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Autore: Yssis    17/07/2015    2 recensioni
Una manciata di parole, di pensieri, di ricordi... Una manciata di parole scritte su carta, in modo che restino.
{Troppo tardi… Troppo tardi… Sempre tardi, sempre il tempo…
Cos’è il tempo? Perché sfugge a questa velocità, e non ci permette di assaporare nulla di quanto più bello abbiamo? Ci fa solo soffrire di nostalgia, di rimpianti… Non ci potrebbe essere ancora tempo? Ancora un giorno, un’ora, un minuto, per abbracciarsi e dirsi con gli occhi quello che siamo costretti a scrivere.
Lo scritto resta, lo scritto resiste al tempo.
Forse per questo mi ha scritto, per vincere il tempo.
Per vincere il tempo che non abbiamo più, per vincere la distanza che ora ci separa.}
Un semplice tributo ai due personaggi che continuano ad infuocare il mio cuore di passione **
Genere: Generale, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Jude/Yuuto, Kageyama Reiji
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Alzo gli occhi in alto, verso il cielo.
Dal fogliame brillante del sottobosco si intravedono i raggi solari, caldi che illuminano i fiori e le erbe umide di rugiada luccicante.
Mi passo una mano sulla fronte accaldata, comincio ad avvertire il bisogno di bere ma mi costringo a non fermarmi per non rallentare il passo.
Se mi fermassi adesso, rischierei di non riuscire a rialzarmi più da terra.
Mantengo allora il passo lesto, mentre mi infilo nel fogliame sempre più fitto ma non per questo meno brillante.
Non mi fa paura questo posto, anzi mi è sempre piaciuto molto andare a camminare nei sentieri dei boschi.
A volte quando lo stress scolastico si fa veramente insopportabile, oppure gli allenamenti mi impensieriscono troppo, sento il bisogno di scollegare la mente: e non ho ancora trovato rimedio migliore che una bella passeggiata in un bosco verdeggiante, avvolto nel silenzio e nel tepore dei raggi del sole primaverile che si fa strada fra i rami degli alberi e degli arbusti.
Di recente questi hanno cominciato a riempirsi di splendide e coloratissime farfalle; sbocciano i primi fiori, devo dire che sono davvero stupendi.
Così: camminare tranquillo, da solo, senza pensare a nulla… Com’è rilassante.
Qualcuno potrebbe ritenere questo mio pensiero un po’ egoista, forse non è neanche in torto: insomma, avrei potuto benissimo invitare i miei compagni, probabilmente sarebbero anche venuti… Ma non è questo il punto. In vero io per primo ho bisogno di non vedere e non parlare con nessuno, solo per qualche ora, solo per un pomeriggio.
Poi tornerò ad affogare in quel mare di impegni e stress che è la mia vita adolescenziale, ma per il momento sto bene da solo.
“… E’ solo in questi momenti che io… Che lui…”
Stringo i pugni, abbasso il capo. “No! Non ancora… Non posso sempre pensare a questo, ogni volta che sono da solo…”
Una farfallina bianca mi sfiora le dita ancora serrate nel pugno chiuso, apro la mano di scatto e la piccolina senza paura si appoggia su un dito.
Rimango immobile, sbigottito e affascinato.
Sposto appena il volto per guardare bene questo insettino che si è posato su di me: “Non sono un fiore, farfallina, non sono degno di essere paragonato a queste bellissime corolle appena sbocciate: loro sono piene di colori e di vita, profumate e belle. Io sono solo stanco, non trasmetto la stessa gioia di vivere che trasmettono loro. Va’ là, suvvia. Che ci stai a fare, sul mio dito? Vola, finché puoi farlo; io ho volato, ora sono stanco e quasi pentito di averlo fatto. Ma se tu volassi via ora non avresti rimpianti… Va’, coraggio.”
Osservo con occhi pieni di nostalgia quelle alette bianche allontanarsi verso il campo in fiore.
Mi getto dall’altra parte del sentiero, di nuovo dentro al bosco, nascosto dall’ombra dei grandi castagni.
Infilo le mani in tasca, una soffiata di vento più freddo del normale mi scuote da capo a piedi mentre le mie dita sfiorano la superficie appena ruvida di un foglio da lettera.
Mentre sento le lacrime pizzicarmi sulle ciglia sfilo la lettera dalla tasca e, appoggiandomi a un ceppo di un albero ormai ridotto all’altezza di uno sgabello, colpito da un raggio di luce alle mie spalle, rileggo con gli occhi quelle parole che vibrano sulle mie labbra come una danza malinconica.

“La prima volta che incrociai il tuo sguardo non ti vidi affatto. Ero troppo occupato a pensare a me e ai miei problemi per occuparmi di un bambino come tanti. Avevo già superato il cancello quando senza preavviso mi venne addosso un pallone da dietro. Lo avvertii dalla velocità e dalla potenza, lo afferrai con le mani appena in tempo prima che mi colpisse: ma arrivò subito la mia auto, e dovetti andarmene con quel pallone fra le mani. Non ebbi cuore di liberarmene, una volta arrivato a casa. Così decisi di tornare e consegnarlo alle responsabili dell’istituto, avendo premura di far notare loro che i bambini dovevano giocare all’interno degli spazi a loro consentiti. Tu eri lì quel giorno, appoggiato a quel bancone e, per qualche assurda ragione che nonostante gli anni non sono mai riuscito a spiegarmi, sentii che ti apparteneva, così te lo riconsegnai senza dire una parola.
Eri pieno di gioia, mi trascinasti in cortile per scusarti e per mostrarmi quello che stavi cercando di fare l’altro giorno, quando il pallone era volato fuori.
Inizialmente ero confuso e soprattutto non ero concorde con l’idea di passare il mio tempo seduto su una panchinetta a guardare dei bambini giocare: ma i tuoi occhi così brillanti di entusiasmo mi sedussero, così mi convinsi che sarei rimasto solo per poco, solo per vedere questa fantomatica “acrobazia”.
Le mie supposizioni tuttavia crollarono quando cominciasti a muoverti con quel pallone sottopiede: non riuscivo a levarti gli occhi di dosso dallo stupore.
Non ho idea del perché quel giorno ti ostinasti così tanto per farmi vedere il tuo tiro, però senza quel coraggio probabilmente il resto della storia sarebbe stato diverso.
Tornai spesso da te, ti parlai di me e del fatto che se tu fossi stato d’accordo, avrei potuto insegnarti tante nuove “acrobazie”, come le chiamavi tu allora.
Il tuo entusiasmo e la tua forza di volontà mi affascinarono fin da subito: ma debbo dirti una cosa che non ti ho mai rivelato.
Fin da allora, ragazzo, fin dai primi momenti che ci videro insieme, io capii che non avrei mai potuto farti mio. Non sarei mai stato in grado di sottomettere la tua volontà completamente: quella stessa forza di volontà che ti brillava negli occhi mi attrasse verso di te, ma nello stesso tempo ti difese sempre dalla mia volontà che prepotente cercava di sedurti.
Sapevo che magari non subito, magari neanche dopo un anno, ma un giorno dentro di te sarebbero nate delle “idee”. Delle idee, dei pensieri tuoi, che avrebbero discordato con i miei, e che per questo ti avrebbero allontanato da me.
Fin da subito percepii questo, anche se me ne rendo conto solo ora.
Proprio perché sentivo che dentro di te bruciava un fuoco che ti avrebbe difeso dal ghiaccio con cui cercavo di intrappolarti, proprio per questo cercai di sottometterti il più possibile, di farti nascere meno idee possibili, anche se sapevo che sarebbe stato completamente inutile.
Presi tempo, per così tanti anni, perché ti ammiravo, perché insegnandoti volevo che tu insegnassi qualcosa a me.
Nessuno dei due se ne rese conto, Yuuto, e nonostante tutto forse è stata la cosa migliore…
All’improvviso successe. All’improvviso quelle idee che per tanto avevo cercato di soffocare vennero fuori, e io rimasi abbagliato a contemplarle. Le avevo aspettate per tanto, tanto tempo, e nel momento in cui esse si presentarono, così prepotenti e sicure, non riuscii a contrastarle.
Ironico, vero? Forse anche un po’ insensato: per tanti anni avevo atteso il momento in cui avresti sviluppato dei tuoi pensieri e non avevo pensato a nulla per contrastarli.
Ma forse, molto semplicemente, volevo quello, volevo che tu mi imponessi la tua volontà, volevo che ti liberassi di me.
Me l’aspettavo, così ti permisi di andartene senza paura né ripensamento.
Prima di occuparmi di te e dei tuoi progressi in campo, vagavo passivamente ai margini di ambizioni e desideri. Da quando eri arrivato tu, era cambiato tutto per me: ero convinto di una cosa però.
Ero convinto che lasciandoti andare, saremmo stati entrambi nuovamente in pena, invece con amarezza mi accorsi che, se io pian piano mi sentivo sempre più demoralizzato e bisognoso di qualcosa che mancava, tu riuscivi a esprimerti con naturalezza e forza, come sempre, come se non fosse cambiato nulla.
Questo mi irritò, e persi quella calma che mi aveva contraddistinto per tutti gli anni passati a occuparmi di te: così iniziai a perseguitarti, a perseguitare l’idea di te.
Probabilmente ti sei chiesto durante questo periodo perché io mi ostinassi tanto a riavvicinarti. Anche io ci ho pensato molto in realtà, e penso che alla fine la risposta sia questa.
Volevo stare semplicemente con te, senza fare nulla, senza pianificare nulla, solo parlarti e vedere se con le stesse parole con cui ti incantavo da piccolo riuscivo ancora a interessarti, se ancora qualcosa di quello che ti dicevo ti sarebbe rimasto… Nella testa o nel cuore, per farne poi quello che avresti voluto tu. Dimenticare o ricordare, uno è la negazione dell’altro, eppure il significato è così diverso….
Poi è successo ancora un altro fatto. Una cosa importante, quasi fantastica.
Ma fra noi Kidou… Fra noi non è cambiato nulla.
All’improvviso, semplicemente, ho aperto gli occhi e ti ho visto.
Grande, forte, determinato, circondato di luce… E lontano.
Lontano e brillante, il mio campione.
Ormai il tuo gioco non rappresentava più l’ideale del mio, perché eri cresciuto e con te il tuo calcio: ormai eri distante da me, eri in grado di proseguire da solo, e le mie parole non avrebbero più sortito effetto alcuno.
Ho preferito andarmene, in questo modo sono sicuro che riuscirai a crescere ancora e a migliorare continuamente: tu ce la puoi fare, perché la tua forza di volontà è da sempre stata superiore alla mia.

Avrei voluto dirti queste cose di persona, ragazzo, ma me ne sono reso conto troppo tardi. Ho preferito risolvere la questione in questo modo, spero che tu lo capisca.”

Troppo tardi… Troppo tardi… Sempre tardi, sempre il tempo…
Cos’è il tempo? Perché sfugge a questa velocità, e non ci permette di assaporare nulla di quanto più bello abbiamo? Ci fa solo soffrire di nostalgia, di rimpianti… Non ci potrebbe essere ancora tempo? Ancora un giorno, un’ora, un minuto, per abbracciarsi e dirsi con gli occhi quello che siamo costretti a scrivere.
Lo scritto resta, lo scritto resiste al tempo.
Forse per questo mi ha scritto, per vincere il tempo.
Per vincere il tempo che non abbiamo più, per vincere la distanza che ora ci separa.

Guardo davanti a me: il sentiero è lungo e soleggiato, soffia un venticello che mi accarezza il viso e trasporta il profumo di fiori, di primavera, di rinascita.
Ricomincio a camminare, diretto verso casa, e il sole lento sta iniziando a calare alle mie spalle.

 

 

 

 

A.A.
‘Sera a tutti!
Lo so che avevo promesso aggiornamenti più veloci, sto facendo del mio meglio… Ma gli impegni sono tanti, che volete che vi dica? Questa one-shot è solo un piccolo tributo a quelli che sono i miei personaggi preferiti in assoluto di questo fandom: il loro rapporto è di quanto più entusiasmante io abbia mai sperimentato e sono alla costante ricerca di nuovi  punti di vista! Da un po’ questa shot in particolare fa rumore dal cassetto in cui l’avevo rinchiusa… Non perché non mi convincesse, eh. In questa calda serata di luglio vede il suo approdo sulla rete: sarà emozionata (?) ewe
La dedico alle amiche, vecchie e nuove, che da sempre mi sostengono e mi ammirano: in particolare, spero piaccia ad Aria_black, un’autrice che mi ha entusiasmata dal profondo e che spero apprezzerà questo mio pensiero <3
Il banner… Lo  so, signori, avrei potuto trovare immagine migliore… Purtroppo li si disegna in modo talmente tanto disturbante owo Ho cercato di fare il possibile, ma mi rimetto al vostro giudizio!
Buona estate a tutti, ci si risente presto!

Sissy

  
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