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Autore: Tielyannawen    17/07/2015    4 recensioni
Sotto il cielo di Arda accade a volte che alcuni cammini si incontrino, legando indissolubilmente destini altrimenti separati.
Dal testo:
«Tu non dovresti essere qui... perché sei tornato indietro?», chiese con un filo di voce, lottando per non lasciarsi avvolgere dalle ombre.
«Perché non potevo abbandonarti. Tu ci hai mostrato la via quando la credevamo perduta e hai lasciato la tua casa, rischiando la vita per salvarci. È ora di pagare il nostro debito».

Dicono che la storia sia fatta da eventi straordinari, ma a volte sono proprio le piccole cose quelle di cui dobbiamo serbare ricordo.
Queste pagine ne sono memoria... perché in fondo tutti cerchiamo la nostra strada nel mondo.
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bilbo, Elfi, Gandalf, Nani, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Incontri casuali

Una figura grigia camminava lungo la via; era un uomo con una folta barba grigia e un cappello a punta, avvolto in un mantello malandato. Il suo viso solcato dai segni del tempo doveva aver visto molti inverni e molte primavere, ma i suoi occhi limpidi riflettevano un animo intelligente e gentile. Procedeva a lunghi passi, appoggiandosi ad un bastone nodoso che stringeva con forza, come se cercasse un sostegno per trasportare un pesante fardello. Notò il tronco di un albero caduto ai margini della strada e decise di approfittare di quel sedile improvvisato per riprendere fiato.
Gandalf si sedette, grato per la possibilità di quella sosta. Era stanco, preoccupato e assai contrariato. Ancora una volta Saruman non aveva prestato ascolto alle sue preoccupazioni e non aveva voluto prendere in considerazione i suoi piani. E senza la sua approvazione il Bianco Consiglio non avrebbe agito. Molti e cupi erano i pensieri che gravavano su di lui, perciò aveva deciso di congedarsi da Imladris e cercare riposo tra i verdi campi della Contea, che non vedeva ormai da vent’anni.
Era quasi il tramonto quando vide una figura scura dirigersi verso di lui.

 

Una figura scura camminava lungo la via; era più basso di un normale uomo, ma la barba nera ben curata e i capelli intrecciati con cura rendevano impossibile credere che fosse solo un ragazzo. Il suo volto era serio e altero, e nel suo sguardo brillava l’orgoglio tipico della sua stirpe. Avanzava velocemente, accompagnato dal tintinnare della spada che portava al fianco e avvolto in una cappa decorata. Giunto in cima a una collina si fermò un momento, respirando a pieni polmoni la frizzante aria primaverile, poi riprese il cammino verso le luci di una città che si faceva sempre più vicina.
Thorin Scudodiquercia era inquieto. Il viaggio che aveva intrapreso inseguendo voci e frammenti di racconti non si era risolto con l’esito che sperava, anzi, aveva solo permesso al passato di tornare a galla e riprendere a tormentarlo. Non aveva trovato alcuna traccia di Thrain e da giorni le immagini dei saloni pieni di fiamme della Montagna Solitaria non abbandonavano la sua mente. Scosse la testa con forza. Doveva tornare alla sua fucina sulle Montagne Blu; forse il duro lavoro lo avrebbe aiutato a dimenticare.
Era quasi il tramonto quando vide una figura grigia seduta su un tronco poco lontano.

 

Thorin osservò con curiosità il viaggiatore. Quel giorno non aveva incontrato nessuno, ad eccezione di alcuni fattori, e non gli sarebbe dispiaciuto scambiare qualche parola, se ne fosse valsa la pena. Si avvicinò e, vedendo l’uomo alzarsi con l’aiuto di un bastone, pensò che forse avrebbe avuto un po’ di compagnia a distoglierlo dai ricordi.
«Ben incontrato» esordì Thorin, accennando un inchino mentre l’altro si sistemava il cappello. «Sono diretto alla città di Brea. Se è anche la vostra destinazione, potremmo proseguire insieme».
Quegli lo fissò assorto per un momento e Thorin avrebbe giurato di aver visto una luce accendersi nei suoi occhi, prima di udirne la risposta. «Ti accompagnerò volentieri, Mastro Nano. Non è saggio di questi tempi viaggiare soli, persino per un vecchio pellegrino come me», disse sorridendo.
Thorin si accigliò, perché in effetti aveva avuto la sgradevole sensazione di essere osservato. Spesso si era voltato a controllare il sentiero, ma nessun indizio aveva confermato i suoi sospetti.

 

Parlarono di molte cose, mentre le ombre si allungavano e le prime stelle facevano la loro comparsa nel cielo. Dietro quell’immagine trasandata, si nascondeva un uomo saggio e arguto, che conosceva numerose sfaccettature di ciò che accadeva nel mondo. Eppure c’era dell’altro, qualcosa che era sepolto nella memoria di Thorin e che lo punzecchiava da quando aveva scorto il viandante a lato della strada.
“Tharkûn [1]”. Stavano attraversando il cancello sud della città di Brea quando la voce di suo padre gli risuonò nella mente, nitida come non accadeva da tempo.

 

2799 T.E. – DUNLAND [2]
Il loro esercito era quasi pronto. Dopo nove anni di violenti scontri e preparativi, finalmente avrebbero marciato su Khazad-dûm [3]; finalmente avrebbero affrontato Azog, il Profanatore, vendicando la brutale uccisione del loro Re. Eppure Thrain, erede di Thror, Re sotto la Montagna, non avrebbe viaggiato con il suo popolo. Thorin non riusciva a capire come potesse abbandonarli alla vigilia della partenza.
«Non temere figlio mio, vi raggiungerò presto. Mi servono consigli, e avrò bisogno di una saggezza che va al di là delle conoscenze del nostro popolo. È necessaria una visione più ampia. Tharkûn. Lo devo trovare. Lui saprà cosa fare. Nel frattempo affido a te il compito di guidarli. Veglia su di loro». Queste erano state le parole di suo padre.

 

Ora ricordava. Come il metallo incandescente libera scintille infuocate quando viene colpito, così la forza di quella rivelazione strappò il velo che annebbiava la memoria di Thorin Scudodiquercia, lasciandolo senza fiato. Finalmente riusciva a vedere con più chiarezza. Quel viaggiatore dagli abiti grigi doveva essere lo stregone di cui suo padre gli aveva parlato.
Strani individui gli Stregoni. Nessuno sapeva quanti fossero, né da dove venissero; camminavano sotto mentite spoglie attraverso la Terra di Mezzo e si diceva che fossero sapienti oltre ogni immaginazione, edotti in tutte le arti grazie ad innumerevoli anni di studi. Quale fosse la verità su di loro a Thorin non interessava. Era diffidente, a causa dei molti dolori che la vita gli aveva causato. Ma se Mahal [4] aveva diretto i suoi passi per fargli incontrare quell’uomo, allora doveva esserci un buon motivo e lui aveva tutta l’intenzione di scoprirlo.

 

Senza accorgersene, erano ormai giunti nel cuore della città e il viandante si fermò sotto l’insegna di una locanda, che raffigurava un puledro impennato.
«Ebbene, pare che qui le nostre strade si dividano Mastro Nano», disse con un accenno di commiato, il volto illuminato dalla calda luce di una lanterna. «Ti confesso che ad una certa età si iniziano ad apprezzare piccoli piaceri come un buon pasto e un letto comodo».
«Permettimi allora di unirmi a te per la cena, così da ringraziarti della tua compagnia lungo la strada», si affrettò a dire Thorin, vedendo l’uomo avviarsi verso un’ampia porta e temendo che potesse sparire da un momento all’altro. Che pensiero insensato: nessuno era in grado di scomparire all’improvviso, era semplicemente impossibile. Scosse la testa e strinse l’elsa della spada, salendo gli scalini che portavano all’ingresso.
Entrarono in una grande sala, illuminata e chiassosa. Facendosi strada tra gli avventori, si sedettero a un tavolo vicino al camino e subito la figlia dell’oste portò loro un piatto con pane e formaggio, accompagnato da due boccali di birra scura.
«Forse dovrei presentarmi», disse allora lo stregone, togliendosi il cappello e assumendo un tono di voce leggermente drammatico. «Il mio nome è Gandalf il Grigio».
«So bene chi sei, Tharkûn», gli rispose secco Thorin, deciso a non lasciarsi impressionare.
«Mi chiedevo quando ti saresti ricordato di me Thorin Scudodiquercia. Ebbene sì, conosco il tuo nome. Credi che non riconosca un erede di Durin quando lo incontro? E ora dimmi, cosa ti porta a Brea?» chiese Gandalf, prima di tagliarsi una generosa fetta di pane.
Thorin rimase in silenzio per un minuto. Non sapeva se poteva fidarsi. D’altronde non aveva nulla da perdere, perciò iniziò a raccontare: «Diverse settimane fa ho ricevuto notizia che mio padre era stato visto vagare sulle colline brulle vicino a Dunland. Ci sono andato, ma non c’era traccia di lui. Ho costeggiato le Montagne Nebbiose, cercando segni o indizi della sua presenza, fino alla foce del Fiume Grigio, su a nord. Non ho trovato nulla. A quel punto ho deciso di abbandonare la mia ricerca e mi sono diretto verso Ultimo Ponte [5], per raggiungere la Grande Via Est. Il resto puoi ben immaginarlo. I miei sforzi sono stati vani e mio padre è ancora disperso».
«Ah… Thrain…», mormorò Gandalf con tristezza.
«Tu sei come tutti gli altri! Credi che sia morto, ma non è così!», ribatté Thorin, colpendo con rabbia il piano del tavolo.
«Dicono che dopo la battaglia non fosse più lo stesso», sospirò lo stregone. «Persino tu devi ammettere che sono passati molti anni da quando Thrain è scomparso e non si hanno altro che voci su di lui».
«È ancora vivo. Io ne sono certo», disse Thorin voltandosi verso le fiamme che ardevano. Sapeva che Gandalf lo stava fissando, ma non si sarebbe mostrato dubbioso di fronte a lui. Non gli avrebbe permesso di leggere sul suo volto il dolore e i timori che attanagliavano il suo cuore.

 

2799 T.E. – AZANULBIZAR [6]
Spade e asce cozzavano, mentre gemiti e lamenti si alzavano dal suolo riempiendo la vallata di una macabra melodia. Ovunque si girasse c’era solo morte. Doveva fare qualcosa, o nessuno di loro sarebbe rimasto in vita. Thorin si guardò intorno, finché non scorse l’orco pallido che si ergeva in mezzo a quella devastazione. Fece un passo, ma venne subito trattenuto. La forte presa di suo padre gli impediva di procedere oltre nel suo intento di attaccare Azog.
«Padre, io voglio combattere!», disse Thorin fissando sorpreso il volto duro e risoluto di Thrain.
«Stai indietro. Azog intende ucciderci tutti. Uno per uno annienterà la stirpe di Durin. Ma per la mia vita lui non si prenderà mio figlio. Tu resterai qui», tuonò Thrain stringendo il suo martello da guerra, rosso come il sangue versato dai nemici che aveva abbattuto.
Thorin vide il suo re, suo padre, caricare con furore attraverso il Cancello orientale di Khazad-dûm. E il nano che conosceva non fece più ritorno.
La battaglia fu infine vinta, ma quando Thrain riapparve era pallido, come se fosse reduce da un grande spavento. Qualcosa in lui era cambiato, perché egli era stato l’unico che avesse osato guardare aldilà del Cancello e là, nascosto nell’ombra, aveva veduto il flagello di Durin in agguato.

 

«E che mi dici dell’anello? Quello che portava Thror, uno dei Sette che furono dati ai Signori dei Nani nella Seconda Era. Che fine ha fatto?».
Le parole dello stregone richiamarono la mente di Thorin al presente. «Mio nonno lo diede a mio padre, subito prima di mettersi in viaggio con Nar. Il suo animo era irrequieto e non riusciva a sopportare l’idea di una vita in esilio. Voleva vedere cosa aveva ancora il mondo da offrirgli, ma ha trovato solo la morte. Il destino non è stato benigno con la stirpe di Durin», rispose il nano.
“Perciò anche l’Ultimo dei Sette è andato perduto”, pensò Gandalf, aggrottando le sopracciglia di fronte alla conferma dei suoi tristi sospetti.
«Ora è il tuo turno di rispondere a qualche domanda. So che mio padre venne a cercarti prima della battaglia. Cosa gli dicesti allora?», chiese Thorin, gli occhi fissi sullo stregone.
«Lo spronai a marciare sulla Montagna Solitaria, per distruggere il drago e rivendicare il suo regno. E lo stesso direi a te. Riprenditi la tua terra natia», affermò Gandalf.

 

La mattina successiva si alzarono di buonora per riprendere il cammino. Lo stregone aveva accettato di raggiungere Thorin sulle Montagne Blu dopo aver sbrigato le sue faccende nella Contea. I suoi consigli sarebbero stati utili per organizzare la missione.
«Non immagino davvero quali affari possano trattenerti qui», disse Thorin quando giunse il momento di separarsi. «Tra questi Hobbit non ci sono che contadini e droghieri, eccetto forse qualche mediocre artigiano. Sono dei sempliciotti, che nulla conoscono del mondo attorno a loro».
Gandalf fu colto da un improvviso attacco di tosse e si limitò a borbottare mentre si allontanava dalla strada principale. Trovava irritante l’atteggiamento superbo di Thorin nei confronti della gente della Contea. Certo, amavano la tranquillità e il buon cibo, ma sapevano essere generosi, solidali e persino coraggiosi in un certo qual modo.
Si avviò verso il mercato di Hobbiville, seguendo il vociare allegro e il profumo di pane fresco. Banchi colmi di frutta e verdura, tendoni colorati e visi sorridenti circondarono ben presto lo stregone. Tutti lo salutavano con cordialità, anche se era conscio che la maggior parte degli abitanti di quella bella terra lo considerava quantomeno bizzarro. Cosa che comunque non gli importava granché.
Raggiunse una piccola fontana di pietra e lì si sedette con la pipa accesa, sonnecchiando al sole e creando curiose forme di fumo per la gioia dei bambini che giocavano lì attorno.
«Un tipo un tantino strambo, se posso permettermi. I genitori sono morti entrambi, una vera disgrazia che li abbia persi così prematuramente. Ed essendosi ritrovato all’improvviso ricco e padrone delle proprie giornate, sembra proprio non avere alcuna intenzione di accasarsi».
Incuriosito Gandalf ruotò la testa in direzione della voce, proveniente da un giovane agricoltore che parlava lanciando sguardi orgogliosi al suo banco di cavolfiori e cipolline. Una piccola insegna, che in realtà assomigliava più a un foglio scarabocchiato, recitava “Forino Cotton di Lungacque” [7].
«E parola mia, capita spesso che parta da solo per diversi giorni. Dove vada nessuno lo sa. Ma io stesso ho visto il signor Bilbo Baggins parlare con diversi stranieri lungo la Via, persino con dei Nani!». All’udire quelle parole le signore assiepate attorno lanciarono un gridolino, prima di ricominciare a contrattare sul prezzo degli ortaggi.
Per Gandalf fu un’illuminazione. Tre immagini si fusero insieme: un drago astuto e crudele, nani rumorosi e rancorosi, e infine uno hobbit lesto e avventuroso. Ricordava bene Bilbo, che aveva incontrato nei suoi viaggi precedenti. Gli era sempre andato a genio quel bambino pieno di domande ed entusiasmo, con gli occhi che brillavano mentre ascoltava storie sul vasto mondo oltre i confini della Contea. Sì, valeva la pena tentare. Lo stregone chiese informazioni e si diresse verso la Collina, ma quando bussò al portone verde che gli era stato indicato nessuno rispose.
«Se cercate il signor Baggins non lo troverete», disse uno hobbit con un largo capello di paglia impegnato ad innaffiare un cespuglio di rose. Scosse il capo con disappunto e si presentò come Holman Manoverde. «È partito di nuovo. Uno di questi giorni se ne andrà per sempre se non sta attento, credete a me. Un vero peccato, e pensare che è un tipo così a modo, difficile trovarne di migliori... Suvvia Hamfast [8], non perdere tempo e muoviti a potare le aiuole!», esclamò a un ragazzo paffuto, probabilmente il suo apprendista.
Gandalf rise tra sé e sé di fronte alla faccia sbalordita del giovane hobbit, che non riusciva a smettere di fissarlo, in un perfetto miscuglio tra innocua curiosità e puro terrore. Il ragazzo balbettò qualcosa e incespicò fino a raggiungere i suoi attrezzi, riprendendo il lavoro sotto lo sguardo critico del suo maestro. Lo stregone si allontanò, lasciando i due giardinieri all’opera. Gli dispiaceva non aver incontrato Bilbo per vedere come fosse cambiato negli anni, ma era certo che fosse la persona, anzi lo hobbit giusto per la missione che aveva in mente.
«Una goccia di audacia Tuc e una buona dose di cocciutaggine Baggins. Sì, sarà perfetto», mormorò soddisfatto mentre si avviava di buon passo verso le Montagne Blu.

 

Trovò Thorin Scudodiquercia immerso nei preparativi. Numerose mappe erano stese su un tavolo e un’ordinata fila di armi giaceva accanto alla porta, allineate in attesa di partire alla conquista di un regno lontano ma mai dimenticato.
«Benvenuto nella mia dimora Tharkûn », lo salutò l’erede di Durin, «nonostante sia poco più della misera abitazione di un esiliato. Ebbene, ben presto tutto ciò cambierà! Ci riprenderemo quello che è nostro e finalmente avremo vendetta su Smaug!».
Un coro di approvazione si levò e quattro nani si fecero avanti per presentarsi: Balin e Dwalin, Gloin e infine Fili, un giovane dai capelli biondi con un sorriso spavaldo, nipote di Thorin e suo successore come Gandalf scoprì in seguito.
«Unisciti a noi, il parere di uno stregone è prezioso. A proposito, so che hai molti nomi, come preferisci essere chiamato?», chiese Thorin sedendosi a capotavola e indicando agli altri di fare lo stesso.
«Gandalf andrà benissimo, ti ringrazio», rispose educatamente lo stregone, cercando di accomodarsi su una panca decisamente troppo bassa per lui.
«Così sia allora» dichiarò Thorin. «Dato che le formalità sono state risolte, credo che possiamo procedere. Secondo Dwalin abbiamo a disposizione circa ottanta soldati pronti a partire dalle Montagne Blu. Bisogna occuparsi dei rifornimenti, mentre le fucine lavoreranno senza sosta per approntare armi e corazze. Il costo dell’impresa sarà elevato, ma Gloin ci assicura che potremo affrontarlo. Ora, se mi cugino Dain ci fornirà duecento dei suoi guerrieri, sono convinto…».
Diversi colpetti di tosse interruppero il discorso e tutti i presenti si voltarono verso Gandalf.
«Oh perdonate, non fate caso a me», disse lo stregone sorridendo. I nani lo guardavano con insistenza, perciò, dopo un cenno alquanto seccato di Thorin, prese la parola. «I tuoi piani sono quelli di un Re, figlio di Thrain, ma non lo sei. Il tuo regno è perduto e i tuoi sostenitori dispersi. La tua unica possibilità è convocare in assemblea le Sette Famiglie dei Nani e pretendere che rispettino il loro giuramento. Solo uniti avete la forza e la potenza per riconquistare la Montagna».
Thorin fremette e cercò di controllare l’ira nella sua voce: «I Sette Eserciti fecero quel voto a colui che possiede l’Archengemma, il gioiello del Re. E nel caso te lo fossi dimenticato quella pietra giace sotto le zampe di un drago, a mezzo mondo da dove ci troviamo ora».
«Ti assicuro Thorin Scudodiquercia che non l’ho scordato», replicò Gandalf. «Smaug ha occupato a lungo i miei pensieri. Ora che le ombre hanno ricominciato a crescere, la sua presenza nella Montagna Solitaria mi preoccupa. Ed è per questo che sono disposto ad aiutarti».
«Le tue parole sono vaghe e inquietanti. Se devi parlare, fallo con chiarezza!», sbottò Thorin.
«Ebbene, ti darò una mano a recuperare l’Archengemma», disse lo stregone, facendo piombare la stanza nel completo silenzio. «Ma dovrai seguire le indicazioni che ti darò. Il mio piano si basa infatti su un’azione segreta e furtiva. Smaug è vecchio e astuto, dotato di un’incredibile memoria e di un’ancora più incredibile olfatto. Nonostante il sonno, continua a vigilare, pronto a cogliere il minimo sentore dei suoi più antichi nemici, i Nani. Egli sa che prima o poi vorrete rivendicare ciò che vi ha sottratto. Ed ecco la soluzione, per quanto assurda possa sembrare: prendi con te uno hobbit!».
«Cosa? Uno di quei piccoletti della Contea? Per la mia barba, devi essere folle!», esclamò Gloin.
«Sono sciocchi e paurosi, troppo attaccati alle loro comode abitudini. Dubito abbiano mai visto un’arma in tutta la loro vita! A cosa potrebbero mai servire contro un drago?», domandò Dwalin indignato.
«Su, su,» fece Gandalf, cercando di placare gli animi ed evitando di guardare Thorin, la cui fronte sempre più aggrottata non lasciava presagire nulla di buono. «Voi conoscete poco questi Hobbit, ma io ho avuto modo di osservarli a lungo. Fidatevi di me quando dico che sono generosi e persino coraggiosi al momento opportuno. Dovreste vederli nell’ora del bisogno, per scoprire cosa c’è realmente in loro. Restereste sorpresi. E per finire, Smaug non sa dell’esistenza degli Hobbit e certamente non ne ha mai fiutato l’odore. Cosa che torna a nostro vantaggio».
«Certo, perché non si avvicinerebbero mai tanto da essere fiutati neppure da un uovo», ribatté Dwalin.
«Ti sbagli», disse Gandalf, «lo hobbit che ho in mente è un vero temerario, scaltro e di grande intelligenza.  Esattamente il tipo che non vede l’ora di buttarsi a capofitto in una avventura!».
«Sembra promettente. Quale sarebbe il suo nome, o quello di cui si serve?», chiese Fili con interesse.
«Al contrario dei Nani, gli Hobbit hanno un nome soltanto, e il suo è Bilbo Baggins. Un nome degno di rispetto, perciò se fossi in te non ne riderei», commentò lo stregone rivolgendosi al giovane nano, che aveva soffocato una risatina all’udire il nome di Bilbo. «E c’è dell’altro. Come tutta la sua gente, si muove senza il minimo rumore. Non ne trovereste altri, tra le stirpi mortali, in grado di spostarsi più silenziosamente. Proprio a questo mi riferivo parlando di un’azione segreta e furtiva: segretezza professionale!».
«Segretezza professionale?» chiese Balin, che fino a quel momento era rimasto zitto. «Intendi forse un cacciatore di tesori esperto, uno scassinatore? Non credevo ce ne fossero ancora in circolazione. Lo si potrebbe prendere in considerazione, se il prezzo che chiede è equo».
Gandalf tentennò, accarezzandosi la barba. Non era esattamente la soluzione che aveva immaginato, ma se serviva a vincere la testardaggine della stirpe di Durin allora era la direzione giusta. Negli ultimi giorni gli era parso di essere guidato da strani casi e coincidenze, ma ora la via da seguire gli appariva sempre più chiara, come se un fitto velo di nebbia si fosse finalmente dissipato.
«Rimane comunque uno hobbit!» tuonò Thorin all’improvviso, alzandosi e sporgendosi verso Gandalf. «Questa tua idea è una vera buffonata e io non ho alcuna intenzione di ascoltare simili assurdità nella mia casa! Non mi lascerò ingannare! Anche se avesse a disposizione una vita intera nessuno hobbit, scassinatore o meno, potrebbe mai fare nulla per ripagarmi di aver provveduto a lui per una sola giornata!».
A quelle parole Gandalf si infuriò. Si levò, scuro in volto, e la sua voce risuonò con la forza di un temporale: «Uditemi bene, popolo di Durin, perché non lo ripeterò! Solo se lo hobbit verrà con voi avrete successo. Senza di lui la vostra missione fallirà miseramente e le ombre vi avvolgeranno».
Nessuno parlò. Tutti erano attoniti e anche se mai un nano si sarebbe mostrato intimorito, per un istante i loro cuori avevano tremato.
«Hai usato parole davvero molto forti stregone», disse infine Thorin. «Per la stima che mio padre nutriva nei tuoi confronti, incontrerò il tuo scassinatore. Hai la mia parola».
«Molto bene, vedo che finalmente hai ritrovato la ragione! Dunque è deciso. Immagino che la partenza dovrà essere fissata non più tardi della fine di aprile, ma avrete presto mie notizie con tutti i dettagli. Nel frattempo io andrò a porre sul portone del signor Baggins il marchio dello scassinatore, così che possiate trovare con facilità la sua casa. Mi dicono che possiede una delle dispense meglio rifornite della Contea, quindi per lo meno sarete trattati con grande ospitalità. Arrivederci!».
Detto questo, Gandalf prese congedo rapidamente, perché temeva che i nani potessero cambiare idea, eventualità da non trascurare visti i loro sguardi dubbiosi. Si calcò il cappello sulla testa, afferrò il bastone e una volta giunto alla porta la aprì con decisione. Troppa decisione. Si sentì un tonfo accompagnato da un’imprecazione e Gandalf si ritrovò davanti un giovane nano, che cercava di rialzarsi dal pavimento massaggiandosi la fronte. Con un sospiro lo stregone lo scavalcò e si avviò verso l’uscita, con  l’eco di un rimprovero che si perdeva lungo il corridoio.
«Kili, possibile che tu ti metta sempre nei guai?».
«Scusami fratellone, volevo solo sapere cosa vi sareste detti... Credi che lo zio assumerà quel tale, il signor Boggins?».

 

*****
 

Molti anni più tardi, mentre la Terza Era del Mondo stava ormai giungendo al termine, Gandalf narrò questi eventi ad alcuni compagni, in un tranquillo pomeriggio di quei giorni di festa. E quando il suo racconto fu concluso, volse lo sguardo verso il tramonto e disse: «Molto abbiamo patito, eppure le nostre sofferenze avrebbero potuto essere ben maggiori, ora me ne rendo conto. Ma un tale triste destino è stato impedito grazie al fatto che ho incontrato Thorin Scudodiquercia una sera, all’inizio della primavera, non lontano da Brea. Un incontro casuale, come si usa dire nella Terra di Mezzo».



 

NOTE:
[1] Nome nanico di Gandalf, in Khuzdul significa Uomo-bastone.
[2] Contrada alle pendici occidentali delle Montagne Nebbiose, in Rohirric significa Terra bruna.
[3] Nome nanico di Moria, in Khuzdul significa Dimore dei Nani.
[4] Nome nanico di uno dei Valar, Aulë, in Khuzdul significa Il Creatore.
[5] Antico ponte lungo la Grande Via Est, permette di attraversare il Fiume Grigio (o Fiume Bianco).
[6] Vallata di fronte ai cancelli orientali di Moria, in Khuzdul significa Valle dei Rivi Tenebrosi.
[7] Forino Cotton di Lungacque, detto Fino il Lungo, nonno paterno di Rosie Cotton.
[8] Hamfast Gamgee, detto il Gaffiere, apprendista di Holman Manoverde e padre di Samvise Gamgee.

DATE:
2770 T.E. : Smaug devasta Dale e conquista la Montagna Solitaria.
2790 T.E. : Thror giunge a Moria insieme a Nar e viene ucciso da Azog. Inizia la guerra tra Nani e Orchi.
2799 T.E. : Battaglia di Azanulbizar.
2845 T.E. : Thrain scompare nei pressi di Bosco Atro, mentre è diretto alla Montagna Solitaria.
2941 T.E. 15 marzo: Thorin Scudodiquercia e Gandalf si incontrano lungo la strada per Brea.



 

ANGOLO AUTRICE:
Salve a tutti,
ne approfitto per ringraziare quanti leggono e seguono questa storia e per comunicarvi che cercherò di aggiornare ogni due settimane, durante il weekend.
Dedico questo capitolo “nanico” (la cui ispirazione nasce dalla lettura de La cerca di Erebor) a didi_95 e zebraapois91, ringraziandole per il loro sostegno e incoraggiamento!

Possa la strada alzarsi per venirvi incontro e possa il vento soffiare sempre alle vostre spalle
Tielyannawen

   
 
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