Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: Amaya Lee    18/07/2015    1 recensioni
[ Jean x Armin | Evolving Relationship // One-sided // Minor Character Death // angst//teen-angst ]
(7 Aprile)
Cara mamma,
oggi ho incontrato un ragazzo.

Dall'altra parte del cortile, sotto i raggi temperati del Sole Jean rideva con qualcuno che non era lui. Ma ad Armin andava bene anche solo guardare dalla distanza.
(22 Novembre)
Nota: La fotografia graffettata a questa lettera l'ha scattata Jean in caffetteria; all'inizio voleva inquadrare solo me, ma l'ho convinto a farne una con entrambi. Avere una sua foto mi rende felice. (Più lo guardo, e più penso che abbia qualcosa che nessun altro ha.)
Genere: Angst, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Altri, Armin Arlart, Jean Kirshtein
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Cold smoke seeping out of colder throats


Bad romance,
turned dreams into an empire
Self-made success
now she rose with Rockafellas

 






(7 Aprile)

Cara  mamma,

oggi ho incontrato un ragazzo.


Girò l'angolo della scuola. Il livido dietro la nuca bruciava, ma lo ignorò con solo una smofia di fastidio; era nervoso. Eren si era anche offerto di accompagnarlo a consegnare dei permessi al preside Smith, così da non dover essere da solo all'uscita, ma non sarebbe stata una mossa intelligente. Stavolta erano in troppi.

Armin sperò solo che la botta non avesse cominciato a sanguinare. Sarebbe stato difficile da coprire.

Controllò che accanto ai cassonetti non ci fosse nessuno, poi li raggiunse con passo felpato. Sotto le sue scarpe la ghiaia faceva troppo rumore, e non aiutava a quietare la sua ansia. Il cielo era blu come un pomeriggio d'estate – gli piaceva l'estate, perché aveva più tempo per leggere e studiare senza la pressione degli esami. Armin riuscì a sorridere un po'; un'angolo del labbro superiore pizzicò sgradevolmente. Aveva lo sconveniente sapore di sale e ferro.

Il ragazzo appoggiò lo zaino sul cassonetto della plastica, poi afferrò dal basso il cardigan dell'uniforme scolastica e se lo portò sopra la testa. Litigò con i capelli nel momento in cui un bottoncino si incastrò tra alcune ciocche dietro l'orecchio.

Qundo rimase in camicia, più sudato e in disordine di prima, ne sollevò velocemente un lembo, controllando che il dolore pulsante allo stomaco non fosse testimone di marchi sulla pelle. Non ce n'erano.

Armin espirò, appoggiando la schiena al muro dietro ai cassonetti.


È stato allora che l'ho visto. Cioè, lui ha semplicemente voltato l'angolo ed ha proceduto spedito verso il punto dove stavo.

Aveva le spalle ricurve, gli occhi stanchi.

All'inizio ho pensato che fosse un tossico. E lo sapevo che, nel caso, dovevo squagliarmela.

Poi però mi ha visto, e non so, in quel momento, cos'ha pensato. Non so nemmeno cos'ho pensato io.

Mi ha offerto una sigaretta, e quando ho rifiutato se ne è accesa una lui. In realtà non è che non mi andasse, la sigaretta, ho solo pensato a te e a Mikasa.

Si chiama Jean (indossava la mia stessa uniforme e penso sia nel mio anno). Vorrei farne una descrizione, così non me lo dimenicherò; ha la rasatura laterale. Da entrambe le parti. Un viso affusolato, gli zigomi definiti. (Accidenti, non capisco perché me lo ricordo così tanto bene.) Ha gli occhi scuri di qualcuno che ne ha viste tante – sono piuttosto convinto di saper giudicare questo tipo di cose, nelle persone.

Tiene anche la cicca tra l'indice e il pollice, proprio come fanno Eren e la professoressa Hanji.     E tendeva a guardare spesso il pavimento.

    Non pensa molto a quello che dice, prima di dirlo.

    Aveva una scarpa sul punto di slacciarsi.

    Un bavero della camicia era fuori, l'altro dentro.

    Il cellulare sporgeva da una tasca posteriore dei pantaloni.

    Mi ha distratto un po', e se n'è andato dieci minuti dopo aver finito di fumare.

È tutto ciò che so su Jean. Spero di rivederlo, mamma.


(Cavoli. Mi andava quella sigaretta.)

#

Armin veniva spesso definito un ragazzo brillante.

Da Mikasa, dal preside Smith, dai professori, da sua madre. Suo padre era sempre stato leggermente più discreto. Eren non usava parole come "brillante".

Era un'interessante modo di descrivere il suo continuo prestare attenzione e gli ossessivi ingranaggi che gli gracchiavano talvolta nella testa come se non volessero smettere.

E, sì, supponeva di essere brillante.

Oltre a questo, era un adolescente che non sapeva accettare complimenti.

 

(16 Aprile)

Cara mamma,

ho rivisto Jean. Forse anche lui mi ha riconosciuto, perché ci siamo guardati per un istante di troppo per due persone che si scontrano casualmente in gelateria.

Non mi ha fatto cenni del capo o niente.

Era insieme ad un ragazzo con le lentiggini che frequenta biologia con me. Quello con le lentiggini si chiama Marco Bodt. (17 anni, rispetto impeccabile delle presenze, studente modello – secondo gli archivi della signorina Petra. Lo so che non dovrei approfittare dei miei privilegi da Rappresentante d'Istituto, mamma. Lo faccio solo qualche volta.)

#

Mikasa squadrò con un cipiglio appena pronunciato il giovane che meno di un secondo prima aveva approcciato il suo armadietto. Armin, accanto a lei, gli gettò un'occhiata veloce.

"Hey" salutò Jean, con un sorriso sbilenco che si confaceva al vistoso logo della band soft-grunge sulla sua t-shirt. Non proprio i gusti di Mikasa.

"Hey."

Armin prese sottobraccio i testi che gli servivano e rimase in silenzio, aspettando la ragazza. Era uno di quei momenti in cui non esisteva.

"Senti questo, bimba. Il prossimo mese io e Marco organizziamo una festa per celebrare la sopravvivenza al penultimo anno... che è anche l'ultimo per alcuni di noi." Jean si scompigliò i capelli chiari con una mano, rivolgendo un sorriso mesto alle piastrelle del pavimento. "E stiamo reclutando gente in giro. Tu ci stai?"

Mikasa non reagì all'offerta. Chiuse il proprio armadietto, che scattò con un tonfo metallico. Jean non la guardava direttamente negli occhi, notò Armin.

"Potrei avere da fare" disse lei dopo qualche momento.

Jean si mordicchiò l'internolabbro, nervosamente, poi tentò di riderci sù. Fallì non troppo penosamente. "Ok, però pensaci, hm?" In un nano-secondo un'idea attraversò la sua mente. Armin la vide come un baluginio a cielo terso. "Porta anche Jaeger."

"A te Eren non piace" replicò Mikasa, come se si trovasse nel mezzo di un'interrogazione e sapesse le risposte a memoria. "E tu, francamente, non piaci a me." Dopo quella chiara affermazione Armin distolse lo sguardo. Si sentiva a disagio.  "Andiamo in classe." Si era rivolta a lui, ora, posandogli una mano smaltata di rosa sulla spalla.

Jean fu silenzioso per poco. Doveva essergli venuta un'altra di quelle sue idee persuasive. Alzando di poco la voce, disse "Può venire anche quel tuo amico lì!"

Armin voltò la testa, non del tutto, irrigiditosi sul posto. Mikasa scrollò le spalle. Forse sbuffò un pochino, ma solo il biondo lo avvertì.

Jean lo guardava. Guardava lui, e lo guardò per più di quattro secondi di fila. Armin li contò. "Sì, tu."

Dopo un momento si accigliò. "Una festa, hai detto?"

"Già. Tu sei Alvin, giusto?"

"...Armin."

"Ok. Ti piacciono le feste, Armin?" Jean ora risparmiava rapide sbirciate alla ragazza che ancora gli dava le spalle.

Ad Armin non piacevano, non nel vero senso del termine. Era stato ad un paio – nessuno poteva semplicemene sopravvivere al liceo senza passare per almeno uno dei party del sabato di Reiner. Ricordava di non aver bevuto niente, tantomeno ballato. E probabilmente – ma non ne era sicuro – qualcuno gli aveva vomitato sulla camicia. "Abbastanza."


(2 Maggio)

Cara mamma,

alla fine andrò alla festa di fine-semestre di Jean. Sono piuttosto nervoso, anche se mancano settimane. Mikasa ha deciso di accompagnarmi: pare che non possa sostituirsi a te in ogni possibile occasione.

Anche se dubito che tu mi avresti mai accompagnato ad una festa.

#

Dalla macchina Armin vedeva il mare. Lingue infuocate che fluttuavano verso l'alto, un sole rosso come una ferita sanguinante nel cielo.


(14 Giugno)

Cara mamma,

era un tramonto che avresti dovuto vedere.


Marco aprì la porta principale e sfoggiò un lentigginoso sorriso su di giri.

Un battito di ciglia dopo Eren era sparito all'interno della tenuta Kirchstein, e i suoi amici d'infanzia avanzarono del salotto scarsamente illuminato, non abbastanza affollato perché non ci fosse aria da respirare ma sufficientemente da accendere l'atmosfera suggestiva.

La volta successiva che si mise a riflettere sui dintorni, Armin era finito a soppesare un bicchiere di punch, seduto a gambe leggermente divaricate sul tavolo in cucina. Non era comodo, il tavolo. Però tutti i divani erano occupati. Dalla cucina si vedeva il grande giardino attraverso la portafinestra.

Era abbastanza tardi perché non ci fosse nessuno di lucido. Tranne Armin, certo.

Proprio mentre osservava i suoi compagni di scuola – e anche una decina di sconosciuti – fare casino attorno alla piscina, che sarebbe stata (così, secondo una stima a occhio nudo) abbastanza grande da contenerli tutti, Armin si sentì di colpo consapevole della propria solitudine.

E questo fece il miracolo, forse. O a lui fece comodo pensarla così.


Non mi ricordo altro. Voglio essere onesto almeno con te.

Ho baciato un paio di persone, forse. Dovevano essere fatti anche loro se si sono messi a baciarmi – non sono il tipo da iniziare quelle cose. A un certo punto mi sono addormentato.

Poi ero sul divano con un mal di testa bestiale verso, credo, le undici della mattina. Non sapevo dove fossero Eren e Mikasa. Non sapevo di chi fosse il rossetto sulla mia bocca. Non sapevo perché non indossassi le scarpe, o perché la mia maglietta fosse bagnata. (Penso che c'entri la piscina.) Subito dopo avevo la testa praticamente dentro un water. Non riuscivo nemmeno a capire se qualcuno me la stesse spingendo oppure no.

Dieci minuti dopo Jean è entrato in salotto sbattendosi la porta dietro.

Aveva gli occhi gonfi e rossi, che facevano quasi paura. Aveva pianto.

Ha sbraitato a tutti di portare via il culo da casa sua, e io sono andato a cercare qualcuno che potesse riportarmi nel mio quartiere.

Jean aveva pianto e non capisco perché, mamma.

#

(15 Giugno)

Cara mamma,

è successa una cosa veramente brutta. Marco si è buttato da un tetto l'altra sera. Era talmente ubriaco che non riusciva a vedere dove metteva i piedi, probabilmente.

Sono sicuro che Jean fosse insieme a lui. Non voglio neanche immaginare come debba sentirsi.

Marco era gentile e buono. Andrò al suo funerale.

Adesso capisco. Fa un po' schifo.

 

#

Nonostante l'estate fosse stata lunga e afosa, il primo giorno di scuola fuori faceva talmente fresco che Armin ficcò le dita irrigidite nelle tasche della felpa. Jean si atteggiava alla Rebel Without a Cause più del solito. Un lutto non poteva durare per sempre, malgrado tutto.

Maglietta bianca, sigaretta accesa. L'economico caffè in una mano stonava, pensò Armin. Si appoggiò con la schiena al muretto della scuola. Aveva gli occhi d'oro e l'anima di fumo, quel ragazzo.

"Hey, Armin" disse, senza guardarlo negli occhi.

Il biondo fissò la cenere disfarsi in un soffio di vento. Si domandò quanto tempo ci volesse perché facessero così anche loro. "Hey, Jean."

"Non abbiamo mai parlato noi due, vero?"

"No... Non molto."


(29 Agosto)

Cara mamma,

Jean mi ha sempre considerato un po' inquietante, per stare sempre insieme a Eren. Me l'ha detto oggi e... d'accordo, non l'ho presa bene. Ma questo lui non deve saperlo. Non penso che si scuserebbe.

Abbiamo parlato del corso di biologia. (Quest'anno lo seguiamo insieme.)

È un inizio. Credo.

#

(3 Settembre)

Cara mamma,

Jean l'ha capito che non fumo. Non trovavo una scusa per parlagli, però, allora alla fine della scuola gli ho chiesto una sigaretta. Una sola. Non lo farò più. Solo questa volta.

#

"...Entrambe le esperienze colpiscono il cervello in modo da innescare una simile sensazione di euforia" concluse entusiasticamente Hanji, gesticolando con la mano che non reggeva il caffè.

Armin annuì fingendo di ascoltarla.

 

Dall'altra parte del cortile, sotto i raggi temperati del Sole Jean rideva con qualcuno che non era lui. Ma ad Armin andava bene anche solo guardare dalla distanza.

#

(7 Ottobre)

Cara mamma,

sono piuttosto certo che Jean mi consideri suo amico.

Eren mi ha detto di smetterla di passare il tempo con "uno come Kirchstein". Chi l'avrebbe detto, eh? Scherzo, mamma. Tu non puoi saperlo, ma quei due si detestano.

Sono felice di essere amico di entrambi, però.

Jean non è male. Promesso.

P.S. Ho visitato la tomba di Marco questa settimana; manca un po' a tutti quanti.

#


(1 Novembre)

Cara mamma,

sono davvero stanco. Sono le due, o le tre... le tre. Il nonno mi ha sgridato per essere tornato così tardi. Però ero al cinema con Jean. Insieme a lui non mi succede mai niente, e poi raramente andiamo alle feste. Persino quelle di Reiner sono diventate off limits.

Jean fa sempre attenzione a me. Provo una sensazione particolare quando i suoi occhi mi guardano, anche se soltanto perché è una persona vigile.

Come un brivido.

 

(E mi sento troppo importante perché sia vero.)

#

(22 Novembre)

Cara mamma,

questa settimana sono uscito due volte con Jean. Parlare con lui è persino più interessante dei libri del nonno. Dai libri posso apprendere, ma parlarne con qualcuno disposto ad ascoltare è... appagante.

Nota: La fotografia graffettata a questa lettera l'ha scattata Jean in caffetteria; all'inizio voleva inquadrare solo me, ma l'ho convinto a farne una con entrambi. Avere una sua foto mi rende felice. (Più lo guardo, e più penso che abbia qualcosa che nessun altro ha.)


#

"Da quando ci scambia i regali prima di Natale?" chiese Armin con un sorriso ironico. La sua mano si sollevò per strofinarsi via dei capelli dal viso, fermandosi a metà strada quando Jean gli mise in mano, senza tante cerimonie, un pacchetto infiocchettato alla bell'e meglio. Jean roteò gli occhi, ma la solita espressione indifferente non era al suo posto.

Ad Armin scappò una risatina. Scosse il pacchetto accanto al proprio orecchio, tentando di riconoscerne il contenuto in base al suono. "Ti ringrazio. Che cos'è?"

La risposta di Jean fu uno scocciato "Figurati se te lo dico."

Ma Armin continuava a sorridere anche quando si separarono.

 

#


    "Ah sì? Jean ha fatto un regalo anche a te?"

    "Già. Un bracciale che, sinceramente, poteva risparmiarsi."

    "Ti fa la corte, Mikasa... è logico che voglia spendere."

    "Un diamante è davvero troppo, Armin."

    "Suppongo..."

    "A te cos'ha regalato?"

Un tonfo sordo.

Forse veniva dal piano di sotto, forse dal petto del ragazzo.

    "Oh. U-un magnete. Devo riattaccare adesso. Mio nonno ha chiamato."

    "Ci vediamo. Buon Natale, Armin."

    "Buon Natale."

    Click.


(25  Dicembre)

Cara mamma,

non so cosa bisogna fare quando sei innamorato di qualcuno e quel qualcuno non è innamorato di te.

Non lo so

Non lo so

 

Non lo so.


#

(25/12 _ 23:51 _ batteria: 30% _ note aperte: 1 _ [salva nota])

Mamma,

ho paura, non voglio che il nonno se ne vada, non voglio, per favore

ho paura,

per favore, non lasciare che vada via.

Non voglio restare ancora solo, mamma

ho paura|

#

Aprì gli occhi sentendo una mano scuoterlo delicatamente per la spalla, e inquadrò l'espressione gentile di un'infermiera. Nel corridoio non c'era nessun altro.

"Tuo nonno ora è in condizioni stabili. Sono le prime ore del mattino, perciò ti  consiglio di andare a casa e recuperare un po' di sonno."

Armin voleva restare. Voleva vedere suo nonno e assicurassi che potesse vederlo, che potesse parlare – finalmente cancellare l'immagine pulsante del suo corpo bloccato sulle scale, i suoi occhi bianchi e semichiusi, le sue mani sollevate al petto e la morte, la morte in quei gesti. Invece annuì, alzandosi mestamente dalla sedia della sala d'attesa con un dolore sordo alle gambe e alla schiena.

Chiamò Eren al cellulare e gli chiese di venirlo a prendere. Il ragazzo parcheggiò fuori dall'ospedale in un quarto d'ora.


(26 Dicembre)

Cara mamma,

il nonno ieri sera ha avuto un infarto, ma adesso va tutto bene. Hanno detto che lo dimetteranno domani, che devo farlo riposare ed evitargli alcuni alimenti.

La signora Carla mi ha invitato a mangiare con loro stasera, perciò non starò in casa da solo.

Mi sento intorpidito. Spero che domani vada meglio.


#

Con l'inizio del secondo semestre Armin si sentì immensamente sollevato.

Era grato di poter tornare a scuola ogni giorno, incontrare le persone a lui care, distrarsi da se stesso; perché rincasando avrebbe trovato la casa silenziosa e il nonno addormentato, le pentole da lavare e i vestiti da riordinare.

Nessuno gli chiese come avesse passato il Natale, e cercò di passarsi sopra.

"Hey Arm", Jean gli diede una disinvolta pacca sulla schiena. Armin lo trovò confortante. Fisso il vuoto quando un piccolo dolore germogliò tra le vertebre, poi aprì il suo armadietto.

"Ciao, Jean", e si concesse un mezzo sorriso.

L'altro ragazzo si sistemò meglio una spallina dello zaino. "Allora, come si sta laggiù?"

Armin non reagì al riferimento alla differenza d'altezza. Scrollò semplicemente le spalle. "Tutto ok." Riusciva appena a sentire la propria voce sotto il vociare del corridoio.

"Hmm, senti, mi dispiace per tutto quello che è successo..."

Lui, solo per un momento, finse che le scuse fossero a tutt'altro proposito e che non avessero mandato una scossa gelida lungo la sua spina dorsale, fino alle dita dei piedi. "Non devi. Non è mica colpa tua. Sono cose che succedono" replicò meccanicamente.

Non sapeva cosa si stava aspettando. Forse delle rassicurazioni, o un "io sono sempre qui", o magari uno di quei sorrisi stentati che non riescono a far sentire meglio ma almeno ci provano. Invece Jean parve improvvisamente imbarazzato, e lasciò stare, "Ci si vede in giro",


e Armin si sarebbe sforzato di rimanere con un cuore che batte.

#

(22 Gennaio)

Cara mamma,

oggi ero da McDonald con Jean e altri due compagni di classe, di nome Sasha e Connie.

Quando siamo usciti era tardi e c'erano solo i lampioni ad illuminare il parcheggio.

Sasha si è sfilata una manica del giaccone e l'ha messo attorno alle spalle di Connie. Penso di averli osservati finché gli occhi non hanno cominciato a bruciarmi.

Jean invece mi ha guardato e ha riso.

 


Ha una risata stupefacente, che scoppiava e brillava come fuochi d'artificio.

 


#

(15 Febbraio)

Cara mamma,

mi ha un po' sorpreso che Jean non abbia fatto niente per Mikasa a San Valentino. Chissà, forse gli sta passando la cotta? O forse di questa festa non gli importa poi tanto. A me non importa, perciò capirei. Non che Mikasa gli avrebbe dato corda, comunque.

Voglio bene a Jean.

E vorrei dire che non sono felice dei rifiuti che ha ricevuto, ma la verità è che odierei se non fosse stato ignorato. Avrei odiato Mikasa. Forse persino lui. È inutile in ogni caso, riflettendoci, vero?


Sono egoista, mamma.

#

 

(20 Febbraio)

Cara mamma,

Jean ha le mani più grandi delle mie.

Mi chiedo quale sensazione sarebbe se me le stringesse.

#


Innamorarsi è scientificamente equivalente ad assumere una dose di cocaina.

Entrambe le esperienze colpiscono il cervello in modo da innescare una simile sensazione di euforia. Quando una persona si innamora, l'area ventrale tegmentale del cervello inonda il nucleo caudato con dopamina. Il caudato, poi, segnala per più dopamina. Più dopamina; più euforia. Lo stesso sistema si attiva quando qualcuno assume la cocaina.

 

Armin sfregò tra loro i piedi sul tettuccio dell'auto, punte e talloni arrossati per il freddo, la pelle più consumata di quanto avesse immaginato –cenere di ossa stanche–, accarezzata dalla luce morente. Il risvolto stretto dei pantaloni sopra le caviglie.

L'ombra calava sul suo volto. Labbra, troppo asciutte, divaricate e occhi come un tuffo in alto mare. Questo tramonto conteneva più ombre che sfumature.

Il fumo che Jean esalava con ogni dolce contrazione del torace, alla sua destra, coagulandosi nell'abitacolo brillava di riflessi rosati. Armin sollevò le pallide dita e le insinuò nel fumo, tracciandoli con calma e silenzio.

Jean afferrò il volante con una mano e lo strinse, con la violenza tormentosamente quieta di un lupo in caccia. Singhiozzò. L'altra mano volò a premergli urgentemente la sigaretta sulle labbra rossastre. "Fanculo" bisbigliò a sè stesso.

"Jean." Armin si sporse, fingendo di non sentire il bruciore sgorgare e colare sulla tempia, sempre fingendo. "È tutto ok. Dico sul serio."

"Vaffanculo, Armin. Non devono più avvicinarsi a te." Jean protrasse una mano verso il suo viso, rasentò con i polpastrelli ruvidi i capelli biondi e osservò con attenzione la ferita. Armin suppose che dovesse essere raschiata, rossa e brutta. "Figli di puttana."

"È tutto ok" ripeté, più debolmente stavolta.

"Devi dirlo a qualcuno."

"...Non ha più senso. È quasi finito l'anno e non li rivedrò mai più."

Gli occhi del ragazzo brillarono d'irritazione. "Perché cazzo non l'hai fatto prima?"

"Non è facile confessare a qualcuno che i bulli ti danno fastidio. Non a tuo nonno, che ha già abbastanza problemi di suo. Non ai tuoi genitori schifosamente morti." Armin naufragò le spalle nel sedile dell'automobile. "A nessuno sarebbe importato."

"Arm–" L'espressione di Jean si tese. Armin capì che non aveva nulla da replicare.

Era sempre così.

"Non serve aggiungere altro" disse, ma l'attrito non si dissolse. "Grazie per avermi portato via da quel posto..."

Jean chiuse gli occhi, estenuato –estenuato da tutto, da Armin, dalla nostalgia, probabilmente. Le corte ciglia tremarono sulla guancia ambrata, il tepore che indugiava dall'estate in contrapposizione alla spossatezza di quella minuscola ruga sulle palpebre serrate.

Il fumo probabilmente gli stava dando alla testa.

Avrebbe dovuto abbassare un finestrino. Invece Armin distese un braccio e – con estrema, impossibile cautela– tracciò lo zigomo dell'inconsapevole al quale aveva ceduto un pezzo di se stesso. Sfiorò l'angolo delle labbra e poi scese, provando un senso di menefreghismo universale. Ma Jean non aprì gli occhi, non sembrò in alcun modo riconoscere ciò che stava accadendo–

–Innamorarsi è scientificamente equivalente ad assumere una dose di cocaina.


Armin trovò la mascella e ne superò il confine– le pulsazioni sotto il collo di Jean erano regolari, armoniche, rassicuranti. E perché poi; era solo un cuore. Uno che non gli apparteneva neppure. Armin avrebbe ingoiato ogni filo del respiro calmo che rimescolava le sue percezioni come un mazzo di carte, e senza averne abbastanza di struggersi per ogni millimetro della pelle che stava solamente osando carezzare.


Era come se nulla bastasse mai, e la sensazione lo faceva soffocare.

 

(24 Febbraio)

Cara mamma, credo di aver fatto l'amore a qualcuno per la prima volta.

 

#

 

Maggio, e poi Giugno passarono per Armin come se stesse guardando gli ultimi bagliori dei fuochi d'artificio, in quei momenti di insana, decrescente meraviglia quando ci si rende conto di non udire più alcuno scoppiettio. E poi tutto finì, e gli crollò addosso in una volta sola, alla cerimonia del diploma – un oceano di vesti azzurre e Tocchi della medesima tonalità, con quel ridicolo affare dorato che dondolava davanti alla faccia di Eren – quando Armin aveva completato il suo discorso di Rappresentante e indietreggiava dal microfono – portandogli via il fiato.

La sua spalla si scontrò con quella di Jean, che gli lanciò un veloce sorriso prima di tornare a rivolgersi alla marea di espressioni traboccanti d'orgoglio.

 

Armin non scrisse a sua madre, quella sera. Non avrebbe saputo come.


#

 


Vennero fuori mentre riordinava la scrivania. L'impacchettamento dei pochi averi che avrebbe portato al college, consistenti in tre scatole di dimensione progressiva e una borsa da viaggio dalle cinghie consumate, era quasi terminato; avrebbe lasciato in quel cassetto le lettere a sua madre, perciò le sfogliò un'ultima volta, permettendosi qui e lì leggeri tocchi nostalgici, quando gli capitò per le mani, quasi per caso, la fotografia.

La cosa più giusta da fare sarebbe stata chiuderla nel cassetto, come tutto il resto. Invece, Armin la infilò in una tasca della borsa da viaggio.


Sgorgarono le parole, nella forma di una piccola nota a fine pagina.

 

Cara mamma,

quel ragazzo non mi ha mai dato l'amore indietro.

 

##






 



NA: Quando voglio l'angst, ci vado giù con l'angst. Non c'è scampo. Ma prometto che alla fine si risolverà tutto. Con il prossimo capitolo concluderò questa storia; purtroppo trascorrerò in Inghilterra le prossime due settimane e perciò farò un po' tardi. Spero che non vi crei troppo disagio. Preciso che il rating arancione è stato impostato per i contenuti del prossimo capitolo (preparatevi a del sano smut!). Un'altra cosa; vi linko le canzoni che mi hanno ispirato e aiutato a scrivere questa roba, tanto per trasmettere un po' meglio le vibes (dovrei dedicarmi ai fanmix, hmm): New Americana - Halsey, Still - Daughter, entrambi capolavori, e poi Midnight City - M83, A way to forget you - The Erised.
Detto questo commenti, critiche costruttive e recensioni sono sempre apprezzati!
Grazie per aver letto, per la vostra pazienza e a presto,
-Amaya

  
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