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Autore: Tomi Dark angel    18/07/2015    10 recensioni
STEREK.
Tratto dalla storia: "-Pronto?-
-Scott…?-
-Sceriffo, che succede? Mi sembra un po’ tardi per chiamare…-
-La... la camera di Stiles è… un bagno di sangue. E lui non… non c’è più. Mio figlio, Scott. Mio figlio…-"
Stiles Stilinski sparisce per tre anni. Per tre anni tutti lo credono morto, per tre anni di lui non si hanno notizie. Quando però riappare, non è più lo stesso. Di lui non resta che una creatura nuova, un incubo talmente orrendo che anche Beacon Hills teme di accogliere.
Genere: Mistero, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Derek Hale, Stiles Stilinski, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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“Noi siam venuti al loco oi’i’ t’ho detto
Che tu vedrai le genti dolorose
C’hanno perduto il ben de l’intelletto.”
 
L’Inferno. Aldilà dannato di dannati peccatori, luogo di punizione per le anime più nere che mai nei secoli si vedranno purificate. Tale luogo lo si può descrivere, disegnare, raccontare, ma nulla, nulla al mondo potrebbe comparare a parole o immagini l’orrore di tutti quei corpi mutilati, di quei lamenti animali, di quel gelo ghiacciato che ricopre ogni superficie, compreso il tuo spesso manto di lupo.
Niente può descrivere il male che si annida in ogni angolo, là dove il male regna sovrano e vi schiaccia mefitico, sottraendovi aria dai polmoni e pulsazioni ai cuori frementi di ansia e inquietudine.
Avete oltrepassato la Caina per puro miracolo, ma l’Antenora… quella sembra ancora più grande, ancora più sconfinata con le sue distese ghiacciate e i suoi dannati che stavolta, bloccati a faccia in su, non gridano né schiamazzano. Quelle anime sono tra le più sofferenti, figlie di un dolore talmente massacrante da non poter essere espresso con urla e strilli acuti. Quelle anime piangono lacrime ghiacciate che bruciano i volti e salano le ferite. Alcuni invero, non possiedono nemmeno gli occhi per lacrimare, ma singhiozzano ugualmente, bisognose di esprimere in qualche modo la forza di quella sofferenza devastante.
Lì il vento è più tagliente, più gelido. Quasi vi strappa la pelle dai muscoli e dalle ossa, costringendovi ad appiattirvi al suolo per non essere trascinati via. Pianti gli artigli da lupo nel ghiaccio per aggrapparti a qualcosa, lottando contemporaneamente contro l’urlo delle tue stesse colpe che ti graffiano le pareti cerebrali, gli occhi, il muro dei ricordi. Ti senti impazzire, ma hai ancora una carta in gioco, uno scudo valido che ti protegge.
Stiles. Pensa a Stiles.
Ti raddrizzi, cerchi di fare mente locale. Le voci nella tua testa si affievoliscono appena, ma solo per essere sostituite dai lamenti lacrimevoli dei dannati.
-Mio Dio…- sussurra Scott, prostrato in ginocchio dall’orrore e dal vento. –Stiles… ha vissuto tre anni qui sotto?-
-Dobbiamo muoverci.- intima Dumah, guardandosi intorno ansiosa. Le ombre intorno a lei si addensano e si contorcono, e tu non sai se sia lei ad agitarle così oppure se è qualcosa di peggio.
-Non possiamo sfondare un altro girone, Dumah… dobbiamo camminare.- considera Valefar, indifferente alle raffiche di vento che gli scompigliano i capelli.
-Questi gironi sono enormi. Per attraversarne uno a piedi ci vorranno anni e gli altri non ce la fanno già più! Loro sono licantropi!-
Valefar li fissa, considera le alternative. È ovvio che non abbia la minima idea di cosa fare perché mai prima d’ora era sceso all’Inferno insieme a qualcuno di tanto fragile. Per quanto possenti, quei licantropi sono comunque vivi e vulnerabili alle tentazioni del male.
-Oh, voi dunque non siete anime?- geme pietosamente una voce dal basso. Allora abbassi gli occhi tra le tue zampe, dove un viso sfigurato dalle orbite vuote, senza orecchie né capelli svetta oltre la superficie ghiacciata. Indietreggi bruscamente, quasi inciampi nelle tue stesse zampe. Il vento ti fa incespicare, ti apre un taglio sul muso e uno poco sopra l’occhio che cola sangue sulla palpebra, accecandola fastidiosamente.
-No. Chi sei tu?- domanda allora Peter, inginocchiandosi accanto al volto.
-Non lo ricordo. Non lo so più. Avevo un nome in vita, ma qui niente ha importanza se non il dolore e il peso che i peccati arrecano.- Il volto si muove appena, solo le labbra spaccare e luride di bava mostrano quel po’ di vitalità che distingue quella faccia da un inanimato pezzo di carne. –Siete pazzi dunque a scendere quaggiù pur essendo vivi? Se solo potessi ottenere indietro quel po’ di vita che mi rubarono, forse rimedierei ai miei errori. O forse no. Solo l’Onnipotente lo sa. Ma non m’avete ancora risposto: cosa siete voi? Pazzi, o nuovi Alighieri?-
-Noi…-
Un rumore, lo stridio lontano di qualcosa che si avvicina. Pare un rantolo di bestia ferita, forse l’acuto di un’aquila morente, ma tu sai che è qualcosa di molto peggio.
I dannati cominciano a gemere più forte, tentano di ritirarsi nel ghiaccio. Provano  a mimetizzarsi, a nascondersi, ma con scarsi risultati. Ognuno chiude la bocca, il silenzio cala, rotto solo dal ringhiare del vento.
Il male avanza, riesci a sentirlo. Vedi le ombre estendersi, affogare anche gli ultimi barlumi di luce e soffocare ogni suono, ogni consistenza della realtà.
Non hai mai avuto paura del buio, ma adesso la pensi diversamente. Quell’oscurità fa paura, è fitta come catrame e avanza come una marea montante che poco alla volta striscia verso di voi, inghiottendo ogni cosa, ogni forma di esistenza, ogni suono e colore.
-Abbadon…- sussurra Valefar, terrorizzato. Indietreggia, quasi inciampa in uno spuntone di ghiaccio. –Dobbiamo scappare, subito!-
Ma Scott non riesce a muoversi. Trema più forte, impallidisce, si accascia. Qualcosa nella sua testa sta scattando, gli ultimi residui di resistenza cominciano a crollare e la sua testa grida, accusandolo di ogni peccato. Ti chiedi quali siano le sue colpe.
-Oh, andiamo…- sbotta Valefar. Si china e afferra Scott, caricandoselo in spalla come un sacco. Il gelo si fa più tagliente, l’oscurità avanza ancora. I dannati non si muovono quasi più, come bestie impaurite che cercano di mimetizzarsi con l’ambiente.
-Andiamo!-
E allora la corsa ricomincia, più frenetica che mai. Affondi gli artigli nel ghiaccio e nei visi, continuando a fuggire disperato da quel male che lentamente ti si attacca addosso come pece che soffoca gli ultimi respiri di un gabbiano moribondo. Il vento vi rema contro, rallentando visibilmente la vostra fuga verso il nulla ghiacciato che si estende per miglia e miglia, a vista d’occhio. Non potrete correre così a lungo, non in quelle condizioni. Il demone è più veloce di voi e vi raggiungerà in breve.
Dumah e Peter corrono fianco a fianco, ma ti accorgi che la demone gli stringe la mano e lo trascina con forza, facendosi carico degli affanni del licantropo per incitarlo ad accelerare.
Il vento vi graffia, vi respinge, vi fa scivolare. Slitti di lato un paio di volte, ma continui a correre, senza fermarti mai. Pensi a Stiles, al traguardo che vi attende, ma cominci a pensare che non ci arriverete mai.
Improvvisamente, all’orizzonte, sbuca una figura imponente, alta metri e metri. Un monte ghiacciato cosparso di visi sofferenti e sangue raggrumato svetta contro il cielo nero che tanto cielo non pare. È un monte alto e magro, come un gigante che stiracchia i muscoli verso l’alto.
Non riuscirete a scalarlo di corsa, ammesso che lo raggiungiate.
-Merda…-
Qualcosa vi sovrasta, l’oscurità sopraggiunge. Lentamente, la disperazione si fa spazio in te e preghi per la seconda volta un Dio che non hai mai riconosciuto di darvi la forza, di farvi raggiungere Stiles tutti interi.
Ma Dio non vi ascolta. Lui non ascolta mai.
L’oscurità cala, piove su di te come una marea soverchiante. È pronta a schiacciarti, a spezzarti, a entrarti nella testa e rinfacciarti quel dolore che già alberga in te da troppo tempo. Sarai la vittima, non raggiungerai Stiles.
Perdonami, se puoi.
Ma qualcosa si intromette, il corso della storia cambia. Un corpo si frappone tra te e la marea di oscurità, un’ombra più grande fronteggia il nemico e delle ali gigantesche, venate di viola e blu scuro si spalancano. Enormi vele di seta si stendono, abbracciano in lunghezza la metà di quel girone immenso, sconfinato, coprendo miglia e miglia di ghiaccio e vento, di sangue e oscurità. Ali grondanti di pece, ali dalle ossa scure che macabre dividono le vele gigantesche, che paiono voler inghiottire il mondo intero.
Una coda violetta saetta nell’aria, biforcandosi poco prima della fine per sfociare in due identiche punte affilate lunghe poco più di un metro di un intenso blu scuro che quasi sfocia nel nero. Un’arma a doppio taglio, violenta e oscura come una falce mortifera.
Allora la guardi, la guardi davvero. E capisci ancora una volta che il male sa assumere fattezze tanto belle quanto terrificanti.
Se non avessi visto già tante e tante volte quella massa di lucenti ricci neri, non l’avresti riconosciuta.
Il demone ha un viso scarno di donna, le orecchie allungate e a punta, i canini estesi fino a superare di poco il mento. Gli occhi sono verdi, dalla pupilla verticale, con sopracciglia inesistenti sostituite da file di spuntoni massicci che si ripresentano sugli zigomi, sulla mandibola e tra i capelli, dove sbucano due corna enormi curvate all’insù e del colore della pece. La pelle è brillante, luminosa di viola e blu scuro, e cambia sfumature continuamente, come un caleidoscopio di luce oscura e ammaliante.
Hai già visto quel gioco di luci… lo hai visto da vicino, lo ricordi bene. Ma non faceva tanta paura, allora.
Abbassi gli occhi sul resto della creatura, allibito. Strano a dirsi, ma il corpo è ancora peggio. Dal collo in giù, la pelle è più sottile, come carta velina, e lascia intravedere i fasci muscolari sottostanti come nudi pezzi di carne snudata. Altri spuntoni percorrono le spalle muscolose, ben assemblate con le braccia massicce da culturista, volte a sorreggere degli arti che più che mani, somigliano a un’unica fusione tra pelle e micidiale lama di falce, una per braccio.
Il seno è florido, in contrapposizione con la gabbia toracica che buca la pelle e lascia intravedere organi e muscoli sottostanti, vivi e ancora pulsanti, troppo deboli per accompagnare correttamente le gambe animalesche, muscolose, che culminano con zampe a tre dita, simili a quelle di un rettile.
Se Valefar faceva paura in vesti di demone, Dumah è forse anche peggio. Sotto un certo aspetto si somigliano, ma lei appare più… animalesca, come una bestia folle pronta a scattare. La guardi snudare la dentatura leonina e per una volta ringrazi il cielo che non sia più vostra nemica. Ricordi bene gli avvertimenti di Stiles, le sue preghiere riguardo il mantenersi alla larga da lei e Alastor. Ora capisci perché, e ti senti uno stupido arrogante per aver dubitato del tuo compagno.
-DUMAH, NO!!!- urla Valefar, ma è troppo tardi.
Dumah gonfia i muscoli, raccoglie a sé quanta più oscurità riesce a richiamare e si scaglia contro il muro d’ombra, rilasciando un ruggito che fa tremare il cielo e la terra, il ghiaccio e i dannati. Un suono tanto possente e al contempo raccapricciante, non l’hai mai sentito prima. Riverbera nella gabbia toracica, nelle ossa, nelle anime stesse di chi vi sta intorno.
Lo schianto è talmente forte far tremare l’Inferno intero. Genera un turbine di vento che vi scaglia via con violenza e tu sbatti la schiena contro uno spuntone ghiacciato e ti accasci, stordito mentre intorno a te scoppia il pandemonio.
Lacci di oscurità simili a pece viva guizzano ovunque come tentacoli di piovra, fendendo i dannati e il ghiaccio, sfiorandoti più volte. Dei ruggiti immondi ti spaccano i timpani, folate di energia ti spingono ripetutamente indietro, sballottandoti dappertutto. Intravedi un getto di fuoco, schizzi di sangue, mugolii di dolore e speri che Dumah non stia perdendo.
-ANDIAMO!!!-
Valefar vi richiama, svegliandoti dal torpore sofferente e spaventato nel quale sei caduto. Scrolli il capo, ti rialzi. Fai il possibile per non guardarti alle spalle, dove la potenza dell’Inferno stesso sta scuotendo l’universo dalle fondamenta in un unico scontro tra titani.
Affondi gli artigli nel ghiaccio, ti dai la spinta per ricominciare a correre. Stavolta, il vento soffia in tuo favore, tanto che la prima falcata che compi è talmente lunga che ti pare d’aver saltato. I tuoi muscoli di bestia si risvegliano, l’istinto del lupo ti urla di allontanarti, di sottrarti a quella potenza devastante che nemmeno tu puoi contrastare.
Il ghiaccio trema sotto le zampe, ma non ti importa. Tu corri, corri verso la tua speranza, la tua salvezza, che si rispecchia in due grandi occhi dorati. Vuoi rivedere Stiles, abbracciarlo e non lasciarlo andare mai più. Questo pensiero ti regala l’ennesimo slancio, l’ennesimo scatto adrenalinico che ti spinge a sorpassare Valefar, Scott e Peter come una freccia scoccata dall’arco.
Improvvisamente, i volti sotto le tue zampe non ti fanno più tanto orrore perché le creature davvero spaventose sono alle tue spalle e lottano per la sopravvivenza.
Il vento ti graffia ancora, ma tu corri veloce, sempre più veloce, senza fermarti mai. I muscoli bruciano, il corpo si appiattisce al suolo e improvvisamente ti senti aria, vento inarrestabile e inafferrabile. Nulla può fermarti, nulla può raggiungerti. Qualcosa ti spinge con forza, facendoti volare sul ghiaccio senza farti scivolare nemmeno una volta. Quell’energia non è tua, non ti appartiene. Da qualche parte, qualcuno ti aiuta, ti infonde forza e tu la accetti senza protestare, senza chiedere.
Uno spuntone ghiacciato si conficca a pochi metri da te, costringendoti a scartare. A questo segue una sfera di oscurità, una palla di fuoco, altri pezzi ghiacciati. Tu schivi tutto e continui a correre verso il monte ghiacciato.
Un’ombra passa sulla tua testa e tu intravedi un volto tumefatto, scheletrico, dalle grossa corna ricurve. La belva ringhia, poi sparisce nell’oscurità poco prima che Dumah compaia e si getti a capofitto nella cappa di buio.
Dumah non se la caverà con poco. È sola, e Valefar non può aiutarla senza perdervi d’occhio. Se muoiono entrambi, resterete bloccati all’Inferno per sempre, ma se Dumah perde la battaglia… siete morti e basta.
Qualcosa scudiscia oltre la cappa, una coda marroncina che non riconosci. La vedi scudisciare e saettare, fendendo l’aria con la grossa punta affilata.
Allora ti viene un’idea, e capisci che non sei il solo ad aver pensato in quella maniera: Peter ti affianca, ricambia il tuo sguardo e dopo aver ammiccato, annuisce col capo.
Siete entrambi Hale, entrambi figli di una stirpe di guerrieri che nei secoli è perdurata e sopravvissuta nonostante tutte le avversità affrontate. E quello è tuo zio, per quanto detesti pensarlo.
Vi muovete all’unisono, come un sol uomo: tu acceleri, ti dai la spinta finale per raggiungere la base ghiacciata della montagna. Adocchi una sporgenza di ghiaccio molto massiccia, abbastanza da poter reggere il tuo peso e lo slancio esagerato della corsa. Puoi farcela, puoi vincere. In caso contrario, si metterà male per tutti voi.
Balzi all’ultimo istante, affondi gli artigli nella sporgenza e in un viso dannato che grida di dolore e, ruotando il corpo al momento giusto, balzi di nuovo all’indietro.
Peter intanto fa saettare la mano artigliata, fende l’aria proprio dove la coda del demone sbuca fulminea. La afferra con forza, strattona e vi contrappone il peso di tutto il corpo. Grazie all’attimo di spossatezza, la coda non riesce a reggere subito il peso insignificante di Peter e va giù, dritta sulla tua traiettoria.
Spalanchi le zanne su quel debole filo peloso, poi affondi… e la coda si stacca sotto la tua morsa, riversando nell’aria e sul tuo muso uno schizzo di sangue scuro.
Qualcosa ruggisce di dolore con tanta forza che il cielo trema e i dannati mugolano più forte, terrorizzati.
Ma il demone si è distratto, e tanto basta per ribaltare le dinamiche della situazione.
L’oscurità comincia a diradarsi e un battito d’ali di Dumah la respinge, rivelando il suo corpo slanciato e male assortito che lotta con una velocità senza pari, dove migliaia di colpi si schiantano tra loro in meno di un secondo. Tu non riesci a vedere le mani dei due demoni o le code di Dumah che affondano con precisione assassina, ferendo il nemico al collo, alla testa, alle braccia. Gli conficca una punta acuminata nell’occhio giallo e quello ruggisce con più forza, battendo le ali sofferente.
Allora, Dumah ruota su se stessa e fa guizzare gli artigli in un taglio obliquo che coglie il demone dalla spalla al fianco opposto. La ferita si apre, ma il sangue aspetta qualche istante per uscire. Abbadon solleva lo sguardo intriso di odio bestiale e incrocia quello di Dumah. Poi, senza alcun preavviso, crolla.
Le ali d’ombra spariscono e il corpo troppo muscoloso del nemico si schianta al suolo con tanta forza da far tremare le superfici ghiacciate. Annaspa, col sangue che continua a uscire a fiotti dalla ferita. Fa perno sulle braccia per rialzarsi miseramente e si guarda intorno con occhi annebbiati. Posa lo sguardo su di voi e le pupille rosse si restringono in una muta minaccia di follia e morte imminente.
Capisci che sta per accadere qualcosa di brutto ancor prima che il pezzo restante della coda del demone stacchi uno spuntone ghiacciato dal terreno e la scagli verso Valefar in un ultimo, disperato tentativo di vittoria.
Cerchi di uggiolare un avvertimento ma sai già che è troppo tardi.
Valefar poggia il corpo di Scott al suolo, si volta e sbarra gli occhi sorpreso mentre il grosso spuntone di ghiaccio punta al cuore, laddove ogni battito di vita avrà fine. Ma qualcosa si intromette nuovamente, la stessa creatura che già in precedenza ha mutato il corso della storia, dell’avvenire e forse dell’intera missione.
-NO!!!-
Qualcuno spinge Valefar con forza e un altro corpo prende il suo posto. La donna, ormai tornata umana, si volta appena in tempo, sbarra gli occhi… e, nello stesso istante in cui Abbadon muore, lo spuntone di ghiaccio le trapassa il petto, inchiodandola alla parete alle sue spalle come un manichino inanimato.
Dumah spalanca la bocca, non urla. Il corpo si affloscia contro la parete di roccia, ma lo spuntone è conficcato talmente bene che non le permette di crollare al suolo.
-DUMAAAH!!!-
L’urlo di Valefar è talmente forte, talmente disperato che i dannati ammutoliscono. L’Inferno stesso si immobilizza, cristallizzato da un grido che stavolta non è dovuto alle torture o al peso dei peccati: no, qualcuno grida per un altro motivo, esternando un dolore nuovo che laggiù non ha significato, non ha volto.
Il grido di qualcuno che ha appena perso una persona cara.
Valefar la raggiunge barcollando, gli occhi sbarrati, le mani tese in avanti in un gesto al quale Dumah non è abituata: vuole aiutarla, vuole offrirle un appiglio sicuro e amichevole. Da quanto tempo nessuno lo fa? Da quanti secoli la gente la tratta come un oggetto, una bestia, un mostro? L’hanno sempre guardata con malizia o disgusto, così come si guarda una prostituta prima o dopo un amplesso, ma mai in quel modo.
Quanto è cambiato quello stupido moccioso. Dumah è fiera di lui, di ciò che è diventato e vedere Valefar preoccuparsi per lei scala un po’ il dolore della ferita, della vita che scivola via dal suo corpo.
-Mi dispiace…- sussurra esausta. Gli occhi sono illuminati di un verde brillante, fluorescente, dalla pupilla verticale. Sono occhi di serpe, occhi abituati a soffrire e a far soffrire. Tuttavia, quegli occhi adesso gridano aiuto, pietà, e sono colmi di lacrime trattenute. Sono occhi umani, per quanta disumanità ostentino nella loro bestiale apparenza. Valefar non li ha mai visti così espressivi, così giovani, e allora si domanda quanti anni abbia Dumah, quella vera.
Quella non è la donna alla quale il branco è abituato.
Li fissa con un’arrendevolezza che non le appartiene, che Valefar non riesce ad attribuirle.
Dumah non si arrende mai. Lei è una leonessa, una belva che con le sue sole forze ha sfidato l’Inferno e Lucifero stesso.
Dumah combatte fino all’ultimo, qualunque cosa accada.
Ma non è sempre così, non più: insieme alla sua umanità, alla fine emergono anche le sue debolezze. Non è un prezzo troppo caro da pagare, si dice Dumah.
Vedere Peter Hale che la fissa in quel modo, trascorrere con lui una serata a giocare a biliardo o a mangiare una pizza non è stato affatto male.
Ridere con Valefar, stuzzicarlo, vederlo crescere e maturare come un ragazzo che ancora vive è stato bello.
Riscoprire la vita insieme al resto del branco, respirare aria pulita, ritrovare la bellezza di un sorriso o di un abbraccio l’ha rinvigorita.
Sono cose che sanno di vita, di quotidianità. E lei alla vita, non ci è abituata affatto.
-Siete proprio un ben branco.- mormora con un debole sorriso che per una volta non ha nulla di aggressivo o malizioso. È qualcosa di puro, sincero, che sa di mille benedizioni silenziose. –Mi sono divertita, sa… pete? È stato quasi… come… avere una famiglia.-
Infischiandosene della sua stessa reputazione, Peter le afferra la mano e la stringe forte, aggrappandosi a quel contatto. Il suo sguardo vibra di emozioni trattenute, le labbra si stringono, ma non abbandona quella presa che poco a poco perde calore, vita, forza. Sente Dumah scivolare via, sente le sue stesse dita tremare di paura e dolore.
Lei cerca di ricambiare la stretta, ma non ci riesce. Tossisce un grumo di sangue, poi con le ultime forze rimaste solleva lo sguardo su un Valefar mortalmente pallido, che trema spaventato e la fissa ad occhi sbarrati.
-Non ha più importanza, vero?- esala lei con dolcezza nuova, gentile, quasi caritatevole. –Mantenere il… segreto. So… sono stanca ormai, e vo… voglio che almeno voi sappiate per… perché è accaduto tutto questo.-
Dumah respira a fondo, un gesto che pare costarle terribili stilettate di agonia.
-Sono stata io.- mormora, e adesso i suoi occhi sono lontani, spenti, come se fosse già morta.
-Non parlare… ti aiuteremo, ce la farai…- la interrompe Scott, riprendendosi lentamente. Tenta di alzarsi, barcolla, poi cade carponi e tossisce.
Dumah lo ignora e continua. –Da qua… ndo ho incontrato il ra…gazzino, ho iniziato a ricordare. Non molto, ma almeno… parte di quella vita che credevo di aver perso. So come mi chiamo, anche se non ricordo i volti dei miei… genitori. Tutto ciò che mi rimane è il nome di mio fratello e… parte della mia storia. So solo che… ero una prostituta. Sono finita all’Inferno per questo. Mi… mi hanno uccisa. Ero una delle ignote vittime che la guerra dei cent’anni si lasciò alle spalle e il… mio corpo non fu mai tro… vato.-
Dumah solleva gli occhi al cielo e improvvisamente ti accorgi che sono lucidi, stanchi come quelli di una vecchia. I ricordi fanno male, lacerano l’anima, e Dumah ne è la prova vivente. La guardi spezzarsi, spegnersi goccia dopo goccia ma, nonostante tutto, ella continua a parlare.
-Forse è per questo che sono diventata così. Una prostituta ero in vita, e tale sono stata anche dopo, quando Lucifero mi trasformò in demone. Gli piacevo per questo… ma non era questo che volevo essere, e ho capito di potermi ribellare troppo tardi.-
Una lacrima le sgorga dall’occhio destro e ti stupisci nel constatare che non un barlume di sangue rossiccio la contamina. Quella lacrima è umana, adamantina, pulita come pianto di infante. E fa male, perché adesso sai che alla fine, giunta al traguardo di una vita incompiuta, Dumah ha trovato la sua tanto agognata umanità. Morirà così, con la consapevolezza di aver scoperto quella scintilla a lungo cercata e mai innescata davvero.
-Io… prima di diventare prostituta, fuggii da un’imboscata degli inglesi. Scappai, lasciandomi alle… spalle mio fratello. Il mio fratellino, la persona più… importante della mia vita. L’ho ricordato qua… quando ho visto Stiles e la sua… stupida faccia da santa…rellino. Se si fosse fatto gli… affari suo… suoi, io sarei sopravvissuta. Però… però…-
Dumah abbassa gli occhi, li fissa in quelli di Valefar. Lo sguardo di lei è dolce come non mai e adesso non piange più. Al contrario, sorride con dolcezza non sua, che le trasfigura il volto di nuova luminosità, una luce affettuosa, gentile, angelica. Stringe un’ultima volta la mano di Peter, poi lo lascia andare in un tacito invito che lo prega di liberarla, di voltarsi dall’altra parte.
Ma lui non lo fa. Non ci riesce, così come anni addietro non riuscì a impedirsi di guardare la sua famiglia che ardeva, consumandosi tra le fiamme di un Inferno privato di fiamme, dolore e suppliche mai ascoltate. Per quanto possa sembrare paradossale, Peter non è uno che si volta dall’altra parte. Lui guarda la morte in faccia e prega spesso che questa si porti via anche lui.
-Essere troppo bella per questo mondo non fa di te una prostituta. Mi sento offeso: non amo le donne facili, e di certo quelle stesse donne non fanno per me.-
Dumah sorride stancamente, il capo che poco a poco perde forze e si abbassa.
-Ho… aperto il portale per… consentire a… mio fratello di uscire dall’Inferno, di vedere il mondo sotto stesso ordine di Lucifero. Volevo che… vivesse, volevo vederlo ridere, non torturare le persone. Quello non era lui. Non lo riconoscevo.-
Valefar trema, indietreggia mentre Dumah lo guarda un’ultima volta, il barlume di un sorriso sereno sul volto.
-Sono fiera di te, fratellino.-
E allora cade il silenzio mentre Valefar stringe le labbra e serra gli occhi disperato. Quel viso, adesso lo ricorda. Quel viso sa di famiglia, di casa. Dumah ha il suo stesso volto affilato, i suoi stessi zigomi alti e gli occhi dal taglio appena orientalizzato. Riesce a immaginarla da ragazzina, magra e sporca di sangue, debole e fragile come fiore in sboccio che il mondo troppo presto ha deciso di strappare.
Sua sorella. Dumah è sua sorella.
Valefar crolla. Non l’ha mai fatto prima, ma ormai non ce la fa più. Ha abbandonato sua madre, ha odiato inconsapevolmente una sorella che per anni l’ha protetto e osservato da lontano. Ha sbagliato tutto, ed è colpa sua. Adesso, Dumah muore per difenderlo.
Ormai a pezzi, Valefar cade in ginocchio e si aggrappa alle gambe della sorella, stringendola all’altezza delle ginocchia. Le bacia la mano libera, sporcandosi il viso di sangue innocente, il sangue che entrambi condivisero e ancora adesso condividono. Il sangue di sua sorella.. Della sorella che credeva di aver perduto, della sorella che l’ha sempre guardato, protetto, aiutato a sua insaputa.
Il suo angelo custode.
-Esmeralda… perché non me l’hai detto? Perché?!- grida distrutto. Solleva a stento il viso per incontrare quello sereno di Dumah, che ormai non ha più nulla di demoniaco ma appare calma e bellissima come il più splendido degli angeli. Un angelo dalle ali spezzate, l’ennesima vittima senza nome che quella guerra cancellerà inesorabilmente.
-Perché non volevo che mi giudicassi, Alexander. Volevo… guardarti da lontano, proteggerti, anche se mi avresti odiata. Va bene. Avrei distrutto il mondo intero solo per vederti sorridere. Sono egoista, sono un demone. Però… non credo di aver mai fatto scelta più giusta di questa.-
Valefar singhiozza forte, si aggrappa nuovamente alle gambe della sorella e le bacia le ginocchia, i polpacci, la parte esterna delle cosce. Piccoli gesti di prostrazione, piccole richieste di perdono. Ma lei non ha nulla da perdonargli perché non l’ha mai incolpato di qualcosa. Valefar le ha lasciato i ricordi più belli del mondo coi suoi sorrisi, con le sue battute, con l’avanzare della sua vita umanizzata. Dumah lo ha visto crescere e innamorarsi, e questo è il regalo più bello che Valefar le abbia fatto. Non è più solo.
Ormai, Dumah non c’è quasi più: lo guarda un’ultima volta, sorride, vorrebbe stringergli la mano e baciarlo sulla fronte come non ha mai fatto davvero. Poi, vorrebbe salutare tutti e baciare Peter sulle labbra perché quel licantropo pazzo ed egocentrico le ha insegnato molto e non l’ha mai abbandonata.
Vorrebbe, ma non può.
Le prostitute non baciano, non amano, non servono a null’altro che al piacere altrui. Eppure, quella prostituta non è come le altre e scopre l’amore proprio adesso, riflesso negli occhi azzurri di un uomo che uomo non è. Si specchia nella placida calma di quel colore, perdendosi nelle onde dell’oceano più puro che esso riflette. Mentre chiude gli occhi, Dumah si immagina intenta a passeggiare su una spiaggia, finalmente libera e felice, mano nella mano con quell’uomo che in pochi giorni le ha dato quel qualcosa che nessuno in tanti anni ha voluto regalarle. Spinge lo sguardo al largo e vede Valefar correrle incontro, con Lydia sulle spalle che ride e gli bacia una guancia. Più in là, c’è il resto del branco, con Stiles che la chiama e allarga le braccia in un muto invito caritatevole, come angelo che spalanca le porte del Paradiso.
Dumah sorride, esala un ultimo respiro proprio mentre il vento si quieta e finanche i dannati serrano le labbra, prostrati dalla serena accettazione di una creatura che per ribellarsi, per cambiare le carte in tavola e salvare ciò che resta della sua famiglia, ha dato tutto, ogni parte di se stessa.
Adesso, su quella spiaggia, Dumah ci corre davvero ed è bellissimo.
Finalmente, si sente a casa.
 
“Per me si va nella città dolente,
Per me si va ne l’etterno dolore,
Per me si va tra la perduta gente.
Giustizia mosse il mio alto fattore:
Facemi la divina potestate,
La somma sapienza e ‘l primo amore;
Dinanzi a me non fuor cose create
Se non l’etterne, e io etterno duro.
Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate.”
 
Perché il mondo va avanti? Perché il suo girare non si interrompe quando accade qualcosa di brutto come un pagamento troppo alto di un errore fatale, non voluto, che la vita tuttavia non risparmia? Respiri interrotti, battiti cardiaci spenti, anime che s’infrangono come specchi durante l’ultimo ansito disperato di giovani vite attaccate alla sopravvivenza.
Il mondo non si ferma mai. Va avanti, continua a muoversi e i suoi abitanti voltano la faccia dall’altra parte, troppo sensibili a quella morte che massacra troppe vite. Ognuno pensa soltanto a se stesso e prega spesso di non essere il prossimo, ma a piangere quell’anima perduta, son ben pochi soggetti. Paradossalmente, l’Inferno si rivela adesso più vivo e umano dell’umanità terrena.
Dinanzi al grido agonizzante di un fratello che ha appena perduto quella parte di famiglia che credeva già persa da tempo, l’Inferno si zittisce.
I dannati smettono di urlare, il vento sferza con minor intensità e il silenzio pare cadere su ogni girone, dove demoni e dannati si bloccano e alzano la testa, incuriositi dall’infrangersi cristallino di gocce che non si rivelano sanguigne. Lacrime come quelle, pure e ricolme d’amore, hanno il potere di sciogliere qualsiasi superficie ghiacciata, qualsiasi cuore di pietra, qualsiasi animo impazzito.
È buffo a dirsi, ma a piangere come un bambino è proprio un demone. Giovane, biondo, dai chiari occhi azzurri inondati di quelle lacrime che gli ripuliscono la pelle e i vestiti. Abbraccia con forza un corpo abbandonato e sanguinante, impalato contro il muro della montagna ghiacciata.
-ERA MIA SORELLA!!!- grida, ed è un urlo così forte, così raccapricciante che appiattisci le orecchie al cranio e chini il capo, distrutto. Crolli a sedere, serri gli occhi perché Dumah è l’ennesima vita che non hai potuto salvare, l’ennesimo prezzo troppo alto che il tuo branco ha pagato. Ti sorprendi a pensarlo, perché dopotutto, anche se inconsciamente, hai iniziato a pensarlo davvero. Quanto tempo fa hai smesso di considerarla una minaccia? Quanto tempo fa l’hai inserita nella cerchia ristretta della tua sgangherata famiglia?
Valefar continua a singhiozzare mentre Peter, ancora immobile e con gli occhi serrati, stringe forte la mano gelida di Dumah. Scott piange a bassa voce, piegato in due dal dolore, ma tu non hai più la forza neanche per disperarti.
-Dobbiamo andare.- sussurra Peter all’improvviso, spezzando l’innaturale silenzio venuto a crearsi. Ha ancora gli occhi chiusi e soffre in silenzio, da vero Hale. Chiunque scambierebbe il suo atteggiamento per freddezza, ma tu sai, tu vedi che tuo zio sta piangendo lacrime invisibili, amare, innamorate.
Innamorate. Peter. Non vuoi crederci, ma a guardare la sua espressione, quello è l’unico pensiero che ti salta in mente. Innamorato. Peter amava Dumah? Non lo sai, ma speri di sbagliarti se anche pensi che sia così.
-Non posso lasciarla qui…- mormora Valefar e tu sai che ha ragione. Tu stesso non hai lasciato tua sorella Laura a marcire in un bosco, quindi non puoi pretendere che Valefar faccia diversamente.
Stai per ritrasformarti e replicare alla battuta di Peter, quando il vento ricomincia a soffiare più forte e con più violenza. Nuovi tagli si aprono sul tuo corpo e per poco le raffiche non ti spazzano via. I dannati ricominciano a singhiozzare e a gemere piano e poco a poco ti accorgi che l’Inferno si sta risvegliando. Tutto ciò che puoi sperare, è che anche i suoi abitanti demoniaci non siano tanto svelti nel riprendersi o sarete nei guai.
-Valefar!- esclama Scott, con le lacrime che si congelano sul viso e la brina tra i capelli.
Peter china il capo, ancora saldamente aggrappato alla mano gelida di Dumah come se non volesse lasciarla andare mai più. Ringhia a bassa voce con una rabbia animale che quasi non riconosci perché intrisa di un’impotenza disperata, sofferente.
-VALEFAR!!!-
Facendo eco al richiamo di Scott, uggioli forte e gli azzanni un polpaccio con tutta la forza che hai. I denti penetrano il jeans di Valefar e sfondano il muro di carne e muscoli fin quasi a toccare l’osso ma sai che il demone è quasi immune al dolore fisico perciò lo scuoti, facendolo quasi cadere ed è allora che Valefar si riprende. Sbatte le palpebre, stringe i pugni e chiude gli occhi.
Senti il suo cuore accelerare i battiti e sai che sta per accadere qualcosa, un eccesso di rabbia demoniaca che nessuno di voi riuscirà ad arrestare. La stessa rabbia che si ripercuote in Peter, in Scott, in te. Siete furiosi con Satana e Dio, furiosi con l’Inferno che ha lasciato morire una martire silenziosa e senza colpe.
Pagheranno. Tutti quanti.
Gli occhi di Peter si illuminano, così come accade ai tuoi e a quelli di Scott, che brillano vermigli nel candore del girone infernale. La vostra rabbia si diffonde a ondate in ogni direzione, spaventando nuovamente i dannati, facendo vibrare le ombre che lentamente Valefar sta richiamando. Le senti attaccarsi al tuo pelo, alle zanne, agli occhi. Questa oscurità non ti schiaccia, ti potenzia. Ma c’è qualcos’altro con te, una forza benigna che non viene da Valefar o dall’Inferno. Qualcuno ti tocca il pelo, vi protegge dal vento incessante che continua a ferirvi e improvvisamente, una nuova ondata di energia si contrappone a quella dell’Inferno stesso, facendo tremare ogni girone, ogni dannato, ogni demone.
Sollevi la zampa.
Scott alza il pugno.
Peter carica un colpo di gomito.
Valefar solleva un piede.
C’è ancora speranza, c’è ancora vita in voi. Raggiungerete l’obbiettivo ad ogni costo, e lo farete per Dumah, per Alastor, per tutti gli innocenti massacrati in nome di una battaglia senza nome e senza volto. Combatterete per vincere, forti di una benedizione che né Dio, né Lucifero vi hanno regalato.
Delle ombre umanoidi si addensano intorno a voi, presenze che si aggrappano alla vostra energia e la potenziano. Non sai chi sono quegli individui, ma senti che sono lì per aiutarti.
“Coraggio, tesoro.”, mormora una voce di donna, ed è allora che la riconosci. Tu e Peter avvertite la presenza della vostra famiglia, di quegli Hale morti in battaglia o bruciati vivi in una casa che da tana sicura si è trasformata in una trappola micidiale. Insieme a loro, sopraggiungono altri che non riconosci, ma che invece riconoscono Scott o Valefar.
Non siete soli.
Tutti insieme, abbattete i vostri colpi sul ghiaccio sottostante, esercitando una rabbia folle e senza freni che sfonda la superficie e buca ancora una volta il girone. Il ghiaccio si apre in un crepaccio, rivelando ancora una volta un agitarsi di corpi maciullati che giacciono incastrati come vermi ma si dimenano ancora, spargendo sangue dappertutto.
Vi lasciate cadere nel crepaccio, stavolta senza paura. Dall’alto della vostra discesa, caricate un nuovo attacco diretto alla superficie ghiacciata della Tolomea, dove i dannati, traditori degli ospiti, giacciono col viso rivolto all’insù e gli occhi congelati.
La violenza dello schianto quasi ti spezza tutte le ossa del corpo, ma  non vi fai caso perché adesso avverti la presenza del tuo traguardo, il respiro di Stiles, il suo calore, la dolcezza del suo tocco.
Quando colpite il ghiaccio per la seconda volta, intravedi una figura al tuo fianco; una creatura incappucciata che cala la mano scheletrica accanto alla tua zampa, sfiorando il terreno insieme a te e stavolta disintegrandolo in un crepaccio che quasi si sbriciola intorno ai corpi distrutti dei dannati.
Continuate a cadere, stavolta con meno foga perché il vento vi coglie più impetuoso che mai e vi sballotta via, sparpagliandovi. Il tuo corpo tocca il suolo, scivola, si abbatte di schiena contro uno spuntone affilato che quasi ti trapassa. Senti la spina dorsale fremere ferita e speri di riuscire a rialzarti perché se non vi riparate subito, il vento vi farà letteralmente a pezzi. È come essere infilati in una centrifuga insieme a mille coltelli affilati che maciullano e tagliano, spezzano e feriscono. Senti le ossa scricchiolare mentre tagli profondi si aprono nel tuo corpo, massacrandolo.
“Alzati, figliolo!”, urla una voce maschile al tuo fianco. Quel timbro somiglia tanto al tuo, roco e morbido allo stesso tempo. Sai a chi appartiene.
Apri lentamente gli occhi, fissando la sagoma indistinta di tuo padre. Vorresti chiamarlo, rialzarsi come dice lui, ma non ce la fai. Forse hai tutte le ossa spezzate, forse stai morendo davvero e sei tanto stanco. Chiudi gli occhi, esausto, e lasci che il dolore ti invada le membra insieme alle grida dei tuoi imperdonabili peccati.
Cosa credevi? Che recuperare Stiles ti avrebbe risollevato dalle tue colpe? Sei un assassino, un bugiardo, un traditore. Appartieni a più gironi infernali che ai boschi della Terra dove sei cresciuto.
“ALZATI!!!”
Qualcuno ruggisce in lontananza. È un ruggito feroce di bestia impazzita, un suono talmente potente da far tremare il ghiaccio e il cielo plumbeo. Quel suono assopisce momentaneamente il vento, dandoti modo di respirare a pieni polmoni aria rarefatta e nociva che già ti mangia gli organi e la pelle, bruciandoti le narici. Tremi di freddo e di dolore, riconoscendo sul tuo pelo più sangue di quanto possano contenere le tue vene. Tra i dannati sepolti totalmente nel ghiaccio, fatti a pezzi, dalle fattezze ormai irriconoscibili e impossibili da ricondurre a un aspetto umano, intravedi Peter e Scott che lentamente cercano di rialzarti. Valefar li protegge con le immense ali blu e nere, ma sembra esausto anche lui e per la prima volta intravedi un’ombra di paura e dolore fisico sul suo volto.
Lì i demoni non scendono mai, e se la Divina Commedia è esatta, sai anche perché.
La Giudecca è l’ultimo girone, il più feroce dell’Inferno. Lì, tra il ghiaccio e il sangue, è incastrato lo stesso Lucifero che con lo sferzare delle sue ali fa a pezzi i dannati, traditori dei benefattori. Spingi lo sguardo più in là, verso il manto di nebbia, dove una figura immensa e oscurata dal buio muove gli arti in ogni direzione.
Stiles…
Ti rialzi a fatica, ignorando la debolezza e il dolore degli arti spezzati. Non sai come fai a muoverti, con tutte quelle ferite addosso e più ossa rotte di quante potrebbero consentirti la sopravvivenza. Raggiungi quasi strisciando i tuoi compagni, chiedendoti perché il vento si sia calmato.
-Dove siamo?- mormora Scott, ansimando. Ha il volto coperto di sangue, entrambe le spalle lussate e un ginocchio spezzato. Come immaginavi, nessuno di voi guarisce, il che significa che siete in guai seri. Tu ti senti ormai prossimo alla morte, vedi appannato e respiri a stento. Ti senti un’ombra, la carcassa già spezzata di qualcosa che non sarai mai più.
Ti accasci al suolo, ansimando a stento.
-Mio dio…- esala Peter, guardandoti. Senti i suoi occhi su di te e ti chiedi cosa pensa in quel momento, vedendoti debole e stremato, morente come qualsiasi anima lì dentro.
-Derek! Derek, alzati!- esclama Scott, sofferente. La sua voce è coperta da un nuovo ruggito, un nuovo ringhiare feroce. Hai paura di quel suono perché nessun demone fino ad ora ha mai prodotto un ringhio tanto folle.
-Chi diavolo è che ringhia così? Lucifero?- sbotta Peter, cercando di vedere oltre il muro di ali di Valefar.
-Lui… no. No.- mormora debolmente il demone. –Dobbiamo tornare indietro. Subito.-
Non puoi credere alle tue orecchie. Avete perso Dumah per arrivare fin lì e adesso Valefar pretende che escano di lì senza Stiles. Cerchi di protestare, ma non riesci nemmeno ad alzare la testa. Hai freddo.
-Che… cavolo dici?- ringhia Scott. –Abbiamo fatto tanto per…-
Ma improvvisamente un nuovo ruggito lo interrompe, stavolta accompagnato dal cigolio di catene.
Valefar sospira pesantemente. –È tardi, ragazzi.-
Chiude lentamente le ali, rivelando la creatura alle sue spalle.
-Troppo tardi.-
È allora che ti sembra di scivolare inesorabilmente in un abisso di paura e follia. Tu, che hai combattuto innumerevoli battaglie; tu, che sei sopravvissuto al massacro della tua famiglia. Tu, che vedi sgretolarsi davanti ai tuoi occhi ormai quasi ciechi l’obbiettivo più importante della tua vita.
La creatura è quanto di più bello e spaventoso tu abbia mai visto in vita tua. Fiera come una pantera, feroce e terribile come un cobra sibilante di rabbia. Racchiude in sé tutto il fascino del peccato e tutta la sua malcelata pericolosità. Un re cornuto, più bello di quanto lo stesso Lucifero in tempi gloriosi sia mai stato.
Il demone è nudo, con pesanti anelli d’acciaio che gli incatenano collo, polsi e caviglie al suolo, laddove le catene annegano nel ghiaccio. Ha un fisico magro e scolpito, di quelli che attribuiresti a un velocista esperto, con pettorali e muscoli torniti, fianchi stretti, fondoschiena alto dal quale sbuca una coda lunga tre metri di un rosso cupo alla cui sommità sboccia una lama triangolare, metallica, brillante d’oro massiccio.
La pelle, massacrata da centinaia di migliaia di cicatrici, è squamata e simile a quella di un rettile e brilla di un intenso rosso e oro, con sfumature nere, cremisi, gialline, come di fiamma che danza impazzita tra le carni in un gioco di luci ipnotico e mai noioso, che potresti fissare incantato per ore senza stancarti mai.
Dai fianchi in giù, la pelle muta in pelo oro e vermiglio, innaturale su quelle scheletriche zampe di lupo che, per la loro magrezza, somigliano più a quelle di un levriero malnutrito. È un accostamento barbaro, che insieme all’esagerata muscolatura delle braccia, volte a sostenere quattro identiche lame per mano, lunghe come katane e dalla forma altrettanto piatta e sottile, quasi rovinano l’insieme. Quasi. Perché nulla potrebbe imbruttire quella creatura terribile e terribilmente affascinante, ferina, che trasuda folle dolore e altrettanta folle maestosità di leone ruggente.
Con riverenza, spingi lo sguardo oltre, verso le ali: sono quattro, enormi, con vele dorate e muscoli rosso scuro che colano catrame. Appaiono possenti, capaci di sradicare monti e asciugare i mari semplicemente sbattendo un paio di volte. Distruttive e bellissime, proprio come il loro proprietario.
Ti sembra quasi un crimine quando, guardando meglio, ti accorgi che anche le ali sono incatenate al suolo, bloccate da anelli che impediscono loro di spiegarsi.
Lungo le spalle, sulle clavicole e incastrati sulla parte esterna delle braccia troppo muscolose, da culturista, coperte di vene e nervi tesi allo spasimo, vi sono file intere di punte acuminate di un nero acceso. Le stesse punte che si riscontrano lungo i tendini del collo e sulla linea della mandibola morbida, sulle sopracciglia, sotto gli occhi, ai lati della fronte, dove salgono per sbocciare tra i capelli scuri in quattro gigantesche corna ondulate di un nero intenso e ammaliante. Le labbra sono tagliate da una linea sottile che separa mandibola e mascella come bocca di serpente, dando vita a zanne da predatore che di poco superano il mento. Le orecchie sono a punta e allungate, la pelle del viso martoriata dalle cicatrici e gli occhi…
Quegli occhi. Li conosci bene, vero? Dorati e bellissimi, dalla pupilla verticale e la cornea nera. Li hai guardati da vicino mentre vi baciavate, mentre scorrevi le tue mani sul corpo allora ancora umano, ancora puro di ogni forma di rabbia e macabro peccato.
Non vuoi credere che quella creatura tanto splendida quanto spaventosa sia lui. Il tuo lui. La tua anima, la tua speranza, la tua parte più pura e incorruttibile.
STILES.
Se mai prima d’ora hai sperato di morire, nessuna di quelle preghiere si paragona a quella che ti sboccia nella gola, viva e disperata di un dolore antico che ti esplode nel petto, massacrando ogni tua forza, ogni tua gioia di respirare. Vedi il demone opporre una fiera resistenza alla morsa delle catene, lottare fino a farsi sanguinare la pelle squamata. Lo vedi ringhiare bestialmente, fissarvi con un odio talmente scellerato che non lo riconosci, non se attribuito a quei bellissimi occhi dorati.
Quello non è Stiles. Non ha niente di lui, se non il volto e qualche vago aspetto fisico. Non vuoi accettarlo, non vuoi arrenderti alla realtà nuda e cruda di una situazione disperata che in realtà non ha mai avuto via d’uscita.
“Io non voglio essere un mostro”.
Senti ancora la sua voce, il suo pianto disperato. Non voleva essere un mostro, ma ora lo è, e tutto per colpa tua. Avevi giurato di proteggerlo, di impedire che tutto questo accadesse. Dove sono i tuoi giuramenti ora? Che ne è delle tue parole, della tua sicurezza dinanzi alla reale entità del danno che hai creato?
Hai spezzato un’anima, l’hai massacrata. Era la più pura dell’universo e tu l’hai sporcata col male che ti porti dietro da troppi anni.
-Stiles… no… ti prego, no.- mormora Scott, cadendo in ginocchio. Ha gli occhi sbarrati, le labbra schiuse e trema convulsamente, incredulo davanti all’orrore che assorbe il suo cervello. Lo guardi, e sai che anche quel tremito è colpa tua. Dovevi lasciare andare Stiles quando potevi, quando hai cominciato a capire che sei troppo piccolo e debole per lottare contro le potenze infernali. Sei stato arrogante come al solito e adesso altri pagano per te.
Dovevi capire, ma adesso nulla ti concede di tornare indietro. Stiles ha pagato un prezzo troppo alto e, insieme a lui, anche il resto del branco cadrà a pezzi.
Scott ha perso un fratello.
Lydia il suo migliore amico.
Allison e Isaac una persona cara.
Valefar e Peter hanno perduto Dumah.
E tu? Tu hai perso più di tutti perché non hai più niente: né cuore, né animo, né vita. Sei spezzato, vuoto. Improvvisamente, morire non è poi un’alternativa tanto brutta, ma prima devi fare una cosa.
Ignorando il dolore delle ossa spezzate che ti fanno tremare le membra, ti raddrizzi. Senza guardare gli altri, cominci a zoppicare pietosamente verso il demone, che strattona le catene con tutte le sue forze verso di te, verso la sua preda. Gli basterà un gesto per ucciderti, ma questo non ti preoccupa. Senza il fattore di guarigione, sei morto comunque.
-DEREK!!!- urla Valefar, ma tu continui ad avanzare.
Hai fatto tanta strada, hai perso così tanto… tutto per guardarlo in faccia un’ultima volta, tutto per dirgli e fargli capire ciò che stupidamente hai taciuto mentre Stiles ti abbandonava.
“Non te l’ho mai detto, vero?”
Vorresti chiedere scusa, a tutti quanti. Al branco per non essere stato degno di loro, allo Sceriffo Stilinski per avergli nascosto il ritorno del suo stesso figlio, alla tua  famiglia per non averli salvati da quell’incendio maledetto. Hai sempre preferito il silenzio, l’assenza di gesti e parole che ti rendessero umano, quando in realtà, l’umanità è tutto ciò che ti rende vivo. Che ti rende Derek Hale.
“Avremmo potuto vivere davvero, Derek…”
Il demone ruggisce con ferocia, strattona ancora le catene. Le senti cigolare pericolosamente e quasi non noti l’improvvisa fragilità di alcuni anelli. Non ti fermi, continui a camminare. Alle tue spalle, Peter, Scott e Valefar ti chiamano disperati ma non si avvicinano.
È una tua decisione, una scelta che porterai a compimento da solo. Hai bisogno di parlargli, di guardare da vicino quegli occhi, fosse pure per l’ultima volta.
“Perdonami, Derek…”
Le catene si spezzano di schianto e il demone… Stiles… è libero.
“Io…”
Il demone scatta, tende verso di te gli artigli affilati. Ti trapasserà da parte a parte, ti farà a pezzi senza riconoscerti, ma non ti importa. Non importa più nulla se Stiles non è lì con te, a sorriderti, ad abbracciarti, a baciarti.
È per questo che ti ritrasformi in umano e spalanchi le braccia in un gesto effimero, l’ultimo che ti concedi, l’ultima disperata richiesta di perdono.
Le lame guizzano, acciaio purissimo di purissima rabbia animale. Le vedi dirigersi verso il tuo addome, brillanti e bellissime come il loro inferocito proprietario. È il culmine di qualcosa che non ti aspettavi, una morte che non sa di amarezza ma di beata accettazione. Di perdono e liberazione.
Stiles ti ha insegnato a respirare, a ridere, a camminare sulla terra del mondo senza annerirne l’erba e i fiori. Gentilmente, come angelo travestito da demone, ti ha protetto dai tuoi stessi peccati e ti ha aiutato a portarne altri. Ti sei sentito leggero, libero, vivo.
Stiles ti ha donato la vita e ora lui te la toglie. Va bene, sei felice così. Morirai tra le sue braccia, laddove tutto è iniziato e laddove tutto finirà.
Il corpo si sbilancia all’indietro, l’impatto di qualcosa sulla pelle ti stordisce. Chiudi gli occhi, ti prepari perché sai già che ormai ogni tua barriera sta per cedere.
Stiles ti uccide. E tu… semplicemente parli.
“Ti amo.”
-Ti amo.-
Le tue braccia si stringono intorno al torace dell’altro, le punte acuminate della sua pelle ti feriscono la carne. Inspiri il profumo di Stiles, appellandoti alla felicità di quei ricordi che ti hanno condotto fin lì, tra le braccia della morte e della vita.
Senti le forze abbandonarti, le gambe cedere. Ma, per una volta, hai fatto il tuo dovere e sei soddisfatto di te stesso. Se restare all’Inferno significa gelare in eterno in quel girone tra le braccia di Stiles, lo accetterai con serenità, come se a stringerti fosse il Paradiso stesso, quello vero che non hai mai assaporato se non grazie a lui, a un angelo travestito da demone.
Il mondo si ferma lì, nel tocco di gelido cadavere che le tue braccia generano stringendo dolcemente l’unica vita che ti è stato concesso di conoscere, l’unico angelo che col suo solo sguardo ha saputo condurti oltre i cancelli della beatitudine, oltre Dio e il Diavolo, oltre gli angeli e i demoni.
Muori tra le braccia di Stiles Stilinski mentre per la prima e ultima volta, un sorriso vero di bambino ti sboccia sulle labbra e tu ritrovi quella strada che perdesti anni addietro, quando eri troppo giovane per conoscere il peccato. Sei felice, sei completo. Ma soprattutto, siete insieme. Ce l’hai fatta.
 
Angolo dell’autrice:
Amo i capitoli allegri. Accidenti, a volte mi sento più sadica di Martin… sì, l’artefice di tutto questo alla fine è Dumah. A causa sua sono morti degli innocenti, ma l’ha fatto per suo fratello. Voi avreste fatto lo stesso o non giustificate il suo gesto? Ammetto che… no, non sapevo nemmeno io che la colpa fosse sua. Quando inizio a scrivere una storia, i risvolti che accadono sono totalmente imprevisti anche per me, quindi quando ho scritto questa… cosa… ero sorpresa quanto voi. Ma, passiamo alle cose importanti: cosa ne pensate di Stiles demone? Vi è piaciuto? Lo immaginavate diverso?
Come al solito, spero col cuore di non avervi delusi. In ognuno di questi capitoli c’è un pezzo di me stessa, una piccola parte di quelle emozioni che prego giungano a voi, incoraggiandovi quando la speranza viene a mancare, emozionandovi quando ogni cosa vi crolla addosso. C’è sempre una speranza, finché qualcuno impara a crederci. Ed è per questo che ringrazio voi, che con le vostre recensioni siete riuscite a farmi piangere si felicità e incredulità.
Grazie a Giada_ASR per l’emozione che lascia trasparire da ogni parola che ha scritto.
Grazie a Justin_Onedirection_Smile per le lacrime di commozione che non ha mancato di farmi versare. Mannaggia a te!
Grazie ad Elenuar Black per la pazienza che dimostra continuamente nel lasciarmi sempre una parolina di incoraggiamento.
Grazie a Barbara78 per la dolcezza delle sue recensioni.
Grazie a _Sara92_ per i suoi commenti sempre bellissimi e mai noiosi.
Grazie Hollybane per il suo splendido entusiasmo.
Grazie a Slaveofadream per le sue parole commoventi e bellissime, che davvero… davvero non mi sarei mai aspettata.

 
Anticipazioni:
“Quando atterri dolcemente su una superficie fredda e dura, spalanchi gli occhi. I rumori si quietano e ti sorprende l’improvvisa e totale assenza di suoni e odori. Il mondo sembra essersi annullato, inghiottito da quel silenzio sepolcrale che preannuncia qualcosa. Qualcosa di brutto, probabilmente.
Appena realizzi dove ti trovi, resti senza parole: pavimento grigio, muri di un bianco abbacinante che danno all’ambiente quel po’ di illuminazione negata dal cielo totalmente nero, scuro come cappa di velluto.
Ti alzi lentamente, le quattro zampe che poggiano insicure ma intatte sul pavimento liscio e anonimo. Senti i cuscinetti aderire ruvidi, graffiare per non scivolare. E ti accorgi improvvisamente di essere privo di ogni ferita, intatto, come se non fosse mai successo niente. La mente di Stiles ti ha voluto così o è stata una cosa accidentale? Non lo sai e per ora non ti importa.
L’incappucciata ha detto che Stiles sta sparendo, che gli resta poco tempo. Ma cosa devi cercare in quel posto?”

Tomi Dark Angel
 
  
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