancherete. Siamo più
tranquilli così-.
Sorrisi,
provando una katana dal filo rosso e lucente. Era meravigliosa, con un
manico
intarsiato da fiori di ciliegio neri e una sutura color rubino che ne
sigillava
la guaina rivestita di seta.
-Posso
avere questa? -, chiesi, calamitata dalla bellezza di quella spada,
così
diversa da tutte le altre armi in quel bunker. Un po’ come me.
-Certamente.
Le consiglio, inoltre, di pensare alla distribuzione di uomini e carri
con il
capo dell’Operazione Diga-.
-
E chi sarebbe? -, domandai febbricitante, mentre attendevo che i due mi
dessero
una risposta. Purtroppo non ce ne fu bisogno, perché il capo
operazione si
presentò per conto suo, in maniera del tutto anomala e molto
colorita.
-Che
cosa ci fai tu, qui? -.
Non
appena udii la voce, alzai gli occhi al Cielo. Perché a me?
Perché?!
Fobos
era sopraggiunto alle nostre spalle come un ninja silenzioso. Indossava
uno
degli Esoscheletri di proprietà dell’Esercito e
con quello addosso sembrava davvero
un mostro. Era molto più imponente e sinistro, rafforzato da
una tuta in Kevlar
con inserti metallici e un’imbracatura a forma di costato
stretta attorno al
torace.
-Sono
il capo dell’Operazione Medicamenta, di supporto alla
vostra-, risposi seria,
osservando con sempre maggiore apprensione il tipo di scheletro che
Fobos
indossava. Sembrava molto più pesante rispetto alle altre
tute sostenitrici e
il volto del giovane era imperlato di sudore. Non doveva essere una
passeggiata
muoversi con quella cosa attaccata, anche perché per farla
funzionare a comando
cerebrale, bisognava che gli aghi lungo il sostegno della schiena
penetrassero
a fondo nel midollo, sfruttando il cervelletto e lo spazio fra le
vertebre.
Pensai alla schiena del bambino che avevo visto nella mia visione e mi
chiesi
se ora fosse ricoperta di cicatrici.
-
Impossibile-, disse Fobos semplicemente, spostando gli occhi da Galeno
a Deimos
e viceversa.
Nessuno
era intenzionato a rispondergli, forse erano spaventati
all’idea che l’Ibrido
potesse dare fuori di matto. Quindi ci pensai io.
-Possibile,
invece. In ogni caso credo che la soluzione migliore per il viaggio sia
disporre
un gruppo di biotecnici che funga da avanguardia e tenga sotto
controllo l’eventuale comparsa di nemici. Inoltre, dovremmo
prendere in considerazione anche una retrovia
e a questo proposito proporrei che sia Galeno, appoggiato da cinque
uomini
almeno, ad occupare quella posizione. Essendo vicino ai carri, nel caso
di
guasto o qualsiasi inconveniente, potrà rendersi subito
disponibile alla
riparazione o comunque sarà vicino alle attrezzature
necessarie-.
Deimos
mi guardava con gli occhi sgranati, mentre Galeno sorrideva sotto i
baffi. Mi
sentivo sottovalutata: pensavano che avessi dormito durante gli
allenamenti?
Avevo seguito tutto nei minimi dettagli, avevo preso appunti e fatto
persino
degli schizzi. Dovevo prepararmi ad un momento come questo. Dovevo
dimostrare
di essere non solo un donna capace, ma anche un soldato insostituibile.
-E
per i fianchi cosa consiglia? -. Deimos era intervenuto per darmi una
mano,
essendosi accorto dello sguardo furioso che Fobos mi stava
indirizzando. Era
impossibile non notarlo: le sue iridi incendiarie riflettevano il mio
volto,
stritolato da un mare di odio.
-Non
abbiamo uomini a sufficienza per coprire i fianchi, ma siamo abbastanza
veloci
da raggiungerli in caso di attacco. Propongo quindi che le camionette
trasportanti i membri del Reggimento dei Ruggenti si dispongano a
triangolo,
una figura che consentirà ai gruppi dietro di tenere sotto
controllo quelli di
fronte a loro, senza lasciare sguarnita di uomini la sezione di Galeno-
-E
tu, donna, dove starai? -, sibilò Fobos, facendo fischiare
l’aria fra i denti.
-Io
mi disporrò a capo dell’avanguardia, a qualche
chilometro da voi, così in caso
di attacco, sarò in grado di creare uno scudo energetico-.
Deimos
e Fobos mi guardarono confusi, poi l’Ibrido
scoppiò a ridere di gusto.
-Prima
di tutto devo ancora riuscire a figurarmi la tua persona che guida una
moto, e
seconda cosa, scudi energetici? Fai sul serio? -.
Sollevai
un sopracciglio irritata, ma per quanto volessi strozzare Fobos, non
potevo
fare altro che comprendere le sue perplessità. Mi decisi,
allora, a raccontare
la stessa solfa che avevo rifilato a Cronyos. Deimos sembrò
convinto alla fine
del mio discorso, mentre l’Ibrido pareva decisamente
più perplesso di prima.
-Non
mi importa se sai fare le bolle o sparare onde dal culo, quello che so
è che
non ti voglio lontana da me-.
Galeno
si intromise subito, prendendo le mie difese: - Scusi, Generale, ma non
credo
che Astreya sia un pericolo per noi. Ha mostrato attaccamento alla
causa e di
certo ha conquistato il favore dello Stratega-.
-Senta,
Galeno-, lo interruppe Fobos, puntandogli un dito contro il petto e
guardandolo
dall’alto al basso con un’espressione minacciosa.
– non so come funzioni dalle
sue parti, ma dalle mie non si lascia in cima alla piramide una
matricola
appena svezzata. Tempo cinque secondi e ci ritroveremo il suo cadavere
sotto le
ruote-.
Deimos
annuì serio. Per quanto poco ortodosso, il discorso di Fobos
era stato più
convincente del previsto. Peccato che io non volessi assolutamente
mollare l’osso.
-Non
ho intenzione di rimanere nella sua ombra, Generale. Non sono una
bambina e
nemmeno più una Custode ormai; non ho bisogno di attenzioni
particolari. E sono
certa che il mio cadavere non rotolerà da nessuna parte
senza un buon motivo, non
si preoccupi-.
Di
fronte a tanta veemenza anche Fobos poteva fare ben poco. Mi
seguì con lo
sguardo finchè non fui fuori, là dove mi
attendeva una lucida moto costituita
da celle fotovoltaiche azzurro cobalto. Ne accarezzai il profilo
sinuoso e ne
studiai le possenti ruote intagliate. Veicoli del genere non li avevo
mai
guidati se non all’interno di vaghe esercitazioni generali,
ma ero convinta che
io e quell’ammasso di tecnologia avremmo avuto un buon
feeling. Sorrisi e mi
sistemai le katane sulle spalle; quella rossa come i rubini la lasciai
esterna cosicché
mi distinguesse da qualunque altro soldato. Poi montai sulla moto,
posizionando
le mani e sentendo il manubrio scricchiolare sotto ai guanti in pelle.
Era una
sensazione di indipendenza e libertà che non avevo mai
provato e il mio mostro
se ne stava abbeverando smanioso, come fosse la dolce ambrosia degli
Dei. Feci
girare le chiavi e la moto cominciò a vibrare sotto di me,
famelica e pronta a
divorare la strada. Il suo rombo, nonostante si nutrisse di
elettricità, era
meraviglioso e il calore che irraggiava dalle celle mi fondeva la testa
come fosse
una droga.
Mi
mancava soltanto il casco da calzare, perciò cominciai a
raccogliere i capelli
e a intesserli in una treccia più stretta del solito.
Infine, posizionai la
sciarpa che mi avrebbe protetta dal vento e dal pietrisco, e sopra vi
adagiai
quella specie di elmo.
-Sei
una stupida-.
Fobos
mi aveva raggiunto e aveva posizionato le mani sul manubrio del
veicolo,
proprio di fronte a me. Indossava ancora quella mostruosità
e la sua voce
fremeva di rabbia. Eppure la sua aura era di un annichilente giallo
paglierino.
Il colore della paura.
-Non
puoi essere seria! Lo vuoi capire che là fuori tutti questi
uomini dipendono da
me?! Non potrò starti dietro! Non potrò
proteggerti! -.
Mi
sorpresi e per poco la moto non mi scivolò fra le mani.
Fobos era in panico.
-Lo
vuoi capire che anche io sono un soldato? -, mormorai, mentre gli occhi
cupi di
Fobos scivolavano lentamente attraverso la visiera iridescente del
casco e mi
trapassavano il cuore.
-Spero
tu sappia quello che fai…-, si limitò a dire. Poi
le sue nocche lentamente si
rilassarono, le sue mani mollarono la presa e tutto il suo corpo si
spostò a
lato, lasciandomi libera. Di fronte a me vedevo i Reggimenti schierarsi
nella
posizione che avevo suggerito, trepidanti e smaniosi di gloria. Vedevo
il
cancello aperto e le strade della mia città snocciolarsi
tortuose come un
miraggio di libertà e redenzione. Vedevo la mia via di fuga
da tutto, persino
da me stessa.
-Fobos-,
chiamai, e vidi il volto del ragazzo girarsi appena, mentre raccoglieva
i
capelli in una lunga coda morbida.
-Non
ti sarò di peso. Ti renderò orgoglioso di me-.
Il
volto di Fobos si deformò appena, mostrandomi
un’espressione che non pensavo i
suoi lineamenti potessero assumere. Era sorpreso e in qualche modo
lusingato. Intravedevo
un lieve rossore arrampicarglisi dal collo fin sulle orecchie,
nonostante la
sua espressione contenuta, cercasse di spegnerlo.
-Sei
arrossito-, ridacchiai, assaporandomi la vendetta.
Lui
digrignò i denti facendo scricchiolare gli
anellini. Poi, raccolta tutta la sua autostima perduta, se ne
andò imprecando, con
una sigaretta fra le labbra.