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Autore: GiadyEsse    18/07/2015    8 recensioni
Se lo ricordava, Zayn, il giorno in cui l’aveva incontrata la prima volta, sulla terrazza di quel ristorante che affacciava sul mare, mentre il vento glieli scompigliava leggermente, scomponendoli sulla fronte e formando dei riccioli. Lui lavorava lì come cameriere, e aveva appena portato via gli ultimi piatti dai tavoli quando il maître gli aveva comunicato seccamente che poteva anche prendersi una mezz’ora di pausa, così si era avvicinato nella sua direzione.
Si era acceso una sigaretta, e intanto la guardava.
Viennah era bella, lo vedeva anche se non era completamente girata verso di lui, col suo champagne che spumeggiava nel bicchiere a stelo che teneva tra le dita.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Zayn Malik
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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                                                                   A te, Zé, 
                                                                                                                                                                                                                         ché tanto niente dura in eterno.


Victoria Jennah Pewkins – Viennah per le amiche col suo stesso sangue blu – era in ritardo, ma a Zayn sembrava non importare.
La calma impassibile di lui si contrapponeva alla fretta e all’agitazione di lei, che al’improvviso uscì dal bagno attraversando la stanza con un orecchino d’argento in mano, che stava cercando di infilarsi.
I suoi passi, accentuati dal rumore dei tacchi, risuonavano sulla moquette bianca, e Zayn, stravaccato sul divanetto in pelle marrone, si girò, distratto dai suoi pensieri.
Viennah si fermò nel bel mezzo della stanza, incrociando il suo sguardo assente e notando che non si era ancora cambiato i vestiti.
“Zayn” disse solo, con la sua bocca perfetta e ricoperta dal colore vivo del rossetto leggermente spalancata.
“Che c’è, Viennah?” aveva risposto lui in tutta tranquillità, alzando lentamente le palpebre e rivolgendo al suo sguardo attento i suoi occhi liquidi e senza espressione. Calmi. Dalla rassegnazione, o semplicemente da una certa indifferenza data dall’abitudine. La stessa con cui aveva acconsentito nel chiamarla con  quel nome ridicolo che piaceva tanto alle sue amiche, quasi lo stesso della capitale dell’Austria, di quella città bella ed elegante, e anche capricciosa, come il palazzo imperiale dello Schönbrunn in stile barocco e i suoi giardini meravigliosi e colorati, dalla geometria perfetta e raffinata.
“Stasera c’è…la cena di beneficenza. E noi dobbiamo andarci” rispose Vienna con le labbra ancora leggermente socchiuse e gli occhi rotondi ridotti a due fessure, contornati dal tratto impeccabile della matita nera.
La sua espressione dubbiosa e sorpresa allo stesso tempo – di chi si trovava davanti ad una situazione tanto inattesa quanto incomprensibile – le dipinse un cipiglio sulla fronte, facendole aggrottare le sopracciglia brune e imporporare leggermente le guance carnose e incipriate.
I capelli lunghi e ondulati le scendevano sulle spalle, incorniciandole il viso. Viennah era bella. La sua figura era affascinante e sicura, il suo passo elegante e il sorriso che a volte le si allargava sulle labbra ammaliante, sempre pronto a fare posto ad un’espressione seria o corrucciata quando qualcosa non andava secondo i suoi piani.
Era bella, pur non essendo perfettamente magra, con le curve al punto giusto, e con i capelli marroni come sabbia scura e i riflessi ramati quando il sole si poggiava su di loro, attraversandone ogni ciocca.
Se lo ricordava, Zayn, il giorno in cui l’aveva incontrata la prima volta, sulla terrazza di quel ristorante che affacciava sul mare, mentre il vento glieli scompigliava leggermente, scomponendoli sulla fronte e formando dei riccioli. Lui lavorava lì come cameriere, e aveva appena portato via gli ultimi piatti dai tavoli quando il maître gli aveva comunicato seccamente che poteva anche prendersi una mezz’ora di pausa, così si era avvicinato nella sua direzione.
Si era acceso una sigaretta, e intanto la guardava.
Viennah era bella, lo vedeva anche se non era completamente girata verso di lui, col suo champagne che spumeggiava nel bicchiere a stelo che teneva tra le dita.
Era bella e un po’ triste, in quel vestito nero che si modellava perfettamente al suo corpo formoso. Brillava come la collana di perle che portava al collo a contatto coi raggi, come le lacrime che cercava di trattenere, tra una sorsata e l’altra, portandosi il calice alle labbra tremanti, ma che, nonostante tutto, le scorrevano silenziosamente sulle guance.
Le lacrime hanno un sapore amaro, Zayn lo sapeva, ché ne aveva ingioiate tante, tra una sorsata e l’altra, col liquido che si faceva sempre di meno nella bottiglia che portava alla bocca, per poi asciugarsene gli angoli con le maniche della giacca. Zayn conosceva il dolore, e gli sembrava di conoscere un po’ anche lei.
Fece un passo. Poi un altro ancora, finché non si trovarono vicinissimi, e lei, che non si era ancora accorta di nulla, non poté più non accorgersi della sua presenza. Lo guardò, prima con sospetto, poi con curiosità, notando quegli occhi color caramello piantati nei suoi, gli occhi di uno sconosciuto. Durò un attimo.
Viennah non fece domande, e si girò di nuovo. Ma quelle pupille ambrate non smettevano di fissarla, Zayn era come ipnotizzato davanti all’indifferenza e al fascino di quella ragazza bella e sola, con quella pelliccia nera che le circondava le spalle e il vento faceva svolazzare.
All’improvviso lui si ricordò del suo passato.
Delle risse. Le botte. I calci nello stomaco. E poi i graffi, sulle facce rese viola dagli schiaffi e dai pugni.
Di lui che a malapena si reggeva in piedi e del sangue che gli colava ai lati della bocca.
Fu un impulso. Zayn allungò la mano verso la guancia di lei, poggiandola delicatamente su quella pelle chiarissima e liscia, quasi marmorea.
Era stato un gesto frequente per lui, gli era venuto spontaneo.
Lo aveva ripetuto innumerevoli volte scorrendo le dita sulla sua pelle deturpata e bruciante al contatto con la barba, come innumerevoli erano stati gli scontri violenti nel quartiere di Moss Side, mentre la coltre scura della notte copriva il cielo sopra di loro e non permetteva nemmeno loro di guardarsi in faccia l’un l’altro, che già le loro mani avevano sferrato il primo colpo.
Zayn non era mai stato abituato alla luce del sole. Lui viveva di notte, e forse era meglio così perché altrimenti sarebbero venute fuori troppe cose che avrebbe avuto paura di vedere. Per esempio, chi era veramente.
Anzi no, quello lo sapeva: un disadattato, un orfano e un alcolista. Era di chi sarebbe potuto diventare, che aveva paura. Forse avrebbe avuto la possibilità di essere una persona migliore, un giorno, ma poi avrebbe rovinato tutto, ne era sicuro. Magari quello aspettava era già arrivato, ora che sua zia gli aveva trovato lavoro come cameriere. Ma lui era fatto per nascondersi, non per mostrarsi al mondo, pensava.
Proprio in quel momento, un altro mondo, diverso dal suo, era lì davanti a lui: un mondo di lusso, esclusivo, un mondo straordinario, pieno di cose che lui non si sarebbe mai neppure immaginato.
Viennah era ricca. E si poteva permettere tutto, dalla macchina nuova ad una buona dose di disprezzo per chi non fosse come lei. Si voltò a guardarlo con le labbra socchiuse e perfettamente truccate. Rosso vermiglio. Allora perché non era ancora scappata da lì? Chi era quell’estraneo che si era preso tanta confidenza da permettersi addirittura di toccarla? Lui era chiaramente l’opposto di quello che lei era ed era sempre stata. Ma non sentiva il ribrezzo che sapeva avrebbe sempre provato davanti a quella barba nera come la fuliggine e quei tatuaggi che riempivano entrambe le braccia scoperte. No. Sentiva come se quello sguardo la penetrasse in profondità, fino alle zone più remote del suo essere. Era come nuda, davanti a lui. E non era nemmeno più Viennah, ma Victoria. La sua mente si arrovellò a livelli inauditi cercando di contare sulle dita quanti ragazzi l’avessero fatta sentire in quel modo. Spogliata di tutto. Sola con la sua solitudine. Fragile. Umana.
Nessuno.
Viennah non si mosse, mentre due lacrime, minuscole come gocce di rugiada, trovarono il coraggio di uscire fuori. Certi giorni non era facile essere ricca. E quello era uno di quei giorni. Aveva sentito una scossa attraversarle la schiena nell’ascoltare quella conversazione tra moglie e marito al ristorante; parlavano del loro unico figlio che voleva fare questo e quello, e di quanto sarebbe stato semplice se solo fossero stati ricchi, magari conoscendo qualcuno di influente che avrebbe potuto dare una piccola raccomandazioncina e via. Eh già, è tutto facile per quelli come loro, sospirava la moglie, muovendo il capo in direzione di Viennah, ma noi almeno abbiamo dei valori, siamo persone oneste, noi, anche se abbiamo poco. I ricchi, pure se hanno tutto, in realtà sono vuoti dentro. Non vorrei mai essere come loro, sono un lavoratore e ne vado fiero, io, proseguiva il marito. E Vienna aveva pensato che in quella categoria rientrava anche lei, nei “ricchi”, nella parola loro, e che non era giusto essere etichettati così perché lei no, non si sentiva affatto una persona vuota, anzi, era piena, pienissima di sogni per l’avvenire, come qualsiasi ragazza della sua età. Sognava di andare a studiare ad Harvard e prendere in affitto un appartamento, di andare fino a Il Cairo per poter vedere le piramidi egiziane, a Copenaghen per respirare il profumo di mare appoggiata al muretto in pietra, a Mosca in inverno per ammirare il Cremlino coperto di neve, e poi ancora in tutto il resto del mondo, e se la sua famiglia poteva permetterselo non era per un favore di “qualcuno”, bensì per l’attività redditizia dei suoi genitori che avevano sempre lavorato duramente, e se avevano delle proprietà non era certo colpa sua, anzi, non era nemmeno una colpa, e non voleva essere accusata di questo. E poi Vienna avrebbe voluto urlare a quella donna che era così maledettamente stupido essere guardata dalla testa ai piedi e giudicata per il suo aspetto e il suo modo di vestire, perché lei era semplicemente sé stessa; forse aveva dei sogni sbagliati, un po’ illusi al momento, ma le appartenevano. Ed era sicurissima che, se quella signora ne avesse avuto la possibilità, sarebbe vestita e truccata esattamente come lei, e suo marito l’avrebbe riaccompagnata a casa con una Porsche. Non avrebbe dovuto prenderlo come un rimprovero, eppure eccola lì, a piangere lacrime di rabbia e a farsi accarezzare da un estraneo, senza dire o fare niente, ed era a quello sguardo ostinatamente orgoglioso, e bello, e bagnato, che Zayn stava pensando, totalmente diverso da quello che aveva davanti adesso.
“L’avevo dimenticato” rispose semplicemente. La cena di beneficienza non era esattamente in cima ai suoi pensieri.
“Ma…Zayn, la cena è tra mezz’ora e noi…” la voce di lei ebbe un tremito.
“Non ci vuole molto per arrivare. Sono solo due chilometri.”
Viennah fece cadere le braccia lungo i fianchi, scuotendo  impercettibilmente la testa, senza capire.
“Zayn. Dobbiamo andare. Adesso.
Poi si girò, attraversando la stanza con la stessa velocità frenetica con cui l’aveva percorsa.
Dal bagno cominciò a diffondersi l’odore forte e inebriante di un profumo, che invase poco a poco anche tutto il salone.
Zayn era pronto.
Vide Viennah uscire dal bagno. Dopo essersi spruzzata un ‘ultima goccia della nuova fragranza di Jean–Paul Gaultier ed essersi controllata per l’ennesima volta allo specchio, lo guardò.
Viennah era bella, nel suo vestito dello stesso colore del rossetto.
Viennah era ricca, con quell’orologio tempestato di preziosi che aveva al polso. Ed era sua.
Quando facevano l’amore lei si concedeva completamente a lui, senza tabù, non era la persona controllata e razionale di sempre, che parlava del suo futuro e delle sue scelte con la stessa sicurezza di chi stesse pronunciando il proprio nome. Le incomprensioni erano tante, non c’erano al mondo due persone più diverse, ma entrambi in quei momenti dimenticavano tutto, tutte le parole e le consapevolezze. Zayn le prendeva il viso tra le mani e la baciava con foga, affondando le mani nei suoi lunghi capelli. Mentre si avventava sul suo petto, con la bocca nell’incavo tra i seni e le mani sulle due estremità, Viennah gemeva sotto di lui, e Zayn pensava che sarebbe sempre successo così, oggi, domani, dopodomani e dopodomani ancora, all’infinito. Ogni volta che le sue mani avvertivano il contatto con quella pelle lattea, nuda – senza segreti per lui – ripensava alla prima, a quella voglia impellente che avevano di possedersi, al tocco di quelle mani belle e lisce che attraversavano la sua schiena e che si aggrappavano con urgenza al suo corpo appiccicato a quello di lei; ne aveva un ricordo lucidissimo, di quelle carezze che salivano su per le spalle, poi giù per le braccia, che lei sfiorava facendo scorrere continuamente le dita sui suoi innumerevoli tatuaggi, quasi a volerli cancellare, a voler cancellare il suo passato e tutte le cose che li dividevano l’uno dall’altra. Viennah era così bella, e lui si sentiva annientato da un desiderio incontrollabile, un bisogno che non aveva mai provato prima, nemmeno quando mandava giù litri e litri di alcolici o si accendeva nervosamente una sigaretta, con le mani che tremavano dalla voglia irrefrenabile di portarsela alla bocca. Un grande senso di pienezza lo invadeva dentro. Sentiva che era la cosa giusta al momento giusto. Lui si sentiva giusto.
Ora, invece, l’unica cosa che riusciva a sentire mentre la guardava un’ultima volta prima di uscire dalla porta, era una profonda debolezza. Viennah era così bella, lui così stanco.
Stanco di tutte quelle cene, le feste, di tutte quelle facce artificiali e quei toni di voce sempre impastati di moine, le frasi di circostanza e gli eccessi di moralismo. Aveva provato diverse volte a spiegarlo a Viennah, di come si sentisse a disagio in mezzo a quei ricconi laureati, proprio così aveva detto.
Lei lo aveva guardato come se avesse appena ricevuto uno schiaffo in piena faccia. D’altronde, quello era il suo mondo, pur inquinato o sgradito che fosse.
“Cosa vuoi che faccia, Zayn? – gli aveva risposto severa – dovrei forse rinnegare l’ambiente in cui sono cresciuta, la mia famiglia, i miei amici, quello che io sono e sono sempre stata?”
“No, non è questo” aveva ribattuto Zayn, senza troppa convinzione.
E invece era proprio quello il punto.
“E allora cosa? Cosa? Dimmelo, Zayn, perché io davvero non capisco!” urlò lei, con le lacrime agli occhi – ancora una volta. Lacrime amare e arrabbiate.
“Vorrei solo che tutto ciò che c’è intorno scomparisse.” Si fermò, poi riprese.
“Vorrei che ci fossi solo tu. E solo io.”
All’inizio Viennah sembrò commuoversi; poi sussurrò, ancora tra le lacrime: “Non si può. Lo sai che non è possibile.”
“Io so solo che ti amo”, avrebbe voluto dirle, mentre cercava di intrappolare le lacrime che minacciavano di sgorgare dai suoi occhi scuri.
Ma che lui la amasse non bastava, e lei aveva ragione. Non poteva semplicemente uscire dal suo mondo, e sbarazzarsi di ciò che la circondava. Lei ne faceva parte.
Il loro era un amore sbagliato, diceva il signor Pewkins, a cui Zayn non era mai piaciuto. E sicuramente erano dello stesso parere anche le amiche di sua moglie, che a tavola, una volta, gli avevano chiesto se preferisse l’università di Oxford o quella di Cambridge, e il ragazzo aveva risposto “nessuna delle due”, pensando che era strano che proprio lui, figlio di un amore nato fra i sonetti di Shakespeare (così gli aveva raccontato sua zia), tra uno studente di letteratura inglese con grossi occhiali rotondi dalla montatura sottile, e una bellissima ragazza di origini persiane che avrebbe voluto fare la ballerina, si trovasse in una situazione del genere.
Questo allievo, che era poi diventato un professore, e la sua Giulietta, lui non li aveva mai conosciuti. C’era stato un incidente d’auto, ed entrambi erano morti nello schianto, quando il loro bambino, unico superstite, aveva appena due anni.
Forse era strano. Ma lui era questo, era così, semplicemente inadatto per cose di quel tipo.
Non era fatto per perdersi dietro le pagine di un libro, come suo padre. Allo stesso modo in cui Viennah non era fatta per la vita di periferia, il lavoro di cameriera, o il fumo di sigaretta, cosa che lei gli rimproverava spesso. Ora lo capiva.
 
 
Era un continuo discutere e baciarsi, in quel loro sentirsi così distanti ma non riuscire a fare a meno di avvicinare i propri corpi.
Ora si abbracciano, poi non si capiscono, e poi Zayn è stanco perché non sa mai scegliere le parole giuste, non sa parlare, Viennah è molto più brava di lui in questo. Ma stavolta non ci prova nemmeno e si lascia buttare sul letto, mentre Viennah gli toglie i vestiti e lui la guarda, a lungo.
E’ così bella.
Le mani di lui si tuffano nella carne morbida e fredda di lei, sentendosi invadere dal pensiero che lei era la cosa che voleva di più al mondo, la sua più grande forza e debolezza, il suo habitat naturale.
Avrebbe giurato che quello fosse il paradiso, se mai Dio fosse esistito, e che dall’inferno lui ne era uscito, sì, una volta per tutte.
Mentre entra dentro di lei pensa che si incastrano alla perfezione, e che loro due sono perfetti, è tutto il resto ad essere sbagliato.
 
La mattina dopo, al suo risveglio, Zayn trovò un biglietto accanto al comodino. Lesse:
So bene chi siamo e altrettanto bene che non cambieremo. A volte l’amore non basta, Zayn, e credimi, mi fa male scrivere queste parole. Tra un ‘ora prenderò il volo per New York. Non cercarmi, ti prego.
V.”
Ad ogni riga che scorreva sotto i suoi occhi, gli sembrava di impazzire.
Finito di leggere, gettò con violenza il foglio di carta dove lo aveva trovato, facendolo cadere a terra.
Alla fine, se n’è era andata. Dopo tutti i giorni passati ad ignorare l’abisso che c’era tra di loro, e a rimandare sempre ogni decisione, ora era stata lei a prendere in mano la situazione. Lui non ci sarebbe mai riuscito.
Per questo avrebbe dovuto sentirsi sollevato, magari. Ma no, più ci pensava più non riusciva a crederci. Evidentemente era stato un cretino a credere nella storia del teppista tatuato che veniva salvato dalla bella principessa.
Da quando lui l’aveva conosciuta, aveva smesso di bere e anche di avvicinare alle narici quella polverina bianca.
Aveva smesso di arrendersi alla vita e cominciato a credere in sé stesso. Ad amare. Lei, invece, a quanto pare, aveva imparato a lasciarlo andare.
No, no, maledizione, no. Perché lo aveva fatto?
Un’ondata di risposte possibili balenarono nella sua mente.
Perché lo aveva preso in giro, perché non lo amava più, perché si era stancata di lui e della loro relazione complicata, perché l’America era più bella di Manchester e della casa dove vivevano insieme, perché…
All’improvviso, tutto si fermò. Zayn non capiva come, né perché.
C’era solo un vuoto, nella sua testa. E poi un’ultima risposta che giungeva, distaccata dalle altre.
Per il tuo bene, Zayn, che non saresti mai riuscito a spezzare questa catena. Non ne avresti mai avuto la forza. E lei è stata forte per te.
Scosse la testa con un sospiro, lasciandosi cadere sul letto. Solo un giorno prima lui e Viennah erano stesì lì, insieme.
A volte l’amore non basta. Quelle parole gli riecheggiavano nella mente.
Ancora una volta, Viennah aveva ragione.
Se fosse stato un poeta avrebbe preso quella frase e ci avrebbe intitolato una raccolta. Ma non lo era.
Se fosse stato un regista ci avrebbe intitolato un film. Ma non era nemmeno quello.
Chi era, allora? Non lo sapeva.
Sentiva solo di non potercela fare senza di lei. Senza la sua donna, che lui amava alla follia, invaso da una gioia primordiale, quasi infantile, perché come un bambino si nascondeva dietro la porta della camera quando sapeva che lei era lì, al computer, a scrivere sul suo blog di moda, per poi aprirla lentamente e avvicinarsi a lei, scostandole i morbidi capelli dietro le spalle, su cui poi poggiava le sue labbra lasciando un piccolo bacio. Oppure la guardava in segreto dal divano, ammirando la sua figura graziosa che si muoveva nella striscia di luce che correva sul pavimento del bagno, con la porta semiaperta che permetteva di scorgere dal salone le sue mani bianche e perfette con cui faceva scorrere il pettine tra i capelli.
La amava di un amore totalizzante, assoluto. E la seguiva adorante, ovunque andasse, orgoglioso di essere suo, come un ragazzino di dieci anni che non stacca un attimo gli occhi da sua madre, incantato,orgoglioso, come fosse una dea, e pensa che è la sua mamma, solo sua.
Zayn no, non lo sapeva chi era. Aveva solo una gran confusione in testa.
Ed ora eccola di nuovo, quella voce.
Viennah ti sta dando l’opportunità di scoprirlo, adesso. Di scoprire chi sei.
Non mi importa scoprire un bel niente, dice lui. Anzi, te lo dico io cosa sono ora. Niente.
Sono le tue paure ad essere niente.
Io ho solo paura di perderla, continua.
Non si può avere paura di perdere qualcosa che non si è mai avuto davvero.
Io la amo, urla.
Amavi ciò che pensavi avrebbe potuto darti. Amavi la sua immagine riflessa.
Io la amo, insiste, urlando ancora più forte.
Rispetta la sua decisione. È la cosa giusta per entrambi.
Giuro che setaccio tutta New York kilometro per kilometro. E la troverò. Lo dice a voce alta, a denti stretti, mentre cammina nervosamente avanti e indietro nella stanza.
Lasciala andare.
Io la amo! ripete, ma stavolta la voce gli viene a mancare. Piange.
Amerai di nuovo, Zayn.
 
E sarebbe successo, ma lui ancora non lo sapeva.

 
Ehylàààà! Rieccomi qui su EFP dopo un anno senza pubblicare storie! hahah 
In realtà, questa one shot mi ronzava nella mente (proprio come una zanzara) già da un po', ma solo ad aprile sono riuscita a scriverla, e mi è servito arrivare a luglio per riuscire a pubblicarla. :D (CAUSA UNIVERSITà U.U.)
Anyway, spero davvero che questa storia possa piacervi. La sua genesi è molto molto particolare: mi sono svegliata nel bel mezzo della notte e mi è venuta in mente la trama, che mentre trascrivevo sul foglio mi sembrava andare completamente per conto suo. Mi sembra quasi di non averla scritta io, le parole mi venivano naturali, come se qualcuno me le stesse dettando. E' stato...stranissimo. Un processo affascinante e anche un po' inquietante (lol) che mi ha portato sino a qui, ad una storia che credo sia molto più "psicologica" rispetto a quelle che ho scritto fino ad ora, poco esplicita e molto interiorizzata, provvista anche di un non lieto fine, sorry :/ Mi è venuta così, ecco. Quasi non mi sento responsabile di ciò che mi è venuto fuori hahaha Ma mi auguro di cuore che non ci siano incomprensioni e che la storia appaia esattamente come è apparsa davanti ai miei occhi, quella di un amore contrastato tra due anime sole, una avvolta nella ricchezza e nel lusso, l'altra nelle incertezze e nella mancanza di una figura di riferimento (soprattutto materna), cosa che lo porterà a trovare in Viennah quello non ha mai potuto avere, la sua donna. Tutto ciò nato grazie ad una dolce carezza che vorrebbe essere in grado di lenire il dolore altrui, cancellando quel graffio invisibile sulla guancia che portiamo tutti, non solo Viennah.
E dopo questo poema....mi ritiro. XD
Grazie davvero se siete arrivati fino a qui. E grazie a chi lascerà il proprio parere, preziosissimo per me! E grazie di cuore a Missa Desy per il banner! :3 Giada x  

 
 
 
 
 
 
           
  
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