Videogiochi > Five Nights at Freddy's
Segui la storia  |       
Autore: Debby_Gatta_The_Best    18/07/2015    4 recensioni
[Five Nights at Freddy's]E se gli animatronics non fossero quei mostri dall'anima nera che il gioco vuole mostrarci?
E se la vera minaccia fosse costituita da una mente contorta e diabolica e dalla divisa color porpora?
E soprattutto, cosa succederebbe se i robot incontrassero la regina dell'intelligenza artificiale, GLaDOS?
Una nuova avventura, narrata dagli occhi degli animatronics e di Mike, sta per svolgersi ed aspetta solo di essere letta!
Genere: Comico, Mistero, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Contenuti forti, Incompiuta
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
AAA

L'acqua fredda risvegliò i suoi sensi ancora intorpiditi. Si passò una mano sul volto, passando con l'indice su quella ragnatela di solchi che gli adornava la faccia dall'incidente. Assomigliavano a graffi più o meno profondi, erano pallidi rispetto al resto della pelle, e non l'avrebbero più lasciato. Ogni giorno, ogni mattina, quel gesto di accarezzarsi il volto con la mano tremante risvegliava il vivido ricordo dell'incubo che aveva vissuto non molti mesi prima. Spostò lo sguardo nello specchio e vide il fantasma di quello che un tempo era stato un giovane robusto di bell'aspetto. Le cicatrici intricate avevano rovinato la pelle del viso, un tempo brillante, adesso spenta. La più profonda solcava l'occhio destro, appena sotto la palpebra inferiore, formando una rientranza nello zigomo piuttosto raccapricciante. Il resto non era altro che una serie di tagli sparsi dalla fronte al mento, uno era più lungo e attraversava metà del suo collo. Ma non era stata solo la pelle ad essere martoriata. Anche gli occhi, dopo aver passato quei terribili giorni di continui interventi, erano diventati opachi e da blu cielo erano passati a grigio freddo, come se delle gocce di metallo avessero irrotto nelle sue iridi e avessero iniziato a divorarne il colore. I capelli, prima neri e lucenti, erano schiariti e seccati, come una pianta lasciata troppo tempo sotto il solleone. Questo era quello che vedeva Mike ogni mattina, dopo l'incidente alla pizzeria: un giovane uomo distrutto da un'esperienza indescrivibile, che sembrava andare oltre la realtà.

Attentato a guardia notturna durante il turno di lavoro, uomo di 23 anni assalito da robot, salvato per miracolo da intervento della polizia”

Quel giornale – uno dei tanti – che aveva annunciato l'incidente di Mike, se ne stava ancora sul bracciolo della poltroncina, coperto di polvere, da quasi un anno ormai. Gliel'aveva portato Fritz uno dei suoi primi giorni coscienti all'ospedale dopo l'operazione, per sottolineare quanto fosse stato fortunato ad essere ancora vivo.


«Quella roba che ti hanno infilato in testa era coperta di ruggine, Mike! Hai rischiato una grossa infezione!»

Aveva annunciato, sventolando i fogli come una bandiera, attraversando il corridoio dell'ospedale. Quei giorni Mike aveva ancora la mente annebbiata e le orecchie ovattate, quindi aveva chiesto all'amico di ripetersi.

«Hai avuto fortuna a uscirne vivo, amico»

Aveva tagliato corto l'altro, lanciandogli il giornale dopo essersi seduto ai piedi del letto. Mike aveva letto l'articolo che parlava della sua miracolosa fortuna che l'aveva strappato appena in tempo dalle braccia della morte. Aveva sbuffato:

«Immagino di essere diventato famoso per questo, eh?»

La voce roca aveva prodotto un effetto sgradevole, simile al rauco gracchiare di un rospo, ma Fritz aveva fatto finta di niente.

«Non si parla d'altro in paese. Pensa che in quest'ultima settimana l'affluenza turistica è aumentata»

«Solo per vedere me?»

«Solo per vedere gli animatronics, e per curiosare. Ovviamente, la polizia non permette a nessuno né l'una ne l'altra cosa»

Alla parola “animatronics” lo stomaco di Mike aveva avuto una terribile contrazione e l'orrore di quei momenti era riaffiorato a fior di pelle, tempestandolo con un tremendo senso di nausea.

«Non parlarne più, ti prego»

Fritz l'aveva guardato attraverso gli occhiali tondi. Gli occhi castano intenso avevano squadrato il volto di Mike per molti minuti, e poi l'amico aveva fatto un sospiro alzandosi dal letto:

«Be', Mike, che dire? Spero ti rimetta presto. Io adesso devo tornare a lavoro, sai com'è mio zio... mi ha dato il permesso di venirti a trovare per non più di dieci minuti, e se dice dieci minuti, sta' certo che ti viene a cercare se sfori anche di pochi secondi»

«Come Fred»

Aveva ridacchiato Mike, con la gola raschiata dalla risatina forzata. Ma solo pronunciare quel nome aveva portato con sé un'altra ondata di orrido malessere, e si era pentito subito di averlo pronunciato. Fritz non l'aveva notato ed aveva risposto con una risata vera, poi se n'era andato a corsa.


Mike aveva conservato il giornale. Non sapeva il perché. Il ricordo di quell'incubo era ben lungi dallo sfumare, ma quel giornale gli ricordava non solo l'incidente, ma anche qualcosa di positivo. Era sopravvissuto, era stato molto fortunato. Il suo volto aveva subito sfregi irreparabili, diventando il simbolo dell'accaduto. Ma in qualche modo era riuscito a sopravvivere, a sfuggire alla nera moira ed adesso stava cercando di ricostruirsi una vita.

Con scarsi risultati. Andò in cucina, ancora in pigiama, e afferrò la scatola di biscotti che teneva a portata di mano sopra la mensola. Erano grossi e a forma di osso.

«Sparky!»

Chiamò, e trotterellando il suo fidato amico zampettò in cucina. Gli lanciò il biscotto e lui balzò agilmente afferrandolo al volo. Iniziò a sgranocchiare avidamente il suo premio, accucciandosi nel suo angolino preferito. Mike gli diede un paio di carezze sul capo, e il cane ringraziò scuotendo la coda.

«Oggi vado al Commissariato, starai un po' da solo. Non combinare guai, va bene?»

Il cucciolone non lo degnò di molta attenzione, e continuò a rosicchiare il suo osso. Mike tornò in camera sua e aprì l'armadio, passando con lo sguardo su ogni vestito che aveva. Erano al massimo una dozzina e i più erano maglioni o felpe, ma quel giorno doveva presentarsi con qualcosa di decente. Afferrò una camicia con motivo a righe e una giacca scura, poi indossò un paio di pantaloni blu notte. Tornò a passi svelti in bagno, per darsi una veloce spazzolata ai capelli smorti, poi davanti allo specchio gonfiò il petto e cercò di apparire il più fiero possibile. Stava per presentarsi al Commissariato di New Brinnin per la prova d'esame che avrebbe decretato o no il suo primo passo da agente di polizia. Aveva studiato legge e fin da bambino aveva avuto il sogno di diventare un avvocato. Sogno che si era infranto quando aveva sbattuto contro la realtà dei terribili esami dell'Università, che non era riuscito a passare e che alla fine aveva abbandonato finendo a cercare lavoretti vari per la città, lavorando d'estate come cameriere per gli alberghi marittimi e d'inverno con quello che trovava. L'ultimo suo lavoro si era rivelato quasi fatale, ma gli aveva anche fatto capire una cosa fondamentale della sua vita. Dopo essere stato salvato dalla polizia, era cresciuto in lui l'ardente desiderio di far parte del corpo armato per ricambiare il favore a qualcun altro. Si sentiva in debito, e ormai aveva deciso di unirsi al corpo armato dello Stato. Prese un grande respiro, cercando di non guardare quelle orribili cicatrici. A tutti i lavori a cui si era presentato dopo il suo soggiorno in ospedale, era stato scacciato bruscamente. Forse alcuni pensavano avrebbe portato sfortuna all'attività (la Fazbear's era chiusa proprio a “causa” sua), o altri, lui ci scommetteva, perché il suo volto era inguardabile. Mike si aggiustò la cravatta, poi raddrizzando la schiena pronunciò:

«Agente Schmdit, pronto per questa impresa»

Si voltò, facendo un gran sospiro, poi si avviò verso l'uscio. Sentì Sparky trottargli dietro e ansimare per il caldo dell'appartamento, ma Mike non poteva portarlo con sé.

«Sparky, non puoi venire. Dovrei lasciarti legato fuori la sede di polizia...»

L'uggiolio da cucciolo del bastardino impietosì Mike, che non poté resistere e alla fine afferrò il guinzaglio che teneva vicino all'uscita e lo legò al collo del cane.

Guarda che gran forza d'animo che hai, Mike. Ti fai comandare da un cane. Che gran bell'agente sarai, utilissimo alla patria, sì!”

Sparky ringraziò scodinzolando allegramente, allargando la bocca come in un gran sorriso. Mike gli rispose sorridendo e uscì dalla porta.


Le strade erano quasi deserte, un debole vento gelido afferrava le foglie e le accompagnava in una danza unica per i cieli di New Brinnin. Mike camminava a testa bassa, con il volto affondato nella camicia, rimpiangendo le volte in cui poteva nascondere il mento e la bocca nel collo alto della felpa. Aveva iniziato a camminare cercando di attirare meno attenzione possibile, ma cercare di non dare nell'occhio aveva scaturito l'effetto contrario. Anche solo muoversi tra la gente, azione che avrebbe svolto normalmente come qualsiasi essere umano, era adesso un'impresa. Indossare cappucci o berretti aiutava, ma nei giorni più caldi le felpe e i cappelli di lana erano troppo da sopportare. Sgusciava tra le persone con movimenti rigidi, innaturali, cercando di non incrociare lo sguardo di nessuno, e non far caso a chi lo stesse guardando. Per fortuna l'appartamento dove viveva si trovava piuttosto in periferia, in una zona poco affollata, ma si trattava sempre della periferia di una città di medie dimensioni, per di più piuttosto famosa come meta turistica, specialmente durante l'estate per il mare, e quasi ogni giorno Mike attirava gli sguardi di passanti curiosi su di se, come se fosse una calamita. Il suo volto sfregiato l'avevano trasformato in un fenomeno da baraccone che attirava a sé risatine maligne o occhiatacce criticanti. Per fortuna, quel giorno di fine autunno in pochi erano usciti di casa, i più erano già andati a lavoro e i pochi che ci stavano andando erano troppo impegnati a correre per non perdere la fermata del bus o ad affrettarsi in bici per notarlo.

Mike camminò per diversi minuti, inforcando le strade meno affollate che aveva scoperto in quel mezzo anno da incubo, alle quali prima non aveva mai fatto caso. Sparky gli camminava a fianco, senza fermarsi ad annusare in giro o iniziare a gironzolare per conto proprio. Era un cane tranquillo, un meticcio di taglia media-grande che ricordava un “labrador magro dal muso allungato, oppure un cane lupo bruttino”, più o meno così l'aveva descritto suo cugino quando gliel'aveva regalato. Il manto grigio chiaro e gli occhi vispi, color ghiaccio, le orecchie piccole e flosce, come quelle di un cucciolo, e la coda sempre in movimento avevano messo poco tempo a fare breccia nel cuore ancora shockato di Mike, quasi un anno prima. A credersi era difficile, ma Sparky aveva seriamente dato un gran contributo al superamento dello shock del giovane.


«Non si possono introdurre animali all'interno dell'ospedale!»

Aveva schiamazzato un'anziana dottoressa, con il volto rugoso contratto in una smorfia di rabbia. Jeremy aveva afferrato la scatola sotto il braccio sinistro, col destro si era asciugato la fronte e dato una veloce aggiustatina al ciuffo ribelle davanti agli occhi, poi aveva schiarito la voce e si era giustificato:

«Laggiù c'è mio cugino, è quasi morto soffocato da una maschera, è completamente shockato e non c'è nessuno che possa venirlo a trovare spesso. Non pensavo fosse un reato confortare un parente»

La voce e i gesti di Jeremy avevano lasciato trapelare una forte sicurezza personale che aveva indotto la vecchia donna a pensare che quel rosso non si sarebbe arreso facilmente. Ma non aveva ceduto:

«È inaccettabile! Quel cane potrebbe avere pulci, o peggio, essere infetto. I globuli bianchi del paziente sono scesi vertiginosamente durante le operazioni e in questo momento non può permettersi di contrarre nessun genere di...»

Ma Jeremy aveva sbuffato, aprendo la scatola e afferrando la palla di pelo grigia per la collottola:

«Questo cuccioletto non ha nessun tipo di malattia, infezione, e non morde! È nato due mesi fa, e l'ho preso oggi stesso dal ricovero per animali, dopo tutti i controlli veterinari. Non si fida? Lo guardi, su!»

Aveva avvicinato il batuffolo mugolante al volto dell'anziana, che subito era arretrata con impressa in faccia un'espressione ripugnata, ma subito si era ricomposta:

«Le regole sono regole, se non gira subito i tacchi e se ne va di qui, io sarò costretta a...»

«Jeremy?»

Aveva chiesto a quel punto lui, uscito dal dormiveglia. Jeremy si era voltato, lasciando per un secondo trapelare un grande sorriso, che puntualmente si era guardato dal reprimere per indossare un'espressione seria e quasi scocciata, come ogni volta che s'incontrava col cugino piccolo. Era avanzato verso il letto ignorando la disapprovazione della dottoressa.

«Allora Mike, ti sei fatto la plastica al viso, mi pare di capire»

Mike si era limitato a squadrarlo con occhi pallidi, quasi inespressivi. Il destro era gonfio e circondato da una grossa chiazza violacea. Jeremy aveva afferrato con disinvoltura una sedia lì vicino, e si era accomodato accanto al letto.

«Hai quasi perso un occhio, vedo»

«Non hai perso la lingua, vedo. E neanche il tuo sarcasmo»

Aveva gracchiato con voce irriconoscibile Mike. Jeremy aveva abbozzato un falso sorriso:

«Come potrei stuzzicarti se perdessi la lingua?»

«Troveresti comunque un modo, immagino»

«Credo anche io, non potrei rinunciare al rompere al mio cugino preferito»

Aveva mostrato la scatola, mentre la vecchiaccia si era avvicinata con occhi colmi di furore, le mani strette in pugno.

«Le ho detto...»

«Solo un attimo!»

Aveva ringhiato Jeremy, per poi riportare l'attenzione sul cugino.

«Lui... pensavo avrebbe potuto piacerti»

Aveva nuovamente infilato la mano nella scatola e tirato fuori il musetto minuscolo di un cagnolino grigio perla. Mike aveva sgranato gli occhi:

«Cos'è?»

«Un tirannosauro. Adesso, secondo te? L'occhio l'hai perso davvero?»

Mike aveva iniziato ad allungare la mano verso l'animaletto, ma la dottoressa l'aveva fermato con un “her-emm!” e Mike aveva subito ubbidito.

«Che razza è?»

«Suvvia, a caval donato non si guarda in bocca, screanzato di un cugino»

«Era... solo per chiedere»

Jeremy l'aveva fissato a lungo. Gli occhi dell'altro erano quasi bianchi, le pupille vuote, l'espressione priva di vita. Aveva concluso che il cugino non era in vena di scherzi.

«Un bastardino. Penso sia... un labrador molto magro, o un cane lupo molto, molto brutto, oppure un incrocio tra i due, probabilmente. Non ho idea di che razza sia, so solo che è maschio ed è il più brutto che sono riuscito a trovare, doveva assomigliarti»

Mike aveva allargato un sorriso sarcastico, ma solo quel gesto aveva provocato l'intenso bruciore di tutta l'epidermide della faccia.

Aveva soffocato un grugnito, poi aveva continuato a fissare il cucciolo. Dalla scatola scrutava la stanza d'ospedale con curiosità, allungando il naso nero per annusare i dintorni.

«Non so se potrò badare anche ad un cane»

Aveva concluso Mike brusco.

«Sarà lui a badare a te, credo. E comunque, non posso riportarlo indietro quindi a questo punto te lo devi tenere»

Mike aveva fatto una smorfia, poi aveva annuito sconfitto.

«E va bene, troverò il modo di tenerlo. Immagino che dovrei ringraziarti»

«Dovresti»

Aveva risposto di rimando l'altro sorridendo. Mike aveva piegato un angolo della bocca, poi aveva gracchiato un “grazie” appena accennato, per poi chiudere gli occhi e appoggiare la testa sul cuscino.

«Ed ora se ne vada!»

Il ringhio della dottoressa aveva fatto sobbalzare Jeremy, che aveva afferrato il suo pacco, salutando la donna con un inchino provocatorio e trotterellando fuori dalla camera.


Da quando era uscito dall'ospedale, quel cagnolino gli era sempre stato accanto. I regali rifilati a forza dal cugino si erano rivelati il più delle volte orribili o ingombranti – era il modo di Jeremy per dar noia a Mike – ma Sparky era probabilmente il miglior regalo mai ricevuto. Il cane gli teneva alto il morale, gli teneva compagnia e soprattutto non reprimeva a forza espressioni schifate quando lo guardava in faccia. Sempre allegro e scodinzolante, riusciva sempre a strappargli un sorriso.

«Allora, se non ho sbagliato strada... la stazione di Polizia dovrebbe trovarsi...»

Sentì lo stomaco serrarsi violentemente quando costatò che aveva sbagliato strada. E si trovava molto lontano dalla stazione di Polizia. Camminando sovrappensiero, non si era reso conto dell'errore e solo adesso, poco più che 15 minuti prima delle prove generali, si trovava completamente smarrito.

«No... no! Questo non doveva accadere! Cosa faccio adesso?»

Parlava più a se stesso che al suo cane, che comunque parve comprendere l'agitazione del padrone ed iniziò ad agitarsi.

Poi il suono del bus che si fermava poco lontano da lui attirò la sua attenzione. Forse era ancora in tempo.


Sguardi. Tanti sguardi posati su di lui. Troppi, mentre attraversava lo stretto corridoio del pullman. Procedeva a testa bassa, cercando di ignorare quella pressione posata sul suo essere, senza riuscirci. Sparky lo seguiva diligente, strusciando la testa sulla sua gamba mentre procedevano per andare nel retro del pullman, l'unico posto dove gli animali erano consentiti senza gabbietta.

I grandi pullman di New Brinnin potevano vantare ben due piani, con tanto di “scompartimento” all'aperto per i passeggeri con grandi animali. Mike cercò rifugio lì, e per sua grandissima fortuna trovò quel posto vuoto. Inspirò l'aria fresca e si sedette su una delle sedie in plastica fissate a quella parte di pullman scoperta. Sparky si accucciò al suo fianco.

In circa 10 minuti il bus l'avrebbe lasciato alla fermata più vicina alla stazione, e lui avrebbe dovuto correre per qualche minuto per arrivare in orario. Chiuse gli occhi, lasciandosi accarezzare dal vento, e abbandonandosi ad un breve riposo senza pensieri.

Quando quell'immagine riaffiorò. Occhi celesti, intrisi d'odio. L'endoscheletro luccicante dentro il costume, la forte pressione sul corpo, i cigolii, sempre più forti, vicini, assordanti.

Sobbalzò attirando l'attenzione di Sparky che rizzò le orecchie in cerca del pericolo. Davanti a lui c'era una giovane ragazza con un grosso gatto in braccio. Sembrava grande almeno il doppio del più grande gatto che Mike avesse visto. Il pelo fulvo, ispido, fu la cosa che però lo colse maggiormente: era di un colore indefinibile, simile al blu o al viola scuro, un colore che mai aveva visto in nessun animale. Grandi occhi gialli lampeggiavano tra la folta pelliccia, risplendendo quasi con innaturalezza in mezzo a tanto scuro come due piccole luci in una notte senza luna. Mike rimase paralizzato per qualche secondo alla vista di quel maestoso felino, che induceva fierezza e uno strano senso di inquietudine allo stesso tempo. Solo in seguito portò l'attenzione sulla ragazza che, a fatica, lo teneva in braccio. Era vestita con un maglione lilla e con dei jeans azzurri, ma fu subito il volto a suscitare la curiosità del giovane: la pelle era di un'innaturale colore grigio pallido, quasi cadaverico, e gli occhi, di un azzurro-violaceo insolito, sembravano privi di vita. Un cappello di lana le copriva inoltre gran parte della fronte, e l'intero occhio sinistro. Il ragazzo non riusciva a distogliere lo sguardo da quel volto, e da quel berretto. Una forte angoscia lo prevalse, e una viscida paura iniziò a scivolargli verso lo stomaco.

«Mi scusi»

Pronunciò improvvisamente la ragazza, con il tono di chi ha già fatto una domanda ma non ha ottenuto risposta. Probabilmente Mike si era appisolato qualche secondo e non l'aveva sentita.

«Oh, perdonami, stavo... mi ero addormentato»

Istintivamente Mike aveva rivolto lo sguardo verso il basso, vergognandosi per la sua faccia.

«Il mio gatto potrebbe darle problemi se mi sedessi qui vicino a lei?»

«Oh, no, non preoccuparti, mi piacciono i gatti»

Era strano sentirsi dare del “lei” da una ragazza poco più giovane di lui. Mike iniziò a temere che quelle cicatrici lo invecchiassero. Lei si voltò, dirigendosi verso l'altro sedile, quando Mike avvertì nuovamente quel rumore, quel cigolio inquietante, che aveva ben impresso nella memoria e che non avrebbe mai più dimenticato. Allora balzò in piedi, con velocità felina, guardandosi attorno colto da un'improvviso terrore.

«Si sente bene?»

Chiese preoccupata la giovane accarezzando delicatamente la testa del grande gatto, che chiuse gli occhi e iniziò a fare le fusa.

«Oh, sì, non è nulla. Pensavo di aver perso la fermata. La prossima è la mia. Arrivederci»

Aveva pronunciato quelle parole con una freddezza esagerata. Quella ragazza lo metteva a disagio, anche se avrebbe voluto scoprire il perché, e si vergognò a mostrarsi così rigido con una ragazzina tanto educata. Chiamò Sparky con un gesto della mano, e il cane indugiò un attimo, adocchiando per un secondo il grande gatto dal colore della notte, per poi voltarsi e seguire il padrone.




Commento

Il problema di questo capitolo? Penso sia venuto troppo lungo e troppo poco ricco di informazioni. Comunque, è solo l'inizio, ben presto la storia di Mike, di Fred e soprattutto degli animatronics (e di GLaDOS) si farà molto più interessante! Spero di non avervi annoiato troppo e... al prossimo capitolo!


  
Leggi le 4 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Five Nights at Freddy's / Vai alla pagina dell'autore: Debby_Gatta_The_Best